barbariche, invasioni
Sono tradizionalmente indicati così le migrazioni e gli spostamenti dei popoli germanici che, soprattutto nel corso del 4° e 5° sec., penetrarono nel territorio dell’impero romano e vi si insediarono. Popolazioni germaniche tentarono di invadere la Penisola Italica già in età repubblicana: l’episodio più eclatante fu la calata dei cimbri e dei teutoni, arrestata da Mario (102-101 a.C.). Cesare fronteggiò i germani di Ariovisto (58 a.C.) e ricacciò al di là del Reno usipeti e tencteri (56-55 a.C.). Dopo la disfatta di Teutoburgo (9 a.C.), i confini dell’impero si attestarono sul medio Reno e sul Danubio. La pressione dei popoli germanici al di là di queste frontiere si intensificò dalla metà del 2° sec. d.C., quando Marco Aurelio fronteggiò i marcomanni e i quadi. Successivamente, i tentativi di penetrazione divennero sistematici, come conseguenza di molti fattori (bisogno di terre, attrazione per le ricchezze di Roma, trasformazione delle tribù in entità politiche più articolate ecc.): nel 3° sec., la minaccia principale fu costituita dagli alamanni, cui si affiancarono i goti, i sassoni e i franchi; nel 4° sec. si aggiunsero gli unni, i burgundi, gli alani e i vandali. Gli imperatori non riuscirono ad arrestare militarmente le migrazioni e accettarono una progressiva penetrazione nell’impero dei «barbari»: i germani sconfitti furono introdotti nell’esercito; i prigionieri di guerra si insediavano lungo le frontiere come coloni; intere popolazioni potevano essere accolte come federate, con l’obbligo di servire in guerra e a volte dietro il versamento di un tributo. Le riforme di Diocleziano e di Costantino riuscirono per qualche decennio a rallentare l’ingresso dei barbari, soprattutto grazie ad alcune campagne particolarmente efficaci. Ben presto tuttavia la situazione dell’impero riprese a peggiorare, come mostrano alcuni avvenimenti: nel 378, ad Adrianopoli, i goti sconfissero i romani e ne uccisero l’imperatore, Valente; il 31 dicembre 406 vandali, alani e svevi varcarono il Reno e di lì, attraverso la Gallia, si insediarono in Spagna, Lusitania, Galizia e Betica; nel 410 i goti di Alarico giunsero a saccheggiare Roma. Successivamente gli unni di Attila invasero la Penisola Balcanica e devastarono tutto l’Occidente, ma, dopo aver combattuto contro l’esercito romano guidato da Ezio e i visigoti di re Teodorico a Mauriaco (451), si arrestarono in Italia settentrionale, con la morte del loro re (452). Nel 476 il generale Odoacre fu proclamato re dalle milizie barbariche d’Italia e depose Romolo Augustolo provocando la fine dell’impero romano d’Occidente. Il crollo dell’impero unno comportò ulteriori rimescolamenti, in seguito ai quali all’inizio del 6° sec. il mondo romano d’Occidente raggiunse un nuovo assetto: le originarie diocesi di Gallia, Spagna, Italia e Africa divennero di fatto quattro grandi regni barbarici, in cui erano insediati rispettivamente franchi, visigoti, ostrogoti e vandali. Giustiniano, da Costantinopoli, tentò di ricostituire l’entità originaria dell’impero e riuscì ad abbattere il regno vandalo (533-534) e a cacciare gli ostrogoti dall’Italia (535-553), ma il suo tentativo ebbe breve durata. Il processo migratorio ancora non era concluso. Alla metà del secolo genti slave attaccarono i Balcani; i bulgari arrivarono fino alle porte di Costantinopoli (558-559); gli avari, una popolazione mongolica, dilagarono in Dacia e nella Pannonia. Infine i longobardi, provenienti dalle zone danubiane, si stabilirono definitivamente in Italia (568), dividendola in una Romania e in una Longobardia.
Si veda anche Le invasioni barbariche