Ionosfera
Uno degli effetti delle radiazioni con cui il Sole investe la Terra è quello di ionizzare le molecole dei gas atmosferici, producendo popolazioni di particelle elettricamente cariche, e precisamente elettroni liberi e ioni dei due segni. A quest'azione si aggiunge, in misura assai minore, quella di agenti ionizzanti di origine extraterrestre ma non solare (i cosiddetti raggi cosmici) e, con percentuali ancora inferiori, di origine terrestre, prevalentemente radiazioni da isotopi radioattivi presenti in rocce e acque. L'intensità della radiazione elettromagnetica solare nelle sue componenti UV e X va decrescendo con la diminuzione della quota, a causa del progressivo assorbimento subito nell'attraversare l'atmosfera; d'altra parte, con l'aumentare della quota va diminuendo rapidamente la pressione atmosferica, cioè il numero delle molecole ionizzabili per unità di volume. Si comprende quindi come la concentrazione delle particelle cariche risulti massima a una quota intermedia tra il limite dell'atmosfera, dove è massima l'intensità della radiazione solare, e la superficie terrestre, dove è massima la concentrazione delle molecole ionizzabili: la parte dell'atmosfera nella quale si hanno valori di concentrazione ionica intorno a tale massimo si chiama ionosfera terrestre. Il suo limite superiore si pone alla quota dove l'atmosfera è completamente ionizzata e inizia la magnetosfera.
Storicamente però si è formata un'altra definizione, di tipo operativo, di ionosfera, secondo la quale essa è quella parte dell'atmosfera terrestre dove la concentrazione di elettroni liberi e di ioni è tale da influenzare apprezzabilmente l'indice di rifrazione dell'atmosfera nei riguardi delle onde elettromagnetiche; in pratica, l'intervallo delle frequenze elettromagnetiche interessato può ritenersi delimitato in alto dalle frequenze radio in banda HF, con limite superiore di 30 MHz, corrispondente a un limite inferiore di lunghezza d'onda nel vuoto di 10 m: un intervallo comprendente quindi quelle che nella radiotecnica si chiamano onde lunghissime, lunghe, medie e corte.
L'estensione in quota della ionosfera è convenzionalmente intesa tra 50 e 700 km (con limite superiore talvolta posto a 1000 km); una partizione può essere fatta tra ionosfera inferiore, da 50 a 300 km (a quest'ultima quota, intesa, come tutte le altre, come media nel tempo e nello spazio, si ha il valore massimo della concentrazione di particelle atmosferiche elettricamente cariche), e ionosfera superiore, la parte sovrastante, fino alla ionopausa, superficie di confine con la sovrastante magnetosfera; il rapporto tra componente ionizzata (elettroni liberi e ioni) e componente non ionizzata (molecole e atomi neutri) cresce continuamente nella ionosfera, finché nella magnetosfera l'atmosfera è completamente ionizzata.
La fisica della ionosfera, o fisica ionosferica, è una delle discipline in cui si articola la fisica dell'atmosfera terrestre e ha avuto un'evoluzione per vari aspetti singolare e interessante: nata praticamente negli anni Venti del XX sec., a un suo primo grande sviluppo, volto essenzialmente allo studio delle variazioni dei parametri fisici della ionosfera importanti ai fini delle radiocomunicazioni a grande distanza mediante onde corte, è seguita, dagli anni Settanta, la fase attuale, in cui un'attenzione ben maggiore che nel passato è stata rivolta ad alcuni irrisolti problemi fisici di fondo. Questo diverso atteggiamento è stato in gran parte determinato dal mutamento che, negli anni Sessanta, si è avuto nei rapporti, fino ad allora strettissimi, tra la fisica della ionosfera e la radiotecnica delle onde corte.
Gli strettissimi rapporti tra la fisica della ionosfera e la radiotecnica delle onde corte si stabilirono fin dal concepimento stesso dell'idea dell'esistenza di uno strato ionizzato (quindi elettricamente conduttore) dell'alta atmosfera (a quote di parecchie decine di km), capace di riflettere verso zone anche molto distanti della superficie terrestre le onde radio artificiali emesse da stazioni terrestri e sistemi di radiocomunicazione.
Infatti, subito dopo il successo ottenuto da Guglielmo Marconi (il primo collegamento ebbe luogo il 12 dicembre 1901) nel collegare radiotelegraficamente la località di Poldhu, in Cornovaglia (Gran Bretagna), con San Giovanni di Terranova (Canada), varie ipotesi furono formulate sul possibile meccanismo fisico in virtù del quale onde elettromagnetiche del tipo utilizzato avrebbero potuto sormontare, nella loro propagazione rettilinea (secondo le leggi dell'elettromagnetismo nel vuoto), l'ostacolo virtuale costituito dalla curvatura terrestre. Una di queste ipotesi, avanzata pressoché contemporaneamente (1902) dall'inglese Oliver Heaviside e dallo statunitense Artur E. Kennelly, consisteva nell'ammettere che le onde radio, propagandosi anche verso l'alto, fossero riflesse verso il basso dall'alta atmosfera terrestre, ipotizzata sufficientemente conduttrice per l'elettricità; quest'ultima supposizione era in accordo con le conoscenze dell'epoca sui fenomeni di ionizzazione nell'alta atmosfera (prime teorie sulle aurore polari) e sulla conducibilità elettrica dei gas rarefatti (specialmente in seguito alle ricerche dell'inglese Joseph J. Thomson). Tale ipotesi era però fortemente invalidata dalla teoria, assai ben fondata, secondo la quale le onde radio potevano superare la curvatura della superficie terrestre perché penetravano parzialmente in quest'ultima e ne seguivano la forma: circostanza dimostratasi poi vera, specialmente alle frequenze relativamente basse delle onde lunghissime, lunghe e medie (queste ultime per usi navali) che caratterizzarono il primo sviluppo industriale e militare delle radiocomunicazioni.
