Finanziari, intermediari
Gli intermediari finanziari sono imprese specializzate nell'acquisto e nella vendita di attività finanziarie. Essi si inseriscono fra i soggetti e i settori in avanzo finanziario e quelli in disavanzo, dato che: è problematico e costoso per chi ha fondi in eccesso mettersi in contatto diretto con coloro che ne hanno bisogno; non sempre è possibile conciliare le necessità dei datori con quelle dei prestatori di fondi; è ridotto il grado di fiducia di chi fornisce i fondi nei confronti di chi li riceve; non sono sufficienti le informazioni circa le modalità di impiego delle risorse. Questi elementi determinano una configurazione del sistema finanziario in cui il trasferimento diretto delle risorse tra soggetti o settori è contenuto, mentre risulta rilevante la presenza di operatori in grado di soddisfare le esigenze divergenti di coloro che presentano saldi finanziari di segno opposto. Gli intermediari in questione acquisiscono strumenti di credito emessi dalle unità in disavanzo ed emettono passività che originano crediti vantati dai possessori nei loro confronti.
Poiché nell'attività di intermediazione si vengono ad assumere rischi, per scelta autonoma o per volere del legislatore si è venuta a realizzare una differenziazione degli intermediari, che tende a rendere compatibili le attività acquisite con gli impegni assunti. Banche e altre istituzioni creditizie erogano mutui, crediti commerciali e crediti al consumo; le loro passività sono costituite principalmente da conti correnti, conti di risparmio e certificati di deposito. Compagnie di assicurazione e fondi pensione negoziano titoli; le loro passività sono costituite, rispettivamente, da polizze e da impegni nei confronti dei futuri pensionati.
L'attività degli intermediari finanziari va al di là del semplice operare nei mercati; se essi si limitassero a riconfezionare gli strumenti finanziari in modo da assecondare le esigenze dei prenditori e dei prestatori di fondi, sarebbero solo attori secondari sulla scena economica. Gli intermediari, in realtà, cercano clienti (dal lato dell'offerta e da quello della domanda di fondi) non solo attraverso la variazione del tasso di interesse, ma soprattutto differenziando e pubblicizzando i propri prodotti. Essendo la differenziazione attuata variando scadenze, commissioni, servizi connessi, ecc., la concorrenza non di prezzo diviene particolarmente rilevante quando questo (il tasso di interesse) è imposto o viene stabilito per collusione più o meno esplicita fra intermediari.
Data la funzione svolta, al crescere della richiesta di intermediazione e della differenziazione delle esigenze, aumentano il numero e la tipologia degli intermediari, ovvero la specializzazione viene a realizzarsi all'interno degli stessi intermediari (come in Germania). Nel processo di trasferimento delle risorse dai settori in avanzo a quelli in deficit si vengono a istituire legami fra risparmio, intermediari finanziari e investimenti; ne segue che lo sviluppo e l'articolazione degli intermediari contribuiscono alla crescita del sistema economico, poiché il processo degli investimenti trova maggiori possibilità di finanziamento. Questo impulso alla crescita del sistema, oltre che dal trasferimento delle risorse, deriva anche dalla capacità degli intermediari di creare credito.
È noto che il sistema bancario, le cui passività sono costituite da strumenti aventi valore nominale certo e sono perfettamente liquide, può erogare una quantità di credito superiore a quella dei fondi raccolti, attraverso un processo di moltiplicazione del credito e dei depositi. Anche gli intermediari non bancari hanno una capacità di creare credito, pur se limitata. La differenza è data dalla perdita di risorse: nella concessione di credito da parte delle banche, la moneta viene trasferita alla banca presso cui il venditore di beni o servizi detiene le proprie disponibilità; nel caso degli altri intermediari, al momento dell'erogazione di fondi si registra una perdita di risorse monetarie depositate presso le banche, in favore del settore privato.
Nella misura in cui gli intermediari, similmente alle banche, riescono ad accrescere la propensione al risparmio, ovvero a mobilizzare i fondi di "moneta oziosa" (secondo la definizione di D. Patinkin), essi influiscono sul flusso netto di credito. Quando si agisce sulla propensione al risparmio non si determinano variazioni del valore della spesa, anche se risulta modificata la composizione della domanda aggregata con un aumento della spesa per investimenti a scapito di quella per consumi. Nell'ipotesi che venga mobilizzata la moneta oziosa, si ha un aumento della velocità di circolazione della moneta e, pertanto, si possono avere effetti positivi sull'ammontare complessivo della spesa e del reddito.Infine gli intermediari finanziari non bancari possono influire attraverso diverse vie sulle condizioni di equilibrio del mercato della moneta. In primo luogo lo sviluppo di intermediari finanziari (come i fondi comuni di investimento) in grado di rimborsare in brevissimo tempo le passività detenute dal pubblico fa accrescere il grado di liquidità delle attività finanziarie diverse dalla moneta. Inoltre l'emissione di titoli contraddistinti da elevata sostituibilità rispetto alla moneta consente ai privati di detenere ammontari più contenuti di scorte monetarie.
Da quanto descritto si ricava che l'attività di intermediazione trasforma la ricchezza economica in forme differenti nelle quali i possessori ultimi detengono il proprio risparmio accumulato. I mercati finanziari svolgono un ruolo importante in questo processo, ma gli intermediari lo amplificano, creando mercati che non esisterebbero senza di loro e partecipando con altri agenti ad altri mercati, organizzati o informali.
Come già indicato, gli intermediari realizzano una serie di funzioni che assumono rilievo per il concreto andamento dei mercati finanziari e per il sistema economico nella sua globalità. La loro individuazione permette di fornire un inquadramento dell'attività degli intermediari e del ruolo loro assegnabile. In questo ambito le funzioni degli intermediari sono riconducibili alle seguenti.Taglio conveniente. Gli emittenti di prestiti trovano troppo costoso ritagliare attività e passività secondo le necessità e le preferenze dei prestatori di fondi; gli intermediari possono frazionare prestiti di grosse dimensioni in ammontari convenienti per i piccoli risparmiatori, o cambiare le obbligazioni dei debitori in ammontari più ampi. Economie di scala e specializzazione nelle transazioni finanziarie consentono agli intermediari di combinare le esigenze dei debitori.
Diversificazione del rischio. I rischi connessi con le attività economiche assumono diverse forme: alcuni hanno una dimensione nazionale o mondiale (guerre, cambiamenti nei vantaggi comparativi internazionali, politiche monetarie e fiscali, prezzi e offerta dei beni di base), altri riguardano le imprese o le tecnologie (capacità dei dirigenti, qualità dei nuovi prodotti). Un intermediario finanziario può assumere particolare competenza nel valutare i rischi, specialmente i rischi specifici, specializzandosi nel raccogliere e nell'interpretare le informazioni, troppo costose da procurarsi o inutilizzabili da parte del singolo risparmiatore. Mettendo insieme i fondi dei creditori, gli intermediari possono diversificare il rischio in modo non consentito al singolo creditore.
