GIUDEO-CRISTIANESIMO
. Il nome di giudeo-cristiani si applica a tutti i convertiti al cristianesimo di nazionalità giudaica, ma più particolarmente alle comunità di Gerusalemme e della Palestina formate quasi totalmente di Giudei. Quelle comunità ebbero decenni di vita florida per numero e per spirito. Gli Atti degli apostoli descrivono il loro periodo aureo, durante il quale si accrebbero tra persecuzioni discontinue che fecero martiri come S. Stefano (v.) e S. Giacomo (v.). Nella rivolta dell'anno 66 i cristiani di Palestina si ritrassero per la maggior parte a Pella, città della Decapoli, a oriente del Giordano, mentre altri si rifugiavano nella Basanitide e a Berea (Aleppo). Ricostituitesi le comunità dopo il 70, si chiusero sempre più in un isolamento materiale e spirituale, che le inclinò alla mentalità di setta e a dottrine particolaristiche. Le sette degli Ebioniti (v.) e dei Nazarei (v.) si formarono un proprio Vangelo, come sorse anche un Vangelo secundum Hebraeos: di essi possediamo solo pochi frammenti.
Di quell'isolamento fu causa prima il loro attaccamento alla Legge giudaica, rimasto nonostante le scomuniche e le persecuzioni del giudaismo. I legami tradizionali alla forma d'una religione millenaria, la venerazione per i libri sacri, le necessità stesse della vita e dell'apostolato avvinsero al giudaismo quei convertiti. Vivendo i grandi apostoli che avevano la visuale di un apostolato mondiale, le tendenze particolaristiche erano combattute o mitigate. Sin d'allora però alcuni elementi, distinti ora più propriamente col nome di giudaizzanti, crearono col loro attaccamento alla Legge mosaica vere difficoltà all'espansione cristiana. Essi esigevano non solo dai cristiani ebrei di nascita la fedeltà alle prescrizioni mosaiche, ma ai convertiti stessi dal paganesimo imponevano la circoncisione, come necessaria per la salvezza, ovvero, secondo idee più mitigate, come coronamento della nuova vita. Dalla circoncisione, considerata come rito d'aggregazione al popolo ebraico, scendeva poi l'obbligo d'osservare la Legge mosaica intera. S. Paolo fu il più rigoroso sostenitore della nuova libertà dalla Legge in Cristo. Egli sentiva che i pagani non si sarebbero convertiti al cristianesimo se questo importava un assoggettarsi alle pratiche mosaiche. D'altronde veniva in questione il significato stesso del Vangelo e dell'opera di Cristo. Della vertenza sono pervase le lettere di S. Paolo ai Galati e ai Romani, gli Atti degli apostoli, XV, e un riverbero se ne trova pure nella lettera di Giacomo.
Bibl.: Documenti frammentarî delle sette giudaico-cristiane presso E. Preuschen, Antilegomena, Giessen 1905 e E. Hennecke, Neutestamentliche Apokryphen, 2ª ed., Tubinga 1924. - Il giudeo-cristianesimo fu messo al primo piano negli studî delle origini cristiane da F. C. Baur, Paulus, sein Leben und Werken, Stoccarda 1845. Studî recenti, con ampia bibliografia: J. Thomas, L'Église et les judaïsants à l'âge apostolique, in Revue des questions historiques, ottobre 1899 e aprile 1890, riprodotto in Mélanges d'histoire et de littérature religieuses, Parigi 1899; J. Wagenmann, Die Stellung des Apostels Paulus neben den Zwölf in den ersten zwei Jahrhunderten, Giessen 1926; M. J. Lagrange, L'Épître aux Galates, Parigi 1926; E. Jacquier, Les Actes des Apôtres, Parigi 1926, p. xvii segg.