PETRINI, Giuseppe Antonio
– Nacque a Carona, nel Canton Ticino, il 23 ottobre 1677 da Marco Antonio e Lucia Casella.
Il padre, scultore, risulta già morto il 27 febbraio 1697, come si evince dal testamento di Margherita Casella, forse sua suocera, ed è talvolta ricordato come Petrini Solari, lasciando intendere un legame di parentela con la stirpe dei Solari di Carona; allo stesso milieu di artisti appartenevano la madre, esponente della famiglia dei Casella di Carona, e i padrini di battesimo, Giulio Aprile e Maddalena, moglie di Carlo Alessandro Aprile (per i documenti cui si fa riferimento v. Camenisch - Caprara, in G.A. P., 1991). I successivi documenti noti risalgono al 18 gennaio e al 23 gennaio 1698, allorché Petrini riscosse acconti per prestiti concessi al Comune di Carona rispettivamente dal defunto padre e dalla madre. Il successivo 7 aprile fu testimone alle nozze tra Giovanni Battista Adami e Maddalena Aprile, mentre tra questa data e l’8 febbraio 1699 è lui stesso a sposare Cecilia Casella, previo accertamento della idoneità al matrimonio dei due sposi tramite deposizione giurata di Giovanni Gaspare di Gaspare Aprile e di Carlo di Francesco Aprile, in quanto Petrini risulta in questo periodo assente da Carona. Il matrimonio significa che Petrini poteva provvedere al proprio mantenimento e quindi che già era attivo come pittore; anche l’assenza da Carona indica un’avviata attività professionale, svolta evidentemente secondo le tipiche modalità di spostamenti stagionali degli ‘artisti dei laghi’.
Non sappiamo dove si sia svolto il suo apprendistato; pare tuttavia ragionevole che la formazione sia avvenuta localmente, nelle botteghe dei Casella e, subordinatamente, degli Aprile.
Già l’attività del padre Marco Antonio si svolse verosimilmente a latere della produzione dei Casella; potrebbero essere sue le belle statue in stucco raffiguranti la Maddalena assunta, S. Gregorio Magno, S. Ambrogio e S. Margherita nel santuario della Madonna dell’Ongero a Carona, «opera di un artista caronese, cresciuto in stretto contatto con i maestri attivi nella seconda metà del Seicento a Genova, Pierre Puget e Filippo Parodi» (F. Bianchi - E. Agustoni, I Casella di Carona, Lugano 2002, p. 49) e forse non è casuale l’assonanza tra la gestualità del S. Gregorio e quella di numerose figure della pittura di Petrini. Il legame della famiglia col santuario è confermato dal citato testamento (1697), di Margherita Casella, che ordinava ai figli di far realizzare un dipinto raffigurante la Madonna con i ss. Giuseppe, Giovanni Battista e Margherita, da donare in memoria della testatrice al medesimo santuario e lasciava cento scudi per la dote di Francesca, sorella di Giuseppe Antonio, non citato nel testamento: possibile che la sua parte consistesse nella realizzazione della tela.
Le prime opere certe di Petrini sono le tele della parrocchiale di Dubino, raffiguranti S. Isidoro Agricola, annotato come concluso dal parroco Carlo Francesco Peregalli il 20 aprile 1703, e S. Pietro, documentato dalla medesima fonte entro il successivo 9 giugno; al 10 dicembre di questo anno risultano conclusi gli affreschi nella cappella di S. Isidoro; di poco seguenti altri lavori nella stessa chiesa. Immediatamente dopo, negli anni tra 1704 e 1707, Petrini lavorò nella parrocchiale di Dubino, dove era parroco il fratello di Peregalli, Bartolomeo. Per tale edificio eseguì un Martirio di Gorcum, commissionato nel 1704 (oggi molto rovinato) e, nell’agosto del 1707, gli furono saldati due dipinti, un perduto «quadretto» raffigurante S. Giuseppe e un altro, di formato verticale, dedicato a S. Giovanni Evangelista. Nel frattempo, nel febbraio del 1707, Petrini ricevette il saldo per due affreschi (Cristo nell’orto e l’Addolorata) eseguiti nella cappella della Beata Vergine della parrocchiale di Rogolo (Valtellina), mentre nell’agosto dello stesso anno gli vennero saldati due quadri, di formato ovale, raffiguranti S. Giovanni Evangelista e S. Pietro (perduto). Il 29 agosto 1704, a Carona, venne battezzato il primogenito, Marco Petrini. La secondogenita Lucia fu battezzata, sempre a Carona, il 6 settembre 1706.