Trasformazione delle scadenze. Un intermediario finanziario in modo particolare riconcilia le differenti preferenze dei prenditori e dei prestatori per quanto concerne le scadenze. I depositanti vogliono prestare fondi per tempi più brevi di quelli voluti dai prenditori di fondi. Gli imprenditori necessitano di credito per coprire l'intervallo temporale tra il momento della produzione e quello della vendita. Situazioni differenti si riscontrano per altri intermediari finanziari. Una compagnia di assicurazioni o un fondo pensione possono investire nel breve termine il risparmio che i futuri pensionati non richiederanno per molti anni.Trasformazione delle attività illiquide in passività liquide. Un'attività perfettamente liquida può essere definita come quella il cui valore presente può essere cambiato immediatamente in potere d'acquisto per beni e servizi. La liquidità in questo senso non significa necessariamente certezza del valore. Azioni negoziate in mercati ben organizzati sono facilmente liquidabili, ma il prezzo può variare in ogni momento in misura non prevedibile. Un immobile, peraltro, non è né liquido né dotato di un valore prevedibile. Un intermediario finanziario detiene attivi illiquidi, mentre le passività sono liquide, e detiene attività il cui valore non è certo, mentre garantisce il valore delle passività. Questa è l'attività tradizionale delle banche commerciali, e la ragione per relazioni durevoli e intense tra banche e clienti.Nell'esame che segue si farà riferimento soprattutto agli intermediari non bancari, anche se la teoria degli intermediari finanziari necessariamente comprende anche quelli bancari e lo sviluppo degli uni non può essere disgiunto da quello degli altri nella complessiva attività di intermediazione.
Dall'esame delle situazioni storiche si rileva la tendenza alla crescita dell'attività finanziaria (v. Goldsmith, 1969) in vario modo calcolata (rispetto al reddito o alla ricchezza). In questa tendenza si registra un aumento di peso delle istituzioni, in particolare di quelle creditizie, all'interno dell'intermediazione finanziaria, come indicano i trends statistici per i principali paesi fino agli anni settanta. Nell'ultimo quindicennio si sono presentate condizioni favorevoli allo sviluppo dei mercati, ma il tasso dell'interesse reale è stato alto e variabile in misura non riscontrabile nel passato. Ne è seguita una più equilibrata suddivisione dei compiti tra mercato e intermediari.
La teoria economica ha analizzato i sistemi finanziari allo scopo di valutarne i benefici netti per il sistema economico e di delineare una interpretazione coerente delle tendenze storicamente osservate nei diversi paesi. Per quanto concerne il primo punto, l'analisi tende a esaminare l'efficienza funzionale di una struttura finanziaria, efficienza determinata dal rapporto tra i costi e i benefici realizzato canalizzando il risparmio tra operatori o settori con saldi finanziari di segno opposto. I costi sono determinati dall'organizzazione delle transazioni, dal controllo dei beneficiari del finanziamento, dalle regole per il funzionamento della struttura; i benefici sono originati dal miglioramento delle ragioni di scambio tra gli operatori o i settori.
Dal punto di vista della teoria economica neoclassica risulta difficile spiegare la funzione degli intermediari finanziari. In linea di principio, se si muove dall'ipotesi che il mercato sia perfettamente competitivo, che gli scambisti siano perfettamente razionali e dispongano tutti della stessa informazione, che l'esito dello scambio non sia condizionato dall'incertezza e che esso non comporti per le parti alcun costo di transazione, gli intermediari non trovano spazio. Di fatto l'informazione del mercato risulta essere circoscritta alla situazione di breve periodo, congiunturale; per di più nella realtà essa non è né perfetta né completa, cosa che lascia spazio a rischi e a un non trascurabile margine di incertezza. Infine la valutazione dei risultati e delle prospettive di lungo termine viene trascurata (v. Volcker, 1990), con forti limiti per la possibilità stessa di valutare le prospettive di impresa. Inoltre l'osservazione empirica indica che le istituzioni finanziarie, o gli intermediari finanziari, costituiscono parte integrante dei sistemi dei mercati finanziari. La teoria degli intermediari finanziari o dell'intermediazione finanziaria si propone perciò di identificare le ragioni economiche dell'esistenza degli intermediari e, più analiticamente, di spiegare le funzioni differenziate di intermediazione e il modus operandi delle aziende che le svolgono.
Fu J. Hicks (v., 1935) a individuare alcuni fattori strutturali che conducono alla nascita degli intermediari. Egli rilevò che, mentre per i costi di transazione esistono vantaggi legati alle economie di scala, per i fattori di rischio i benefici derivano dalla differenziazione degli impieghi. Nella maggior parte dei casi opera la 'legge dei grandi numeri', così che il rischio relativo a un insieme di diversi progetti di investimenti rischiosi è inferiore a quello derivante dall'investimento dello stesso capitale in un singolo progetto. Quando il numero dei progetti d'investimento è molto alto, il rischio totale può a volte ridursi a valori assai contenuti. Se i costi di transazione fossero bassi, chiunque potrebbe trarre vantaggio da questo tipo di riduzione del rischio; dividendo il capitale in piccole porzioni e suddividendo i rischi ci si potrebbe assicurare contro un alto rischio totale per l'intero ammontare. Nella realtà, tuttavia, essendo non remunerativo investire al di sotto di un ammontare minimo, i costi di transazione restringono la possibilità di ridurre i rischi per coloro che non dispongono di considerevoli quantità di capitale. Dalla situazione appena descritta segue, da un lato, la tendenza dei risparmiatori a diversificare i propri portafogli tra attività con diverso grado di rischio e di redditività, anche detenendo moneta; dall'altro, l'esistenza di istituzioni (banche commerciali, banche d'investimento, compagnie di assicurazione, ecc.) che dispongono di capitali notevoli e possono ridurre il rischio del capitale proprio a livelli molto contenuti, e sono quindi in grado di emettere passività a basso rischio. In definitiva l'esistenza dei costi di transazione e di rischi connessi con attività remunerative porta ad attribuire agli intermediari un ruolo positivo perché in grado di ridurre il rischio sistemico (v. Tonveronachi, 1989).
Su questi temi tornano, verso la metà degli anni cinquanta, I. Gurley ed E. Shaw (v., 1960), con un'analisi all'interno di un contesto walrasiano. Essi concentrano la loro analisi sulle banche, che trasformano i depositi in crediti. La peculiarità degli intermediari (banche) sta nella capacità di diminuire il rischio globale non solo frazionando gli impieghi, ma anche producendo informazioni sull'affidabilità dei debitori primari. La convenienza della funzione d'intermediazione per il sistema nel suo complesso dipende dal raffronto tra il margine di intermediazione e il maggior costo connesso con il collocamento diretto dei titoli primari.Il livello del margine di intermediazione dipende dal grado di concorrenza tra intermediari bancari e non bancari: le passività del sistema bancario possono subire la concorrenza delle passività emesse da intermediari non bancari, sotto forma di depositi o di titoli; si tratta, pertanto, di una forma di concorrenza tra intermediari con diversa specializzazione, che offrono passività diverse, ma sostituibili tra loro.
