Interpretazione giuridica
L'interpretazione giuridica è un caso particolare di un'attività che ricorre in diverse discipline scientifiche e in numerosi contesti della vita quotidiana: l'interpretazione. Il termine 'interpretazione' è ambiguo e ha quindi bisogno di essere a sua volta interpretato.
È opportuno distinguere tra l'interpretazione in senso amplissimo (largissimo sensu), in senso lato (sensu largo) e in senso stretto (sensu stricto) (v. Wróblewski, 1979, pp. 75 s.).
L'interpretazione in senso amplissimo indica la comprensione del significato di tutti gli oggetti prodotti da soggetti capaci di attribuire un significato a tali oggetti. La gamma degli oggetti possibili comprende quindi le opere d'arte, i testi religiosi e scientifici, gli strumenti, le azioni e le espressioni della vita d'ogni giorno. Non è necessario che l'oggetto dell'interpretazione sia creato da un unico soggetto. È possibile anche che sia stato prodotto da più soggetti. Così una prassi comune, un'istituzione sociale o un sistema giuridico nel suo complesso possono essere oggetto di interpretazione. È controverso se anche la cosiddetta autointerpretazione si debba definire 'interpretazione' (contro questa tesi v. Betti, 1955, pp. 243 ss.). In questo caso infatti l'interprete non è solo oggetto di interpretazione ma anche soggetto che produce quest'oggetto, e l'interpretare è parte del processo attraverso il quale viene creato l'oggetto dell'interpretazione. Se tali attività e le loro radicalizzazioni ontologico-esistenziali (v. Heidegger, 1967¹¹, pp. 148 ss.) vadano definite anch'esse 'interpretazione' è una questione in ultima analisi di carattere terminologico. Decisivo è che di fatto queste ultime vengano distinte dall'interpretazione intesa come comprensione di un oggetto prodotto da altri. Prescindendo dall'interpretazione delle norme data dal legislatore (interpretazione autentica), l'interpretazione giuridica appartiene esclusivamente a quest'ultimo tipo. Rimane infine controverso se l'oggetto dell'interpretazione debba essere effettivamente prodotto da un soggetto capace di attribuire un significato a quell'oggetto o se sia sufficiente che l'interprete abbia tale opinione. In questo caso è consentito definire 'interpretazione' anche la visione della natura come messaggio di un essere occulto. Ciò costituisce tuttavia una soggettivizzazione del concetto di interpretazione e desta quindi diverse perplessità (v. Betti, 1955, pp. 100 ss.). Nell'interpretazione giuridica tale problema non si pone, perché essa consiste sempre nella spiegazione di azioni ed espressioni che sono state prodotte da soggetti capaci di attribuire un significato alle proprie azioni ed espressioni.
L'interpretazione in senso lato è un caso particolare dell'interpretazione in senso amplissimo. Essa non si riferisce alla comprensione di qualsiasi oggetto cui è attribuito un significato, ma solo alla comprensione di espressioni linguistiche. In ambito scientifico si tratta essenzialmente della comprensione di testi. Esistono numerose situazioni in cui le espressioni linguistiche vengono comprese senza che affiorino dubbi o perplessità. In questi casi si può parlare di una 'comprensione immediata'. Se invece affiorano dubbi o perplessità, allora è possibile una comprensione solo se questi vengono risolti. Si tratta in questo caso di una 'comprensione mediata'. Un esempio della comprensione immediata è il caso in cui qualcuno vede un cartello con la scritta 'vietato fumare' e di conseguenza spegne la sua sigaretta. Esempi della comprensione mediata sono tutti i casi in cui i giudici considerano i diversi significati possibili di una norma e, per via argomentativa, decidono per uno di essi. Il concetto di interpretazione in senso lato include sia la comprensione immediata che quella mediata. Depone a favore dell'impiego di questo concetto ampio la flessibilità del confine tra la comprensione immediata e quella mediata, in quanto una comprensione immediata può sempre essere posta in dubbio, cosicché rimane possibile solo una comprensione mediata. Depone invece contro di esso il fatto che nonostante alcune affinità sussistono differenze fondamentali tra la comprensione immediata e quella mediata. Ciò induce a formulare un concetto di interpretazione in senso stretto che si riferisca esclusivamente alla comprensione mediata.
L'interpretazione in senso stretto è un caso particolare dell'interpretazione in senso lato. Essa si rende necessaria quando un'espressione linguistica ammette diversi significati e non è certo quale sia quello corretto. L'interpretazione in senso stretto comincia con una domanda (v. Gadamer, 1960, pp. 351 s.) e termina con una scelta tra i diversi significati possibili (v. Larenz, 1991⁶, p. 204). L'interpretazione in senso stretto è al centro del problema dell'interpretazione giuridica.
L'interpretazione giuridica si distingue dagli altri tipi di interpretazione per il suo carattere pratico e istituzionale. Essa ha un carattere pratico in quanto riguarda sempre, direttamente o indirettamente, ciò che in un sistema giuridico viene prescritto, vietato o permesso e ciò che esso autorizza. Invece che di carattere 'pratico' si può parlare anche di carattere 'normativo'.Il carattere istituzionale dell'interpretazione giuridica deriva sia dal suo oggetto che dal suo soggetto. Nelle codificazioni giuridiche moderne oggetto primario dell'interpretazione è la legge, compresa la legge costituzionale e le norme emanate secondo le leggi (per esempio decreti-legge e regolamenti). Le leggi vengono prodotte attraverso atti istituzionali, oggi in particolare attraverso deliberazioni del parlamento. È questo il fondamento della loro validità giuridica. Oltre alla legge, costituiscono ulteriori oggetti dell'interpretazione i precedenti, i contratti di diritto privato, amministrativo, pubblico e internazionale, nonché il diritto consuetudinario. Escluso il diritto consuetudinario, di scarso rilievo negli Stati moderni, anche questi oggetti dell'interpretazione sono il prodotto di atti istituzionali. Lo stesso vale per il diritto primario e secondario della Comunità Europea.
