Grande laboratorio della politica, l’India ha eletto domenica 22 luglio 2012 il suo tredicesimo presidente, il settantaseienne bengalese Pranab Mukherjee. Figlio di un combattente per l’Indipendenza dal dominio britannico, Mukherjee, che si è insediato il 25 luglio, iniziò la propria carriera politica nel Congress Party alla fine degli anni Sessanta del Novecento. Stimato da Indira Gandhi, ne divenne già nel 1973 ministro delle finanze occupando nel decennio che seguì, e fino all’assassinio della figlia di Nehru nel 1984, ruoli di prima evidenza. Durante il governo di Rajiv Gandhi, Mukherjee, che covava ambizioni di leadership, si ritrovò messo ai margini e finì col fondare un proprio partito, che ebbe vita breve (1986-89), il Rashtriya Samajwadi Congress (‘National Socialist Congress’), suo primo e di fatto ultimo fallimento. Dopo la morte violenta di Rajiv Gandhi, il suo astro tornò a brillare in una fase dominata dal governo liberalizzatore di Narasimha Rao e soprattutto del ministro delle Finanze Manmohan Singh (l’attuale premier), che va considerato il vero artefice del boom economico del subcontinente. Mukherjee fu delegato nella Planning Commission, uno degli elementi cardine del sistema indiano, e divenne titolare di dicasteri essenziali come quello degli affari Esteri dal 1995 al 1996. Ma egli divenne soprattutto l’inventore della carriera politica di Sonia Gandhi, che dopo aver rifiutato, alla morte del marito, ogni ruolo politico, finì per riproporsi meno di un decennio più tardi, assumendo la guida del Congress e divenendo, dopo la rinuncia alla guida del governo in seguito alla clamorosa e da molti inaspettata vittoria elettorale del suo partito nel 2004, la regista principale della politica indiana (Sonia dovette rinunciare per le polemiche sulla sua origine italiana animate dalla destra sconfitta). Da quell’anno Mukherjee è stato ininterrottamente ministro: della Difesa (2004-06), degli Esteri (2006-09), delle Finanze (dal 2009 alla nomina presidenziale).
La sua esperienza politica, il suo prestigio e le sue doti di equilibrio sono stati essenziali nel 2011 perché il Congress, in difficoltà per la campagna anticorruzione condotta dall’attivista Anna Hazare, potesse far fronte all’ondata nazionale di protesta in un momento in cui Sonia si trovava peraltro negli Usa per curarsi da una grave malattia. Mukherjee seppe porre da solo un argine alla rabbia antipolitica e al disorientamento del governo e del suo partito, compensando l’incapacità dimostrata nell’occasione da Rahul Gandhi, rampollo della dinastia ‘regnante’ sull’India quasi ininterrottamente dal 1947 e fino ad ora promessa mancata della politica indiana. Su questo soprattutto si è costruita la sua candidatura.
Il presidente della Federazione Indiana non ha un ruolo direttamente esecutivo, ma il suo operato può risultare in taluni momenti essenziale, un po’ come accade in Italia. Soprattutto il presidente, dalla sua magnifica residenza coloniale di Delhi, deve sforzarsi di porsi come punto di riferimento aggregante in una realtà così diversificata e complessa come l’India. L’elezione di Mukherjee, proprio in un clima generale caratterizzato dalla sfiducia verso il sistema dei partiti e i suoi uomini, segna un cambio di passo significativo. Le ultime nomine di presidenti hanno tutte avuto un forte significato simbolico. Nel 1997 e fino al 2002 presidente è stato un ‘intoccabile’, Kocheri R. Narayanan; fino al 2007 uno scienziato musulmano senza esperienza in politica, Abdul Kalam, divenuto amatissimo (ritornato poi all’insegnamento universitario chiuso il proprio mandato), cui è subentrata una donna, Pratibha Patil, personalità politica non di primo piano e creatura di Sonia Gandhi, il cui periodo è stato però giudicato in termini non proprio positivi.
In un momento, come accennato, difficile per la politica indiana, con il rallentare della crescita e con una crisi di fiducia nel sistema non dissimile da quella che vive l’Italia, l’India (ossia la sua maggioranza politica: il presidente viene eletto con un complicato sistema in primo luogo dai membri del parlamento centrale e da quelli delle assemblee degli stati federati), ha scelto per il ruolo più alto il più politico tra i politici di cui dispone. E il consenso straordinario di cui Mukherjee ha potuto godere (tre quarti dei consensi, in ciò anche favorito dalla crisi profonda di leadership nella destra indiana) dimostra una decisa volontà di affidarsi, per evitare guai peggiori, ad un efficace tecnico della politica. Le forze emergenti e, in qualche fase recente, addirittura dirompenti della scena indiana (Anna Hazare e soprattutto il suo ex consigliere Arvind Kejriwal, nuova stella del fronte anticorruzione e fondatore nel novembre 2012 dell’Aam Aadmi Party) hanno – verrebbe da dire immancabilmente – contestato la nomina, associando al nuovo presidente un supposto passato di corruzione.
Nel prossimo futuro Pranab Mukherjee dovrà gestire una situazione complessa, anzitutto caratterizzata dalla lunga campagna elettorale che culminerà nelle consultazioni generali del 2014. Le sue doti di navigatore potrebbero risultare fondamentali per far fronte ad un clima politico che è già oggi rovente.