Sempre in un contesto walrasiano un contributo significativo è stato fornito dall'analisi di W.C. Brainard e J. Tobin (v., 1967), il cui modello costituisce un'applicazione più completa della teoria di portafoglio. Gli intermediari trasformano le passività delle imprese e del settore pubblico in attività con diverso grado di liquidità, richieste dai risparmiatori finali. Attraverso questa trasformazione gli intermediari riescono a soddisfare simultaneamente le preferenze di portafoglio di mutuanti e mutuatari finali. Pertanto, anche in uno schema in cui si ipotizza la concorrenza perfetta, gli intermediari hanno una funzione positiva, consentendo riduzioni complessive di costo rispetto alla finanza diretta. L'esistenza degli intermediari, quindi, si giustifica perché essi consentono un'allocazione più efficiente rispetto al finanziamento diretto, sfruttando l'indivisibilità delle attività finanziarie e le economie di scala e di specializzazione nelle tecnologie delle transazioni (v. Masera, 1991). È evidente che, in questi schemi, con il progredire dell'efficienza dei mercati e l'utilizzo di tecnologie e metodi in grado di ridurre le imperfezioni di funzionamento, il mercato tende a sostituire gli intermediari.
La considerazione che gli intermediari finanziari sono istituzioni stabili, anche se mutevoli, dei mercati finanziari ha indotto ad approfondire il filone di studi della cosiddetta endogenità delle istituzioni finanziarie, secondo il quale le situazioni che si vengono a realizzare provvedono di volta in volta, con soluzioni specifiche, all'elaborazione di una struttura coerente del sistema finanziario. Ciò significa che non esiste di per sé una superiorità di un modello di finanziamento rispetto a un altro e quindi del mercato rispetto agli intermediari. Più di recente la teoria ha messo in evidenza che la permanenza degli intermediari finanziari trova fondamento nella circostanza che i mercati finanziari sono imperfetti e incompleti, e non potrebbero non esserlo, data l'esistenza di asimmetrie informative tra debitori e creditori. Ne segue la rilevanza dell'azione di selezione (screening) e di controllo (monitoring) compiuta dal finanziatore, che è sempre stata alla base dell'analisi microeconomica delle banche e degli intermediari finanziari.
Viene così a cadere uno dei punti principali che porterebbe a preferire i canali finanziari basati sui mercati, dove il meccanismo allocatore fondamentale è costituito dal prezzo, che si forma sulla base di contrattazioni continue. I mercati finanziari presentano la caratteristica di essere 'aperti', quindi accessibili a tutti i potenziali offerenti e richiedenti di fondi, e di determinare il prezzo evitando l'instaurarsi di relazioni riservate fra singolo offerente e singolo richiedente, e in forma continua. Ciò consente la formazione di prezzi significativi e il costante accertamento del valore dei crediti in essere.
Le ipotesi di partenza delle teorie che pongono alla base della finanza d'impresa l'esistenza di informazioni imperfette sono due: a) le informazioni non sono liberamente accessibili a tutti gli operatori; b) esse sono distribuite asimmetricamente tra creditori e debitori. I potenziali debitori hanno interesse a esaltare le qualità del progetto di cui chiedono il finanziamento; i potenziali prestatori non hanno accesso diretto alle informazioni in oggetto e devono, quindi, effettuare valutazioni ex ante basate sul semplice riferimento all'esperienza passata. Se le due categorie dovessero affrontarsi in queste condizioni su un mercato accentrato, un equilibrio potrebbe non essere raggiungibile o, comunque, potrebbe non essere quello ottimale (v. Akerlof, 1970).
Se il problema delle informazioni riguardasse solo i costi necessari per ottenerle, lo sviluppo degli intermediari finanziari si giustificherebbe, come già aveva indicato Hicks, in base alle economie di scala sui costi di transazione; questi ultimi, che costituiscono un'ampia categoria, comprendono anche i costi di informazione. Perché questi costi possano rappresentare la condizione per la nascita di intermediari, è necessario ipotizzare che il loro valore sia più elevato della remunerazione degli utili di un'attività di intermediazione.
Si deve, tuttavia, osservare che nel caso in cui i costi di monitoraggio fossero i soli costi di transazione presenti, le economie di scala a essi associate creerebbero spazi per imprese di raccolta e distribuzione di informazioni non necessariamente collegate alla funzione di intermediazione. Vi sono, però, due condizioni che non consentirebbero a queste imprese di operare: la necessità di evitare che le informazioni siano disponibili al pubblico, perché altrimenti le imprese produttrici di informazioni non otterrebbero una remunerazione pari al prezzo che i potenziali prenditori sono disposti a pagare; l'esigenza che sia garantita l'affidabilità delle informazioni. La teoria della asimmetria informativa postula che l'impresa produttrice di informazioni sia coinvolta nell'attività di intermediazione; in tal modo da una parte l'impresa non renderebbe di pubblico dominio le informazioni, che diventerebbero elementi del rendimento del proprio portafoglio, dall'altra la credibilità si avrebbe sia per l'interesse al rendimento, sia per aver investito una parte del proprio capitale nell'attività di intermediazione.
Esistono pertanto costi significativi e non facilmente eliminabili nel rapporto tra chi concede finanziamenti e chi decide le forme di impiego. Il ruolo e la rilevanza degli intermediari rispetto ai mercati acquistano una giustificazione che differisce in modo sostanziale da quelle proposte dalla teoria tradizionale. Con questo approccio vengono messe in evidenza le difficoltà e l'importanza del processo di trasferimento delle informazioni dall'impresa a coloro che offrono fondi.
Un approccio diverso ma complementare rispetto al precedente (concernente principalmente le banche) considera che l'intermediazione rappresenta un meccanismo nel quale si stabilisce una relazione di lunga durata tra banca e impresa; quest'ultima non è disposta a rendere di pubblico dominio molte informazioni cruciali, per non favorire i concorrenti, come se dovesse finanziarsi in borsa. Mantenere riservate le informazioni è possibile instaurando un rapporto fiduciario con un intermediario che faccia fronte alla molteplicità delle esigenze dell'impresa stessa. Il carattere particolare degli intermediari finanziari rispetto al mercato risiede non solo nella loro abilità di diversificare il rischio, ma anche nella capacità di ricavare profitti attraverso relazioni esclusive e di lungo termine con le imprese.
L'acquisizione delle informazioni e il monitoraggio dell'impresa sono attività costose; le informazioni sulle imprese possono essere ottenute soltanto attraverso un rapporto continuo e consolidato nel tempo. Le attività legate a tale rapporto comprendono il vaglio del merito di credito, la valutazione dei piani finanziari relativi ai nuovi investimenti e un'attività di monitoraggio costante, che deriva dall'intreccio dei rapporti finanziari tra impresa e intermediario.
