Vedi Iran dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La Repubblica Islamica d’Iran è nata nel 1979 a seguito di un tumultuoso processo rivoluzionario. Quest’ultimo, dopo aver sovvertito il sistema istituzionale allora vigente – guidato dallo shāh Muhammad Reza Pahlavi –, ha instaurato il modello di repubblica islamica che resiste nel presente. In seguito alla rivoluzione, il paese – che negli anni precedenti aveva rappresentato uno dei maggiori alleati degli Stati Uniti nell’area – ha adottato una politica di ostilità verso Washington, aperta con la crisi degli ostaggi del novembre 1979 e non ancora risanata. All’indomani dell’instaurazione della Repubblica Islamica, Teheran si è trovata altresì coinvolta in una lunga guerra con il vicino Iraq, durata 8 anni (1980-88) e servita soprattutto a consolidare il consenso interno verso la causa rivoluzionaria. Dopo il cessate il fuoco del 1988 e per tutti gli anni Novanta, Teheran si è vista costretta ad abbassare i toni rivoluzionari e a mitigare le proprie posizioni radicali, nell’ottica del risanamento dell’economia – provata da otto anni di guerra – e del tentativo di reintegrazione regionale.
Nel 2001 il contesto regionale è stato stravolto dall’invasione dell’Afghanistan da parte delle forze Nato impegnate nell’operazione Enduring Freedom. L’Iran si è rivelato un valido alleato nella guerra afghana, fornendo intelligence e fungendo da mediatore tra gli Stati Uniti e l’Alleanza del Nord (organizzazione politico-militare afghana composita, nata nel 1996 allo scopo di rovesciare il neonato ordine talebano). Teheran ha rivestito un ruolo attivo anche nel processo di ricostruzione e stabilizzazione afghana avviato con il processo di Bonn nel dicembre 2001. La finestra di opportunità per il riavvicinamento con Washington si è però chiusa nel gennaio 2002, quando il presidente statunitense George W. Bush ha inserito l’Iran nel cosiddetto ‘Asse del Male’. La distanza tra i due paesi si è poi ulteriormente allargata in seguito all’intervento militare statunitense contro l’Iraq nel 2003. Dal 2003 si è inoltre assistito a fasi alterne nei negoziati internazionali aventi per tema l’arresto del processo di arricchimento dell’uranio del programma nucleare iraniano. Infine, nell’estate 2009 il paese è stato teatro di un’importante serie di proteste popolari (organizzate da un eterogeneo insieme di gruppi conosciuti sotto l’etichetta di ‘Movimento verde’), che hanno fatto seguito alle contestate elezioni presidenziali di giugno. Le critiche erano in particolare dirette verso il presidente Mahmoud Ahmadinejad e la Guida Suprema Ali Hoseini-Khamenei. Nonostante la repressione governativa, alcune saltuarie manifestazioni si sono verificate anche nel 2011 (in corrispondenza delle proteste di piazza in Tunisia e in Egitto). In ambito regionale e internazionale è da sottolineare come i negoziati sul nucleare siano ancora aperti e, nonostante l’adozione di misure coercitive, Teheran conti sull’appoggio di Cina e Russia, refrattarie a inasprire ulteriormente le sanzioni e contrarie ad opzioni militari. Il 1° luglio 2012 è entrato in vigore l’embargo europeo contro l’import di greggio da Teheran, mentre nel mese di ottobre la stessa Unione Europea ha approvato un nuovo round di sanzioni, tese a impedire qualsiasi trasferimento di denaro tra banche europee e società iraniane così come il commercio di materiali che possono rivelarsi utili per il programma nucleare di Teheran.
A livello regionale, la principale ragione di popolarità del regime di Teheran è stato il sostegno indiscusso alla causa palestinese e alla forza politica che combatte in suo nome, Hamas. Da questo punto di vista, però, l’approccio del regime iraniano, basato principalmente su una forte propaganda anti-israeliana e un sostegno finanziario e militare alle forze ostili allo stato ebraico (Hamas e Hezbollah), è stato in parte offuscato dalla politica estera turca, condotta efficacemente dal premier Recep Tayyip Erdoğan. Quest’ultimo ha anche tentato una mediazione, poi fallita, proprio sulla questione del nucleare iraniano. Iran e Turchia hanno manifestato posizioni opposte anche in proposito alla crisi siriana: se Erdoğan ha tentato la mediazione per fermare la guerra civile, Teheran si è invece schierata a fianco di Assad, sostenendo il regime alawita con armi e intelligence.
