Giuseppe Pisanelli
Esponente di punta della scuola giuridica napoletana, ideale rappresentante di un modello di giurista tipicamente risorgimentale, Giuseppe Pisanelli è una delle figure di maggior rilievo dell’Ottocento italiano. Avvocato, professore, uomo politico e statista, di lui si ricorda soprattutto il contributo decisivo dato alla causa dell’unificazione legislativa. Di orientamento liberale e moderato, la sua vasta opera testimonia lo slancio ideale e insieme i limiti e le profonde tensioni che attraversarono il processo di costruzione dello Stato unitario.
Giuseppe Pisanelli nasce a Tricase (Lecce) il 23 settembre 1812. Compiuti gli studi secondari presso il collegio gesuitico di S. Giuseppe in Lecce, dal 1828 è con la famiglia a Trani, dove riceve una prima educazione giuridica nello studio del giureconsulto Tommaso Spano. Due anni più tardi si trasferisce a Napoli dove, nel 1832, consegue la laurea in giurisprudenza.
Nel vivace clima intellettuale della Napoli degli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, Pisanelli entra in contatto con le personalità più rilevanti della scienza giuridica e del liberalismo meridionali, irrobustendo le proprie fondazioni culturali e orientandosi su posizioni politiche liberali e moderate. Negli stessi anni si dedica con successo all’esercizio della professione forense, collabora alla rivista «Il progresso delle scienze, delle lettere e delle arti» e pubblica il suo primo lavoro a carattere monografico, Della punibilità del mandante nei reati di sangue (1837). Nel 1838 apre con Roberto Savarese una scuola privata di giurisprudenza, nella quale, fino al 1847, impartisce lezioni di diritto e procedura penale.
Eletto al Parlamento napoletano nel corso della breve parentesi costituzionale successiva ai moti del 1848, si fa promotore di una serie di riforme legislative di stampo liberale (tra cui i disegni di legge sull’abolizione della pena di morte e sull'istituzione di un giurì per i reati a mezzo stampa). Raggiunto dall’accusa di cospirazione e attentato contro lo Stato, per sfuggire all’arresto, come molti liberali meridionali, è costretto all’emigrazione politica.
Dopo un breve soggiorno torinese, dalla primavera del 1850 è a Parigi, dove ha modo di conoscere Vincenzo Gioberti e di rafforzarsi nell’idea di una soluzione monarchico-unitaria del movimento risorgimentale. Il suo ritorno a Torino nel luglio del 1852 coincide con uno dei periodi di maggior produttività scientifica. Collabora con Pasquale Stanislao Mancini e Antonio Scialoja alla cura di un Commentario del Codice di procedura civile per gli Stati sardi, a cui contribuisce con la redazione di due importanti trattati, sulla competenza e sui mezzi di impugnazione, che occupano rispettivamente il volume primo (1855) e quarto (1857) dell’opera. Nel frattempo pubblica lo studio Dell'istituzione de' giurati (1856), collabora a «Il Cimento» e «L’Archivio», e nel 1859 ultima anche la stesura della monografia Della Corte di Cassazione, data alle stampe solo nel 1875. Chiamato a tenere il corso di diritto costituzionale presso l’Università di Napoli il 29 ottobre 1860, dal 1861 al 1874 è deputato al Parlamento italiano, nonché ministro di Grazia e giustizia durante i governi di Luigi Carlo Farini e di Marco Minghetti.
In prima linea nell’opera di contrasto e repressione delle insurrezioni contadine scoppiate all’alba dell’unificazione nelle province meridionali del Regno (il cosiddetto brigantaggio), in qualità di guardasigilli Pisanelli offre un impulso decisivo al processo di unificazione legislativa dello Stato unitario, in particolare attraverso la redazione dei progetti di codice civile e di procedura civile, che, presentati al Senato tra luglio e novembre del 1863, avrebbero costituito la base portante delle future codificazioni unitarie.
Tornato alla professione forense e all'attività didattica e scientifica, su invito del ministro della Pubblica istruzione Domenico Berti, compila per l’esposizione universale parigina del 1867 un resoconto Dei progressi del diritto civile in Italia, pubblicato nel 1871, mentre nel 1877 entra nel comitato di redazione de «Il Filangieri». Da tempo malato, muore a Napoli il 5 aprile 1879.