Per quanto concerne il soggetto, l'interpretazione viene distinta tradizionalmente in: interpretazione autentica, dottrinale, popolare e comune. L'interpretazione autentica è l'interpretazione fornita dagli organi autorizzati dall'ordinamento giuridico a determinare in modo vincolante il significato di una norma: il legislatore e, secondo una concezione diffusa, anche la giurisprudenza nella misura in cui questa produce in ultima istanza decisioni vincolanti e con valore di precedente. In entrambi i casi l'interpretazione ha un carattere istituzionale non solo in virtù del suo oggetto ma anche in forza del suo soggetto. L'interpretazione dottrinale è l'interpretazione data dalla dottrina giuridica. Non avendo efficacia vincolante essa non possiede carattere istituzionale, ma si può avvicinare a esso quando si forma un'opinione dominante. L'interpretazione popolare è l'interpretazione fornita dai cittadini sottoposti al diritto. L'interpretazione comune, ossia l'interpretazione di una norma tramite il diritto consuetudinario, è un caso particolare dell'interpretazione popolare. Per quel che concerne il soggetto, anch'essa è priva di carattere istituzionale. Ciò tuttavia non inficia il carattere istituzionale complessivo dell'interpretazione giuridica, poiché, qualora si giunga a un grave dissidio nell'ambito dell'interpretazione dottrinale, popolare o comune, nei sistemi giuridici moderni è prevista un'istanza che decide con effetto vincolante. Questo spiega il ruolo particolare dell'interpretazione giudiziale o giurisdizionale.
La teoria dell'interpretazione viene detta 'ermeneutica' (dal greco ἑϱμηνεύειν: esprimere, interpretare, chiarire, tradurre). Come termine tecnico questa espressione è stata introdotta solo in epoca moderna, ma di fatto l'ermeneutica esisteva già nell'antichità e nel Medioevo. Entro l'ermeneutica si deve distinguere tra una metodologia e una teoria strutturale della comprensione. Oggetto della metodologia sono le regole e l'arte dell'interpretazione (ars interpretandi). Oggetto della teoria strutturale sono le condizioni di possibilità della comprensione. Un'ermeneutica generale come base delle scienze dello spirito è stata elaborata nel XIX secolo soprattutto da Friedrich Schleiermacher e Wilhelm Dilthey. La differenza tra metodologia e teoria strutturale è rispecchiata nel XX secolo nelle opere di Emilio Betti e Hans-Georg Gadamer. L'ermeneutica delle scienze dello spirito a metà del secolo è stata aspramente criticata dalla filosofia analitica (v. Stegmüller, 1979, pp. 27 ss., e 1983², pp. 414 ss.; v. Albert, 1991⁵, pp. 160 ss.). Nel frattempo soprattutto i lavori di Georg Henrik von Wright hanno portato a un appianamento della controversia e hanno aperto la strada a un'ermeneutica analitica (v. Wright, 1971).
Per la teoria dell'interpretazione giuridica sono importanti soprattutto quegli elementi dell'ermeneutica generale che riguardano la struttura della comprensione e che sono connessi al concetto di circolo ermeneutico. Nell'ambito della giurisprudenza si devono distinguere tre tipi di circoli ermeneutici.Il primo tipo concerne il rapporto tra la cosiddetta precomprensione e il testo (v. Esser, 1970, pp. 136 ss.; più estesamente v. Heidegger, 1967¹¹, pp. 152 s.; v. Gadamer, 1960, pp. 250 ss.). Con 'precomprensione' si deve intendere un'ipotesi con cui l'interprete si accosta al testo. Questa ipotesi esprime una supposizione o un'aspettativa dell'interprete relativamente alla soluzione corretta del problema giuridico che deve essere deciso. Il contenuto della decisione viene determinato dalle esperienze personali e professionali dell'interprete. L'immagine del circolo intende indicare che tra il testo normativo e l'ipotesi interpretativa si instaura un'interazione. Da un lato, senza un'ipotesi interpretativa il testo normativo non può essere neppure percepito come problematico o non problematico. Dall'altro, l'ipotesi interpretativa deve essere verificata sulla base del testo normativo con il supporto delle regole della metodologia giuridica. In merito ai criteri di conferma e di confutazione la teoria del circolo ermeneutico non dice nulla. Essa solleva però il problema relativo al contributo costruttivo che l'interprete apporta nell'interpretazione, il che rende possibile e promuove un atteggiamento critico. Si può allora affermare che il circolo della precomprensione corrisponde al postulato della riflessione.
