GOTI
Popolazione germanica insediata all'inizio dell'età augustea nell'area baltica, i G. furono protagonisti della più ampia serie di spostamenti che interessarono le genti indoeuropee nel periodo delle migrazioni barbariche, essendosi prima espansi fino alle pianure moldave, ucraine, del basso Danubio e alla Crimea, per venire successivamente risospinti, a causa della pressione esercitata dagli Unni, verso l'area carpatica e poi verso aree centrali dell'Impero romano d'Occidente, quali l'Italia, l'Aquitania, le province Narbonense e Tarraconense e in ultimo l'intera Spagna, che la dinastia visigota del regno di Toledo dominò fino alla conquista islamica, nel 719.Per l'ampiezza delle vicende migratorie nelle quali vennero coinvolti, per i contatti con popolazioni nomadi mongoliche, gli Unni, di cui a lungo subirono l'egemonia e veicolarono, fin nel cuore delle province romanizzate dell'Impero, forme di tattica bellica, di organizzazione sociale e di produzione artistica (soprattutto armi e ornamenti personali decorati nello stile policromo), per l'importanza dei regni romano-barbarici cui dettero origine (soprattutto quelli d'Italia e di Spagna), i G. sono tra le etnie barbariche che ebbero più peso nella trasformazione dell'impero tardoantico in Europa medievale.Le tradizioni sull'origine dei G., raccolte da Giordane alla metà del sec. 6° (De origine actibusque Getarum, I, 9), sulla base di un'opera perduta di Cassiodoro, parlano, come anche nel caso dei Longobardi, della provenienza dalla Scandinavia; questa leggenda non ha riscontro nei geografi e negli storici dell'Impero romano, che segnalavano la presenza dei G. attorno all'inizio dell'era cristiana, quando essi erano già insediati all'incirca in Pomerania, avendo come vicini i Gepidi a E, a essi molto affini, i Rugi a O e i Vandali a S. L'interpretazione delle fonti archeologiche relative a questo territorio, che fu oggetto dell'invasione tedesca durante il Terzo Reich, fu inquinata dalla c.d. archeologia razziale praticata dagli ideologi nazisti, da Kossinna in particolare, e tendente a dimostrare che la Pomerania, in quanto luogo di origine dei G., era terra da sempre germanica. Dopo la fine della seconda guerra mondiale le tesi contrapposte dell'archeologia polacca furono non meno delle prime influenzate da posizioni estranee all'esegesi storica. In base all'attuale situazione degli studi, si ritiene che i G. sul Baltico siano identificabili con i portatori della cultura 'di Wielbark', dal nome della più estesa e significativa necropoli di questo tipo (Elbing, Polonia settentrionale), connotata da rituale sia a incinerazione sia a inumazione, da mancanza di armi nelle tombe maschili, ma da un ricco corredo di ornamenti personali nelle tombe femminili, tra cui caratteristici i bracciali desinenti a teste di serpente, le fibbie di cintura, le fibule per fermare il mantello o la veste, del tipo 'Almgren'. Nelle tombe distinte da un tumulo o da circoli di pietre, che a cominciare dalla fine del sec. 1° emergono nella struttura dei sepolcreti, questi reperti sono realizzati in metalli preziosi. La tipologia di tali tombe principesche, che si richiama agli ambienti scandinavi, è l'unico elemento finora identificato che possa ricollegarsi all'origine leggendaria dei G.; sono però possibili anche spiegazioni diverse dalla migrazione, per es. l'influsso culturale o la dominazione di genti della Scandinavia e pertanto, allo stato attuale delle conoscenze, mancano conferme archeologiche alla tradizione letteraria.La cultura 'di Wielbark', chiaramente distinguibile, per l'insieme dei caratteri indicati, da quelle vicine 'di Przeworsk' (Polonia meridionale), riferita ai Vandali, e 'di Kovrovo' e 'di Bogaczewo' (Lituania), attribuite ai Balti occidentali, conobbe tra il 160 e il 230 una prima fase di migrazione a E della media Vistola (Masovia, Podlachia, Polesia e Volinia), sostituendosi alle culture del ferro preesistenti ('di Oksywie'), e una seconda fase di ulteriore espansione, a partire dal 220, nelle pianure della Volinia, dell'Ucraina, della