La vasta gamma delle competenze e l’ancor più ampio ventaglio degli incarichi professionali ricoperti, fanno di Pisanelli un soggetto particolarmente resistente a ogni classificazione troppo schematica. Certo, la figura del Pisanelli ‘legislatore’, dell’artefice dell’unificazione legislativa dello Stato unitario, sembra ancora oggi quella dotata di maggior forza esplicativa dal punto di vista storiografico. E tuttavia, anche alla luce degli studi più recenti (cfr. i saggi contenuti in Giuseppe Pisanelli, a cura di C. Vano, 2005), appare riduttivo identificare con essa la complessiva cifra storica del personaggio.
Come molti giuristi a lui contemporanei, Pisanelli unì alla capacità di spaziare orizzontalmente tra più settori disciplinari (dal civile, al costituzionale, alle procedure), l’attitudine ad affiancare alla ricerca e all’insegnamento, l’esercizio della pratica forense e l’impegno attivo nelle istituzioni. Da questo punto di vista Pisanelli incarna alla perfezione un modello di giurista, se non propriamente meridionale (cfr. Mazzacane 1994, p. 89), di certo tipicamente ottocentesco: un modello molto diffuso nel panorama italiano del 19° sec., che rimanda alle peculiari modalità di produzione e organizzazione del sapere giuridico del tempo e che si rivela coerente con un’idea forte di unità – praticata, prima ancora che teorizzata – della giurisprudenza.
Avvocatura, docenza, ricerca, azione politica e legislativa, sono dunque dimensioni che in Pisanelli appaiono percorse da un’altissima tensione unitaria. Ed è dalla loro sinergia, più che da una loro eventuale disposizione gerarchica, che la figura del giurista salentino assume i contorni più definiti. Insomma, se la teoria deve trovare il giusto ‘accomodamento’ nella pratica e se modi e metodi della proposta scientifica si rivelano logicamente funzionali a promuoverne un’auspicabile traduzione legislativa – in un’ottica di costante ricerca della soluzione giuridicamente più avanzata –, così per Pisanelli non è pensabile un’attività legislativa sganciata sia da un indispensabile «sindacato della scienza» (Lo Stato e la nazionalità, 1862, p. 5) sia da un’attenta valutazione delle istanze di volta in volta emergenti al livello della prassi.
Il suo maggior contributo scientifico, anche in termini quantitativi, è nel campo del diritto processuale, penale e soprattutto civile. Gli studi monografici più importanti, risalenti agli anni torinesi (gli anni Cinquanta), insistono tutti, infatti, su questioni di interesse processualistico: dai trattati Sulla competenza (1855) e De’ mezzi per impugnare le sentenze (1857), allo studio sulla Istituzione de’ giurati (1856), fino all’autonomo scritto a difesa Della Corte di Cassazione (1859, pubbl. 1875). Ma se è possibile isolare uno specifico contributo processualistico, civilistico, costituzionalistico e financo penalistico di Pisanelli, è la coerenza delle scelte di fondo che si rinnovano nelle diverse fasi del suo itinerario riflessivo a rappresentare il dato storiograficamente più rilevante.
Il primo nucleo attorno al quale è possibile radunare la sua opera è rappresentato dall’adesione ai principi del costituzionalismo liberale, coincidenti per Pisanelli, con l’idea stessa di civiltà. Ispirata ai criteri di difesa della libertà individuale e di separazione dei poteri è tanto l’iniziativa giovanile (1848) in favore dell’istituzione di un giurì per i reati politici e di stampa, quanto la più organica proposta della maturità di un’estensione dell’istituto della giuria popolare a tutti i reati comuni (ma anche limitatamente a essi: con esclusione, pertanto, della competenza del giurì in materia civile). Estensione che avrebbe trovato i suoi strumenti di garanzia, da una parte, nella prospettazione, originale rispetto al modello francese, di una selezione dei membri della giuria in base ai soli criteri di «sufficienza» (ossia il grado di istruzione) e di «probità», e dall’altra nell’obbligo di motivazione dei giudizi (Dell'istituzione de' giurati, cit., capo V, pp. 187 e segg.).
Nient’affatto comune all’interno della sua corrente politica, la posizione di Pisanelli in tema di giuria non passò inosservata a Camillo Benso conte di Cavour (che lo chiamò personalmente a relazionare al Parlamento subalpino) e giocò un ruolo non secondario nella vicenda che condusse alla promulgazione del Codice di procedura penale del 1859 (cfr. A. Padoa Schioppa, Pisanelli e la giuria penale, in Giuseppe Pisanelli, cit., p. 24).