Il secondo tipo di circolo ermeneutico concerne il rapporto tra la parte e il tutto. Da un lato, la comprensione di una norma presuppone la comprensione del sistema normativo a cui essa appartiene. Dall'altro, la comprensione di un sistema normativo non è possibile senza che siano comprese le singole norme che appartengono a esso. Di nuovo viene solo formulato un problema, senza che siano forniti i criteri per la sua soluzione. Il problema consiste nella creazione di unità o coerenza (v. Alexy e Peczenik, 1990, pp. 130 ss.), che è compito dell'interpretazione sistematica. Il postulato che sostiene il secondo circolo può essere definito postulato della coerenza.Il terzo tipo di circolo ermeneutico concerne il rapporto tra norma e fatti. Le norme sono universali e astratte, i fatti ai quali si devono applicare sono individuali e concreti. Le norme contengono pochi tratti distintivi; quelli dei fatti sono potenzialmente infiniti. Da un lato i fatti vengono descritti con l'ausilio dei tratti distintivi contenuti nelle fattispecie delle norme, dall'altro i tratti distintivi dei fatti possono essere l'occasione per applicare non la norma presa in considerazione inizialmente, ma un'altra norma volta a precisare o a rigettare un tratto distintivo della fattispecie o ad aggiungervene un altro. A questo proposito è istruttiva la formula del 'vagare dello sguardo' coniata da Karl Engisch (v., 1963³, p. 15). Anche questo circolo si limita a illustrare un problema senza fornire un criterio per la sua soluzione. È evidente che il problema può essere risolto solo quando vengono considerati tutti i tratti distintivi del fatto e tutti i tratti distintivi consistenti nelle norme eventualmente applicabili. Il postulato su cui si basa il terzo circolo può essere detto perciò postulato della completezza.
La teoria del circolo ermeneutico non può quindi risolvere il problema dell'interpretazione corretta di una norma giuridica, perché non contiene nessun criterio sostanziale per la correttezza di una interpretazione. Ma questo non è neppure il suo fine, poiché si tratta soltanto di una teoria strutturale (v. Kaufmann, 1989⁵, p. 130). Tuttavia dalla prospettiva ermeneutica sulla struttura della comprensione emergono pur sempre i postulati della riflessione, della coerenza e della completezza. Questi postulati hanno lo status di postulati della razionalità.
Il termine 'interpretazione' può essere utilizzato per designare sia un'attività sia il risultato di questa attività. Come attività l'interpretazione non tende a un risultato qualsiasi ma a un risultato corretto: l'interpretazione corretta. Il risultato dell'interpretazione è una tesi interpretativa, e come ogni tesi, anche quella interpretativa avanza la pretesa di essere corretta (v. Alexy, 1991², pp. 264 ss. e 428 s.).
La correttezza dell'interpretazione può essere dimostrata soltanto adducendo ragioni a suo favore ed eliminando quelle contrarie. L'interpretazione è costituita quindi dalla scelta tra diverse alternative di interpretazione sulla base di argomenti. La giustificazione o la motivazione dell'interpretazione scelta mediante argomenti deve essere distinta dal processo concreto attraverso il quale si perviene al risultato. Nel primo caso si tratta del processo di giustificazione (process of justification), nel secondo del processo di scoperta (process of discovery) (v. Wasserstrom, 1961, p. 27). La giustificazione è un'attività argomentativa, la scoperta un'attività psichica. Senza dubbio esiste una stretta connessione tra le due attività, tuttavia nella teoria giuridica dell'interpretazione spetta un ruolo di primo piano alla procedura argomentativa. Solo questa è accessibile intersoggettivamente ed è perciò verificabile in modo oggettivo. Solo nel suo ambito è possibile un uso pubblico della ragione. Se con l'interpretazione viene avanzata la pretesa della correttezza e se il soddisfacimento di questa pretesa deve essere verificabile pubblicamente, allora è valido il principio: l'interpretazione è argomentazione. A esso corrisponde il fatto che nei moderni sistemi giuridici esiste normalmente l'obbligo del giudice di motivare le sentenze (v. MacCormick e Summers, 1991, pp. 60 ss. e passim), mentre nella dottrina giuridica i problemi vengono risolti considerando gli argomenti a favore e quelli contrari.
La teoria dell'interpretazione deve alla topica giuridica (v. Viehweg, 1953) e alla nuova retorica (v. Perelman e Olbrechts-Tyteca, 1958) importanti prospettive sulla struttura argomentativa dell'interpretazione giuridica. Più recentemente le dottrine dell'argomentazione e della motivazione giuridica hanno sviluppato questi approcci e ne hanno delineati dei nuovi (v. Neumann, 1986; v. Atienza, 1991). Assumono un ruolo particolare l'analisi del linguaggio della giurisprudenza e la precisazione delle regole classiche del metodo giuridico (v. Koch e Rüssmann, 1982), l'idea della coerenza (v. Dworkin, 1986; v. Peczenik, 1986) e le teorie del discorso razionale (v. Alexy, 1991²; v. Günther, 1988; v. Habermas, 1992, pp. 232 ss.). Di recente ci si è anche occupati della razionalità del diritto e della giurisprudenza (v. MacCormick, 1978, pp. 265 ss.; v. Aarnio, 1987, pp. 185 ss.). La teoria dell'argomentazione giuridica sfocia in questo modo nella filosofia del diritto, nella teoria della scienza e nella filosofia pratica generale. È difficile giudicare l'influenza di questo dibattito sulla giurisprudenza poiché mancano ricerche al riguardo. Citeremo come esempio solo una decisione della Corte costituzionale della Repubblica Federale Tedesca, nella quale si sostiene la tesi che "l'interpretazione in particolare del diritto costituzionale [ha] gli stessi caratteri del discorso" (BVerfG, sentenze vol. 82, pp. 30 (38) ).