Gli intermediari investono risorse in questa attività solo se possono ricavarne un adeguato profitto; d'altra parte si possono conseguire profitti solo se l'impresa mantiene per un certo periodo una relazione esclusiva con una banca. In questa prospettiva le banche rivestono un ruolo indispensabile, in quanto sono in grado di stabilire efficacemente un legame con le imprese per un certo periodo di tempo. Le imprese che nel tempo si rivelano essere buoni clienti possono risultare svantaggiate dal dover pagare tassi di interesse più elevati di quanto sarebbe teoricamente possibile; tuttavia una relativa stabilità dei rapporti costituisce l'unico modo per spingere le banche a intraprendere l'attività di monitoraggio, che favorisce e sollecita al contempo la realizzazione di investimenti di lungo periodo. Si producono così benefici, in termini di efficienza, per l'economia nel suo insieme, malgrado l'apparente aspetto anticoncorrenziale dei legami di lungo periodo tra imprese e banche.
Negli anni cinquanta gli intermediari finanziari non bancari si sono sviluppati, soprattutto negli Stati Uniti, con un ritmo molto intenso; nel decennio successivo la situazione è andata progressivamente modificandosi. In primo luogo gli intermediari non bancari mostrarono difficoltà ad adattarsi ai mutamenti della politica monetaria, data la tendenza a presentare strutture rigide dell'attivo. Quest'ultimo era costituito soprattutto da titoli a lungo termine, il cui tasso medio di rendimento era condizionato dalla situazione del mercato al momento della loro contrattazione. Questa circostanza si manifestò con particolare evidenza nella fase di ciclo monetario restrittivo della metà degli anni sessanta. Dal momento che i tassi sui titoli indiretti seguivano con ritardo e solo in parte la tendenza al rialzo, si determinò un deflusso di fondi da questa forma di investimento.
Un'altra circostanza che nello stesso periodo contribuì a modificare la struttura dei mercati finanziari è rappresentata dai cambiamenti nell'attività creditizia, tesi a superare i rigidi criteri di specializzazione del credito affermatisi con la crisi finanziaria degli anni trenta: gli istituti di credito manifestarono una propensione crescente verso la domanda di depositi a tempo, per poter accrescere l'attività sul medio termine. Inoltre le banche, spinte a recuperare margini di competitività e di redditività, introdussero sul mercato attività e passività contraddistinte da un elevato contenuto innovativo; ciò consentì loro di accrescere la quota di risparmio intermediata con riflessi positivi sul livello dei profitti.
A partire dagli anni settanta i sistemi finanziari dei principali paesi industrializzati sono stati interessati da cambiamenti notevoli, in larga misura connessi con lo sviluppo dei sistemi economici. Anche se è difficile stabilire nessi causali univoci fra trasformazioni nel settore dell'economia reale e innovazione finanziaria, quest'ultima è stata determinata soprattutto: dall'esigenza di coprire il rischio di mercato dovuto all'accresciuta volatilità dei prezzi, dei tassi di interesse e dei cambi; da una maggiore domanda di liquidità dovuta al costo di detenzione di scorte liquide in un periodo di inflazione elevata e di tassi di interesse in aumento; dal rischio del credito, accresciuto dalla crisi di alcuni settori produttivi, ovvero di alcuni paesi, in particolare di quelli in via di sviluppo.
Per rispondere a queste esigenze sono stati creati strumenti e istituzioni in grado di effettuare arbitraggi e di controllare il rischio mediante una gestione efficiente dei portafogli. L'innovazione finanziaria è stata agevolata anche dalla creazione di mercati integrati e contigui e dalla diffusione delle informazioni con l'impiego di nuove tecnologie.Il superamento della segmentazione nazionale dei mercati finanziari, il confronto dei sistemi normativi e delle tecniche operative, l'accentuato clima di concorrenza tra intermediari hanno imposto una riflessione generalizzata sull'adeguatezza dell'assetto giuridico e organizzativo dell'industria dei servizi finanziari e sull'opportunità di creare più articolate configurazioni del settore. Le riforme che ne sono scaturite, anche se realizzate con modalità differenti in relazione alle peculiarità di ciascun sistema nazionale, hanno contribuito ad attenuare molti aspetti della tradizionale distinzione tra le strutture finanziarie di tipo anglosassone (orientate al mercato) e quelle di tipo continentale (orientate agli intermediari), accrescendo presso queste ultime il rilievo del mercato nel processo di allocazione delle risorse.Il processo di avvicinamento dei sistemi ha investito gli stessi modelli di supervisione pubblica, favorendone l'introduzione anche in ordinamenti in cui i controlli assumono per tradizione forme di autoregolamentazione; è emblematico il caso del Regno Unito, dove, pur mantenendosi lo spazio per una disciplina di autoregolamentazione, è stato istituito il Securities Investment Board, organo preposto alla supervisione sul mercato mobiliare.
Gli intermediari finanziari possono essere suddivisi in tre categorie: di deposito, di investimento e di tipo contrattuale. Nella prima categoria le banche ordinarie assumono una posizione dominante; nella seconda la tipologia più diffusa è costituita dai fondi comuni di investimento; infine, nell'ultima categoria, le imprese di assicurazione detengono la posizione centrale. Tuttavia il processo di innovazione finanziaria, il progresso tecnologico e il tentativo degli operatori economici di congegnare meccanismi sempre più flessibili ed efficienti hanno gradualmente sfumato i confini tra le differenti categorie (v. Padoa-Schioppa, 1988).
A tutto ciò hanno contribuito varie innovazioni: dallo sviluppo di tipologie contrattuali complesse, alla dissociazione di alcune componenti di rischio dal contratto principale, all'estensione della negoziabilità, alla globalizzazione dei mercati finanziari. Pertanto il modo tradizionale di suddividere il settore finanziario in tre comparti corrispondenti alle forme contrattuali di base non è più adeguato, poiché esso trascura i nuovi collegamenti fra contratti, istituzioni e mercati che caratterizzano il sistema finanziario attuale. Venuta meno l'identificazione delle funzioni con le forme contrattuali di base, si possono distinguere due tipi di attività che sono a un tempo chiaramente identificabili ed essenziali per l'ordinato funzionamento del mercato: il market making e l'investimento delegato.
Per quanto riguarda la prima attività, si ricorda che l'efficienza del mercato mobiliare dipende, in primo luogo, soprattutto dalla capacità del sistema dei prezzi di inviare segnali appropriati a tutti gli operatori. Pertanto gli operatori specializzati svolgono una funzione determinante, perché forniscono al sistema finanziario l'esperienza professionale necessaria a stabilire il giusto prezzo delle attività trattate, facilitando in tal modo l'esecuzione delle transazioni da parte degli investitori. Tuttavia questi operatori, pur essendo essenziali al funzionamento del mercato dei capitali, non sono intermediari nello stesso senso delle banche: essi contribuiscono all'efficienza complessiva del meccanismo di formazione dei prezzi, ma non ricevono dai prestatori finali di fondi un mandato a compiere la selezione degli strumenti finanziari o quella dei prenditori finali.