All’idea di un ordine che si costruisce essenzialmente a partire dai diritti degli individui si riconnettono anche le linee generali del processo civile che egli tratteggia nella nota relazione al Senato del novembre 1863. Un modello di processo – solo in parte esemplato sul precedente francese del 1806 – che assume come condizione necessaria e sufficiente per la propria messa in moto i diritti di tutela delle parti «litiganti», e che appare concepito come il semplice strumento attraverso il quale esse «fanno valere le loro ragioni, e promuovono tutte le ricerche che credono utili alla ricerca del vero» (Relazione ministeriale sul primo libro del progetto di Codice di procedura civile, in Atti parlamentari Senato. Documenti, sessione 1863, nr. 63).
Coerente con questa scelta di fondo, con una concezione liberale classica del processo civile (cfr. Taruffo 1980, p. 142), Pisanelli non solo delinea i contorni di una fase istruttoria devoluta interamente alla disponibilità delle parti, libere di definire l’oggetto della controversia senza preclusioni di sorta, ma si oppone anche a tutti quegli strumenti – come l’autorizzazione obbligatoria preventiva, prevista dal sistema processuale austriaco – capaci di introdurre limitazioni al libero esercizio del diritto di azione e, infine, riserva un’attenzione particolare agli istituti di volontaria conciliazione e arbitrato, assegnando loro una priorità logica rispetto al processo, che finisce quasi per trasformarlo nel rimedio sussidiario al loro mancato esercizio. In essi, infatti,
alla soddisfazione dell’interesse sociale si congiunge la piena libertà dell’individuo, e più facilmente alla definizione de’ diritti delle parti segue la composizione de’ loro animi, così la legge anziché osteggiare i detti temperamenti, deve favorirli e tenere quasi le sue disposizioni come subordinate al loro difetto (Relazione, cit., p. 240).
Strettamente connesse a una concezione liberale della società e dello Stato, sono infine le più note posizioni civilistiche del giurista salentino, sia in materia di diritto di famiglia, dove gli ideali di laicità dello Stato e di eguaglianza giuridica presiedono alla definizione del matrimonio come istituzione civile e alla netta contrarietà al mantenimento dell’istituto dell’autorizzazione maritale, sia in materia contrattuale, dove emerge con chiarezza l’opposizione di Pisanelli al contratto di enfiteusi (poi mantenuto, in realtà, nel testo definitivo): un atto col quale – egli scrive – «si dà e si ritiene, che introduce nello stesso fondo due padroni ad un tempo, che agghiaccia il cuore»; «un punto di mezzo», insomma, tra vendita e locazione che avrebbe dovuto considerarsi, oltre che superato, ormai incompatibile con le esigenze della libera circolazione dei beni (Relazione sul progetto di codice civile, in Aquarone 1960, p. 209).
Lo schema giusnaturalistico (e individualistico) sotteso allo statualismo liberale di Pisanelli, riconducibile al binomio lockeano libertà-proprietà, non è tuttavia assunto nella sua forma pura, ma sopporta un doppio criterio (storicistico) di mitigazione. Il primo è l’associazione – la protagonista dei «miracoli economici di questo secolo» (Parole dette nella inaugurazione dell'Associazione napoletana per il progresso delle scienze sociali, 1869, p. 9) –; il secondo è la nazione. Chiamata a mettere «in armonia le ragioni dell’uomo individuo e quelle dello Stato», è proprio nell’idea di nazione (qui tranquillamente intercambiabile con quella di popolo) che può essere individuato il secondo asse portante della sua opera. Nazione intesa non come somma algebrica degli individui residenti su uno stesso territorio, ma come unità spirituale, comunità naturale dotata di «una propria individualità», espressione della condivisione spontanea di un medesimo patrimonio di costumi, interessi e tradizioni (Lo Stato e la nazionalità, cit., pp. 12 e segg.). Così inteso, il principio di nazionalità svolge nell’opera di Pisanelli un duplice fondamentale compito. Per un verso, esso assurge a criterio di legittimazione dello Stato, implicando la necessaria identificazione tra dimensione statale e nazionale. Pur se logicamente distinti, dunque, Stato e nazione devono per Pisanelli
essere in una perfetta corrispondenza, in guisa che ogni Stato rappresenti l’intero popolo da cui sorge, ed ogni popolo trovi nello Stato la sua propria ed individuale rappresentazione (p. 15).