Nei primi anni Venti, tuttavia, l'ipotesi dello strato atmosferico radioriflettente fu però avvalorata da ulteriori evidenze: alcuni esperimenti di Marconi e di altri ricercatori, uniti ai risultati derivanti dall'esercizio di radiocomunicazioni con navi, che usavano antenne (quindi radioonde di lunghezza minore di quelle delle stazioni terrestri), e a quelli ottenuti dai radiodilettanti nei campi delle onde di non grande lunghezza, mostrarono che usando onde di piccola lunghezza (pochissime decine di metri, frequenze di pochi MHz) si riusciva a coprire distanze grandissime, anche intercontinentali, con potenze assai piccole (poche decine di watt) rispetto a quelle occorrenti per le onde lunghissime e lunghe degli impianti normalmente in uso (molte migliaia di watt).
Sia i fisici, in particolare quelli interessati alla fisica dell'atmosfera, sia gli ingegneri delle radiocomunicazioni furono fortemente indotti a verificare direttamente tale ipotesi. In effetti, già nel dicembre 1924, in Inghilterra, Edward V. Appleton e Miles F. Barnett, con un esperimento di tipo interferometrico, provarono l'esistenza di uno strato riflettente a circa 100 km di quota, detto strato ionizzato di Kennelly-Heaviside; la denominazione fu poi mutata in quella di strato E (ora regione E della ionosfera), con riferimento al simbolo (E) con cui si indica abitualmente la componente elettrica del campo elettromagnetico di una radioonda, ovvero la grandezza in gioco nell'esperimento in questione. In esso (fig. 3) un ricevitore R (a Oxford) rivelava i segnali di un radiotrasmettitore T a onde medie della BBC (a Bournemouth) la cui frequenza (ca. 760 kHz) veniva fatta variare con continuità; la ricezione avveniva sia direttamente (T→R) sia attraverso la riflessione ionosferica (T→I→R); a causa dell'interferenza tra onda terrestre e onda ionosferica, l'ampiezza A dei segnali ricevuti variava periodicamente al variare della frequenza; contando il numero di frange d'interferenza per una variazione di frequenza Δf nota, si ricavò l'altezza virtuale di riflessione h′, corrispondente ad assumere pari a c (velocità nel vuoto) la velocità dei segnali lungo l'intera traiettoria (in realtà, poiché la velocità diminuisce e si annulla alla riflessione, la quota vera è un po' minore di h′): h′ risultò così di 97 km rispetto a una quota vera di 92 km.
In seguito (ottobre 1925) negli Stati Uniti Gregory Breit e Merle A. Tuve con un esperimento di tipo ecometrico (fig. 4) confermarono i risultati di Appleton e Barnett. Sempre nel 1925 Appleton scoprì uno strato radioriflettente più alto (ca. 250 km di quota) e più ionizzato del precedente strato di Kennelly-Heaviside, detto strato ionizzato di Appleton (poi strato F e ora regione F della ionosfera, proseguendo nell'ordine alfabetico). Negli anni immediatamente seguenti furono identificati altri strati, peraltro poco ionizzati e non sempre sistematici, al di sotto dello strato di Kennelly-Heaviside, denominati, sempre alfabeticamente e ora in ordine di quota decrescente, D, C, B, A. Ricordiamo che il nome di ionosfera fu introdotto nel 1929 dall'inglese Robert Watson Watt.
La grandezza fisica che determina la riflessione verso terra delle onde radio e, in particolare, la grandissima portata geografica delle onde corte è, come negli ordinari fenomeni di rifrazione della luce, l'indice di rifrazione dell'atmosfera nei riguardi delle onde radio. Come dimostrò la teoria presto elaborata al riguardo (teoria magnetoionica, 1928-1932), l'indice di rifrazione dipende primariamente, anche se non in modo esclusivo (interviene infatti anche, e in più modi, la densità dei gas atmosferici), dalla concentrazione nell'atmosfera degli elettroni liberi (correntemente detta densità elettronica) derivanti dalla ionizzazione di molecole presenti nei gas atmosferici a opera dei fotoni della radiazione solare: di qui la dipendenza dell'indice di rifrazione radio e della frequenza radio operativa dalla posizione del Sole sulla volta celeste (ora del giorno, ecc.) e dalla sua attività radiativa (fase del ciclo solare).
Per queste valide ragioni applicative, gli sforzi di osservazione e di elaborazione prognostica della fisica ionosferica si rivolsero fin dall'inizio alla concentrazione elettronica, anche se dal punto di vista geofisico la natura e le proprietà degli ioni atmosferici appaiono di rilevanza non trascurabile. A questa distorsione di prospettiva è stato posto rimedio soltanto in anni recenti.
Per molto tempo si sono usati metodi indiretti di tipo radioelettrico, basati sull'osservazione da terra di fenomeni relativi alla propagazione di onde radio nella ionosfera; a questi si sono poi aggiunti metodi non radioelettrici, anch'essi indiretti, basati sull'osservazione da terra di alcuni fenomeni dell'alta atmosfera e, più recentemente, metodi, sia diretti sia indiretti, basati su strumenti portati nella ionosfera da satelliti artificiali terrestri.