L'interpretazione giuridica è un mezzo per assolvere il compito pratico della giurisprudenza. Questo consiste in ultima analisi nello stabilire ciò che è giuridicamente prescritto, vietato o permesso nei casi concreti. Giudizi su ciò che il diritto prescrive, vieta o permette nei casi concreti sono concreti giudizi giuridici di dovere (v. Engisch, 1963³, p. 3). L'interpretazione giuridica si attua allora nell'ambito della motivazione di questi giudizi. Ciò vale direttamente per l'interpretazione giudiziale e almeno indirettamente per le altre interpretazioni, in particolare per quelle della dottrina giuridica. Un'adeguata teoria dell'interpretazione giuridica richiede quindi un'analisi della struttura della motivazione dei concreti giudizi giuridici di dovere.
La struttura della motivazione giuridica è controversa. Secondo una concezione diffusa si deve distinguere tra un nucleo deduttivo e una giustificazione argomentativa delle premesse impiegate nella deduzione. La terminologia varia nonostante vi sia un accordo sulla sostanza. Si parla così di una distinzione tra 'giustificazione interna' ed 'esterna' (v. Wróblewski, 1974, pp. 39 ss.; v. Alexy, 1991², pp. 273 ss.), tra 'giustificazione di prim'ordine' e di 'second'ordine' (v. MacCormick, 1978, pp. 19 ss. e 100 ss.), e tra 'schema principale' e 'schemi secondari' (v. Koch e Rüssmann, 1982, pp. 48 ss.). Che cosa si intenda con ciò viene chiarito dal seguente esempio. Le costituzioni moderne contengono normalmente un diritto fondamentale all'inviolabilità del domicilio. Si supponga che nella decisione di un caso si tratti unicamente di stabilire se il laboratorio del falegname a sia tutelato da questo diritto fondamentale oppure no, e che nella letteratura e in tribunale vengano sostenute due interpretazioni diverse: una ristretta e una ampia. Secondo l'interpretazione ristretta solo i locali che costituiscono il centro della vita privata sono domicilio nel senso della costituzione. Di conseguenza, il laboratorio del falegname non gode della tutela costituzionale dell'inviolabilità del domicilio. Secondo l'interpretazione ampia tutti i locali cui è vietato l'accesso al pubblico sono da considerare come domicilio nel senso della costituzione. Di conseguenza, la falegnameria gode della tutela costituzionale suddetta. Si supponga ora che il giudice scelga l'interpretazione più ampia. La motivazione della sua decisione può essere ricondotta allora alla seguente struttura deduttiva: 1) ogni domicilio gode della tutela costituzionale; 2) tutti i locali cui è vietato l'accesso al pubblico sono domicili; 3) tutte le falegnamerie sono ambienti cui è vietato l'accesso al pubblico; 4) il locale di a è una falegnameria; 5) il locale di a gode della tutela costituzionale. Il concreto giudizio giuridico di dovere (5) che decide il caso segue logicamente dalle premesse 1-4. Questa deduzione corrisponde a ciò che viene designato come 'giustificazione interna' o con le altre espressioni menzionate. Essa non è una motivazione completa. Infatti la premessa (2), decisiva per il caso considerato, esprime l'interpretazione più ampia del concetto di domicilio e viene solo impiegata nella giustificazione interna ma non viene motivata. Il compito peculiare dell'interpretazione consiste proprio nella motivazione di premesse di questo tipo. Ciò deve avvenire nella giustificazione esterna.
Contro il modello di motivazione deduttivo, che rappresenta uno sviluppo della teoria tradizionale del sillogismo giuridico, viene obiettato che una deduzione non è una motivazione (v. Neumann, 1986, pp. 19 ss.) e che il modello non coglie adeguatamente la vera struttura della motivazione giuridica (ibid., pp. 22 e 25; v. Atienza, 1991, pp. 240 ss.). In difesa del modello deduttivo si può sostenere che in esso dovrebbe essere rappresentato solo il nucleo della motivazione, mentre la motivazione vera e propria dovrebbe avvenire nella giustificazione esterna. Non deve essere ricostruito neppure il ragionamento seguito effettivamente dal giudice (context of discovery) ma solo la struttura in cui la sua motivazione (context of justification) deve poter essere trasformata per essere razionale. Il postulato della completezza delle premesse contenuto nel modello deduttivo assicura che sia chiaro ciò che deve essere motivato e ciò che può essere criticato. Questo impedisce l'intrusione indebita di premesse nascoste. Diversamente dalle teorie sostenute nel XIX secolo sul ruolo della deduzione nella giurisprudenza, il modello deduttivo non offusca il contributo creativo dell'interprete, ma al contrario lo mette in evidenza come nessun altro modello. Il postulato della natura esplicita delle premesse è funzionale inoltre alla certezza del diritto. La pretesa di universalità delle premesse corrisponde alla prescrizione del pari trattamento e risulta così funzionale alla giustizia. Infine, il postulato secondo il quale la distanza tra norma e situazione concreta deve essere superata mediante una concatenazione completa di premesse contribuisce a vincolare l'attività del giudice alla legge (v. Alexy, 1991², pp. 274 ss.; v. Koch e Rüssmann, 1982, pp. 112 ss.).