Ordinamento istituzionale e politica interna
In seguito alla Rivoluzione del 1979 l’Iran è diventato una repubblica islamica. Secondo la Costituzione iraniana, il sistema del Velāyat-e faqīh (‘governo del giurisperito’) è basato sull’attribuzione della leadership politica a un faqīh (giurista), incaricato di tutelare il rispetto dell’Islam da parte del popolo in qualità di vicario del dodicesimo imam (secondo lo sciismo duodecimano, quest’ultimo sarebbe entrato in occultamento nel 9° secolo a.C. e se ne attenderebbe il suo ritorno). L’ordinamento istituzionale introdotto con la Costituzione post-rivoluzionaria del 1979 prevede organi eletti direttamente dal popolo e altri nominati da organi o figure religiose, ponendo in essere una separazione dei poteri interni estremamente complessa. La Guida Suprema è la carica più importante dello stato e vi rimane a vita; a sceglierla è un apposito organo, l’Assemblea degli esperti. Di seguito viene il presidente: quest’ultimo è eletto ogni quattro anni – per un massimo di due volte consecutive – con suffragio universale, ed è il detentore del potere esecutivo. Il presidente sceglie i ministri del governo, il parlamento (Majlis) li conferma e ne può anche chiedere la rimozione. Il Majlis è la sede del potere legislativo, ha struttura unicamerale ed è composto da 290 membri eletti ogni quattro anni. Per potersi candidare alle elezioni parlamentari e presidenziali è indispensabile ricevere il beneplacito del Consiglio dei Guardiani, formato da sei esperti religiosi nominati dalla Guida Suprema e da sei giuristi, nominati dal Majlis dietro indicazione del Capo della giustizia, anch’egli nominato dalla Guida. Oltre alla succitata funzione di preselezione dei candidati, il Consiglio è uno degli organi più potenti del sistema politico per due diversi motivi: può bloccare l’iter legislativo delle proposte parlamentari e giudica la conformità della legge alla Costituzione e ai precetti islamici. Data la complessità dell’assetto istituzionale, risulta evidente il ruolo prioritario del Consiglio, che agisce sotto lo stretto controllo della Guida Suprema.
Popolazione e società
La popolazione iraniana si compone di quasi 75 milioni di abitanti ed è caratterizzata dalla presenza di importanti minoranze religiose, etniche e linguistiche. La lingua ufficiale è il farsi (persiano) e la religione maggioritaria è l’Islam sciita. Sotto il profilo religioso, l’89% della popolazione è musulmano sciita, il 9% è sunnita e vi sono minoranze di religione cristiana, oltre che di altre confessioni. Tra le minoranze etniche molti sono gli Azeri (circa il 16% della popolazione); la seconda comunità numericamente più rilevante è quella curda, pari a circa il 10% della popolazione, concentrata nella parte occidentale e settentrionale dell’Iran, al confine con Turchia e Armenia. La terza comunità è quella dei Luri, quattro milioni di abitanti che vivono nella parte settentrionale e meridionale del paese. Inoltre, vi sono le minoranze araba (2%), beluci (2%), turkmena (2%) e gruppi tribali turchi quali i Qashqai (1%). È inoltre da sottolineare che l’Iran accoglie una della più ampie comunità di rifugiati dall’estero, divenuta col tempo stanziale: quella degli Afghani. Le misure del governo a favore delle minoranze etnico-linguistiche sono considerate sotto molti aspetti insufficienti dal Comitato per l’eliminazione delle discriminazioni razziali delle Nazioni Unite. Inoltre, la diseguale distribuzione del potere, delle risorse socioeconomiche e dello status socioculturale tra centro e periferia contribuisce a rendere più aspre le istanze di autonomia rivendicate da alcune minoranze etniche. La popolazione iraniana è mediamente molto giovane: l’età mediana è di soli 27 anni e nella fascia che va dai 15 ai 24 anni è compreso il 22% della popolazione. Tuttavia il tasso di crescita della popolazione (1,18%) è oggi il più basso tra quelli di Arabia Saudita, Egitto e Turchia, mentre nell’epoca pre-rivoluzionaria sfiorava il 3%. Questa contrazione è dovuta a diversi fattori, tra i quali l’innalzamento del livello di istruzione delle donne. Il tasso di alfabetizzazione supera l’80% per gli adulti e raggiunge quasi il 99% per i giovani (15-24 anni), maschi e femmine. La percentuale di ragazze che frequentano la scuola primaria è quasi pari a quella dei ragazzi e le donne rappresentano circa il 50% dei laureati nel paese. Ciononostante le donne hanno più difficoltà a trovare un impiego (la disoccupazione femminile, al 16%, è più alta di quella maschile, ufficialmente al 9%), i loro stipendi sono più bassi di quelli dei loro colleghi uomini e sono sottorappresentate nelle posizioni dirigenziali.