L'investimento per delega si riscontra nell'attività di diverse categorie di istituzioni finanziarie, la cui funzione non è assicurare la continuità degli scambi e quindi ridurre la variabilità dei prezzi, ma selezionare un portafoglio di attività, in modo da massimizzarne il tasso di rendimento per un dato livello di rischio. La figura principale di questa categoria è la banca, cui i depositanti 'delegano' la scelta del modo di impiego dei fondi depositati, confidando nella capacità del banchiere di valutare la solvibilità dei debitori. I fondi comuni, i fondi pensione e le società di gestione di patrimoni mobiliari rispondono alla stessa logica economica cui si ispira l'attività bancaria e, come la banca, sfruttano le possibilità di diversificazione del rischio offerte da grandi portafogli. Più in generale tutte le istituzioni che raccolgono fondi allo scopo di impiegarli discrezionalmente ottengono un potere delegato d'investimento analogo a quello delle banche. Esse costituiscono un veicolo verso gli usi più redditizi offerti dal mercato delle risorse messe a disposizione degli investitori; anche se operano con modalità e intensità diverse tali istituzioni svolgono una funzione di trasformazione che un tempo era appannaggio esclusivo dell'attività bancaria.
Sussistono differenze tra le banche e gli altri investitori delegati: l'operatività bancaria, come già indicato, implica relazioni bilaterali tra il banchiere e il debitore, mentre le altre istituzioni finanziarie investono il risparmio nel mercato dei capitali avendo riguardo non alle situazioni individuali dei prestatori di fondi, ma solo agli ammontari forniti da questi ultimi. Ne segue che il processo di raccolta delle informazioni realizzato dalla banca è più approfondito e specifico nei riguardi del debitore di quello attuato dalle altre istituzioni. Tuttavia la differenza è soprattutto di grado e riguarda meno il tipo di servizio offerto.
Le differenze tra market making e investimento delegato sono rilevanti, in quanto sono differenze concettuali, di professionalità e di rischio. Per l'operatore di mercato non ha importanza che la ricerca del giusto prezzo dei titoli di capitale renda necessaria la detenzione di un portafoglio che sia non ottimale in base alle informazioni di cui dispongono i singoli investitori. Inoltre la principale fonte di reddito per un market maker è costituita dalle commissioni, non dal rendimento del portafoglio. Per un operatore del mercato è indifferente il livello al quale i prezzi si collocano. Questa neutralità potrebbe venir meno se egli agisse anche da investitore, per proprio conto o per conto della clientela, perché in tal caso sarebbe vincolato a scegliere una composizione del portafoglio che assicuri, in ogni momento, la migliore combinazione di rischio e rendimenti.
Anche se una netta differenziazione tra istituzioni impegnate nel market making e nell'investimento per delega è difficile, tuttavia la distinzione agevola la comprensione dei mutamenti che hanno interessato il sistema finanziario e ha un immediato effetto per quanto concerne la regolamentazione.
In primo luogo la regolamentazione persegue l'obiettivo di assicurare la stabilità degli intermediari con i vincoli di minimizzare i costi della supervisione e di non favorire alcuna delle categorie sottoposte a controllo. In secondo luogo, poiché i sistemi finanziari, nello svolgere il compito di trasmettere i fondi dalle unità in avanzo a quelle in disavanzo, presentano inefficienze, soprattutto nella produzione e nella distribuzione delle informazioni, altro compito della regolamentazione è quello di disciplinare il comportamento degli operatori e le procedure per agevolare l'incontro della domanda e dell'offerta di fondi. Le misure del primo tipo, dirette a ridurre il rischio di crisi di fiducia del pubblico nella solvibilità degli intermediari finanziari, costituiscono quella che è definita la regolamentazione prudenziale. Per quanto riguarda, invece, il secondo aspetto (ridurre l'inefficienza), i controlli, attraverso procedure operative, obblighi di informazione, modalità contrattuali, rispondono all'esigenza di: contenere le frodi nei confronti degli investitori; migliorare la rappresentazione delle situazioni che possono influenzare le decisioni di investimento; ridurre le manipolazioni dei prezzi dei titoli. Questo complesso di interventi rappresenta la regolamentazione della trasparenza.
L'impostazione dei modi in cui esercitare la vigilanza risente dell'evoluzione del sistema finanziario. Fino a quando questo era articolato in modo netto in comparti (assicurativo, bancario e mobiliare), anche la regolamentazione si indirizzava specificamente alla singola attività, con modeste forme di collegamento e coordinamento. Da quando le diverse forme dell'attività finanziaria hanno perso la propria individualità, anche la regolamentazione ha smesso di essere articolata per comparti e ha fatto registrare uno sviluppo che ha privilegiato, a seconda delle circostanze, le funzioni, le istituzioni o gli obiettivi.
Il primo approccio prende in considerazione il servizio o il prodotto finanziario offerto; ciascuna funzione è oggetto di una specifica azione di controllo, indipendentemente dall'intermediario che la svolge. Questa impostazione tende a privilegiare, in una realtà fatta di mercati fortemente integrati, un aspetto dell'operatività degli intermediari piuttosto che l'attività nella sua dimensione più ampia. Si deve, però, osservare che il soffermarsi su specifiche funzioni degli intermediari non coglie l'essenza della vigilanza che, in ultima analisi, deve preoccuparsi della stabilità degli intermediari. Infatti ciò che conta ai fini del controllo non è tanto che una singola funzione esercitata presenti problemi, ma se l'operatore sia in grado di stare stabilmente sul mercato assolvendo i suoi compiti nei confronti degli investitori. L'approccio di tipo istituzionale ha per oggetto il controllo di specifiche categorie di istituzioni esercitato da singole autorità di vigilanza. Questa impostazione, molto valida per i paesi in cui un tipo di intermediario riveste un ruolo dominante nella intermediazione finanziaria (ad esempio in Germania le banche), mostra alcuni limiti allorché le attività dei diversi enti tendono a sovrapporsi (l'attività di intermediazione mobiliare può essere svolta da diverse categorie di istituzioni). In questo caso si avranno regolamentazioni differenti per operazioni della stessa natura eseguite da intermediari diversi. Questa differenziazione potrebbe influire negativamente sulle condizioni di concorrenza tra intermediari.Infine la supervisione può essere realizzata ripartendo le responsabilità e gli strumenti di controllo secondo gli obiettivi di trasparenza dei mercati e di stabilità del sistema finanziario. Questa impostazione risulta la più consona a un settore finanziario che presenti caratteristiche di complessità e di integrazione elevate; ciò non esclude che permangano problemi sia per quanto riguarda le regole di condotta (vigilanza della trasparenza) e i controlli prudenziali (vigilanza della stabilità), sia per quanto concerne l'effettiva divisibilità delle diverse forme di controllo.