Moldavia. Si tratta di una fase non attestata direttamente dalle fonti (che però segnalano tra il 238 e il 239 ripetuti attacchi dei G. al confine danubiano dell'Impero e la loro occupazione della Dacia dopo che questa fu abbandonata da Aureliano nel 271), che ben si colloca nella direttrice della migrazione verso il Ponto e il territorio degli Sciti (cioè verso il mar Nero e la Crimea) di cui parla Giordane (De origine actibusque Getarum, I, 25-26) e che costituisce una fase ben attestata archeologicamente della complessa vicenda di questo popolo.In questa seconda zona di espansione le culture riconducibili alla presenza dei G., ormai distinti in Greutungi o G. orientali (Ostrogoti) e Tervingi o G. occidentali (Visigoti), sono denominate rispettivamente 'di Černjachov' (presso Kiev) e 'di Sîntana-de-Mureş' (Transilvania) dal sito di omonime necropoli dove i caratteri della cultura 'di Wielbark' sono presenti nel rituale, nella persistenza degli ornamenti femminili, a eccezione dei braccialetti a testa di serpente. Attraverso la composizione dei corredi funebri si coglie però un sensibile ampliamento dell'orizzonte dei contatti e degli scambi: la ceramica, prima limitata agli impasti e alle forme di tradizione preistorica, si arricchì di produzioni fini al tornio, con una grande varietà di forme di derivazione classica, tra cui caratteristiche brocche; frequenti anche i bicchieri di vetro, con decorazione a rete; agli elementi del costume e dell'ornamento femminile delle precedenti fasi si aggiunsero pettini in osso, collane arricchite da pendenti, anche di tradizione orientale, amuleti. Gli insediamenti (ben documentati nei siti di Lepesovka in Volinia e di Velikaja Snitinka in Ucraina), privi di elementi difensivi e in stretta relazione con il sistema fluviale, presentano capanne allungate, disposte in file parallele.Nelle fasi tarde della cultura 'di Černjachov' e 'di Sîntana-de-Mureş' (seconda metà del sec. 4°) comparvero le fibule a lamina metallica con testa semicircolare e piede romboidale e le fibbie di cinture con placca quadrangolare, che persistettero da quel momento in poi come elemento caratteristico delle sepolture femminili gote.L'estinguersi di entrambe le culture attorno al 370-380 viene posto in rapporto con l'arrivo degli Unni, che, nella loro espansione verso Occidente, distrussero nel 375 il regno visigoto di Atanarico, la cui gente venne accolta con Fritigerno entro i confini dell'Impero, e dispersero anche gli Ostrogoti. Reperti caratteristici della cultura gota, non chiaramente distinguibili in questa fase da quelli di altri Germani orientali come Gepidi, Eruli, Rugi, si trovano infatti, in età successiva all'impatto con gli Unni, dispersi in una vasta area dalla Crimea al Caucaso settentrionale e nell'area danubiana; le sepolture non sono più organizzate in estese necropoli, ma si riconoscono soltanto quelle dei gruppi egemoni, riunite tra di loro, e spesso segnalate da tumuli, con elementi del corredo (fibbie, fibule, foderi e impugnature di spada, fornimenti di cavallo) realizzati in metalli preziosi, arricchiti da decorazioni in stile policromo con castoni in vetro o pietre rosse a cabochon o inserti a cloisonné di influenza unno-nomadica. L'ipotesi storiografica prevalente è che queste aristocrazie militari, assoggettate dagli Unni, abbiano mantenuto all'interno dell'Attila-Reich ('regno di Attila') una posizione di controllo dei propri gruppi tribali. Le deposizioni più caratteristiche (secc. 4°-5°) sono state identificate in Crimea, a Kerč: i sontuosi corredi di cripte principesche rinvenuti nel 1904 sono dispersi tra San Pietroburgo (Ermitage) e Colonia (Römisch-Germanisches Mus.), dove si conservano tra l'altro un tesoro di argenterie e monete del tempo di Costanzo II (337-361) e Costanzo Gallo (351-354). Reperti più tardi (secc. 6°-7°) e di più modesto livello (alcuni conservati a Simferopol', Krymskij Kraevedčeskij Muz. Tavrika) provengono da siti fortificati della Crimea, quali Lučistoe ed Eski-Kermen, nei quali popolazioni goto-alane