Libertà e diritti
La situazione dei diritti umani in Iran è stata oggetto di aspre critiche da parte di numerosi paesi occidentali e nel 2009 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione sui diritti umani in Iran, nella quale ha espresso preoccupazione per gravi violazioni quali tortura, esecuzioni arbitrarie, esecuzioni per mezzo di lapidazione, discriminazione contro le donne e contro le minoranze etniche e religiose del paese, gravi restrizioni della libertà di opinione e di assemblea. Inoltre, la pena di morte nel paese è legale e nel 2011, secondo l’ong Iran Human Rights, sono stati giustiziati almeno 676 detenuti. Secondo il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, la violenza contro le donne è dovuta principalmente a due fattori: i valori tradizionali patriarcali e le istituzioni. Queste ultime prediligono infatti un’interpretazione dei principi religiosi rigida e discriminatoria nei confronti delle donne. Nonostante il principio di uguaglianza tra uomini e donne sia formalmente presente nella Costituzione iraniana e il paese abbia firmato i principali accordi internazionali in materia di diritti umani, nel Codice civile e penale permangono misure discriminatorie. Per quanto concerne la possibilità delle donne di accedere a posizioni governative, l’art. 155 della Costituzione prevede che le donne non possano diventare Guida Suprema o essere elette alla presidenza (tuttavia il paese ha visto l’avvicendamento di alcune vice-presidenti donna); nessuna donna è stata nominata membro del Consiglio dei Guardiani e solo il 2,8% dei seggi in parlamento è oggi occupato da deputati di sesso femminile. Nel mese di settembre 2012 è stata inoltre varata una legge che restringe alle donne l’accesso ai corsi universitari. La libertà di espressione è limitata. Gli studenti universitari sono spesso arrestati e minacciati nel caso di esternazione di opinioni politiche critiche nei confronti del governo. In momenti politici delicati, il governo controlla capillarmente gli strumenti di comunicazione. Il caso delle elezioni presidenziali del giugno 2009 è esemplare: la libertà di stampa ha registrato un brusco peggioramento, molte pagine internet sono state oscurate, i servizi di telefonia mobile sono stati interrotti e gli arresti sono stati massicci: secondo le dichiarazioni ufficiali solo il 13 giugno 2009, il giorno dopo le elezioni, circa 5000 persone sono state arrestate e non vi sono dati certi relativamente alla successiva durata delle detenzioni.
Economia
Se negli ultimi anni l’economia iraniana ha conosciuto una fase di rallentamento, che l’ha portata a passare da una crescita del 6% nel 2006 a un mero 1,6% nel 2010, oggi è possibile parlare di una vera e propria contrazione. Otto anni di presidenza Ahmadinejad, presidente eletto sulla base di un programma fortemente populista che prometteva di risollevare i mostazafin (‘diseredati’) dalle loro sorti e di ‘portare sulle tavole degli iraniani’ le rendite petrolifere, hanno lasciato l’economia iraniana in condizioni nettamente precarie. Alle politiche economiche avventuristiche di Ahmadinejad è poi da sommare l’enorme sofferenza a cui è sottoposta l’economia iraniana in seguito al braccio di ferro nucleare: embargo petrolifero e sanzioni su una quota consistente di scambi commerciali stanno lentamente stritolando il tessuto economico iraniano. L’effetto combinato di sanzioni e svalutazione del rial, inoltre, sta provocando un drastico crollo dei consumi, al quale si assomma il calo nella produzione di petrolio: nel mese di settembre 2012 essa ha fatto registrare il punto più basso degli ultimi vent’anni, scendendo a quota 2,63 milioni di barili al giorno. Ciò rappresenta un problema di non poco conto per un paese in cui il 60% delle entrate fiscali proviene dall’esportazione di idrocarburi, necessarie a finanziare il sistema di welfare. Proprio quest’ultimo ha subìto un duro colpo nel 2010 con l’eliminazione dei sussidi: istituiti per sostenere il reddito delle famiglie più bisognose, essi hanno determinato un innalzamento della spesa pubblica divenuto insostenibile per le disastrate casse di Teheran. L’aumento vertiginoso dei prezzi seguito all’eliminazione dei sussidi ha provocato una nuova ondata inflazionistica, oltre che un ulteriore deprezzamento del rial. A tutto ciò si somma un tasso di disoccupazione strutturalmente alto – attorno al 15%.