In particolare, con riferimento alle regole di condotta, la regolamentazione delle informazioni fornite agli investitori non costituisce necessariamente lo strumento più idoneo per controllare le frodi; la legge ordinaria è in grado di reprimere più efficacemente comportamenti dolosi. Il controllo della qualità delle informazioni può essere realizzato anche da organismi privati. Per quanto riguarda la regolamentazione prudenziale, la divisione per obiettivi pone la questione di definire il concetto di investimento per delega, in modo da circoscrivere il campo di applicazione dei controlli. In altri termini occorre individuare intermediari che hanno la possibilità o meno di allocare e trasformare fondi per conto dei depositanti o degli investitori.
Più in generale stabilità e trasparenza, specialmente nella pratica, risultano difficilmente divisibili. Alla base delle situazioni di instabilità degli intermediari si rinvengono, di norma, frodi, false comunicazioni, manipolazioni di titoli a danno dei risparmiatori. Nonostante ciò le modalità di esercizio della vigilanza spingono a tenere distinte le autorità responsabili della trasparenza da quelle preposte alla stabilità. Infatti, per perseguire quest'ultimo obiettivo e preservare, quindi, la fiducia del pubblico, le autorità di controllo, di norma, ritengono opportuno operare con riservatezza nella gestione delle informazioni e con discrezionalità negli interventi. Al contrario, per quanto concerne la vigilanza sulla trasparenza, può essere prioritario assicurare la completezza delle informazioni disponibili al pubblico.
La legge bancaria del 1936 dichiarò la raccolta del risparmio sotto ogni forma e l'esercizio del credito funzioni di interesse pubblico. In tal modo furono consentiti la disciplina e il controllo per tutte le forme di intermediazione finanziaria e non solo per le banche e gli altri istituti di credito. Le norme della legge bancaria hanno consentito un periodo di notevole stabilità, se confrontato con quanto era accaduto in precedenza; questa stabilità si è registrata in anni in cui l'economia reale è stata sottoposta a disturbi notevoli, superiori a quelli del passato, specialmente per quanto riguarda l'oscillazione dei tassi di interesse e le variazioni dei prezzi. La tutela del risparmio trova la sua motivazione economica non solo nella prevenzione dell'instabilità, ma anche nel favore accordato agli investimenti, quale condizione per la crescita del sistema economico.
Ogni investimento finanziario, dal deposito bancario all'acquisto di azioni, presenta, anche se in misura diversa, un rischio. La tutela del risparmio, che non va identificata con il garantismo, risulta necessaria per ridurre il rischio. Per questo motivo, sia pure con intensità e modalità differenti, la tutela è stata estesa per coprire forme nuove di sollecitazione organizzata del pubblico risparmio, in una visione unitaria del processo di creazione e circolazione della ricchezza finanziaria, avendo riguardo alla stabilità globale del sistema di intermediazione e dell'economia.Il processo innovativo ha trovato in Italia, al suo avvio, un ordinamento giuridico incapace di valorizzarne interamente le energie e di scoraggiare i fenomeni patologici: un difetto imputabile, in verità, non solo all'ordinamento positivo, ma alla stessa letteratura giuridica, che, pur avvertendo la necessità di disciplinare le nuove forme di intermediazione finanziaria, propose strumenti in larga misura inadatti al fenomeno che ci si riprometteva di regolare.In generale si cercò di portare ordine nella nuova finanza vietando, di fatto, la creazione di valori mobiliari che non avessero già ricevuto una tipizzazione legislativa. Questa impostazione non solo non consentiva lo sviluppo di prodotti e intermediari nuovi, ma contrastava con il principio dell'autonomia privata e della libertà di creazione dei titoli di credito, non offrendo, per contro, alcuna effettiva tutela del risparmio interessato dalle nuove forme di intermediazione finanziaria (v. Costi, 1988).
Una possibile raison d'être della regolamentazione è stata individuata nella considerazione che il risparmiatore viene visto come un contraente debole e inconsapevole. Sebbene non sia spiegato perché il risparmiatore debba essere considerato un soggetto debole quando investe in attività finanziarie, e non quando investe in attività reali (case, imprese produttive), conseguenza di questa interpretazione è la tipicità degli strumenti. Ciò equivale a definire per legge: le caratteristiche che debbono presentare le attività e le passività finanziarie; la costituzione, la regolamentazione e il controllo degli intermediari specializzati; l'esclusività dei mercati, nel senso dell'obbligo di far passare specifiche transazioni attraverso determinati luoghi o intermediari.
Più attenta ai profili economici del processo di innovazione finanziaria, ma non per questo capace di offrire un criterio sufficiente per disciplinarla, era la tesi basata sul principio della trasparenza delle operazioni e degli intermediari, contrapposta a quella basata sul principio della supervisione di tipo autorizzativo. Il primo principio è tipico della cultura finanziaria anglosassone, mentre il secondo è a fondamento degli orientamenti finanziari dell'Europa continentale. L'uno è alla base della disciplina del mercato creditizio, l'altro è alla base della disciplina statunitense del mercato e degli intermediari mobiliari. Coloro che vogliono ridurre al minimo la regolamentazione presuppongono che il risparmiatore sia un operatore consapevole; pertanto chiedono che: le attività non siano tipizzate dalla legge e si modifichino secondo le necessità e le preferenze; gli intermediari non siano rigidamente disciplinati e possano trasformarsi; i mercati tendano a essere aperti a residenti e a non residenti, a persone fisiche e giuridiche. Secondo questa impostazione 'liberistica' un intermediario va sottoposto a vigilanza prudenziale: quando può emettere passività che sono sostitutive della moneta bancaria (o deposito); quando ha una particolare rilevanza sociale (ad esempio i fondi pensione, perché il risparmio di una vita lavorativa non può essere esposto al rischio di una gestione imprudente); infine quando può emettere passività che eccedono il limite del capitale. 8. Alcune caratteristiche del sistema finanziario italiano.
L'evoluzione del sistema finanziario italiano, pur inquadrandosi nelle tendenze di fondo emerse a livello internazionale, presenta elementi peculiari che possono ricondursi all'ampiezza dell'ammodernamento ritenuto necessario per innalzare il grado di efficienza allocativa e tecnico-operativa della struttura finanziaria.