venivano utilizzate dall'Impero come difesa contro gli Unni.I Visigoti di Fritigerno, prima accolti nelle zone danubiane e in Tracia, e successivamente attaccati dall'esercito comitatense di Valente, cui imposero la memorabile disfatta di Adrianopoli nel 378, a seguito del trattato del 382 stilato da Teodosio vennero stanziati come foederati tra Danubio e Balcani, ma restarono organizzati sotto i propri capi tribali. Nel confuso periodo che seguì, tra i foederati al servizio di Teodosio contro Arbogaste ed Eugenio, l'usurpatore dell'Impero d'Occidente, emerse Alarico, artefice della vittoria presso il fiume Frigido, sul Carso, nel 394. In un continuo alternarsi di scontri e accordi Stilicone e Alarico si fronteggiarono nel settore orientale fino alla crisi del 401, quando, sotto la guida di quest'ultimo, i G. si presentarono in Italia, riparando poi in Pannonia dopo ripetuti scontri con Stilicone. Nel 405 un altro capo goto, Radagaiso, penetrò in Italia sospinto da una nuova ondata di Unni e venne bloccato a Fiesole da Stilicone l'anno successivo, mentre di lì a poco il limes del Reno si dissolse sotto l'orda di popoli barbarici più imponente mai vista prima e gli eserciti federati, dopo l'esecuzione di Stilicone del 408, sembrarono aggregarsi nuovamente al seguito di Alarico. Questi tenne per due volte Roma sotto assedio, nel 408, giungendo a prenderla e metterla a sacco nel 410. Alla morte di Alarico presso il Basento, gli successe Ataulfo, che sposò nel 414 la figlia di Teodosio, Galla Placidia, ma che poco dopo fu assassinato. I Visigoti superstiti si recarono in Spagna, poi in Aquitania e nella Gallia Narbonensis per ordine di Ravenna, per fronteggiare le rivolte dei bacaudae delle campagne, dando origine al regno visigoto di Tolosa, di cui Teodorico fu il primo re (418). L'insediamento fu diretto e controllato dai funzionari romani e basato sul principio dell'hospitalitas, cioè di un'assegnazione di terre secondo principi e quantità controllate. Tra il 494 e il 497 iniziò l'espansione dei Visigoti verso la Spagna, sotto la pressione esercitata dai Franchi, con i quali essi giunsero nel 507 a uno scontro frontale presso Poitiers, ove Alarico II cadde, vinto dal franco Clodoveo. Da quel momento la Spagna divenne, tranne la fascia costiera della Narbonense, l'ambito territoriale dei regni dei Visigoti (v.), che furono decurtati da Giustiniano dell'area tra Valencia e Cadice consegnata dal ribelle Atanagildo, che si impossessò così del regno (550-568). Ricostituito da Leovigildo e Recaredo (569-601), con capitale a Toledo, alla metà del sec. 7° con Chindasvindo e Recesvindo esso conobbe momenti di particolare splendore. L'unità culturale e giuridica del paese, dopo un periodo di scontri, si basò su un patto con la superstite aristocrazia senatoria di origine romana e fu cementata anche attraverso una esemplare produzione di leggi, già prima dell'abbandono dell'arianesimo (587-589) da parte dei Germani.La documentazione archeologica proveniente da necropoli non fornisce evidenze riconoscibili per il periodo del regno tolosano, mentre abbondano, anche per recenti scavi sistematici, i contesti visigoti dei grandi cimiteri germanici e dei piccoli nuclei di insediamento rurale soprattutto al centro della penisola iberica, la meseta castigliana, dalla fine del sec. 5°: tra i principali Duratón e Costiltierra (Sepúlveda, prov. Segovia), El Carpio de Tajo (Torríjos, prov. Toledo), Herrera de Pisuerga (prov. Palencia). I materiali di vecchi scavi sono stati classificati secondo un ordinamento stilistico-tipologico, che utilizza come reperto-guida la fibbia di cinturone con placca bronzea associata a quella con tipica placca rettangolare decorata ad alveoli in stile policromo. È stata così costruita una sequenza articolata in livelli (I-V) che copre l'intero periodo del regno di Toledo, compresa anche la fase supposta posteriore alla fine della separazione razziale (abolizione del divieto di matrimoni misti del 589), detta periodo ispano-visigoto. Tuttavia la decontestualizzazione delle