Il campo specifico dell'interpretazione è la giustificazione esterna in cui viene motivata l'interpretazione di volta in volta scelta. I criteri in base ai quali definire buona o cattiva una motivazione, e quindi corretta o scorretta un'interpretazione, vengono determinati essenzialmente attraverso il fine dell'interpretazione.Il fine dell'interpretazione è controverso. Esistono due teorie al riguardo, una soggettiva e una oggettiva. Secondo la teoria soggettiva il fine dell'interpretazione consiste nell'accertamento del volere del legislatore. Secondo la teoria oggettiva l'interprete deve individuare il significato razionale, corretto o giusto della legge. Il conflitto si complica, poiché a questa dicotomia sostanziale si sovrappone una dicotomia temporale, e precisamente quella che sussiste fra il momento della produzione delle norme e il momento della loro interpretazione. Ne risultano quattro possibili fini dell'interpretazione: 1) uno relativo al momento in cui la norma è sorta in senso soggettivo (la volontà reale del legislatore storico); 2) uno relativo al momento in cui essa è sorta in senso oggettivo (il significato razionale della legge al momento della sua nascita); 3) uno relativo al momento dell'interpretazione soggettiva della norma (la volontà ipotetica dell'attuale legislatore); 4) uno relativo al momento dell'interpretazione oggettiva (il significato razionale della legge nel momento dell'interpretazione). Nella pratica sono rilevanti soprattutto i fini (1) e (4), che sono quelli considerati di regola quando, per semplificare, si parla del conflitto tra la teoria soggettiva sul fine dell'interpretazione e quella oggettiva.
Il conflitto ancora oggi non è risolto. Il fatto che esistano buoni argomenti sia a favore sia contro entrambe le teorie porta a ritenere che anche in futuro non si perverrà a una soluzione che stabilisca la preminenza assoluta del fine dell'interpretazione soggettivo oppure di quello oggettivo. A favore della teoria soggettiva vi è l'idea dell'autorità del legislatore sorretta dai principî della democrazia e della separazione dei poteri. Contro di essa si può obiettare che spesso è difficile se non impossibile accedere alla volontà del legislatore storico, la quale a volte risulta anche vaga e contraddittoria. Inoltre le leggi, in quanto regole sociali, una volta entrate in vigore si possono separare dalle intenzioni del legislatore storico. A favore della teoria oggettiva vi è il fatto che l'interpretazione dovrebbe condurre a una soluzione corretta o giusta sul piano del contenuto. Contro di essa si può addurre il pericolo di un arbitrio interpretativo e di un eccessivo aumento di competenze del potere giudiziario. Se si confrontano tra loro questi argomenti, cui se ne possono aggiungere altri, si profila una soluzione diversificante. Questa postula un primato prima facie del fine soggettivo dell'interpretazione rispetto a quello oggettivo e fa dipendere la decisione definitiva da criteri quali l'età della legge, il mutamento delle circostanze e dei valori della società, l'univocità del volere del legislatore, nonché il peso di argomenti sistematici e sostanziali che giustificano nel caso concreto il perseguimento del fine oggettivo dell'interpretazione (v. Alexy, 1991², p. 305). Se la soluzione diversificante è corretta, allora la teoria del fine dell'interpretazione non conduce a una soluzione semplice e definitiva del problema dell'interpretazione giuridica, poiché come ultima istanza valgono gli argomenti, non già il fine dell'interpretazione comunque lo si definisca.
I mezzi dell'interpretazione sono gli argomenti, e questi si possono classificare in modi molto diversi. La classificazione definisce forme, tipi o generi di argomenti, chiamati anche 'elementi', 'criteri', 'metodi' o 'canoni dell'interpretazione'. Dalle forme argomentative o dai canoni dell'interpretazione bisogna distinguere le regole dell'argomentazione o dell'interpretazione giuridica. Queste ultime indicano come si devono impiegare e soppesare i diversi argomenti.
Storicamente ha avuto una grande influenza la classificazione di Friedrich Carl von Savigny (v., 1840, pp. 213 s.) che distingueva tra interpretazione grammaticale, logica, storica e sistematica. L'atteggiamento di Savigny verso l'interpretazione teleologica, cioè verso l'interpretazione di una prescrizione in base al suo scopo (ratio legis), ha avuto delle oscillazioni. Il giovane Savigny (v., 1951, p. 40) l'aveva respinta, mentre quello maturo l'ha ammessa con alcune limitazioni (v. Savigny, 1840, pp. 217 ss.).
A tutt'oggi nessuna classificazione trova il consenso generale. Ciò dipende essenzialmente dal fatto che esistono due strategie classificatorie: una ristretta e una più ampia. La strategia ristretta tenta di raccogliere i tipici argomenti interpretativi in accordo con la tradizione. In questo modo si formano elenchi che contengono, ad esempio, l'argomentazione semantica, quella genetica, quella storica, quella comparativa, quella sistematica e quella teleologica. A essi si affiancano altri tipi di argomentazione quali: l'argomentazione dogmatica, l'argomentazione che si basa sui precedenti, l'argomentazione generale pratica o sostanziale, l'argomentazione empirica e l'impiego di forme argomentative particolari come ad esempio l'analogia (v. Alexy, 1991², pp. 285 ss.). La strategia ampia inizia con una suddivisione che dovrebbe comprendere l'intera gamma degli argomenti giuridici, e tenta poi di operare ulteriori distinzioni all'interno delle categorie fondamentali (v. Wróblewski, 1991, pp. 269 ss.). Questa strategia ha il vantaggio della semplicità e profondità sistematica e sarà quindi quella che seguiremo qui.