Per quanto riguarda la distribuzione in quota della concentrazione elettronica, il metodo principe è stato ed è tuttora quello del radiosondaggio coerente verticale da terra, lo stesso dell'esperimento radioecometrico di Breit e Tuve del 1925 (fig. 4), che ovviamente è stato favorito via via dai grandi progressi compiuti dall'elettronica.
Lo strumento usato, completamente automatico, si chiama ionosonda coerente verticale a impulsi a riflessione (in breve, ionosonda verticale a impulsi) ed è un ricetrasmettitore radio a impulsi (durata di qualche decina di μs, frequenza di ripetizione di qualche decina di hertz) operante a frequenza radio regolarmente variabile da circa 1 a 30 MHz e a una potenza di qualche kW di picco, collegato a un'antenna aperiodica a forte radiazione verticale. Se la concentrazione elettronica N della ionosfera sulla verticale dell'antenna è sufficientemente grande, ogni impulso trasmesso verso l'alto si riflette sulla ionosfera e dà luogo a un segnale di eco; il ritardo Δt dell'eco rispetto all'impulso trasmesso costituisce una misura della quota virtuale di riflessione, h′=cΔt/2, per cui occorre una particolare elaborazione del ritardo per avere la quota vera di riflessione (un poco minore di quella virtuale). Più semplice è la situazione per la concentrazione elettronica N nella zona dove ha luogo la riflessione, essendo N=1,24∙1010f 2 elettroni per metro cubo se la frequenza radio f dell'impulso è misurata in MHz; facendo variare regolarmente f si ottiene il diagramma della densità elettronica in funzione della quota virtuale di riflessione (ionogramma virtuale, o normale). La formula data in precedenza consente di misurare la concentrazione elettronica massima NM di uno strato ionosferico in relazione alla frequenza f0, superata la quale le onde radio cessano di riflettersi sullo strato, attraversandolo e andando a riflettersi su strati più alti e più ionizzati oppure, se questi mancano, propagandosi indefinitamente nello spazio (f0 è la frequenza critica dello strato). Da questi ionogrammi è immediato ricavare, con l'aiuto di un modello matematico, il diagramma della concentrazione elettronica N in funzione della quota vera h di riflessione nella ionosfera, ciò che si chiama uno ionogramma ridotto alla quota vera (fig. 5).
Negli anni Sessanta entrarono nell'uso ionosonde incoerenti verticali a retrodiffusione, o ionosonde Thomson, simili a una ionosonda verticale a impulsi ma a frequenza fissa piuttosto alta (dell'ordine di 50 MHz o più) e potenza di picco parimenti piuttosto alta (qualche megawatt). A causa dell'alta frequenza non si ha riflessione nella ionosfera degli impulsi trasmessi, ma una piccola parte della potenza inviata viene diffusa incoerentemente, anche verso il basso, dai singoli elettroni e ioni del plasma ionosferico. Analizzando lo spettro dei segnali raccolti dall'antenna della ionosonda si ricavano le concentrazioni degli elettroni liberi e della specie ionica prevalente, mentre la quota è dedotta dal ritardo d'eco delle componenti dello spettro e l'eventuale velocità verticale della zona retrodiffondente si ricava dallo spostamento di frequenza che si verifica per effetto Doppler.
Negli anni Settanta entrò in servizio un nuovo tipo di strumento, la ionosonda verticale a onda continua, o a variazione di frequenza, costituita da un trasmettitore di modesta potenza (qualche decina di watt) a onda continua con frequenza variabile linearmente nel tempo all'interno del normale intervallo di sondaggio ionosferico (ca. da 1 a 30 MHz) e da un ricevitore mantenuto rigorosamente accordato con esso. Il segnale emesso dal trasmettitore a un certo istante, quando la frequenza di emissione è f, e riflesso dalla ionosfera, è rivelato dal ricevitore a un istante successivo (ritardo d'eco) quando la frequenza emessa f ′è maggiore di f; la frequenza di battimento tra f e f ′ ha il ruolo che nelle ionosonde a impulsi ha il ritardo d'eco Δt.
Sia le ionosonde a impulsi sia quelle a onda continua possono essere utilizzate per il radiosondaggio ionosferico obliquo, anziché per quello verticale, secondo due differenti tecniche: il sondaggio bistatico e il radiosondaggio obliquo monostatico.
La tecnica del sondaggio bistatico, o a due terminali, consiste nel porre la parte trasmittente e quella ricevente-registratrice in due siti diversi, anche a grande distanza tra loro, provvedendole di dispositivi che assicurino il necessario continuo accordo della loro frequenza di lavoro; si ottiene uno ionogramma obliquo che dà informazioni sullo stato della ionosfera nel punto o nei punti di riflessione ionosferica della traiettoria seguita dai raggi di propagazione dall'uno all'altro sito; il loro uso principale è peraltro volto a scopi applicativi, soprattutto militari, e precisamente per verificare con continuità il campo delle frequenze radio utilizzabili tra due dati siti. L'altra tecnica è quella del radiosondaggio obliquo monostatico, o per retrodiffusione dal suolo, e consiste semplicemente nel collegare una ionosonda verticale a un'antenna a irradiamento orizzontale anziché verticale; se si ha riflessione sulla ionosfera, i raggi riflessi sono riportati sulla superficie terrestre a una certa distanza D, dove sono diffusi in tutte le direzioni e una piccola parte dell'energia di essi ripercorre esattamente il percorso verso l'antenna della ionosonda, presentandosi nel ricevitore con un ritardo d'eco che è in relazione semplice con la distanza D dalla ionosonda misurata sulla superficie terrestre (la cosiddetta distanza di primo salto). Lo ionogramma obliquo che si ottiene al variare della frequenza radio dà informazioni sullo stato della ionosfera nel punto di mezzo della traiettoria di retrodiffusione, a distanza superficiale D/2; questa tecnica ha avuto e ha importanti applicazioni nello studio della ionosfera sulla verticale di luoghi di difficile accesso (oceani, mari, ampie zone continentali desertiche o montuose).