necropoli, delle quali solo nel caso di El Bovalar (Lérida) è possibile stabilire un rapporto con l'insediamento corrispondente, rende assai arduo ricostruire i processi di acculturazione e delineare rapporti delle necropoli germaniche con il resto del tessuto insediativo e con i luoghi di seppellimento di popolazione del sostrato locale, spesso articolati attorno a chiese e santuari martiriali. Da questo stato degli studi, oltre che dalle distruzioni e trasformazioni islamiche e delle successive fasi cristiane, dipende la persistente difficoltà di inquadramento degli edifici ecclesiastici, sia le grandi cattedrali urbane e i principali martyria, dei quali rimangono poche tracce a Barcellona, Valencia, a Mérida (Santa Eulalia), a Tarragona (San Fructuoso), sia le chiese rurali dette ispano-visigotiche, alcune delle quali famose per la superstite decorazione scultorea: Quintanilla de las Viñas (prov. Burgos), San Pedro de la Nave (prov. Zamora), Santa María de Melque (prov. Toledo). A eccezione di San Juan Bautista de Baños de Cerrato (prov. Palencia), che un'epigrafe di apparato designa come fondazione di Recesvindo (652 o 661), e al complesso residenziale di Recópolis (prov. Guadalajara), fondato da Leovigildo (578), permangono forti oscillazioni nell'inquadramento cronologico tra i secc. 6° e 9°; ne è in corso il riesame, anche sulla base di recenti scoperte, come Santa Lucía de Trampal (Cáceres) e Santa María de Abajo (Carranque). La caratteristica saliente di questi edifici è la ripresa dell'opera quadrata in blocchi di cava, non di riuso da edifici romani, accuratamente tagliati e intonacati, nonché la scelta di tipologie e icnografie dell'Oriente cristiano, quali absidi rettilinee, edifici cruciformi a pianta centrale, archi a ferro di cavallo.Come l'architettura e la scultura (che tra l'altro presenta forti consonanze con l'area gallica e italiana, prima della koinè carolingia), le arti suntuarie, tra cui anche la produzione di recipienti di bronzo fuso (i c.d. bacili copti, presenti anche nei contesti longobardi italiani) e di oreficerie non legate al costume tradizionale, rivelano il prevalere della cultura di sostrato e l'influsso bizantino, evidente nei principali tesori superstiti, nel complesso di corone votive da Guarrazar (Toledo; oggi a Madrid, Mus. Arqueológico Nac.) in oro e gemme a cabochon, che recano le lettere del dedicante Recesvindo (649-672), e nei resti di croci votive del tesoro di Torredonjimeno (Jaén; oggi a Barcellona, Mus. Arqueológico), con iscrizioni latine.Tornando ai G. orientali, gli Ostrogoti, che riuscirono a determinare la dissoluzione dell'impero unno (454) e a stanziarsi come federati tra il Danubio e la Drava, dopo un periodo oscuro essi riemersero nel racconto delle fonti con Teodorico il Grande (v.), l'Amalo, quando questi, contrapponendosi al consanguineo Teodorico Strabone, si introdusse per un decennio (473-483) e con alterne vicende nei dissidi della corte costantinopolitana finché venne incaricato dallo stesso imperatore Zenone di eliminare Odoacre dall'Italia (488), compito che egli perseguì con successo, uccidendolo (493).La documentazione archeologica del regno ostrogoto in Italia si affida purtroppo a trovamenti sporadici e casuali (tesori e corredi sepolcrali isolati, mancando del tutto le grandi necropoli germaniche, tipiche della Spagna visigota), dovuti anche alla diseguale distribuzione delle élites militari germaniche, insediate con criteri di presidio territoriale soprattutto nella Padania, in Emilia Romagna e nelle zone centrali e adriatiche. La debole presenza al Sud è confermata dalle fonti storiche riguardanti l'inizio delle guerre con i Bizantini, che, guidati da Belisario, raggiunsero agevolmente Napoli e Roma nel 536 e che nel 552, dopo alterni scontri che devastarono la penisola, posero fine al regno goto.Su due dei più ricchi trovamenti dell'Italia di età gota, Desana, in Piemonte, e Domagnano (Rep. San Marino), per le circostanze del trovamento e le conseguenti dispersioni, grava l'incertezza se si tratti di tesori familiari