Esistono quattro categorie di argomenti giuridici: 1) linguistici, 2) genetici, 3) sistematici, 4) pratici generali. Tale suddivisione è generalmente accettata, solo la terminologia oscilla (v. MacCormick e Summers, 1991, pp. 43 e passim). Lo status degli argomenti genetici d'altra parte è controverso. Si tratta di argomenti che fanno riferimento all'effettivo volere del legislatore storico e sono quindi funzionali al perseguimento del fine soggettivo dell'interpretazione. Contro la tesi secondo la quale gli argomenti genetici formano una categoria autonoma sullo stesso piano delle altre tre categorie, si obietta che gli argomenti genetici sono sempre connessi ad argomenti delle altre categorie, e si dovrebbero perciò definire 'argomenti transcategoriali' (ibid., pp. 522 ss.). A ciò si può controbattere che il riferimento al volere del legislatore storico è un tipo di argomento distinto e dotato di una forza sua propria. Se una determinata interpretazione viene giustificata dal fatto che il legislatore storico ha attribuito a un'espressione un determinato significato o ha perseguito con una norma un determinato scopo, allora la forza di questo argomento non si basa sul significato in quanto tale o sullo scopo in quanto tale, ma esclusivamente sulla corrispondenza del significato o dello scopo al volere del legislatore storico. Tale consapevolezza e il ruolo svolto nella prassi dagli argomenti genetici autorizzano a considerare questi ultimi una categoria autonoma e di uguale valore.Gli argomenti linguistici si dividono in semantici e sintattici. Gli argomenti semantici si basano sul significato delle espressioni contenute in una norma. Gli argomenti sintattici riguardano la struttura grammaticale di una norma, ad esempio la comprensione di una congiunzione o di una virgola. Importanti sul piano pratico sono soprattutto gli argomenti semantici. Questi possono avere per oggetto il significato comune o quello tecnico. La preminenza spetta al significato comune quando si tratta di una norma che ogni cittadino deve comprendere, mentre è prioritario il significato tecnico quando si tratta di una materia speciale con una propria terminologia tecnica. Nel dubbio in una democrazia dovrebbe avere la preminenza il significato comune. È importante che appartengano all'interpretazione semantica solo quegli argomenti che si basano sull'accertamento di un uso linguistico effettivamente esistente. La sola determinazione o stipulazione di un significato non è un argomento semantico. Essa può essere solo il risultato di argomenti degli altri tre generi.
L'argomento semantico può portare alla sussunzione della fattispecie nella norma (valutazione positiva), oppure alla sua non sussunzione (valutazione negativa). In entrambi questi casi si tratta di una decisione che non consegue dall'argomento semantico, di una decisione contro la lettera della legge e quindi di una integrazione del diritto in senso stretto. Spesso gli argomenti semantici non portano a un risultato definitivo, ma solo a stabilire che il concetto indagato è ambiguo, vago o aperto alle valutazioni e che il caso concreto rientra in uno di questi campi semantici (valutazione neutrale). Il risultato dell'interpretazione semantica consiste allora nell'accertamento di un problema la cui soluzione deve essere trovata con l'ausilio di argomenti delle altre tre categorie (v. Alexy, 1991², pp. 289 s.).
Gli argomenti della seconda categoria, gli argomenti genetici, riguardano l'effettivo volere del legislatore storico. Il loro impiego corrisponde alla teoria soggettiva del fine dell'interpretazione. Sono rilevanti soprattutto due tipi di argomento genetico: quello semantico-soggettivo e quello teleologico-soggettivo. Gli argomenti del primo tipo partono dal presupposto che il legislatore storico abbia attribuito un significato determinato a un'espressione determinata. Gli argomenti teleologico-soggettivi hanno a oggetto il fatto che con la norma da interpretare il legislatore storico abbia perseguito un determinato scopo e che una determinata interpretazione sia il mezzo migliore per raggiungere questo scopo (ibid., pp. 291 ss.).
