Scrittore egiziano (n. Alessandria 1926). Considerato uno dei pionieri del racconto breve (qiṣṣa qaṣīra), nel 1958 ha raccolto in Ḥiṭān ‛āliya ("Le mura alte") le novelle composte negli anni Quaranta. Tra il 1968 e il 1971 è stato uno degli animatori della rivista d'avanguardia Gallīrī 68 ("Galleria 68"). Estraneo alla corrente realista, al-Ḫ. ha adottato un linguaggio ricercato, dotato di grande forza evocativa e riccamente simbolico. L'amore di Miḫā'īl, copto (come lo stesso al-Ḫ.), per Rama, una ragazza musulmana, costituisce il tema del suo romanzo d'esordio, Rāma wa 'l-tinnīn ("Rama e il drago", 1979), e di al-Zaman al-āḫar ("L'altro tempo", 1985), in cui i due protagonisti si ritrovano dopo otto anni; più marcatamente autobiografico è Turābuhā za ‛farān (1986; trad. it. Alessandria, città di zafferano, 1994), dove il protagonista è ancora Miḫā'īl, che ripercorre le tappe della sua vita dagli anni dell'infanzia e della spensieratezza fino a quelli della maturità e della presa di coscienza politica. La città di Alessandria è ancora lo scenario di Iḫtinaqāt al-‛išq wa 'l-sabāh ("Soffocamenti della passione e del mattino", 1983) e di Ya banāt al-Iskandariyya (1990; trad. it. Le ragazze di Alessandria, 1993), un lungo monologo interiore, percorso da immagini oniriche e aperto alle sollecitazioni della memoria e della nostalgia. Tra le pubblicazioni più recenti si ricorda ancora: Hagar Bubillu (1992; trad. it. I sassi di Bubillo, 1999).