Vanno infine ricordati altri metodi radioelettrici di osservazione, tra i quali alcuni sono varianti del radiosondaggio verticale e servono per misurare certe particolarità (per es., oscillazioni verticali delle superfici di uguale concentrazione elettronica), mentre altri sono di natura fisica affatto differente. Tra questi ultimi figurano vari tipi di misurazione relativi alle caratteristiche di segnali irradiati da stazioni lontane, e tra essi una par-ticolare menzione merita il rilevamento dell'effettoFaraday ionosferico, cioè della rotazione del piano dipolarizzazione che una radioonda monocromatica, polarizzata linearmente, emessa da un satellite subisce nell'attraversare la ionosfera; tale misurazione consente di ricavare il valore del contenuto elettronico totale (TEC, Total electron content), cioè il numero di elettroni liberi contenuto complessivamente in una colonna di sezione con area unitaria dal satellite alla stazione di osservazione.
Tra i più importanti di questi metodi ci limiteremo a ricordare l'analisi spettrometrica delle luminescenze atmosferiche (aurore polari, airglow, luce zodiacale), per mezzo della quale si possono determinare le varie specie molecolari e ioniche, nonché le loro temperature, quasi nell'intera ionosfera inferiore, e il frenamento atmosferico di satelliti artificiali terrestri, dal cui studio si ricava la densità dell'atmosfera alle quote di volo dei satelliti (per lo più, nell'intervallo 200÷400 km).
La navigazione spaziale ha consentito, a partire dai primi anni Sessanta, di aggiungere ai precedenti metodi di misurazione indiretti da terra anche la possibilità di misurare direttamente nella ionosfera le grandezze di interesse; ricorderemo, in particolare, la cosiddetta sonda Langmuir, o trappola ionica, uno strumento di tipo elettrostatico che, a bordo di satelliti artificiali terrestri, consente di misurare localmente la concentrazione degli elettroni liberi e delle varie specie ioniche presenti, nonché la carica specifica e la temperatura cinetica di queste particelle.
Sono state anche usate ionosonde, opportunamente semplificate, a bordo di satelliti per effettuare sondaggi della ionosfera superiore, che è irraggiungibile con il radiosondaggio da terra (in quanto schermata dalla ionosfera inferiore). Tale tecnica ha permesso di confermare il decadimento esponenziale della ionizzazione con la quota consentendo di presumere in modo attendibile le caratteristiche della ionosfera superiore, a partire da quelle rilevabili da terra.
Complessivamente, è da osservare che attualmente il rilevamento continuo e globale della distribuzione della concentrazione elettronica con la quota è affidato a ionosonde verticali dell'esistente rete mondiale di stazioni ionosferiche (per l'Italia quelle permanenti di Roma e di Gibilmanna, presso Palermo, dell'Istituto Nazionale di Geofisica, alle quali si aggiunge una semipermanente in Antartide), che forniscono contemporaneamente ionogrammi all'istante zero di ogni ora di tempo universale (qualcuna anche ogni mezz'ora e ogni quarto d'ora).
Con tale espressione si intende la ionosfera rappresentata, sulla verticale di un dato sito, dai diagrammi dei valori mediani mensili della concentrazione elettronica N e della quota virtuale h′ o, meno frequentemente, della quota vera h, in funzione del tempo oppure in funzione reciproca (ionogrammi normali), rilevati in un dato osservatorio ionosferico (fig. 6). Il riferirsi ai valori mediani mensili è molto efficace nell'eliminare la grande variabilità a breve e medio termine, che, almeno in un esame di prima approssimazione, costituisce un elemento di notevole disturbo negli studi sulla morfologia della ionosfera a grande e media scala spaziotemporale.
Com'è stato già accennato, l'andamento della concentrazione elettronica con la quota (indicativo anche di quello della concentrazione ionica totale) non è monotòno, in quanto essa, a partire da un valore medio di 109 elettroni per metro cubo alla base della ionosfera, aumenta fino a poco meno di 1012÷1013 a circa 300 km di quota, che è il massimo assoluto e il termine della ionosfera inferiore, diminuendo quasi esponenzialmente nella ionosfera superiore, fino ai limiti dell'atmosfera (fig. 7).