Gli argomenti della terza categoria, o sistematici, si basano sull'idea dell'unità o della coerenza del sistema giuridico. Essi si possono suddividere in otto sottogruppi. Un primo sottogruppo è formato dagli argomenti che assicurano la coerenza: essi mirano a far sì che le norme di un sistema giuridico vengano interpretate in modo tale che le contraddizioni tra esse siano eliminate o non possano sorgere. Al secondo sottogruppo appartengono gli argomenti contestuali. Il loro fine è l'interpretazione di una norma in base alla sua collocazione nel testo della legge e al suo rapporto con le altre norme. Il terzo sottogruppo è costituito dagli argomenti sistematico-concettuali. Questi argomenti mirano alla chiarezza concettuale, all'unità formale e alla completezza sistematica, e assumono un ruolo centrale soprattutto nella dogmatica giuridica. Al quarto sottogruppo appartengono gli argomenti relativi ai principî. Il loro compito è tra l'altro quello di garantire che nell'interpretazione di una norma vengano applicati i principî del diritto contenuti nel sistema giuridico. Nei casi difficili questo implica normalmente un confronto tra principî contrastanti. Negli Stati costituzionali democratici assumono un ruolo particolare al riguardo i principî costituzionali (v. Alexy, 1986², pp. 75 ss. e 475 ss.). Un quinto sottogruppo è formato dai cosiddetti argomenti giuridici speciali. Il più importante è l'analogia. La sua forma fondamentale consiste nell'estensione del campo di applicazione di una norma autorizzata dall'evidenza di una analogia materiale. Il sesto sottogruppo è formato da argomenti che si riferiscono a decisioni giudiziarie precedenti. Essi assumono un ruolo eminente nei sistemi di common law, ma sono assai importanti anche negli ordinamenti codificati. Pur non possedendo il carattere formale di fonti del diritto, i precedenti appartengono tuttavia al sistema del diritto. Il principio della parità di trattamento esige che non ci si possa allontanare da essi senza fornire i motivi (v. Kriele, 1976², pp. 258 ss.). Al settimo sottogruppo appartengono gli argomenti storici. Essi si basano sulla storia del problema giuridico che di volta in volta deve essere risolto e mirano alla coerenza nella dimensione temporale, cosa questa che non esclude mutamenti e fratture che non siano arbitrari. L'ottavo sottogruppo, infine, è formato dagli argomenti comparativi, i quali si riferiscono ad altri sistemi giuridici evidenziandone sia gli elementi comuni che le differenze.
Gli argomenti delle tre categorie finora trattate sono possibili solo nell'ambito istituzionale di un sistema giuridico, e pertanto possono essere definiti 'argomenti istituzionali'. Se tutti i casi potessero essere decisi esclusivamente sulla base di argomenti istituzionali, il diritto sarebbe un sistema chiuso, autonomo o 'autopoietico' (v. Teubner, 1989). Ciò però non si verifica per quattro motivi che corroborano la tesi, spesso avanzata, secondo la quale l'interpretazione giuridica non può fare a meno di valutazioni materiali. Il primo motivo è che in numerosi casi nessuno dei tre argomenti istituzionali conduce a un unico risultato. Infatti ci sono molti casi in cui gli argomenti linguistici si fermano all'individuazione di un campo semantico, gli argomenti genetici falliscono per l'ambiguità dello scopo del legislatore e gli argomenti sistematici forniscono orientamenti diversi. Se in tali casi si deve decidere sulla base di argomenti, allora ciò può accadere solo con l'impiego di argomenti pratici generali la cui forza non risiede nel loro ancoraggio istituzionale ma deriva esclusivamente dal loro contenuto. Il secondo motivo è che in numerosi casi gli argomenti istituzionali delle diverse categorie conducono a risultati differenti, per cui non è certo quale risultato debba essere scelto. Di nuovo sono necessari argomenti pratici generali per giungere a una decisione per via argomentativa. Il terzo motivo è che gli argomenti sistematici spesso sono completi solo quando vengono integrati da argomenti pratici generali. È ciò che normalmente avviene, per esempio, nel confronto tra principî o nel caso dell'analogia. Il quarto motivo, infine, è che si possono presentare casi in cui gli argomenti pratici generali assumono un'importanza così grande da avere la preminenza sugli argomenti istituzionali. L'argomentazione istituzionale dipende allora di regola dall'argomentazione pratica generale. Questo è un motivo essenziale per ritenere l'argomentazione giuridica o il discorso giuridico come un caso speciale, definito attraverso vincoli istituzionali, dell'argomentazione pratica generale o del discorso pratico generale (v. Alexy, 1991², pp. 263 ss. e 426 ss.; v. MacCormick, 1978, p. 273; in senso critico v. Neumann, 1986, pp. 84 ss.). L'antagonista più importante della tesi del caso speciale è l'idea dell'olismo giuridico, secondo la quale tutte le premesse sono già contenute nel sistema giuridico oppure sono in esso nascoste e devono solo essere ancora scoperte (in questa direzione v. Savigny, 1840, p. XXXVI; v. Dworkin, 1986, pp. 400 ss.). A tale idea si oppone tuttavia il fatto che ciò che è stato istituzionalizzato come sistema giuridico è sempre e necessariamente incompleto. Come le regole non possono applicarsi da sole, così un sistema non può creare da solo la propria completezza e coerenza. A questo scopo sono necessarie persone e procedure. La procedura necessaria però è quella dell'argomentazione giuridica, che non è razionalmente possibile senza argomenti pratici generali.
Gli argomenti istituzionali si basano direttamente o indirettamente sull'autorità del diritto positivo. Al contrario gli argomenti della quarta categoria, gli argomenti pratici generali, traggono la loro forza unicamente dalla correttezza del loro contenuto, e si possono perciò definire anche 'argomenti sostanziali'. Gli argomenti pratici generali o sostanziali si dividono in due gruppi: argomenti teleologici e argomenti deontologici. Gli argomenti teleologici guardano alle conseguenze dell'interpretazione e si basano in ultima istanza su una idea di bene. Gli argomenti deontologici stabiliscono ciò che è giusto o ingiusto indipendentemente dalle conseguenze. Essi fanno riferimento a una idea del dovere che si fonda perlopiù sull'idea della generalizzabilità.
