imprenditore
Il primo attore sulla scena dell'impresa
Un grande economista dello scorso secolo, John M. Keynes, fece una colorita affermazione: "Gli imprenditori sono mossi da spiriti animali". In effetti, è l'istinto che li guida, la voglia di darsi da fare, di misurarsi con gli altri e con la vita, di far nascere qualcosa. La spinta che li anima non è una sola: c'è il desiderio di guadagnare, ma anche dell'affermazione di sé e quello di creare. È per queste qualità che all'imprenditore viene riconosciuta una quota del ricavo che l'azienda incassa, cioè del profitto che rappresenta il segno principale della buona salute di un'impresa
Una cosa è certa: anche il più bravo imprenditore non può lavorare sotto le stelle. Ha bisogno di un capitale: un tetto sulla sua testa e alcuni strumenti, fossero pure semplicemente un tavolo, una seggiola, carta, penna e telefono. Per procurarsi tutto questo investirà un capitale iniziale e quando ingrandirà il suo giro di affari assumerà qualcuno che lo affianchi. Imprenditorialità, capitale e lavoro sono i tre elementi ‒ i tre 'fattori della produzione' ‒ che caratterizzano il mondo delle imprese.
Se facciamo qualche esempio, dal mitico Henry Ford al re dell'informatica Bill Gates alle famiglie italiane Agnelli e Benetton, vediamo che tutti hanno creato solide imprese, combinando la capacità imprenditoriale, un capitale iniziale e il lavoro dipendente. La buona salute delle loro imprese sta nella capacità di creare ricchezza e di produrre profitto per l'imprenditore e guadagno per chi vi lavora.
Il rischio è un elemento caratteristico dell'agire imprenditoriale e deriva dal margine di incertezza che aleggia intorno alla riuscita del prodotto e alla sua distribuzione, dall'incognita del mercato e dalla precaria regolarità dei pagamenti dei clienti. La vita dell'imprenditore, pur se galvanizzante, è anche dura, e solo la remunerazione del rischio può spingerlo ad andare avanti. Nelle piccole e medie imprese è facile trovare ancora oggi la figura dell'imprenditore 'puro', cioè di colui che rischia il capitale proprio e ha abilità sufficiente a mettere in moto l'azienda e a farla funzionare. Nelle grandi aziende il discorso è più complesso: il capitale spesso è fornito dall'indebitamento, viene da banche o dall'emissione di obbligazioni, oppure è fornito dai sottoscrittori di azioni che esse hanno emesso. Le azioni sono titoli di proprietà: un'azione rappresenta una piccola frazione del capitale della società, è un 'pezzetto di impresa', e queste azioni possono essere sottoscritte da singoli risparmiatori o da società finanziarie che investono in un settore che sembra promettere margini di profitto. Quanto alla capacità di coagulare insieme uomini e mezzi e di dirigerli, oggi viene sempre più delegata a una classe di esperti chiamati manager. Numerosi sono gli imprenditori italiani che, sospinti dalla necessità o dallo spirito di avventura, hanno accettato il rischio di trasferirsi all'estero: essi rappresentano uno dei tanti tramiti tra l'industria italiana e il mercato internazionale.
All'inizio del Novecento, accanto ai nuclei della grande industria nascente ‒ siderurgica, cantieristica, meccanica, tessile, cui si erano aggiunte la produzione dell'energia elettrica e la lavorazione della gomma ‒ si forma una miriade di piccole e medie aziende che caratterizzerà lo sviluppo della nostra economia. Gli uomini che le guidano hanno da subito dato vita a un nuovo stile di lavoro: una specialità produttiva strettamente intrecciata al territorio che forma un'originale architettura industriale, quel distretto industriale che ancora oggi è il vanto del made in Italy. Le invenzioni tecnologiche che venivano messe a punto si innestavano sulla volontà di mantenere contenuta la dimensione dell'azienda per conservarne il controllo e la struttura familiare. Oggigiorno le microimprese, aziende con meno di 10 addetti, formano circa il 95% della realtà imprenditoriale italiana.
Tuttavia, all'inizio del 21° secolo anche il mondo dei distretti si trova in difficoltà. La globalizzazione ha esposto l'Italia alla concorrenza di paesi con bassi costi del lavoro e la stessa struttura dei distretti ha messo in luce i problemi di successione una volta che la famiglia invecchia e diventa necessario portare dentro le aziende manager professionisti.
Gli imprenditori italiani hanno creato una serie di organizzazioni che rappresentano l'intera categoria nelle trattative per i contratti di lavoro e nei rapporti con le istituzioni; al gruppo dirigente sono deputati l'elaborazione delle linee strategiche da perseguire e l'approfondimento della cultura di impresa. L'associazione più antica e conosciuta è la Confindustria, ma ne esistono diverse, rappresentative dei vari settori economici. La rappresentanza dell'imprenditoria femminile è affidata alla AIDDA, ossia Associazione imprenditrici donne dirigenti d'azienda. I giovani industriali fra i 18 e i 40 anni confluiscono invece nella Confederazione nazionale giovani imprenditori.
Da dove nasce il capitale? È semplice: dai soldi. I soldi nascono dai soldi, come sa chi vuole mettere su un'impresa. All'inizio è uso chiederli in prestito a una banca o raggranellarli fra i propri risparmi; una volta convogliato nel progetto, il denaro si trasforma nel capitale fisico, formato dall'attrezzatura necessaria a produrre. Anche in seguito soldi e capitale continueranno ad alimentarsi reciprocamente: quando l'impresa vende i suoi prodotti ne ottiene un ricavo che serve a pagare i salari di chi ha lavorato, le materie prime impiegate, il rischio che ha corso l'imprenditore e infine a ricompensare il capitale e ad accantonare soldi per comprare in futuro nuove macchine.
Pur rappresentando una grossa parte dell'economia italiana e degli occupati, i distretti industriali stanno affrontando una fase di rinnovamento, imposto dalla generale crisi economica. La transizione è verso un modello di impresa 'a rete aperta', capace di uscire dal locale, sviluppare una presenza sui mercati a livello internazionale e, soprattutto, di investire in ricerca.
Il massimo riconoscimento per Nerio Alessandri è arrivato nel 2001, quando il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi lo ha nominato Cavaliere del Lavoro, il più giovane nella storia della Repubblica.
Intorno ai 20 anni, nel garage di casa trasformato in officina, il giovane costruisce il prototipo della hack squat, un attrezzo per potenziare i muscoli. Da allora il suo slogan "Wellness come nuovo stile di vita" ha avuto un crescente successo, tanto da portare in poco più di 15 anni la sua azienda, la Technogym, alle Olimpiadi di Sydney come fornitrice ufficiale delle attrezzature da allenamento. Nel 2004 la Technogym vantava un fatturato in crescita e la leadership del settore in Europa: più di 850 dipendenti (età media 29 anni), 9 filiali dirette e oltre 30.000 centri in tutto il mondo.
Sono moltissimi i cosiddetti 'sportelli donna' disseminati in Italia per aiutare e diffondere la cultura d'impresa al femminile. Di fronte al problema disoccupazione - nettamente maggiore fra le lavoratrici - le donne reagiscono inventandosi un lavoro. Da inchieste sul campo risulta che l'imprenditrice è affidabile, costante, attenta all'aspetto sociale dell'impresa. L'età media è fra i 28 e i 35 anni, ma con punte fra i 42 e i 50 anni, quando spesso la donna rientra nel mercato del lavoro, dopo essersi dedicata alla famiglia.