Sono riconoscibili come entità permanenti un certo numero di massimi relativi di concentrazione elettronica (regioni ionosferiche): la regione D (tra 50 e 80 km, con massimo a 75 km), la regione E (tra 80 e 140 km, con massimo a 110 km, che è il vecchio strato di Kennelly-Heaviside), la regione F (tra 140 e 700 km, con massimo a circa 300 km, che è il vecchio strato di Appleton). Nelle ore diurne dei mesi equinoziali ed estivi quest'ultima regione si presenta quasi sempre con due massimi relativi, il più alto dei quali è il massimo assoluto a 300÷400 km e individua lo strato F2, mentre quello più basso, a circa 200 km di quota, individua lo strato F1. Per completare questo quadro occorre aggiungere che intorno alla quota del massimo della regione E, e precisamente a 100÷130 km, si presentano irregolarmente, ma più frequentemente nei mesi estivi e alle alte latitudini, strati di piccolo spessore (anche pochissimi chilometri) fortemente ionizzati (anche oltre il massimo assoluto della regione F), a cui si dà il nome complessivo di regione E sporadica.
Sulla ionizzazione della ionosfera agisce un forte controllo solare, nel senso che, in accordo con la teoria di Chapman, essa dovrebbe essere massima al mezzogiorno locale e comunque maggiore nelle ore diurne che in quelle notturne, maggiore nei mesi estivi che in quelli invernali, maggiore nei periodi di alta attività solare che in quelli di bassa attività. Ciò accade effettivamente per la regione E (fig. 6 e fig. 8), mentre una vistosa eccezione è costituita dal comportamento della parte più ionizzata della ionosfera, cioè della regione F, per il cui strato diurno F2 i valori di massima ionizzazione, invernali, sono assai maggiori di quelli estivi (anomalia annua, o stagionale) e il massimo diurno nei mesi non invernali non cade sempre intorno al mezzogiorno locale, ma talora poco prima o, più spesso, verso il crepuscolo serale (anomalia diurna); inoltre, per la regione nel suo complesso accade che la ionizzazione notturna sia assai maggiore di quella che ci si aspetterebbe in assenza della radiazione ionizzante solare (anomalia notturna, particolarmente sorprendente nelle lunghissime notti delle zone polari).
L'andamento reale, diurno o stagionale, delle grandezze ionosferiche mostra due notevoli particolarità: sovrapposte a un andamento simile a quello mediano, sono presenti vistose irregolarità; gli andamenti diurni da giorno a giorno successivo non si ripetono con quella regolarità che ci si aspetterebbe.
La causa di ciò va ricercata nelle irregolarità dell'emissione ionizzante solare, sia a lungo termine sia a breve termine; le irregolarità a breve termine sono le più intense (particolarmente quelle associate alle cosiddette eruzioni cromosferiche del Sole) e provocano analoghe irregolarità del campo magnetico terrestre (tempeste magnetiche), con effetti drastici sulla distribuzione delle particelle elettrizzate nella ionosfera (tempeste ionosferiche). Alle irregolarità della ionosfera reale contribuiscono anche certe attività dinamiche della bassa atmosfera, alcune delle quali sono state riconosciute da poco (onde ionosferiche).
La prima teoria della ionosfera fu formulata dall'inglese Sydney Chapman nel 1931 ed era basata sulle seguenti ipotesi: (a) la ionizzazione atmosferica è adeguatamente rappresentata dalla concentrazione N degli elettroni liberi, che è governata dalla seguente equazione di continuità:
[1] formula
essendo t il tempo, q il tasso di produzione e l il tasso di scomparsa degli elettroni; (b) come processi di produzione e di scomparsa degli elettroni sono considerati soltanto, rispettivamente, la fotoionizzazione a opera di fotoni solari (lettura da sinistra verso destra) e la ricombinazione ionica (lettura da destra verso sinistra), secondo la relazione:
[2] f + m → m+ + e−
essendo f il fotone solare assorbito da una molecola neutra m, m+ uno ione monovalente positivo ed e− l'elettrone libero; (c) si considera una sola specie molecolare e una radiazione solare monocromatica; (d) l'atmosfera è isoterma e in condizioni di equilibrio statico, vale a dire che la concentrazione della specie molecolare considerata diminuisce esponenzialmente con la quota, con una costante fissa di normalizzazione per quest'ultima, H, detta quota di scala e definita come la variazione di quota cui corrisponde una variazione di concentrazione pari a 1/e, cioè a circa il 37%.
Da queste ipotesi derivano le seguenti espressioni per i tassi q di produzione e l di scomparsa degli elettroni liberi che compaiono nella [1]:
[3] formula
[4] l = αN2
essendo χ la distanza zenitale del Sole per il luogo considerato, q0 il valore massimo di q (che si ha per χ=0, cioè con il Sole allo zenit del luogo), h la quota generica, hM la quota alla quale q ha tale massimo, α la costante di ricombinazione ionica. La fig. 9 mostra l'andamento di q in funzione della quota ridotta (o normalizzata) z=(h−hM)/H, normalizzato al suo valore massimo q0 e parametrizzato per alcuni valori della distanza zenitale solare χ; tale andamento è noto come funzione normalizzata di Chapman.
L'andamento di q riproduce abbastanza bene quello delle concentrazioni elettroniche e ioniche nell'intorno di un loro massimo relativo quale risulta dalle misurazioni (fig. 7).
Questa circostanza condizionò fortemente lo sviluppo della fisica ionosferica: potendo disporre di una buona base teorica per sviluppare e validare l'apparato prognostico con insistenza richiesto dai tecnici delle radiocomunicazioni a onde corte, essa costituì una sorta di rimozione della necessità di una teoria ben più rispondente alla realtà, se non altro per spiegare le macroscopiche anomalie della regione F e le particolarità della ionizzazione E sporadica. Così, la disciplina si sviluppò piuttosto ampiamente su temi di modellistica della ionosfera normale, la quale tralasciava i problemi di natura fisica della ionosfera vera, con tutte le sue ampie variazioni spaziotemporali, classificate come fluttuazioni rispetto ai modelli.