Requisito di legittimità dello Stato (e delle rivendicazioni indipendentiste del movimento risorgimentale), il concetto di nazione assume nelle sue pagine l’ulteriore importante valenza di spazio unitario di diritto. Esiste un nesso stringente per Pisanelli tra unità politica e giuridica, una «forza irresistibile» che congiunge i due processi in un medesimo destino. Se l’unità dello Stato-nazione reclama l’unificazione giuridica come condizione necessaria della propria esistenza, in modo speculare, la «varietà delle leggi» non solo è di ostacolo all’amministrazione della giustizia e rende incerte le relazioni sociali, ma costituisce una «negazione flagrante dell’unità nazionale», tende a perpetuare le «antiche divisioni», invita a mettere in dubbio la «consistenza individua del popolo italiano» e «rende quasi stranieri fra loro gl’italiani delle varie provincie» (Relazione della commissione della Camera sul progetto di legge per l’unificazione legislativa, 12 genn. 1865, in Aquarone 1960, pp. 253-55).
L’adesione convinta che egli accorda alla soluzione codicistica, nonché buona parte dell’apparato argomentativo addotto a suo sostegno, trova qui il suo decisivo punto di appoggio. È il nesso esistente tra nazione, tradizione e unificazione giuridica a giustificare per Pisanelli, contro le tesi della scuola storica, la necessità del Codice. Coronamento e consacrazione dell’unità dello Stato, la codificazione nazionale può essere così presentata, da un lato, come un «appuntamento ineludibile della storia» (A. De Nitto, Intorno al problema della legislazione in Giuseppe Pisanelli, in Giuseppe Pisanelli, cit., p. 198), dall’altro come il simbolo «bifronte» (Cazzetta 2011, p. 35) di un progresso giuridico che ha saputo mantenere vivo con la tradizione, uno stretto (e non scontato) rapporto di continuità.
Accanto a libertà e nazione, i concetti di tradizione e progresso costituiscono, nella loro implicazione reciproca, il terzo grande asse di rotazione della riflessione giuridica pisanelliana. A essi vanno ricondotte tanto le sue scelte metodologiche di fondo quanto le più alte posizioni di teoria generale del diritto. Sul piano del metodo, Pisanelli (come molti suoi contemporanei) non osteggia apertamente il modello letterario della Exégèse, considerando, tuttavia, il commentario esegetico come semplice porzione di un’attività ermeneutica più complessa, che avrebbe dovuto estendersi necessariamente all’analisi storico-filosofica degli istituti, allo studio della giurisprudenza e alla comparazione con le principali legislazioni straniere. Riferibile al magistero di Savarese e degli altri illustri membri della scuola giuridica napoletana, il metodo «storico razionale» (Pessina 1882, p. 32) di Pisanelli è pensato, da un lato, come proposta di mediazione (vichiana) della frattura metodologica ottocentesca tra scuola storica e filosofica, dall’altro come indispensabile strumentario di supporto al movimento di riforma, in un’ottica di scienza della legislazione (di filangieriana memoria) che riflette la fede in una storia della civiltà ottimisticamente orientata verso il progresso.
Storicismo, comparazione e fiducia nel progresso sorreggono, infine, una dottrina delle fonti giuridiche incentrata sul primato assoluto della legge positiva. Esito di un «cammino fatale» (Della Corte di Cassazione, cit., p. 11) dell’evoluzione giuridica, legislazioni e codici non sono per Pisanelli «fatti arbitrarii […], ma esplicazioni della ragione umana», che si svolgono «nel corso del tempo e sotto l’influsso della coltura, dei bisogni e di tutte le circostanze morali ed etnografiche, che determinano la vita di un popolo» (Relazione della commissione, cit., in Aquarone 1960, p. 252). Muovendo da simili premesse, contro l’ipotesi di un ritorno al sistema della terza istanza, Pisanelli difende le ragioni del giudizio di Cassazione, ritenuto il simbolo della compiuta separazione tra legislativo e giudiziario, nonché il «frutto del pieno trionfo della legge» (Della Corte di Cassazione, cit., p. 67).
Espressione di una «cultura delle leggi» (C. Vano, Codificare, comparare, costruire la nazione. Una nota introduttiva, in Giuseppe Pisanelli, cit., p. XXII) che rischia costantemente di scivolare verso il culto, l’equazione pisanelliana tra legge, certezza giuridica e progresso, sarebbe entrata in rotta di collisione con le esigenze di ordine pubblico scatenate all’alba dell’unificazione dal fenomeno del brigantaggio. Rivelando in tal modo non solo i suoi limiti, ma, per estensione, i punti di fragilità dell’intero costituzionalismo liberale.
