guelfi e ghibellini
Due fazioni in lotta per il potere
Nella prima metà del 12° secolo due fazioni si contesero il trono in Germania: i guelfi e i ghibellini. I ghibellini volevano rafforzare la monarchia contro l'invadenza del papa e contro il particolarismo feudale, i guelfi invece erano favorevoli a Roma. L'elezione di Federico I Barbarossa pacificò la scena tedesca, ma la contrapposizione tra guelfi e ghibellini si fece allora viva in Italia, assumendo caratteristiche del tutto nuove
Alla morte dell'imperatore Enrico V, nel 1125, la Germania si spaccò in due partiti, che si contesero la successione al trono. Da una parte erano gli Hohenstaufen, signori di Waibling (da cui il termine ghibellini) e di Svevia, ostili alle ingerenze papali, dall'altra i Welfen (guelfi), duchi di Baviera, favorevoli a un'intesa con Roma. Furono i Welfen a prevalere inizialmente riuscendo a far eleggere Lotario, che fu incoronato imperatore nel 1131. Morto Lotario nel 1137, la situazione si ribaltò. I principi tedeschi preferirono infatti Corrado III Hohenstaufen a Enrico il Superbo, che era stato designato dal sovrano defunto.
Enrico riconobbe Corrado III, ma quando Hohenstaufen insidiò i suoi domini lo scontro fu inevitabile. Sotto le mura del castello bavarese di Weinsberg, nel 1140, sotto forma di grida di battaglia dei due schieramenti, per la prima volta sarebbero risuonati i nomi di guelfo e ghibellino. Seguì una pace, ottenuta concedendo la Baviera a Enrico Babenberg, che aveva sposato la vedova di Enrico il Superbo, e riconoscendo al figlio di questi, Enrico il Leone, il dominio sulla Sassonia. Il patto non fu riconosciuto dal fratello di Enrico il Superbo, Guelfo VI, che cercò di recuperare per sé la Baviera, riaccendendo così il conflitto.
L'elezione nel 1152 di Federico I Barbarossa, seguita alla morte dello zio Corrado III, pacificò la Germania: l'imperatore Hohenstaufen era infatti imparentato anche con i Welfen. La sua forte contrapposizione al papato trasformò tuttavia il contrasto di potere essenzialmente tedesco tra guelfi e ghibellini in una assai più ampia prospettiva di aperto conflitto tra i due poteri universali. Scenario di questa nuova fase fu l'Italia, dove Federico scese più volte per lottare contro il papato e i Comuni, che si schierarono perciò inevitabilmente col fronte guelfo.
La contrapposizione tra filo- e anti-imperiali si intensificò però soprattutto nel tempo di Federico II di Svevia. Ma se lo scontro tra guelfi e ghibellini ‒ così presero ora a essere definite le parti in lotta ‒ si riaccese, esso andò a coprire una conflittualità locale. Infatti nell'uno o nell'altro fronte si identificarono, a volte alternativamente, fazioni, famiglie, città concorrenti non per adesione ideale alla parte imperiale o a quella papale, ma per contrasti politici, economici, sociali, religiosi del tutto particolari.
I Comuni (comunale, civiltà) erano in una fase delicata della loro evoluzione, segnata dalle lotte tra città e città e tra queste e i loro territori, dallo scontro tra gruppi oligarchici e popolari all'interno di ciascuna realtà. Le parti contendenti ebbero allora la possibilità di schierarsi ora con l'imperatore ora col papa, in modo del tutto strumentale, pur di prevalere sulla parte concorrente. Gli Este, che a Ferrara instaurarono la prima signoria, arrivarono a questo risultato nel 13° secolo ondeggiando abilmente tra papato e impero. Anche a Firenze, così come altrove, le parti in lotta adottarono le insegne dei guelfi e dei ghibellini.
La lotta tra filo- e anti-imperiali si riadattò dunque alle particolari condizioni italiane. Sotto la copertura della divisione tra guelfi e ghibellini ci si affrontò in Italia per questioni di campanile, vale a dire di interessi locali. L'identificarsi delle numerose e diverse forze in campo con l'uno o l'altro fronte finì però col determinare un processo di aggregazione, un compattamento delle parti e fazioni che in seguito ebbe grande importanza.