A partire dagli anni Sessanta, nell'industria delle radiocomunicazioni divenne sempre più urgente la necessità di affidare alle onde radio portanti nuove categorie di segnali. Così, le portanti medesime furono costrette a spostarsi progressivamente verso le frequenze delle microonde (EHF, 300÷3000 MHz).
Poiché la propagazione atmosferica e spaziale delle microonde interessa soltanto molto marginalmente la ionosfera, il precedente legame tra la fisica ionosferica e la radiotecnica si è fortemente attenuato, nella stessa proporzione in cui è diminuito il peso delle radiocomunicazioni a onde corte per via ionosferica nel campo generale delle radiocomunicazioni a grande distanza.
La ionosfera e i suoi fenomeni trovarono pertanto opportuna collocazione nell'ambito globale dell'atmosfera e dei fenomeni atmosferici: la ionosfera era in effetti costituita da elettroni liberi, ioni dei due segni e, anche, da tante molecole non ionizzate (ai 300 km vi sono ancora circa 1000 molecole per ogni elettrone o ione). In conseguenza, l'interazione della ionosfera con l'atmosfera neutra in cui essa era immersa non poteva più essere portata in conto in termini di frequenza delle collisioni elettroni-molecole come parametro dissipativo dell'energia, ma occorreva anche e soprattutto considerare la diffusione degli elettroni e degli ioni conseguente alle collisioni (ciò influenza sensibilmente il termine di scomparsa dell'equazione di continuità [1], che va quindi scritta sia per gli elettroni liberi sia per ciascuna specie ionica e molecolare).
Lo studio della ionosfera nel suo contesto globale ha spostato l'attenzione verso le frequenti, intense e complesse interazioni fra tutti gli enti fisici e fisico-chimici presenti nella ionosfera.
Due settori in cui l'evoluzione in senso aeronomico ha determinato negli ultimi tempi progressi molto sensibili sono quello concernente i processi di formazione e di scomparsa degli elettroni liberi e degli ioni, e quello riguardante i processi di diffusione che, insieme, implicano, sotto l'aspetto rispettivamente chimico-fisico e termodinamico, le interazioni della radiazione solare con l'atmosfera neutra e di quest'ultima con la conseguente popolazione ionica, la quale ha finito con l'assumere un ruolo praticamente sconosciuto in altri tempi.
L'attuale impostazione teorica si basa quindi sul considerare l'equazione di continuità [1] per ogni i-esima specie (elettroni, ioni); un'altra e più notevole novità consiste nel considerare nei tassi di produzione e di scomparsa di una generica specie, qi e li (tab.1), l'influenza dei fenomeni di diffusione mediante un tasso di diffusione, (numero di particelle che, rispettivamente, appaiono oppure scompaiono per diffusione nell'unità di volume e nell'unità di tempo) per il quale si può dare, segno a parte, l'espressione generica:
[5] di = ∇(Nivi)
con vi velocità delle particelle. La tab. 2 offre un quadro molto sintetico delle attuali conoscenze sulle regioni permanenti della ionosfera (sono escluse le varie formazioni della E sporadica).
La già segnalata acriticità con cui la base teorica della morfologia ionosferica è stata considerata per lunghissimo tempo si è manifestata, per esempio, nel fatto che alcuni vistosi andamenti della ionizzazione della regione F, non spiegabili con essa, sono stati chiamati anomalie, come se la teoria non dovesse essere adeguatamente modificata per darne conto, a cominciare dalle ipotesi di partenza.
In effetti, queste ultime appaiono tutte soggette a critica. Per cominciare, l'ipotesi di rappresentare lo stato della ionosfera con i valori e le vicende dei soli elettroni liberi non è accettabile appena si esce dal ristretto ambito delle radiocomunicazioni; per esempio, per spiegare certe emissioni radioelettriche naturali a bassissima frequenza (anche di pochi kHz) dovute a scariche elettriche atmosferiche, i cosiddetti whistlers, occorre tenere conto del comportamento elettrodinamico degli ioni della ionosfera nel campo magnetico terrestre. Inoltre, considerando il magnetismo terrestre, si riconosce che la sensibile variazione diurna degli elementi del campo magnetico terrestre è dovuta a una corrente elettrica atmosferica che circonda la Terra nel piano equatoriale, a circa 120 km di quota, prodottasi per l'interazione tra movimenti verticali dell'atmosfera neutra, rotazione terrestre e presenza, con uguale importanza, di elettroni e ioni nella ionosfera. Accettabili soltanto nei relativamente ristretti intervalli di quota, dove si hanno i vari massimi di ionizzazione, appaiono poi le ipotesi concernenti l'omogeneità chimica (una sola specie presente) e l'isotermia, mentre appare troppo restrittiva l'assunzione dei due soli processi di fotoionizzazione e di ricombinazione ionica di fronte alla complessa situazione esistente soprattutto nelle regioni D ed E. Assolutamente inaccettabile è inoltre l'ipotesi di equilibrio statico della ionosfera, che invece è animata da movimenti assai ampi e vivaci.
