Poeta italiano (Monsummano 1809 - Firenze 1850). Partito dalla tradizione giocosa toscana, approdò al mito della “paesanità”, come aspirazione a una vita lontana dalle raffinatezze sociali e insieme romantico disprezzo per un gusto troppo letterario. La fama dello scrittore resta affidata agli “Scherzi”, satire originalissime di tutte le sventure della vita italiana nel decennio anteriore al 1849, per i quali spicca nella storia letteraria italiana del sec. XIX con un'impronta ben definita di originalità. Celebre, tra i suoi versi, Sant'Ambrogio (1845), in cui il tono meditativo si lega a temi patriottici. Benché la sua fama sia andata declinando nel tempo, alcune figure (Girella, il Giovinetto, Taddeo e Veneranda, ecc.) e certi versi suoi mantengono ancora una loro vitalità.
Vita. Nel 1826 fu mandato a Pisa a studiare legge, "di contraggenio"; si laureò nel 1834, ma non esercitò mai la professione. Il periodo pisano fu poi da G. rievocato nelle Memorie di Pisa. Nel 1836 conobbe Gino Capponi, con il quale strinse un'amicizia di grande importanza. Visse, eccettuato qualche viaggio, sempre a Firenze; e di lì i suoi "Scherzi" si diffondevano, manoscritti o malamente stampati alla macchia, e confusi con satire d'altri, per tutta Italia. La sua fama toccò il culmine nel 1847-48, quando gli avvenimenti parvero confermare il suo credo di liberale moderato. In quegli anni G. partecipò anche alla vita pubblica: fu maggiore della Guardia civica, e deputato alla prima e seconda Assemblea legislativa toscana. Poeticamente, G. parte dalla tradizione giocosa toscana, e soprattutto da A. Guadagnoli; ma ben presto trova una sua via, di elaborata semplicità. Egli crea il mito della "paesanità", che significa, autobiograficamente, l'aspirazione a una vita lontana da falsità e raffinatezze sociali; letterariamente essa è sinonimo di onesta saggezza, di schiettezza, di limpidità, di romantico spregio per il troppo letterario; anche se, a proposito di certe sue affettazioni popolareggianti, lo stesso Carducci, che pure prese da G. l'avvio, poté giustamente parlare di "pedanterie in manica di camicia".
Opere. In molte sue parti l'Epistolario (nuova ed. in 4 voll., Firenze 1932) conserva un notevole valore come documento storico; la prosa giustiana ha più nerbo nella Cronaca dei fatti di Toscana dal 1845, a...., che F. Martini pubblicò sotto il titolo di Memorie inedite (1845-1849) (Milano 1890). Il G. dedicò molto tempo a una raccolta di Proverbi toscani, pubblicata postuma dal Capponi (Firenze 1873), insieme con una serie di argute Illustrazioni; molto pure "almanaccò" con Dante, e qualche traccia non trascurabile dei suoi studi sul grande poeta ci è pervenuta.