Benché eseguite in un’età compresa tra i ventisei e i trent’anni, le opere di Dubino e di Rogolo sono le più antiche a noi note di Petrini e quindi è a partire da esse che dobbiamo indagare sulla sua formazione.
L’essenzialità d’impostazione e la focalizzazione su dettagli quali le mani nodose e il volto intenso del santo possono richiamare il maggior pittore ticinese del Seicento, Giovanni Serodine, ma nulla di neanche latamente caravaggesco è dato di riscontrare nella delicata tavolozza, intarsiata di rosa, gialli e azzurri. Viceversa notiamo già gran parte della grammatica di Petrini maturo: personaggi colti nel culmine drammatico ed espressivo del loro agire, panneggi ampi e dalle grandi falcature geometrizzate, riduzione al minimo degli elementi accessori, sostanziale rinuncia a fondali architettonici o scenografici, stesura densa e compatta del colore. Le stesse caratteristiche si notano in un S. Giacomo Maggiore oggi nel convento cappuccino di S. Maria del Bigorio, presso Sala Capriasca nel Canton Ticino (Villata, 2015).
La critica ha di volta in volta letto l’educazione del pittore a contatto con Giuseppe Maria Crespi, Paolo Pagani, Andrea Pozzo, o nel solco della tradizione lombarda; merita attenzione l’ipotesi di riconoscere una primizia di Petrini nella Adorazione dei pastori in S. Rocco a Lugano (Damiani Cabrini, 2013). Quest’opera – o almeno una parte di essa, non è escluso si tratti solo di completamento o restauro da parte del pittore – mostrerebbe un Petrini che, partendo da posizioni prossime ai Casella, si orienta sul ‘romanismo’ dei pittori lombardi e sull’irruzione a Como (1680-81) del Pozzo. Particolarmente esposta all’influenza di quest’ultimo è una Educazione della Vergine transitata di recente sul mercato antiquario londinese e riconosciuta alla giovinezza di Petrini (Villata, 2015). Nel quadro della sua problematica formazione, l’informazione di Carlo Giuseppe Ratti (Soprani - Ratti, 1769) che parla di un alunnato di Petrini presso il savonese Bartolomeo Guidobono, precisato da Paolo Venturoli (in G.A. P., 1991) come anteriore al 1698, anno del trasferimento di Guidobono a Torino, appare non inverosimile e tale da far ipotizzare una cronologia, per la pala luganese, appena prima della visita pastorale del 1698 in cui è l’opera è citata con lode. Molto precoce, e imparentata a modelli genovesi sia di pittura sia di scultura, pare la Madonna della Cintura oggi nel conventodi S. Maria del Bigorio (Villata, 2015). Una genealogia artistica parzialmente diversa, ma sempre imperniata su Genova, è delineata (ma in contesto di promozione accademica del pittore), da Gian Pietro Riva in una lettera a Gian Pietro Zanotti del 17 giugno 1734 in cui Petrini è definito «allievo del Baciccia in Genova scolaro d’Andrea Sacchi se non erro, che fu de’ rinomati della scuola d’Annibale» (Bianchi, in G.A. P., 1991, p. 71 n. 46 ).Viceversa non pare possibile esserci spazio per la pur intrigante attribuzione di un dipinto di genere quale il Vecchio che si scalda al fuoco della collezione Koelliker (Morandotti, 2006).
Le tele raffiguranti la Conversione e la Decollazione di s. Paolo, oggi nella parrocchiale di Altavilla Monferrato ma di provenienza imprecisata, si pongono per certo prima delle due, già registrate nel 1706, nell’oratorio del Rosario di Delebio (Valtellina), rappresentanti rispettivamente la Madonna del Rosario con s. Domenico e una devota e l’Indizione della crociata da parte di Pio V.