Negli anni Ottanta, riprendendo criticamente alcuni risultati sperimentali precedenti, si scoprì che le più ampie e persistenti tra le fluttuazioni correnti delle grandezze misurabili con i radiosondaggi (quota di riflessione e relativa concentrazione elettronica) erano determinate da movimenti ondosi pseudoperiodici (cioè con periodo ben definito ma con ampiezza variabile) delle superfici di uguale concentrazione elettronica (e ionica), con uno pseudoperiodo che variava da qualche decina di minuti a qualche ora (i più ampi: anche varie unità in 1011 elettroni/m3 in termini di concentrazione elettronica e qualche decina di km in termini di quota). Si è riconosciuto che queste onde ionosferiche (trasversali) sono l'effetto sulla ionosfera di onde elastiche (longitudinali) dell'atmosfera neutra, suscitate da varie instabilità sia della bassa atmosfera (quali onde impulsive eccitate dallo scoccare di fulmini, da esplosioni vulcaniche e anche da terremoti) sia dell'alta atmosfera (quali instabilità del vento solare o dell'elettrogetto polare).
Il fatto che le onde ionosferiche appaiano come trasversali deriva dalla circostanza che l'andamento rapidamente crescente della velocità del suono con la quota nella ionosfera (da circa 335 m/s al suolo a circa 1000 m/s a 300 km di quota) deflette le superfici d'onda delle onde atmosferiche rendendole quasi orizzontali, in una situazione simile a quella che si verifica nelle onde di gravità della superficie mossa di un liquido.
Si dispone attualmente di una consistente massa di dati sperimentali sulle onde ionosferiche, ottenuta negli ultimi anni con numerose campagne di rilevamento da parte di reti di ionosonde verticali opportunamente distribuite su vaste aree. Si sono così precisate molte caratteristiche di tali onde, che hanno contribuito anche alla conoscenza dei fenomeni atmosferici da cui esse derivano, in particolare delle onde atmosferiche cosiddette di gravità.
Una particolare attenzione è stata rivolta alle onde ionosferiche di medio periodo (intorno a 2 ore), che presentano caratteri di sistematicità giornaliera sconosciuti alle onde di periodo minore o maggiore (fig. 10); si pensa, fondatamente, che esse siano associate alla brusca transizione termica dovuta al rapido movimento del terminatore solare, vale a dire il passaggio dalla notte al giorno o viceversa, che nell'alta atmosfera non ha la gradualità crepuscolare caratteristica della bassa atmosfera (onde ionosferiche di terminatore solare).
La scoperta consolidata della grande dinamica ionosferica ha ulteriormente rafforzato le ricerche teoriche di fisica ionosferica, usufruendo delle risorse intellettuali lasciate libere dal diminuito interesse per i problemi applicativi.
La linea di ricerca più consistente è quella basata su una completa revisione della teoria di Chapman che, per tale motivo potremmo chiamare linea revisionista, in quanto lascia inalterata la filosofia di fondo orginaria.
Si tratta di precisare, nell'ordine, la situazione chimico-fisica dell'atmosfera nel modo più completo possibile (composizione e stato fisico delle particelle, sia neutre sia elettricamente cariche), i possibili processi di produzione (interazione con la radiazione solare e cosmica) e di scomparsa (inclusa la diffusione) degli elettroni liberi e delle specie ioniche prevalenti alle varie quote (appare invece decisamente velleitario il proposito di considerare globalmente tutte le possibili specie ioniche), per arrivare infine a un apparato analitico che sia in grado di descrivere i fenomeni osservati. Già da questa sommaria elencazione appare la grandissima difficoltà di raggiungere gli scopi proposti.
Va osservato che, a differenza di altri campi della geofisica e della stessa fisica, i problemi qui trattati appaiono di complessità non sostanziale, per cui si è ragionevolmente certi che la linea di ricerca sistematica sopra delineata possa portare alla loro risoluzione. Per esempio, appare ben fondata la speranza di poter spiegare, misurando concentrazioni molecolari, la grande anomalia annua dello strato F2 seguendo separatamente le vicende delle distribuzioni in quota dell'ossido di azoto NO, dell'ossigeno molecolare O2 e dell'ossigeno atomico O, di cui sono attendibili indici le concentrazioni dei relativi ioni (fig. 7). In inverno le quote dei massimi di concentrazione di queste tre specie ionizzabili sono relativamente vicine, per cui la radiazione solare, ancorché meno intensa che d'estate, risulta molto più efficace che in quest'ultima stagione, quando le tre specie sono sensibilmente separate in quota. Esiste analoga speranza di poter spiegare, misurando i coefficienti di diffusione, l'esistenza di duraturi e consistenti strati ionosferici notturni come dovuti ad apporti per diffusione di elettroni liberi dalle regioni diurne ad alta ionizzazione, adiacenti all'emisfero notturno.
Benefici decisivi sono attesi anche per il filone di ricerca sulle perturbazioni ionosferiche irregolari, le più importanti delle quali, le tempeste, sono già abbastanza ben conosciute, e sui fenomeni ionosferici non lineari, per spiegare i quali occorre scrivere in forma non lineare le equazioni differenziali della teoria magnetoionica. Ricordiamo che la scoperta del primo di tali fenomeni, l'effetto Lussemburgo, consistente nel trasferimento della modulazione d'ampiezza dall'una all'altra di onde radio che si propagano nella stessa regione ionosferica e spiegato compiutamente soltanto da poco, risale al lontano 1933.