o di corredi tombali distrutti. Il tesoro di Desana (Torino, Mus. Civ. d'Arte Antica) comprende, oltre a cucchiai in argento e oreficerie di tradizione romana (croce, bracciale a traforo, fibula 'a cipolla', orecchino con pendente, anello nuziale con il nome di uno Stefano e una Valatruda), anche una coppia di fibule a staffa decorate a cloisonné, orecchini a poliedro e una fibbia con placca rettangolare, tipiche del costume femminile germano-orientale. Il tesoro di Domagnano, designato in passato anche come tesoro di Cesena, è il più ricco rinvenimento goto d'Italia, avvenuto tra il 1892 e il 1893. A causa della sua vendita sul mercato antiquario (tra 1894 e 1920), esso è smembrato tra ben cinque musei (Norimberga, Germanisches Nationalmus.; Londra, British Mus.; Parigi, Coll. Ganay; New York, Metropolitan Mus. of Art; San Marino, Mus. di Stato) ma sembra ricostruibile come corredo femminile. I reperti principali sono: una coppia di fibule a forma di aquila (Parigi e Norimberga); una coppia di orecchini con pendenti (Norimberga e Londra); otto pendagli appartenenti a una collana, o forse a una decorazione di sella (Norimberga, Londra, New York); una fibula a forma di cicala o di ape (Norimberga); un anello; uno spillone; una fibula a forma di volto umano stilizzato con elmo (Londra). La tecnica a cloisonné, che connota tutti i reperti sicuramente pertinenti al complesso di Domagnano, rinvia allo stile policromo di influsso orientale nomadico attestato presso i G. di Crimea. La coppia di fibule ad aquila, per dimensioni (altezza cm. 12), peso (oro puro, 22 carati) e sapiente architettura, che alterna il risalto delle pietre emergenti a cabochon con il tessuto degli inserti piatti in almandini posti nelle celle, sono esemplari di eccezionale qualità e bellezza, collocabili tra metà del sec. 5° e gli inizi del successivo. La fibula a maschera e quella a cicala richiamano i corrispondenti elementi dei corredi principeschi della tomba di Childerico di Tournai (m. nel 481) e di Apahida II (decorazione di borsa), mentre i pendenti hanno immediato confronto con la decorazione delle due selle auree di Ravenna da tempo trafugate (già Mus. Naz.). Un altro trovamento è rappresentato dai preziosi di Reggio Emilia (Mus. Civ. e Gall. d'Arte), che, al contrario di quelli di Desana e Domagnano, costituivano sicuramente un tesoro attentamente occultato, che comprende una coppia di fibule a staffa di tipo germanico, orecchini, collane e anelli sia di tipo tardoromano sia di stile policromo a cloisonné, una fibula aurea 'a cipolla', attributo dei funzionari dei massimi livelli, coppe d'argento, sessanta solidi bizantini e della zecca di Ravenna della seconda metà del 5° secolo.L'integrazione culturale delle classi più elevate è confermata anche da trovamenti minori, provenienti da contesti cimiteriali autoctoni (Castelbolognese, presso Ravenna; Torriano, presso Pavia; catacombe di S. Valentino sulla via Flaminia a Roma), dai quali provengono elementi sporadici preziosi del costume femminile. Mancano testimonianze concernenti i livelli inferiori della popolazione gota, forse anche a causa delle leggi suntuarie emanate da Teodorico (Cassiodoro, Variae, IV, 34).L'indagine nei contesti urbani è assai recente e, oltre a documentare un complesso castrense a monte Barro (presso il lago di Como) e a confermare gli interventi di restauro operati sull'edilizia pubblica e le grandi infrastrutture delle maggiori città, di cui si ha contezza dalle fonti (Roma, Ravenna, Verona, Pavia), ha messo in luce contesti abitativi privati - a Verona (via Dante), a Trento (palazzo Tabarelli), a Brescia (convento di S. Giulia) e a Milano (piazza Duomo) - molto diversificati come tipologia e livello sociale e privi di ogni caratterizzazione etnica, dove, accanto al riuso e alla frammentazione di edifici romani preesistenti, emergono anche nuove costruzioni monovano. A Roma le evidenze materiali riferibili al sacco di Alarico, i cui effetti furono in passato sopravvalutati, sulla base del risalto che l'evento ebbe presso le fonti