Nella Madonna del Rosario e nella Decollazione di s. Paolo la tavolozza si fa più trasparente e leggera, segno di un primo accostamento alla sensibilità barocchetta – con cui Petrini mantenne sempre un rapporto alquanto ambivalente – che avrebbe avuto qualcosa da dire a Pietro Antonio Magatti; nella terza sembra risuonare, curiosamente, la semplice ma efficace impostazione coloristica del fiorentino-ticinese Luigi Reali.
Nel 1707 Petrini era ancora presso Rogolo, a Fistolera, dove ricevette pagamenti per altri dipinti (perduti); nell’estate del 1709 fu impegnato nell’esecuzione degli affreschi in S. Lorenzo a Fusine (Valtellina). Tra l’aprile e il maggio del 1711 portò a termine, con le tele raffiguranti S. Giacomo e S. Bartolomeo, la serie di dodici Apostoli ancora per la parrocchiale di Dubino; l’11 giugno dello stesso anno fu battezzato a Carona il quarto figlio, Salvatore. Sempre nel 1711 datò la tela con S. Gerolamo per la sede dell’omonima Confraternita di Costigliole d’Asti, oggi trasferita nella locale parrocchiale; subito dopo fu nominato fabbriciere del santuario della Madonna dell’Ongero a Carona. Nella stessa località, nel 1713, venne battezzata la figlia Marta. Il 15 luglio 1715 ottenne un anticipo dalla Confraternita della Dottrina cristiana di Lugano, ospitata presso la locale chiesa di S. Carlo, per uno stendardo raffigurante su una faccia la Consegna delle chiavi a s. Pietro e sull’altra S. Carlo in cattedra; i pagamenti proseguirono fino al 1718 e tra essi compaiono anche, nel 1715, compensi per il modello «andato a Carona a farsi ritrarre» (Natale, in G.A. P., 1991, p. 50), rivelando l’uso di Petrini di studi dal vero. Il 16 novembre 1715, a Carona, si celebrò il battesimo del figlio Carlo Emanuele: nome di assonanza sabauda che potrebbe giustificarsi con la nutrita attività piemontese di questi anni, testimoniata, oltre al dipinto di Costigliole, dalla serie dei Padri della Chiesa oggi nella cappella della Corte d’appello di Torino.
Tra il 3 novembre del 1715 e il 10 gennaio del 1716 Petrini dipinse la Morte di s. Giuseppe in S. Antonio Abate a Lugano, fondazione somasca il cui incarico proveniva dal preposito, il piacentino Antonio Maria Carnaghi; non è impossibile che la scelta sia caduta su di lui grazie ai buoni uffici di padre Giovan Battista Riva e del fratello Giovan Pietro. È molto probabile che per il primo Petrini avesse già dipinto, verso il 1710-12 circa, il S. Giovanni Battista da sempre documentato nella collezione della famiglia Riva a Lugano (Bianchi, in G.A. P., 1991); Giovan Pietro Riva era in rapporto con Ludovico Antonio Muratori anche se è difficile dimostrare una qualche influenza diretta del pensiero muratoriano sul pittore (ibid.).
Se da un lato in queste opere si avverte il recupero di esperienze lombarde seicentesche (Francesco Cairo su tutti), ritradotte su canoni compositivi adattati al classicismo marattesco, noto anche in Lombardia, dall’altro la solida monumentalità e la grande capacità coloristica, compositiva e dinamica, indicano un debito evidente nei confronti di Paolo Pagani, il cui affresco nella volta della parrocchiale di Castello Valsolda (1697), Petrini più volte poté ammirare. Forse le frequentazioni veneziane di Pagani costituiscono il tramite per il quale Petrini entrò in contatto con le figure a mezzo busto, di spettacolare e drammatico luminismo, di Giovanni Battista Piazzetta, che paiono precedente ineludibile per gli analoghi Filosofi, Profeti, Matematici, Astronomi, prodotti dal pittore a partire dagli anni Venti del Settecento.
Il 23 ottobre 1719 venne battezzata a Carona la figlia Maria Margherita, il 19 agosto 1721 l’altra figlia Anna Caterina.