Le relazioni ai progetti di codice civile e di procedura civile sono consultabili, in forma estesa, in Atti parlamentari Senato. Documenti, tornate 15 luglio e 26 novembre 1863. La prima è presente anche nella ricca selezione documentale contenuta in A. Aquarone, L’unificazione legislativa e i Codici del 1865, 1960, pp. 127 e segg.; la seconda è pubblicata anche in Codice di Procedura civile, a cura di S. Gianzana, Torino 1889, 1° vol., pp. 3 seguenti.
Il Trattato sulla competenza è pubblicato come parte I, 1° vol., del Commentario del Codice di procedura civile per gli Stati sardi, a cura di P.S. Mancini, G. Pisanelli, A. Scialoja, Torino 1855; mentre il trattato De’ mezzi per impugnare le sentenze, occupa il 4° vol., 1857, della stessa opera.
Tra gli altri lavori a carattere monografico si segnalano:
Sulla pena di morte: lezione, Napoli 1848, Torino 1849; rist. a cura di H.A. Cavallera, Lecce 1990.
Dell’istituzione de’ giurati, Torino 1856, Napoli 1868.
Della Corte di Cassazione, Napoli 1875.
Numerosi i discorsi pubblici e ufficiali; di particolare interesse storico giuridico sono:
Elogio di Vincenzo Gioberti letto nell’Accademia di filosofia italica il dì 2 gennaio 1853, Torino 1853.
Lo Stato e la nazionalità: discorso inaugurale alle lezioni di diritto costituzionale letto nella Regia Università di Napoli il dì 30 gennaio 1862, Napoli 1862.
Parole dette nella inaugurazione dell’Associazione napoletana per il progresso delle scienze sociali, Napoli 1869.
Dei progressi del diritto civile in Italia nel secolo XIX, Napoli, Stamperia della R. Università, 1871.
Si veda inoltre:
Lettere inedite. Con un saggio introduttivo di Ornella Confessore, Milano 1979.
Onoranze a Giuseppe Pisanelli morto addi’ 5 aprile 1879, Napoli 1880.
L. Sampolo, Giuseppe Pisanelli: commemorazione, in «Il circolo giuridico», 1880, 11.
L. Stampacchia, Giuseppe Pisanelli: la biografia e il suo progetto del codice civile, Lecce 1880.
E. Pessina, La scuola storica napoletana nella scienza del diritto: discorso letto dal prof. Enrico Pessina il 5 marzo del 1882 nella grande aula della Corte di appello di Napoli, Napoli 1882.
F. Pepere, Della vita e delle opere di Giuseppe Pisanelli, in «Atti della Regia Accademia di scienze morali e politiche di Napoli», 1891.
A. Aquarone, L’Unificazione legislativa e i Codici del 1865, Milano 1960.
P. Ungari, L’età del Codice civile. Lotta per la codificazione e scuole di giurisprudenza nel Risorgimento, Napoli 1967.
M. Taruffo, La giustizia civile in Italia dal '700 a oggi, Bologna 1980.
C. Ghisalberti, La codificazione del diritto in Italia, 1865-1942, Roma-Bari 1985, § 2.
F. Cipriani, Storie di processualisti e di oligarchi. La procedura civile nel Regno d'Italia, 1866-1936, Milano 1991, § 1.
A. Mazzacane, Pratica e insegnamento. L'istruzione giuridica a Napoli nel Primo Ottocento, in Università e professioni giuridiche in Europa nell’età liberale, a cura di A. Mazzacane, C. Vano, Napoli 1994, pp. 79-113.
Giuseppe Pisanelli. Scienza del processo, cultura delle leggi e avvocatura tra periferia e nazione, a cura di C. Vano, Napoli 2005.
C. Ivaldi, Giuseppe Pisanelli, in Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia. Le biografie dei magistrati (1861-1948), a cura di G. Melis, Milano 2006, 1° vol., pp. 190-204.
S. Solimano, L’edificazione del diritto privato italiano: dalla Restaurazione all’Unità, in Il bicentenario del codice napoleonico. Convegno: Roma, 20 dicembre 2004, Roma 2006.
G. Cazzetta, Codice civile e identità giuridica nazionale, Torino 2011, pp. 34-35.
M. MILETTI, Giuseppe Pisanelli (1812-1879), in Avvocati che fecero l'Italia, a cura di S. Borsacchi, G.S. Pene Vidari, Bologna 2011, pp. 679-724.