Nel corso dell'ultimo decennio interventi di carattere legislativo e amministrativo hanno investito con pari intensità tanto l'area degli intermediari creditizi quanto quella del mercato mobiliare, nell'intento di ricondurre lo svolgimento dell'attività finanziaria entro 'regole di mercato'. Gli interventi sono stati rivolti: a riaffermare principî di imprenditorialità nelle gestioni aziendali e di selettività nell'assegnazione delle risorse; ad accrescere la concorrenza nei mercati e tra i mercati; ad arricchire le strutture finanziarie attraverso la valorizzazione del mercato azionario, rimuovendo i fattori istituzionali che nel tempo lo avevano confinato in una dimensione marginale rispetto all'intermediazione bancaria.Il processo di regolamentazione del mercato prende l'avvio con la legge n. 216 del 1974, con la quale l'obiettivo di favorire la canalizzazione del risparmio familiare verso le imprese viene perseguito, da un lato, mediante la disciplina di nuovi strumenti finanziari (obbligazioni convertibili e azioni di risparmio) e, dall'altro, mediante l'istituzione della CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), alla quale sono affidati determinati poteri concernenti il funzionamento delle borse, l'ammissione alla quotazione e l'informativa che le società quotate devono rendere al pubblico. La tutela del risparmio si qualifica in funzione di due obiettivi distinti anche se fra loro coordinati: il corretto funzionamento del mercato e la trasparenza nei rapporti diretti fra risparmiatori e prenditori di fondi. Una importante tappa del processo di disciplina del mercato è costituita dalla legge n. 281 del 1985 che ridefinisce l'assetto organizzativo della CONSOB e ne precisa i poteri conoscitivi e di intervento, soprattutto per ciò che riguarda le società quotate e l'identificazione dei soci di queste ultime. L'esigenza di non limitare alle sole reazioni del mercato basate sulla diffusione di dati e notizie la tutela del risparmiatore, ma di guardare anche agli intermediari e al grado di rischio della loro attività, viene soddisfatta dalla legge n. 77 del 1983, istitutiva dei fondi comuni di investimento mobiliare, che introduce una griglia di vincoli e di limiti diretti a preservare la stabilità degli operatori. Nasce un sistema di controlli affidati a diverse autorità.
Sotto il profilo del mercato ulteriori previsioni della legge n. 77 riguardano la sollecitazione del pubblico risparmio, con l'obbligo di comunicazione preventiva alla CONSOB e di prospettazione, nonché l'estensione a tutta la gamma dei valori mobiliari dei contratti all'emissione, precedentemente circoscritti alle operazioni concernenti i titoli cosiddetti 'tipici' (azioni e obbligazioni) e quelli destinati alla quotazione in borsa.
La legge n. 1 del 2 gennaio 1991 e i relativi decreti di attuazione hanno coordinato in un unico corpo normativo la disciplina dell'intermediazione mobiliare. La scelta di riservare lo svolgimento dell'attività di intermediazione mobiliare a soggetti che possono anche essere di tipo polifunzionale - le società di intermediazione mobiliare (SIM) - ha richiesto disposizioni volte ad assicurarne la stabilità patrimoniale e a regolare anche le situazioni di conflitto di interessi. La normativa in questione rappresenta un momento fondamentale per lo sviluppo del nostro sistema mobiliare; i principî che la ispirano costituiscono il presupposto per garantire un mercato in cui liquidità e prontezza nel riflettere i mutamenti di aspettative degli operatori concorrono a rafforzare la fiducia degli investitori, assicurando loro la possibilità di negoziare attività finanziarie con certezza di rapporti e con livelli di rischiosità determinati dai soli fattori intrinseci al mercato. L'esperienza maturata nel controllo sugli intermediari creditizi ha suggerito un sistema di vigilanza prudenziale basato su coefficienti patrimoniali a fronte di rischi specifici dell'attività e di quelli di liquidità e di concentrazione. Nel complesso la legge disciplina, in una visione unitaria e organica dell'intermediazione in valori mobiliari, il mercato, le attività e gli intermediari.
Con riguardo al mercato è stato introdotto il principio della concentrazione degli scambi in borsa: le operazioni di compravendita di titoli quotati nei mercati regolamentati, con esclusione dei titoli di Stato e garantiti dallo Stato, devono transitare obbligatoriamente per il mercato. La disciplina dell'attività riguarda, in una visione globale, ogni fattispecie di intermediazione in valori mobiliari esercitata in forma di impresa. Con l'introduzione di una definizione di tale attività sono state eliminate le incertezze giuridiche che in passato hanno reso possibili iniziative sottratte a qualsivoglia regolamentazione, che ostacolavano l'ordinato funzionamento del mercato e, a volte, comportavano danni diretti ai risparmiatori. Per la tutela dei risparmiatori dal conflitto di interessi si è fatto riferimento alle regole di organizzazione sviluppate in altri ordinamenti. Il sistema degli intermediari è incardinato su nuovi operatori specializzati (le società di intermediazione mobiliare) e sulle banche.I compiti di supervisione sono stati attribuiti alla CONSOB e alla Banca d'Italia, in ragione delle finalità (trasparenza e stabilità) dei controlli e delle funzioni istituzionalmente svolte dai due organi nel contesto disciplinare dei mercati finanziari. Forme di coordinamento istituzionale garantiscono unitarietà di approccio nella fase normativa; momenti di raccordo operativo prevengono duplicazioni nell'esercizio delle attività di ciascuno dei due enti e concorrono ad aumentare l'efficacia dell'azione di vigilanza, nel rispetto del confine che demarca le rispettive responsabilità.
Da un esame più analitico della normativa si rileva che la legge, prevedendo che il nuovo soggetto (SIM) sia abilitato a compiere tutta la gamma di attività in valori mobiliari (negoziazione per conto proprio e/o di terzi, collocamento, gestione di patrimoni mobiliari, raccolta di ordini di acquisto o di vendita, consulenza, sollecitazione del pubblico risparmio effettuata a domicilio), ha inteso rispondere sia all'esigenza di sfruttare le economie di scala, ottimizzando la gestione aziendale, sia a quella di costituire intermediari simili a quelli operanti nei principali mercati esteri, i quali sono in grado di offrire ai risparmiatori l'intero ventaglio dei servizi di investimento.
La stabilità degli intermediari, la trasparenza del mercato e la salvaguardia della correttezza operativa sono gli elementi rilevanti ai fini della tutela del risparmiatore, che viene considerata indispensabile per la formazione e il funzionamento del mercato. La stabilità viene presa in considerazione sin dal momento della costituzione della SIM. Il requisito del capitale minimo, variabile in ragione dell'estensione dell'operatività, è stato stabilito per assicurare un'operatività di lungo periodo sul mercato. Per lo svolgimento dell'attività, le società di intermediazione devono presentare un grado di patrimonializzazione adeguato al valore e al tipo delle operazioni effettuate. Più in particolare, la metodologia seguita nella definizione dei coefficienti minimi di patrimonio si basa sulla misurazione delle varie categorie di rischio proprie dell'attività esercitata. Il patrimonio complessivo dell'intermediario deve essere almeno pari alla somma delle singole dotazioni patrimoniali necessarie per fronteggiare ciascuna tipologia di rischio singolarmente considerato.