Ci sono due tipi di regole dell'argomentazione giuridica. Quelle del primo gruppo indicano quando e come impiegare i diversi argomenti, quelle del secondo indicano come questi si debbano soppesare in caso di conflitto. Una regola importante del primo gruppo afferma che si devono considerare tutti gli argomenti pertinenti (v. Alexy, 1991², p. 306). Le regole del secondo gruppo sono regole di precedenza. La gerarchia degli argomenti possibili nell'argomentazione giuridica è fino a oggi controversa. Vi è un ampio consenso invece sul fatto che non si possano formulare regole rigorose ma piuttosto regole che stabiliscano le precedenze prima facie. Le precedenze prima facie consentono di invertire la gerarchia sussistente in forza dell'importanza posseduta da un argomento contrastante. Ampio consenso esiste poi riguardo al ruolo essenziale che assumono le considerazioni giuridico-costituzionali nella decisione delle questioni relative alla precedenza. Dati tali presupposti, si possono formulare due regole generalissime relative alla precedenza: 1) gli argomenti linguistici precedono prima facie tutti gli altri argomenti; 2) gli argomenti linguistici, genetici e sistematici precedono prima facie gli argomenti pratici generali. Queste regole relative alla precedenza sono giustificate dai principî o dai valori sui quali si fonda la forza dei diversi argomenti. La forza dell'argomento linguistico poggia sul principio dell'autorità del legislatore, principio che in uno Stato costituzionale democratico è sorretto dai principî della democrazia, della separazione dei poteri e dello Stato di diritto. Anche l'argomento genetico si fonda sull'autorità del legislatore. Sulla base della certezza del diritto e quindi del principio dello Stato di diritto, ciò che ha detto il legislatore ha tuttavia la precedenza rispetto a ciò che egli ha semplicemente voluto. Gli argomenti linguistici precedono perciò prima facie quelli genetici. Gli argomenti sistematici mirano alla coerenza, che è un postulato elementare della razionalità: senza di essa l'arbitrio incombe. Una prassi decisionale arbitraria contraddirebbe il principio dello Stato di diritto e il principio dell'uguaglianza. Poiché però sono soprattutto le decisioni del legislatore a dover essere tradotte in sistema, gli argomenti linguistici precedono prima facie anche quelli sistematici. Nell'ambito degli argomenti istituzionali si dà quindi una precedenza prima facie degli argomenti linguistici rispetto a quelli genetici e sistematici. Tra gli argomenti genetici e quelli sistematici per contro non si può stabilire alcun rapporto generale di precedenza prima facie.
La seconda regola di precedenza stabilisce una precedenza prima facie degli argomenti istituzionali rispetto a quelli pratici generali o sostanziali. Gli argomenti istituzionali basano la loro forza esclusivamente (nel caso di argomenti linguistici e genetici) o essenzialmente (nel caso di argomenti sistematici) sull'esistenza del sistema giuridico. La necessità dell'esistenza di un sistema giuridico si può motivare con argomenti pratici generali proprio a partire dalle debolezze dell'argomentazione pratica generale. In numerosi casi quest'ultima non conduce a risultati con i quali tutti concordano, e quando conduce a tali risultati, il consenso generale ottenuto nel discorso non assicura ancora l'osservanza generale. I conflitti sociali però non possono essere risolti sulla base di regole tra loro contraddittorie, e non si può pretendere l'osservanza di regole che ognuno può violare senza dover temere sanzioni. Gli argomenti pratici generali richiedono perciò l'esistenza di un sistema giuridico, la quale implica però una precedenza prima facie degli argomenti istituzionali rispetto a quelli pratici generali. Questi ultimi perciò non solo assumono un ruolo essenziale nell'ambito dell'argomentazione giuridica, ma giustificano anche il suo carattere istituzionale.
Ogni interpretazione modifica il diritto ed è quindi un'integrazione del diritto in senso ampio. Da questo concetto di integrazione del diritto in senso ampio si deve distinguere il concetto di integrazione in senso stretto. Questa ha luogo quando non si può decidere nell'ambito della lettera di una norma. Si danno quattro casi di integrazione del diritto in senso stretto. Primo, una norma può essere dichiarata non valida o non applicabile (estinzione), cosa che accade soprattutto nel caso di un conflitto tra norme. Secondo, una norma può essere creata ex novo dal giudice (creazione). Terzo, la fattispecie di una norma può essere integrata con un insieme di casi in modo da essere applicabile a situazioni non contemplate dal suo testo originale (estensione). L'estensione è perlopiù il risultato di un'analogia. Infine, una condizione restrittiva può essere aggiunta alla fattispecie di una norma in modo che essa non includa più determinate situazioni alle quali era applicabile secondo il suo testo originale (riduzione).
L'ammissibilità dell'integrazione del diritto può essere intesa come un problema relativo alla gerarchia degli argomenti interpretativi, laddove si tratta soprattutto della forza degli argomenti linguistici. Questo indica che anche l'integrazione del diritto in senso stretto è interpretazione. Dietro al problema della gerarchia degli argomenti interpretativi si cela sempre un conflitto tra principî o valori fondamentali. Nell'integrazione del diritto in senso stretto si tratta soprattutto del conflitto tra i principî della democrazia, della separazione dei poteri e dello Stato di diritto, da un lato, i quali sostengono l'autorità del legislatore, e i principî della coerenza e della correttezza del contenuto, dall'altro, i quali favoriscono una decisione giusta. La soluzione del conflitto dipende dal diritto costituzionale di volta in volta vigente e dalla filosofia del diritto sostenuta dal singolo interprete. (V. anche Diritto; Diritto, filosofia e teoria generale del; Giurisprudenza).
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