Il posto
(Italia 1961, bianco e nero, 90m); regia: Ermanno Olmi; produzione: Angelo Soffientini per The 24 Horses; sceneggiatura: Ermanno Olmi; fotografia: Lamberto Caimi; montaggio: Carla Colombo; scenografia: Ettore Lombardi; musica: Pier Emilio Bassi.
Meda, provincia di Milano, inverno dei primi anni Sessanta. Per la famiglia Cantoni ‒ marito, moglie e due figli ‒ è un giorno speciale: Domenico, il primogenito, oggi deve superare una selezione per un posto di lavoro in una grande azienda milanese. Il capoluogo lombardo è in pieno boom edilizio, traffico e lavori in corso dappertutto. In azienda, nella sala d'attesa per le prove, volti anonimi si scrutano con rispetto e paura reciproca. Negli intervalli tra un esame e l'altro, il timido Domenico conosce Antonietta, detta Magalì, in lizza per un posto di segretaria. Un caffè, due chiacchiere, qualche iniziale confidenza tra la folla; poi, dopo le prove, una passeggiata tra le vetrine illuminate del centro. I due si lasciano con un arrivederci vicino alla stazione ferroviaria, non prima che la giovane abbia esternato una spiccata simpatia verso Domenico. L'esito positivo della selezione segna per Domenico l'esordio nella vita adulta: l'acquisto di un impermeabile nuovo (quello che piaceva a Magalì), l'ingresso in ditta, i lunghi corridoi degli uffici, il primo colloquio con l'ingegnere capo e l'incarico di fattorino, per cominciare. Domenico ascolta i consigli strategici dell'usciere più anziano, a mensa cerca con lo sguardo Magalì, la attende invano alla fine del turno. Il giorno dopo, con indosso la divisa da fattorino, la incontra casualmente nei corridoi; la ragazza è stata assunta come dattilografa e lo invita all'imminente veglione di Capodanno. La sera del 31 dicembre Domenico si reca da solo alla sala da ballo e, bottiglia di spumante in mano, attende a un tavolo l'arrivo di Magalì; intanto fa amicizia con una coppia attempata, accetta un invito a ballare, si lascia trasportare per la prima volta da un'atmosfera festosa e sconosciuta. Ma al veglione lei, Magalì, non si fa vedere. Al rientro in ufficio, un evento cruciale: è morto un collega impiegato, Domenico lo sostituirà, partendo però dall'ultima scrivania della stanza, quella meno illuminata. Per lui è iniziato un nuovo anno, tra interrogativi e speranze.
Il posto, secondo lungometraggio di Ermanno Olmi, contiene molti elementi tipici del suo cinema: una predilezione per gli ambienti rurali e suburbani, l'elogio della semplicità, le difficoltà del singolo nell'impatto con la società, l'innamoramento giovanile (quest'ultimo tema sarà centrale nel film successivo, I fidanzati, 1963). Olmi tratteggia con perizia il percorso di Domenico, questo giovane senza troppe qualità, dalla provincia sonnacchiosa alla metropoli frenetica, dove la rincorsa al benessere è appena cominciata. I cantieri aperti e i ritmi accelerati ricordano i film contemporanei di Michelangelo Antonioni ‒ La notte, 1961; L'eclisse, 1962 ‒ ma alla velocità operosa della catena di montaggio Olmi contrappone la pacatezza dei sentimenti, quell'aprirsi alla vita e alla scoperta delle emozioni che segue il goffo incedere dell'inesperienza. Nell'accostarsi alla lezione di Roberto Rossellini, con il quale Olmi condivide il senso del sacro e la ricerca di valori assoluti nella quotidianità, il regista lombardo non ha timore di apparire neorealista, anzi indugia sulle inflessioni dialettali, sui ballatoi e sulle promiscuità domestiche; indica pure il buco della serratura, emulando Cesare Zavattini, quando esplora le povere esistenze degli impiegati, ciascuno debole e fondamentalmente solo, o con un romanzo incompiuto nel cassetto. Di questi malinconici colletti bianchi noi scorgiamo appena le miserie, le piccole meschinità, le magre soddisfazioni.
Rinunciando alla critica sociale esplicita, il regista fa uso di una cinepresa tranquilla ma penetrante, si sofferma sulla timidezza quasi patologica di Domenico e sull'intraprendenza di Antonietta-Magalì, esamina gli uffici e gli interminabili corridoi senza troppo condannare la struttura piramidale dell'impresa. Se i due giovani non si incontrano, non si trovano, forse non è solo colpa dei differenti turni di lavoro, quanto dell'incostanza della ragazza e dell'insicurezza del giovanotto. Le inquadrature ravvicinate dei loro volti, i silenzi espressivi che suggellano lo scambio crescente di sguardi, più che premessa di un amore mai nato sono l'emblema di una comunicazione immatura. L'appuntamento mancato al veglione di fine d'anno avvicina Il posto alla struggente solitudine dei primi film di Miloš Forman, e la cura descrittiva del salone da ballo semivuoto si lega idealmente alle scene che aprono La parmigiana di Antonio Pietrangeli (1963). Ma, con estremo realismo e competenza nel montaggio, la sequenza olmiana del ballo vibra di un crescendo emozionale che suggerisce ‒ qui risiede l'ottimismo dell'autore ‒ quanto ogni infelicità possa avere una via d'uscita.
Dice il regista: "Oggi l'uomo rischia continuamente di essere sopraffatto dalla vita moderna, perciò credo che debba essere aiutato a sentirsi spiritualmente vivo. Per ottenere questo scopo bisogna 'cantare' il mondo del lavoro, dargli una giusta dimensione poetica". Il cinema morale di Olmi, dunque, promuove l'individuo anche attraverso l''umanità' del lavoro, pur se esso segue le regole della 'società per azioni', non di rado prevaricando le esigenze individuali. In tal senso, il trionfo della ritualità burocratica si ravvisa nel finale del film: nel silenzio luttuoso che accompagna la scomparsa di un impiegato, aspirante scrittore morto suicida, Domenico è invitato a prenderne il posto ma non la scrivania, che spetta al collega più anziano. Il ragazzo inizierà la carriera dall'ultimo banco, poiché nulla può cambiare ‒ come attesta la monotonia metallica del ciclostile ‒ nella inarrestabile giostra della vita.
Interpreti e personaggi: Alessandro Panseri (Domenico Cantoni), Loredana Detto (Antonietta Masetti, 'Magalì'), Tullio Kezich (lo psicotecnico), Mara Revel (signora anziana della mensa), Bice Melegari, Corrado Aprile.
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Sceneggiatura: in "Cineforum", n. 7-9, settembre-novembre 1961.