contemporanee, sono oggetto di un recente riesame. L'informazione di Zosimo (Historia nova, V, 39) circa la necessità di seppellire in città l'enorme numero di vittime delle epidemie causate dall'assedio, era stata posta in relazione con l'origine della ruralizzazione urbana e della rarefazione del tessuto abitativo e con l'introduzione di seppellimenti intramuranei. Tuttavia, grazie anche agli interventi di risanamento e restauro dovuti a Teodorico, il fenomeno assunse aspetti consistenti e irreversibili (che perdurarono fino alle soglie di questo secolo) soltanto a partire dal secolo successivo, soprattutto per gli episodi della guerra greco-gotica (535-553): assedio di Vitige e taglio degli acquedotti (536), successive pestilenze, assedio di Totila (545), riconquista bizantina, nuovo assedio di Totila (550) e nuova riconquista imperiale (552; Procopio, De bello Gothico, VII, 13-24, 37). Anche il panorama demografico dell'Italia in età ostrogota, delle strutture economiche e dei traffici a distanza, per quanto manchevole, contribuisce alla ricostruzione non di processi catastrofici, ma di lente trasformazioni, in cui gli elementi di più acuta crisi si spostano piuttosto verso la fine che non verso l'inizio del regno goto.
Bibl.:
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Letteratura critica. - R.A. Smith, The Cesena Treasure, BrMusQ 8, 1933-1934, pp. 45-46; V. Bierbrauer, Die ostgotischen Grab- und Schatzfunde in Italien, Spoleto 1975; Peregrinatio Gothica, Archaeologia Baltica Polonia 7, 1984-1985; 8, 1986; Germanen, Hunnen und Awaren. Schätze der Völkerwanderungszeit, a cura di W. Menghin, T. Springer, E. Wamers, cat. (Nürnberg-Frankfurt a. M. 1987-1988), Nürnberg 1987; H. Wolfram, Histoire des Goths, Paris 1990; L. Caballero Zoreda, Visigodo o asturiano? Nuevos hallazgos en Merida y otros datos para un nuevo ''marco de referencia'' de la arquitectura y la escultura altomedieval en el norte y oeste de la peninsula iberica, CARB 39, 1992, pp. 139-190; La storia economica di Roma nell'Alto Medioevo alla luce dei recenti scavi, "Atti del Seminario, Roma 1992", a cura di L. Paroli, P. Delogu, Firenze 1993; I Goti, cat., Milano 1994 (con bibl.); La storia dell'Alto Medioevo italiano (VI-X secolo) alla luce dell'archeologia, "Atti del Convegno internazionale, Siena 1992", a cura di R. Francovich, G. Noyé, Firenze 1994.A. Melucco Vaccaro
Nella storia della monetazione gota va nettamente distinta la produzione legata agli Ostrogoti da quella dei Visigoti (v.).Come le altre popolazioni germaniche anche i G. iniziarono a coniare moneta quando si insediarono in una delle province dell'Impero romano. Lo stabilirsi in un territorio da secoli abituato all'uso della moneta fece sì che i nuovi dominatori sentissero l'esigenza di emettere anch'essi moneta sia per il commercio internazionale sia per l'uso interno. I G. coniarono in oro, argento e bronzo secondo il sistema ponderale del tardo Impero romano e dell'impero bizantino, basato sulla libra romana di gr. 327,45 e derivato dalla riforma costantiniana. La riforma si fondava sul solidus aureus, pari a 1/72 di libra cioè gr. 4,55, e sul tremisse, il terzo del solido. Oltre questi nominali si ha un esemplare unico, un multiplo d'oro di tre solidi, rinvenuto presso Senigallia (Roma, Mus. Naz. Romano, Medagliere, Coll. Gnecchi). Esso presenta al dritto il nome e il ritratto frontale di Teodorico e sul rovescio la Vittoria su globo con corona e palma. Fu coniato probabilmente nella zecca di Roma nel 500, in occasione della visita di Teodorico nella città. Le altre date proposte, per es. il 526, sembrano meno probabili. Il pezzo, che fu trasformato in fibula dal suo antico possessore, costituisce l'unica moneta con il ritratto e il nome di Teodorico.Insieme all'oro i G. coniarono in argento mezze silique e quarti di silique e in bronzo folles da 40 nummi, mezzi folles da 20 nummi e frazioni minori. La moneta d'oro e spesso anche quelle d'argento e di bronzo recavano il nome dell'imperatore d'Oriente in carica. Nell'ultimo periodo del