Tra i tradizionali temi della ricerca ionosferica è rimasto ancora di un certo interesse quello relativo alla modellizzazione degli strati ionosferici per la previsione dei valori dei parametri operativi delle radiocomunicazioni per via ionosferica che sono rimaste ancora attive: comunicazioni a onde corte tra e con navi al di là dell'orizzonte radio di stazioni a onde cortissime o microonde; analoghe comunicazioni con aerei al di là del detto orizzonte radio; radiocomunicazioni militari.
All'inizio, più o meno a partire dagli anni della Seconda guerra mondiale, la previsione fu ristretta, per evidenti necessità di inevitabile prima approssimazione dei problemi interessati, ai valori mediani delle frequenze critiche massime (delle concentrazioni elettroniche massime) e delle quote virtuali minime degli strati permanenti (E, F1, F2) per i vari mesi dell'anno.
Per gli strati E e F1, le cui frequenze critiche sono abbastanza ben descritte dalla teoria di Chapman, i modelli, per la ionosfera sulla verticale di un dato luogo, potevano consistere semplicemente in formule numeriche dedotte da opportune analisi statistiche di lunghe serie storiche dei dati misurati; per esempio, per le frequenze critiche della regione E, f0E, e dello strato F1, f0F1, della ionosfera sopra Roma si può scrivere:
[6] f0E = 3,18[(1 + 8,83∙10−3R)cosχ] [MHz]
[7] f0F1 = 4,00[(1 + 1,37∙10−2R)cosχ] [MHz]
essendo χ la distanza zenitale del Sole, che dipende dalla latitudine geografica, dal mese e dall'ora del giorno, e R il numero delle macchie solari (grandezza adimensionata variabile tra 0 e un massimo di 150÷200), che costituisce una misura dell'attività radiativa solare.
Per lo strato F2, che poi è il più importante, sia dal punto di vista geofisico sia per le radiocomunicazioni a grandissima distanza, questa modellizzazione numerica così semplice non è possibile ed è necessario a modelli diagrammatici o nomografici, oppure a complessi modelli numerici; in quest'ultimo caso il programma di previsione fornisce in genere anche i valori dei parametri radiotecnici operativi (migliore frequenza radio e minima potenza di emissione relativamente a determinati valori del rapporto segnale/rumore ammissibile).
La previsione in termini di valori mediani mensili o, equivalentemente, in termini di ionosfera normale è stata ed è tuttora di grande utilità per il progetto di radiocollegamenti a onde corte, nonché per la ripartizione futura, da parte di autorità nazionali e internazionali, dei vari sottocampi di frequenze radio a onda corta tra i vari tipi di utenti. Essa andò tuttavia rapidamente in crisi quando si tentò di passare dai parametri mediani previsti a quelli validi nell'immediato, cioè riferiti non alla fittizia ionosfera normale ma alla ionosfera reale al momento, specialmente in presenza di perturbazioni.
A tal fine, da una ventina d'anni a questa parte sono stati fatti vari tentativi teorici, effettuati in genere applicando ai valori previsti opportuni fattori correttivi dedotti da un radiosondaggio eseguito al momento. Questa via ha portato, al limite, a misurare al momento la migliore frequenza di lavoro e la potenza minima trasmessa per un dato radiocollegamento, mediante ionosonde a variazione di frequenza adattate alle antenne stesse del collegamento. Tale tecnica, ovviamente, risolve il problema del collegamento nelle condizioni migliori ma costituisce, altrettanto evidentemente, la negazione delle previsioni ionosferiche, che restano purtuttavia un'esigenza primaria nei moltissimi casi in cui non si possano utilizzare le dette ionosonde.
Tornando quindi allo spirito delle previsioni vere e proprie, la conclusione tratta dall'esperienza fatta finora è che convenga adattare alle vicende della ionosfera le tecniche delle moderne previsioni meteorologiche. Ciò significa costruire un attendibile modello matematico costituito dalle equazioni differenziali che esprimono le condizioni di continuità delle variabili ionosferiche in regime dinamico nei nodi di una conveniente rete mondiale o locale, in cui entrare con un piccolo numero di dati al momento.
La situazione si presenta sotto una buona luce per quanto riguarda la struttura della rete osservativa, che, a differenza di quella meteorologica, può essere a maglie molto larghe (i dati di una ionosonda verticale sono significativi per la prognosi di base, almeno alle latitudini basse e medie, per tutta una zona di qualche centinaio di km tutto intorno), ma è ancora largamente insoddisfacente per quanto riguarda le conoscenze sulle differenze osservabili, apparentemente senza ragione, negli andamenti da giorno a giorno delle grandezze ionosferiche (fig. 10).
La riconosciuta connessione tra fenomeni atmosferici (per es., onde atmosferiche di gravità) e fenomeni ionosferici (per es., le grandi variazioni ondose della concentrazione elettronica che abbiamo chiamato onde ionosferiche) potrebbe essere soltanto l'indice dell'esistenza di una più profonda, e per il momento assai poco conosciuta, connessione tra lo stato generale dell'atmosfera e quello della ionosfera, presumibilmente per il tramite di fenomeni di natura particellare, cioè intrinsecamente microscopici e caotici.
Bauer 1973: Bauer, Siegfried J., Physics of planetary atmospheres, Berlin-New York, Springer, 1973.
Dominici 1993: Dominici, Pietro, Ionosfera, in: Enciclopedia delle scienze fisiche, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1993, III, pp. 298-312.
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Ratcliffe 1970: Ratcliffe, John A., Sun, earth and radio. An introduction to the ionosphere and magnetosphere, London, Weidenfeld-Nicolson, 1970.
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