La legge istitutiva dei fondi comuni ha rappresentato il primo provvedimento per la costituzione di intermediari non creditizi specializzati nella gestione del risparmio; il legislatore si è posto come obiettivo anche quello di favorire l'accesso di numerosi risparmiatori alla proprietà azionaria. Infatti, peculiare campo di intermediazione è anche la fornitura di risorse finanziarie alle imprese, mediante l'acquisto delle azioni e delle obbligazioni da queste ultime emesse. Per effettuare questi investimenti, la raccolta di capitali avviene collocando presso i risparmiatori, in contropartita delle disponibilità ottenute, titoli rappresentativi dell'insieme degli impieghi effettuati, che vengono denominati 'certificati'.
Le caratteristiche principali di questa forma di intermediazione sono la gestione professionale dei capitali (i gestori del fondo sono normalmente dotati di requisiti di notevole professionalità e conoscenza del mercato) e la riduzione del rischio (i gestori del fondo, disponendo di un notevole quantitativo di risorse da impiegare, possono diversificare gli investimenti, sottoscrivendo titoli emessi da società appartenenti a settori diversi, contenendo in tal modo i rischi connessi con eventuali crisi di settore). Accanto a una diversificazione economica, il fondo attua anche una ripartizione dei rischi di natura finanziaria, investendo solo una percentuale delle somme disponibili in titoli emessi da una sola società. Infine, ripartendo gli investimenti fra titoli a reddito fisso e titoli a reddito variabile, si persegue anche una ripartizione di tipo giuridico.
Sotto il profilo organizzativo il nucleo operativo è costituito dalle società di gestione e dalla banca depositaria; quest'ultima occupa una posizione strategica nel rapporto tra la società di gestione e i partecipanti al fondo, essendo un 'terzo' con particolari funzioni di garanzia, in quanto deve non solo contabilizzare le negoziazioni e custodire l'intero attivo netto del fondo (titoli e contante), ma anche accertarsi che le operazioni eseguite rispondano agli obblighi di legge e di regolamento. Un controllo ex post, quale quello previsto dalla legge, anche se garantisce parzialmente i partecipanti, non pregiudica la snellezza operativa degli operatori, come sarebbe accaduto con un sistema di controlli ex ante.
La normativa che regola i fondi comuni è diretta a offrire le maggiori garanzie sotto il profilo del controllo pubblico e dell'informazione assicurata ai risparmiatori. La vigilanza viene esercitata da diversi enti e istituzioni, la cui finalità è garantire sia la stabilità patrimoniale degli enti, sia la correttezza della gestione. Per quanto riguarda l'informazione, la sollecitazione del pubblico risparmio deve essere effettuata in modo da rispettare regole formali di trasparenza che tendono a garantire il sottoscrittore rispetto alle iniziali proposte; inoltre è prevista una serie ampia e articolata di informazioni che consente al risparmiatore di valutare prontamente l'andamento dell'investimento.
La disciplina dei fondi comuni di investimento mobiliare chiusi istituisce un intermediario con caratteristiche di investitore istituzionale specializzato in capitale di rischio di imprese non quotate. Si tratta di una figura che va a inserirsi in un comparto di mercato in cui già operano altri intermediari con caratteristiche almeno parzialmente differenti. Allo stesso tipo di operazioni e al medesimo mercato sono infatti interessati anche le merchant banks - quale che sia la loro origine, bancaria o non -, le società di venture capital indipendenti e quelle appartenenti a gruppi industriali e finanziari, le società finanziarie regionali e, sia pure marginalmente, anche i fondi aperti, che possono investire una quota del proprio patrimonio in titoli non quotati.
Le differenze tra gli operatori citati esistono e sono importanti. Le merchant banks, soprattutto se di origine bancaria, presentano importanti limitazioni sulla percentuale di capitale delle imprese partecipande che sono in grado di assumere, mentre i fondi hanno una più ampia libertà. Inoltre le prime possono attingere anche al finanziamento di terzi per fronteggiare i propri investimenti, mentre i fondi chiusi, per definizione, possono funzionare solo con il proprio patrimonio. Infine per le merchant banks l'assunzione di partecipazioni è solo una delle attività che svolgono nei confronti delle imprese, potendo anche collocare titoli sul mercato, mentre per i fondi chiusi trattasi di attività esclusiva.
Le differenze rispetto ai fondi aperti sono evidenti; la diversa funzione istituzionale di questi ultimi li ha portati nel concreto a utilizzare in misura contenuta la potenzialità operativa nel settore dei titoli non quotati. Le finanziarie regionali, infine, sono sempre state un comparto ispirato a interventi finalizzati al rafforzamento economico del territorio, piuttosto che alla massimizzazione del rendimento degli investimenti. Inoltre nessuna delle istituzioni esistenti è di fatto in grado di mettere a disposizione del pubblico uno strumento di investimento professionale e specializzato nel comparto delle partecipazioni in aziende non quotate.
L'aspetto caratteristico identificabile nell'istituzione dei fondi chiusi è costituito dal fatto che questi intermediari aprono la strada all'investimento non istituzionale in una vasta gamma di imprese che, non essendo quotate, non si presterebbero altrimenti alla raccolta diretta di capitale azionario e obbligazionario. La presenza dei fondi chiusi contribuisce, sia pure marginalmente, a una migliore allocazione del risparmio, riducendo i costi di transazione e di informazione e migliorando la capacità del sistema di selezionare gli investimenti più redditizi. Tuttavia, anche sulla base delle esperienze dei paesi in cui i fondi chiusi hanno una presenza significativa, si tratta pur sempre, nel totale del portafoglio finanziario del pubblico (famiglie e imprese), di una quota minima in termini percentuali e rappresentante una diversificazione piuttosto che un investimento primario.
Il legame inscindibile tra funzionalità del mercato e disponibilità dell'informazione trova riconoscimento e tutela nella legge n. 197 del 1991, che vieta l'utilizzo di informazioni riservate (insider trading) nelle operazioni in valori mobiliari. La riforma del mercato mobiliare si è perfezionata con l'introduzione dell'obbligo di offerta pubblica di acquisto che soddisfa un triplice ordine di finalità: tutelare gli azionisti di minoranza in occasione di mutamenti nel controllo delle società; accrescere il grado di informazione sul mercato attraverso la segnalazione del valore effettivo attribuito all'impresa; introdurre un sistema di trasferimento della proprietà delle imprese quotate.
La disciplina del settore è stata completata dai decreti di recepimento delle direttive comunitarie in materia di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari. Si è avuto un arricchimento della tipologia degli intermediari, attraverso l'introduzione delle società di investimento a capitale variabile e la possibilità di sottoscrizione di quote dei fondi comuni da parte delle imprese. La legge n. 197 del 1991, infine, costituisce una norma di chiusura, prevedendo forme diversificate di controllo sugli intermediari non bancari la cui attività non sia sottoposta a vigilanza. I controlli vanno dal semplice censimento alla sottoposizione di taluni intermediari a forme di supervisione di tipo bancario. (V. anche Banca e sistema bancario; Borsa; Credito; Finanziari, mercati; Mercato; Moneta; Politica economica e finanziaria; Risparmio; Titoli di credito).
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