ideologia
Il termine fa la sua comparsa nella Francia di fine Settecento, quando Destutt de Tracy (➔) – nel Mémoire sur la faculté de penser (1796) e poi nel Projet d’éléments d’idéologie (1801) – se ne serve per indicare una nuova scienza avente per oggetto lo studio della formazione e dei caratteri delle idee. Partendo dalle sensazioni (sulla scia di Condillac), e servendosi dello stesso metodo ‘positivo’ delle scienze naturali, l’i. avrebbe dovuto spiegare il costituirsi delle varie facoltà umane (pensiero, giudizio, volontà), elaborando in tal modo una scienza dell’uomo e della società libera da ogni ipoteca metafisica. Gli intellettuali che condividevano tale progetto (Cabanis, J.D. Garat, C.F. Volney e P.C.F. Daunou) furono detti idéologues e svolsero negli anni del Direttorio e del Consolato un ruolo di primo piano nella cultura francese, anche in virtù del loro impegno a favore degli ideali rivoluzionari. Il termine si diffuse ben presto anche in Italia, dove però si distaccò dalle premesse sensistiche e assunse il significato di studio positivo delle idee e dei costumi delle genti (l’ideologia sociale di Cattaneo) oppure di scienza filosofica delle idee (con Galluppi e Rosmini). Nel frattempo, tuttavia, il termine aveva già assunto, nella sua terra d’origine, una connotazione negativa, dovuta al fatto che Bonaparte – irritato per le critiche e le resistenze al suo regime provenienti da alcuni idéologues – aveva accusato questi ultimi di essere dei metafisici, dei fanatici e dei visionari. Ideologo divenne così sinonimo di pensatore astratto e dottrinario, privo di qualsiasi senso della realtà storica e politica: ed è in questa accezione che fu ripreso e ‘canonizzato’ da Marx ed Engels in L’ideologia tedesca (1845-46), dove i principali esponenti della sinistra hegeliana vengono ferocemente irrisi perché scambiano le loro battaglie tutte filosofiche contro i fantasmi della realtà (le idee) per vere rivoluzioni capaci di trasformare il mondo.
Ma l’elaborazione marxiana del concetto di i. è ben altrimenti complessa. Per Marx l’i. è una rappresentazione capovolta della realtà. Tale capovolgimento trova la sua manifestazione più tipica nella concezione hegeliana della storia. Hegel, secondo Marx, separa le idee di coloro che dominano per ragioni empiriche in condizioni empiriche e come individui materiali, da questi dominatori, e con ciò istituisce il dominio di idee o illusioni nella storia; poi mette un ordine in questo dominio delle idee, sviluppa un nesso mistico fra esse, e perviene a ciò considerandole come «autoderminazione dei concetti»; infine, per eliminare l’aspetto mistico di questo «concetto autodeterminantesi», Hegel lo trasforma in una persona, l’«autocoscienza». In questo modo, dice Marx, Hegel elimina dalla storia tutti gli elementi materiali, e può tranquillamente allentare le briglie al destriero speculativo. Alla concezione hegeliana della storia Marx oppone la propria, anti-ideologica. La produzione materiale della vita costituisce la chiave di volta della concezione della storia propugnata da Marx. Una determinata produzione materiale è anche, per lui, un determinato complesso di rapporti sociali: di rapporti di proprietà (giuridici), di rapporti fra le classi (politici). Di qui l’elaborazione delle dottrine giuridiche e politiche, che servono a giustificare quei rapporti; e di qui anche le manifestazioni intellettuali più astratte (religioni, filosofie), che hanno anch’esse il loro fondamento nel modo in cui gli uomini producono la loro vita. Nell’ambito del marxismo del Novecento il concetto di i. ha subito alcune significative torsioni. In Lenin mantiene il significato negativo di ‘falsa coscienza’ se riferito all’i. borghese, ma assume anche il significato positivo di ‘scienza dell’azione rivoluzionaria’ se riferito al socialismo scientifico: l’i. socialista coincide, in questo caso, con la coscienza rivoluzionaria da instillare nelle masse proletarie. Gramsci, dal canto suo, sostiene che «la pretesa (presentata come postulato essenziale del materialismo storico) di presentare ed esporre ogni fluttuazione della politica e dell’ideologia come una espressione immediata della struttura deve essere combattuta come un infantilismo primitivo». Nelle società borghesi evolute, infatti, le i. costituiscono insiemi di idee capaci di saldare i gruppi sociali e di incidere nella loro coscienza sino ad assumere quella «granitica compattezza» checaratterizza le credenze popolari e che conferisce loro la stessa energia delle forze materiali. Taleprocesso non può compiersi se non a prezzo di una notevole semplificazione delle idee e di una tendenza al dogmatismo (che nasce dall’esigenza didifendersi dalle obiezioni altrui). In questo senso, le i. sono, per il Gramsci dei Quaderni, la «fase intermedia tra la filosofia e la pratica quotidiana» o «l’aspetto di massa di ogni concezione filosofica».
Con Pareto e Mannheim la nozione di i. entra nella sfera dell’analisi sociologica. Per Pareto le i. sfruttano la forza di persuasione posseduta dai ‘residui’ e dalle ‘derivazioni’, ossia dagli istinti irrazionali che spingono gli uomini ad agire e dalle spiegazioni pseudologiche che essi danno post factum delle proprie azioni. Mannheim distingue invece tra i. particolare (come menzogna deliberata per nascondere interessi particolari) e i. totale, ossia quel tipo di i. che non nasce da un deliberato sforzo di ingannare, ma dal diverso modo in cui la realtà si rivela al soggetto in conseguenza della sua diversa posizioni sociale. L’i. totale è in sostanza una ‘visione del mondo’ con la quale determinati gruppi, anche inconsapevolmente, nascondono lo stato reale della società a sé e agli altri: essa in tal modo svolge una funzione ‘conservatrice’, nascondendo ai gruppi oppressi le possibilità di cui dispongono per mutare la loro situazione e offrendo ai gruppi dominanti una ‘buona coscienza’ fondata sull’occultamento dei mali sociali sui quali si fonda la loro superiorità. Tale funzione conservatrice distingue l’i. dall’utopia (➔), ossia da una ‘visione del mondo’ fondata sul futuro e nella quale gli oppressi possono trovare una ragione di speranza. La sociologia statunitense, invece, ha impiegato il termine in un’accezione neutra, ossia come sistema di idee, credenze e valori capace di orientare la condotta di gruppi e individui; in generale, quanto più l’i. è stata accolta nell’analisi sociologica, tanto più essa ha assunto quel significato neutrale e ‘largo’ che si ritrova anche nel linguaggio ordinario. Tuttavia, il termine ha anche conservato, soprattutto nella sfera politica, un significato ‘ristretto’, legato a quelle dottrine volte a rivoluzionare l’ordine sociale e a pervenire, per questa via, a una palingenesi dell’uomo: ed è in riferimento a questo tipo di i. che – a partire dagli anni Sessanta – si è più volte parlato di ‘morte’, ‘fine’ o ‘tramonto’ dell’i., dapprima negli Stati Uniti (D. Bell, The end of ideology. On the exhaustion of political ideas in the fifties, 1960, trad. it. La fine dell’ideologia: il declino delle idee politiche dagli anni Cinquanta a oggi) e in seguito in Europa (R. Dahrendorf, Pfade aus Utopia. Arbeiten zur Theorie und Methode der Soziologie, 1967, trad. it. Uscire dall’utopia; G.-M. Cottier, La mort des idéologies et l’espérance, 1970; L. Colletti, Tramonto dell’ideologia, 1980).