Una delle caratteristiche più originali del sistema economico iraniano è quella delle bonyad. Queste fondazioni caritatevoli, nazionalizzate dopo la rivoluzione del 1979, dominano l’80% dell’economia e hanno come scopo ufficiale quello di ridistribuire le risorse a vantaggio delle fasce più deboli. Le bonyad hanno facile accesso alle risorse statali, sono favorite dall’esenzione fiscale e rispondono del loro operato unicamente alla Guida Suprema.
Il settore del commercio interno è in gran parte controllato dai bazarī, la classe mercantile iraniana, persone spesso legate alla parte più conservatrice del clero e in grado di esercitare una forte influenza sul sistema politico. Basti pensare agli scioperi dell’estate del 2010 che hanno bloccato il paese, provocati dalla proposta del presidente Ahmadinejad di alzare l’iva e le tasse del 15%.
Dal punto di vista degli scambi internazionali, invece, il commercio è in crescita con i paesi asiatici come Cina, Giappone, India e Corea del Sud, ma anche con la Russia e, per ciò che concerne le transazioni finanziarie, con gli Emirati Arabi Uniti. Per quanto riguarda questi ultimi, oltre 7000 imprese iraniane sono registrate a Dubai, divenuta la cassaforte off-shore degli ayatollah e dei pasdaran (i Guardiani della Rivoluzione islamica), oggi sempre più protagonisti nei diversi settori economici accanto al loro tradizionale ruolo di forze paramilitari.
Energia e ambiente
La questione delle risorse energetiche iraniane è complessa e sfaccettata. Esse sono la prima fonte di reddito del paese, e restano un punto nodale di alcune tra le più importanti controversie con i vicini regionali e con attori internazionali, tra cui gli Stati Uniti. L’Iran è il quarto paese al mondo per riserve petrolifere stimate (137 miliardi di barili, dietro all’Arabia Saudita, al Venezuela e al Canada) e nella produzione giornaliera (4,2 milioni di barili, dopo Arabia Saudita, Russia e Stati Uniti). Del pari, si stima che il sottosuolo iraniano contenga ingenti riserve di gas naturale: nella produzione di questa materia prima il paese è al quinto posto mondiale, dietro a Russia, Stati Uniti, Unione Europea e Canada. A causa delle rigidità strutturali del mercato del gas, dovute alla convenienza di trasportarlo attraverso condutture piuttosto che liquefarlo e imbarcarlo via nave, le riserve gasifere iraniane hanno un ruolo potenzialmente fondamentale nelle aree caucasica, centroasiatica e mediorientale. Tuttavia, ad oggi il paese resta importatore netto di gas dall’estero (in prevalenza dal Turkmenistan), a causa dei grandi consumi interni di metano, e neppure il recente ampliamento della produzione è riuscito a colmare il gap generato dal progressivo aumento della domanda interna. Nonostante la sua posizione di importante esportatore petrolifero (Teheran vende all’estero circa il 60% della sua produzione), l’Iran dipende dagli approvvigionamenti esteri anche per quanto riguarda i prodotti derivati dal petrolio. Il suo potenziale di raffinazione è infatti modesto, e di poco superiore alla domanda interna: il paese è perciò costretto a esportare greggio all’estero – soprattutto verso Russia e Turchia – e a importare raffinati i suoi derivati più leggeri, come la benzina. Da una prospettiva regionale, la disponibilità di idrocarburi ha generato in passato e genera tuttora tensioni con alcuni paesi confinanti. Da un lato, parte del giacimento di South Pars – al largo delle coste del Golfo Persico – è conteso tra l’Iran e il Bahrain; dall’altro, Teheran rivendica da decenni la revisione degli accordi internazionali di sfruttamento del bacino del Caspio, in una vertenza che coinvolge l’Azerbaigian e il Turkmenistan, anche se di recente i rapporti con quest’ultimo stato sembrano meno tesi. Prosegue inoltre, tra i sospetti della comunità internazionale, il programma di ricerca sullo sfruttamento dell’energia atomica. Avviato nel lontano 1959 dallo shāh Muhammad Reza Pahlavi con il beneplacito e il sostegno dell’allora alleato statunitense, esso è stato più volte accantonato e ripreso negli anni, per poi subire una brusca accelerazione a partire dal 2001. Il governo iraniano sostiene che tale programma sia in linea con le necessità di diversificazione imposte dal forte aumento della domanda energetica interna (+25% negli ultimi cinque anni), ma il sospetto della comunità internazionale è che esso celi non tanto propositi energetici quanto ambizioni atomiche in grado di sconvolgere i precari equilibri di potere nell’area.