Nel 1721 Petrini eseguì uno stendardo per la Confraternita del Rosario in S. Abbondio a Gentilino (Canton Ticino). Un altro stendardo, questa volta per la Confraternita del Ss. Sacramento in S. Lorenzo a Lugano, gli fu pagato il 21 maggio 1726. A questo stesso anno risalgono le tele raffiguranti la Morte di s. Giuseppe e la Vergine col Bambino che consegna il rosario a s. Domenico in presenza di s. Caterina da Siena, del santuario della Madonna dei Miracoli a Morbio Inferiore (Canton Ticino). Le due pale furono dipinte per la cappella di S. Giuseppe, arricchita, sempre per opera di Petrini, di affreschi nelle lesene raffiguranti S. Teresa d’Avila e S. Pietro d’Alcantara; per questo stesso santuario Petrini eseguì anche un più tardo Gesù tra i dottori (un cui disegno preparatorio si trova in collezione privata, v. Mollisi, 2003) per la cappella della Madonna. Piuttosto che lo studio del Caravaggio romano, tali dipinti dimostrano, per la luminosità accentuata e la messa in posa fortemente drammatizzata, una rinnovata e sensibile attrazione per l’opera di padre Pozzo.
Tra 1727 e 1729 Petrini fu nuovamente fabbriciere del santuario della Madonna dell’Ongero, per la quale nel 1730 decorò due depositi per reliquie. In precedenza, nel 1728, aveva firmato il S. Francesco stigmatizzato della chiesa di S. Maria degli Angeli a Lugano.
Le due tele raffiguranti la Fuga in Egitto e l’Incontro dei ss. Pietro e Paolo sulla via del martirio nel coro della parrocchiale di Candelo, nel Biellese, parrebbero contare su un post quem al 1727, anno di conclusione dei lavori di ampliamento della chiesa (Natale, 2000).
Nel 1734 Petrini fornì il disegno per un medaglione in marmo destinato alla mensa dell’altar maggiore di S. Antonio Abate ancora a Lugano. Nel 1735 datò una tela raffigurante un Matematico in collezione privata varesina (Natale, in G.A. P., 1991); come osservato da Mauro Natale (ibid.) questa data è per vari aspetti significativa, e si pone in un momento in cui, grazie a questa produzione da stanza, il prestigio di Petrini si diffuse ulteriormente: ne è prova il Diogene della Neue Galerie di Kassel, già citato, sia pur senza indicazione di autore, nell’inventario della collezione del langravio Carlo di Assia, steso nel 1749 (Bianchi, in G.A P., 1991, pp. 166 s.).
Il carattere ‘colto’ ma insieme facile dei soggetti, l’abilità nel fonderli in una koinè che riesce di volta in volta a variare pedali espressivi (stesura ora più drammatica ora più distesa, luminosità ora più corrusca e contrastata, ora più schiarita) e modelli di riferimento ne decretarono il successo. Tale fortuna si legge anche nel fatto che a partire da questo momento si incontrano numerose repliche, talvolta autografe, degli stessi soggetti, e numerosissimi dipinti ‘in stile Petrini’ ma di fattura più semplificata e generica. Si sa ancora poco della sua certo numerosa bottega, nella quale un ruolo importante dovette avere il figlio Marco, morto nel 1736-37, e poi ereditata da un altro dei figli, Bernardo. Un documento del 1735 ci informa che un figlio, Emanuele, aveva invece abbracciato la carriera ecclesiastica.
Il 15 luglio 1741 Petrini ricevette il saldo per la pala d’altare della chiesa di S. Quirico a Biogno (Canton Ticino). Gli anni Quaranta offrono finalmente una serie di opere datate o databili: entro il 1743 eseguì l’Ascensione di Cristo per S. Maurizio a Pinerolo; nel 1744 gli venne pagata la S. Anna e la Vergine per S. Antonio Abate a Lugano, chiesa per la quale, l’anno successivo, dipinse una ulteriore pala raffigurante S. Gerolamo Emiliani. Un dipinto di Petrini è citato, nel 1748, nel corso della visita pastorale di monsignor Agostino Maria Neuroni, vescovo di Como, nella parrocchiale di Balerna (Canton Ticino); allo stesso anno, probabilmente, risale l’esecuzione dei Ss. Antonio e Paolo eremiti per la parrocchiale di Melide (Canton Ticino; un’altra versione è in collezione privata, v. Damiani, in G.A. P, 1991); al 1749 risalgono i Ss. Quirico e Giulitta in S. Quirico a Biogno.
