ideologia
Termine coniato da A.-L.-C. Destutt de Tracy (Mémoires sur la faculté de penser, 1796-98; Projet d’éléments d’idéologie, 1801) per indicare la scienza che ha per oggetto lo studio delle idee (nel senso generale di fatti di coscienza, comprendenti quindi il pensare, il giudicare, il ricordare, il volere), cioè della loro formazione, rapporti, caratteri, dei segni che le rappresentano e della loro origine (intesa sensisticamente secondo la psicologia di É. Bonnot de Condillac). Il termine si diffuse in Italia soprattutto attraverso la versione italiana del Projet d’éléments (1817), ma già nel 1804 F. Soave scriveva una Memoria sopra il progetto di elementi di ideologia e M. Gioia pubblicava nel 1822 una Ideologia; esso fu usato anche senza l’implicazione sensistica originaria, come «scienza delle idee» (P. Galluppi, A. Rosmini). Tuttavia, il termine assume il suo significato più notevole (e oggi dominante) nel contesto delle indagini filosofiche ed economiche avviate da Marx: egli presenta l’i. come il complesso delle rappresentazioni, delle dottrine filosofiche, etiche, politiche, religiose, espressione (e giustificazione) di un determinato modo del porsi dei rapporti di produzione e quindi imposte dalla classe che questi rapporti rendono dominante. Come tale l’i. diviene elemento essenziale così dello studio sociologico come della polemica politica. Da questo punto di vista è notevole l’approfondimento del concetto di i. in V. Pareto (Sistemi socialisti, 1902; Trattato di sociologia generale, 1916), che distingue scienza da i., l’una legata all’osservazione e al ragionamento, l’altra al sentimento e alla fede (i. è quindi una teoria non scientifica che si valuta per la sua forza di persuasione e per la sua utilità sociale), e in K. Mannheim (Ideologia e utopia, 1929), il quale distingue l’i. particolare (come contraffazione di una situazione reale fatta per impedire la sua conoscenza) e l’i. totale come «visione del mondo» con cui certi gruppi, anche per fattori inconsci, nascondono lo stato reale della società a sé e agli altri svolgendo così una funzione conservatrice; ancora, l’i. si concreta in idee trascendenti rispetto alla situazione data senza possibilità di una loro realizzazione (questo distinguerebbe l’i. dall’utopia che giungerebbe invece alla propria realizzazione); per Mannheim l’i., nel suo senso più generale, è oggetto proprio della sociologia (e in particolare della sociologia della conoscenza). Quanto più il termine i. viene accolto nello studio sociologico, tanto più esso assume un carattere neutro e classificatorio (J. Meynaud definisce per es. l’i. come «l’organizzazione concettuale di un certo numero di fini collettivi riconosciuti come desiderabili») indicando un sistema di dottrine (o credenze) capaci di determinare la condotta di gruppi o classi sociali. Permane, ma sempre con valore marginale, il significato spregiativo di i. come un complesso di idee astratte, inutili o mistificatorie: per es. K. Jaspers (Die geistige Situation der Zeit, 1953) definisce l’i. come «autoinganno a scopo di giustificazione, di occultamento, di evasione»; questo significato è presente nella polemica politica.