regno al nome di Giustiniano, con il quale i G. erano in guerra, fu sostituito il nome di Anastasio, l'imperatore che aveva riconosciuto il regno goto.Secondo recenti studi (Arslan, 1989), Teodorico avrebbe cominciato a coniare a Roma o a Milano solidi, tremissi e folles subito dopo l'ingresso in Italia nel 488. I folles di Teodorico avrebbero preceduto pertanto quelli della riforma di Anastasio, ciò che lascia piuttosto perplessi. Le monete potrebbero essere anche posteriori di qualche anno, prima comunque del riconoscimento da parte dell'imperatore Anastasio nel 497, il che spiegherebbe il nome di Zenone sulle monete.Continuò con Teodorico e poi con i suoi successori la coniazione di solidi e tremissi nelle zecche di Roma, Ravenna e Milano, a nome di Anastasio, di Giustino e infine di Giustiniano. I solidi hanno il solito tipo del rovescio, la Vittoria con lunga croce gemmata; sui tremissi scompare la Vittoria con corona e palma, sostituita dalla Vittoria con ghirlanda e globo crucigero. Su alcune rare emissioni di solidi delle zecche di Roma e di Ravenna alla fine della leggenda del rovescio appare il monogramma di Teodorico. Probabilmente si tratta di un tentativo di inserire il nome del re sulla moneta d'oro, esplicato su poche emissioni quasi a sperimentare le eventuali reazioni. Il tentativo però non ebbe seguito, o per non irritare il governo di Costantinopoli o più probabilmente per la sua inutilità pratica. Sulla moneta d'argento cominciò ad apparire già con Teodorico il nome del re in monogramma, o per esteso sul rovescio delle monete. Nell'ultima fase del regno di Teodorico vennero coniate anche la doppia siliqua e la siliqua. Occorre notare che l'attribuzione cronologica si basa spesso su criteri stilistici difficilmente controllabili e così l'attribuzione alle zecche, quando non vi sia, come avviene sui solidi, la sigla che indica la zecca. Nella monetazione di bronzo sono presenti una maggiore varietà e originalità tipologica, che distinguono le emissioni gote da quelle coeve bizantine, anche se alcuni tipi rientrano nella tradizione romana. La moneta d'oro era adibita ai commerci internazionali e quindi doveva adeguarsi alla tipologia della moneta bizantina; invece la moneta d'argento e soprattutto quella di bronzo avevano una circolazione locale e potevano avere tipi riferentisi ai re goti.A Teodorico sono attribuiti folles e mezzi folles con il segno del valore XL e XX, la testa galeata di Roma e la leggenda INVICTA ROMA al dritto e la lupa con i gemelli sul rovescio. Il tipo invicta Roma continua con altre figurazioni, due aquile, segno del valore (da cinque nummi) e con il nome del re per esteso. A questa serie si affianca un tipo da 10 nummi con la leggenda FELIX RAVENNA e una testa femminile con corona murale al dritto e un'aquila al rovescio. Su un pezzo da 10 nummi di Atalarico appare per la prima volta la figura del re stante sul rovescio mentre sul dritto si ripete il tipo invicta Roma. Ma il pezzo più interessante e più innovativo è il follis di Teodato (sul dritto ritratto coronato del re con il suo nome; sul rovescio la leggenda VICTORIA PRINCIPIS SC e l'immagine della Vittoria posta su una prua di nave con corona e palma). Le lettere SC vogliono essere probabilmente un omaggio al senato mentre i G. erano in guerra con i Bizantini. Con Teodato si ripete il tipo con invicta Roma al dritto e il nome del re al rovescio. Con Baduila nel 541 iniziò l'ultima fase del regno goto e della monetazione, battuta probabilmente nella zecca di Ticinum (Pavia) e poi in quella di Roma. Baduila coniò monete in bronzo con la leggenda FELIX TICINVS e un busto con corona murale al dritto e il nome del re al rovescio oppure con il ritratto frontale del re sul dritto. Altre monete recano al rovescio la leggenda FLOREAS SEMPER e la figura del re stante armato: una leggenda chiaramente augurale in un momento grave per i Goti. Con il breve regno di Teia finì il regno goto e finì anche, dopo più di sessant'anni, la monetazione gota.
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