In questo periodo Petrini ricevette lusinghiere menzioni letterarie quali il sonetto a lui dedicato da Gian Battista Lucca (contenuto in una raccolta di poesie, curata da Giovan Pietro e Francesco Saverio Riva edita a Lugano, da Agnelli, nel 1747, in onore del luganese Neuroni appena assurto alla cattedra comense; Snider, 1987), o la lettera di Cesare Ligari a Carlo Visconti Venosta (18 maggio 1746) in cui il pittore è messo al pari, tra gli altri, di Magatti, Giovanni Battista Sassi, Giovan Angelo Borroni, Antonio Balestra, Piazzetta (Bossaglia, 1959).
Alla seconda metà degli anni Quaranta, per ragioni stilistiche, si fanno risalire molti lavori eseguiti per il territorio ‘italiano’, lombardo e in minor misura piemontese; opere perdute di Petrini sono ricordate dalle fonti nella chiesa dei Somaschi ancora di Torino e nel convento dei francescani osservanti di S. Croce in Boscaglia a Como (Füssli, 1774; Bartoli, 1776-1777). Tra i principali dipinti di questa fase vanno annoverati le decorazioni del presbiterio e di due cappelle laterali in S. Martino a Besano, presso Varese, e gli affreschi dell’oratorio di S. Gerolamo a Delebio, forse realizzati in collaborazione con i fratelli Torricelli.
Le opere degli anni Quaranta esibiscono uno schiarimento della tavolozza che ha fatto parlare di svolta rococò: difficile dire se la causa scatenante possa essere stata l’arrivo a Milano di Giambattista Battista Tiepolo e Giovanni Battista Pittoni (attivo anche a Como), pittori che Petrini poteva aver conosciuto anche a Bergamo, se davvero, come riferisce Andrea Pasta (1775), l'artista fu coinvolto nella decorazione (sicuramente post 1738) della cappella del Patrocinio in S. Alessandro in Colonna; o se, forse più ragionevolmente, un peso importante l’abbia avuto l’affermazione, con epicentro proprio nel Comasco, di Carlo Innocenzo Carloni.
Nel 1750 Petrini datò l’Ezechiele della chiesa di S. Carlo a Lugano e un ovale, di identico soggetto, in collezione Bellasi a Lugano (ove è presente un pendant, probabilmente parte di una serie più ampia, raffigurante Isaia; “Gruppo di famiglia in un interno”, 2013); nel 1751 un S. Giovanni Evangelista di collezione privata (Caverzasio, in G.A. P., 1991) e gli Apostoli della Pinacoteca cantonale Giovannni Züst di Rancate.
L’ultima attività di Petrini coniuga una tavolozza luminosa e delicata (ma capace ancora di improvvise virate chiaroscurali) con una semplificazione antirococò dell’impaginato, volta all’espressione di una religiosità ruvida e sincera; tra le opere in cui questo connubio, già anticipato dalle due citate versioni dei santi eremiti Paolo e Antonio abate, appare perfettamente risolto, vanno ricordate la Sacra Famiglia del Museo d’arte di Lugano e gli affreschi con Storie della vita della Vergine del santuario della Madonna dell’Ongero.
Il 3 gennaio 1752 il canonico Giovanni Simone Paravicini informava Cesare Ligari che Petrini aveva finito di dipingere il Beato Giovanni da Crema per il collegio Gallio di Como, mentre un’altra missiva inviata il 26 aprile dello stesso anno da frate Agostino Maria Chiesa indica come terminato il Miracolo di s. Vincenzo Ferrer in S. Giovanni a Morbegno (Valtellina). Nel biennio 1753-55 Petrini assunse nuovamente l’incarico di fabbriciere della Madonna dell’Ongero; al 1755 risale, come da iscrizione apposta sul retro, la tela con la Morte di s. Giuseppe della chiesa arcipretale di Sondrio, commissionata da Cesare Parravicino Sertoli.
Non si conosce la data precisa della morte del pittore, avvenuta presumibilmente a Carona prima dell’ 8 aprile 1759, data cui si riferisce un legato di quattro scudi lasciato per testamento alla parrocchiale caronese dal «fu Signor Giuseppe Antonio Petrini» (Camenisch - Caprara, in G.A. P., 1991, p. 255).
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