Difesa e sicurezza
La questione della sicurezza per l’Iran è al centro del dibattito internazionale, dal momento che il programma nucleare avviato da Teheran fa insorgere seri problemi sia internazionali, sia più specifici alla regione mediorientale. Sotto il profilo strategico l’Iran si percepisce vittima di una sorta di accerchiamento, dovuto alla presenza diretta o indiretta degli Stati Uniti ai suoi confini orientale e occidentale, rispettivamente in Afghanistan e – fino al 2011 – in Iraq. D’altronde l’Iran è da sempre l’unica potenza a maggioranza sciita in una regione a netta preminenza sunnita. Tale sensazione di ‘solitudine strategica’ ha portato Teheran a varare programmi di ammodernamento delle proprie forze armate. In particolare, l’ostilità verso l’Arabia Saudita ha condotto a un particolare sviluppo della marina, considerata la componente più importante dell’esercito iraniano, vista anche l’importanza vitale della sicurezza delle coste che si affacciano sul Golfo Persico. L’Iran intrattiene relazioni molto tese anche con Israele, e ciò gli impone di adottare una seconda strategia basata principalmente sulla componente aerea: grazie anche ai contatti con Russia, Cina e Corea del Nord, negli anni il paese ha sviluppato un notevole arsenale missilistico di breve e media e gittata e sta compiendo progressi nella costruzione di missili di lunga gittata. Le principali fonti di instabilità a livello interno sono rappresentate dalla minoranza beluci (sunnita) nel sud-est e da quella curda nel nord-ovest. Per tramite dell’organizzazione Jundullah (‘l’esercito di Dio’), i Beluci hanno perpetrato diversi attacchi terroristici interni contro obiettivi governativi, e diretti in particolar modo verso i pasdaran (i Guardiani della Rivoluzione islamica). In funzione anti-curda il governo iraniano coopera con la Turchia nella lotta al Pjak, organizzazione ritenuta il braccio iraniano del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan. Un altro fronte di lotta è quello contro il narcotraffico proveniente dall’Afghanistan, per combattere il quale negli ultimi vent’anni sono morti circa 3000 persone tra forze di polizia e soldati iraniani.
In paesi come l’Iran i media sono al tempo stesso parte integrante della struttura di potere e strumento di resistenza. All’inizio del Novecento sul giornale «Mulla Nasr al-Din» in lingua azerì comparvero diversi attacchi agli ulama, considerati i più feroci oppositori ai diritti delle donne. Adducendo il pretesto di una sua presunta empietà, il clero sciita in Iran e nella città irachena di Najaf ne vietò la diffusione. Anche il sovrano Muhammad Ali Shah si sentì minacciato da questa satira pungente e cercò di bloccare la distribuzione della rivista. A salvare editore e redattori furono la fedeltà dei lettori e il fatto che il giornale era pubblicato a Tbilisi (Georgia), fuori della giurisdizione del clero sciita e dello stesso shāh. Anche l’ideologia della rivoluzione costituzionale del 1906 trovò nella satira un valido mezzo per attaccare gli ulama e la monarchia, colpevoli di reprimere le donne e gli abitanti delle aree rurali. Il 30 maggio 1907, mentre a Teheran e Tabriz si discuteva delle leggi supplementari alla Costituzione, fu dato alle stampe il primo numero del giornale «Sur-e Esrafil», la più radicale tra le riviste dell’epoca. Tanta fama era legata agli articoli satirici del noto Ali Akbar Dehkhoda (1879-1956), abile nel raccontare storie e nell’interpretare vecchi proverbi alla luce degli eventi contemporanei. Con toni rivoluzionari, Dehkhoda si faceva gioco dei mullah e dei superstiziosi. Al tempo dello sha¯h Muhammad Reza Pahlavi (1941-79), gli oppositori protestarono contro lo scarso sviluppo politico in un contesto di rapida urbanizzazione attraverso le lettere inviate al sovrano, ai ministri e ai mezzi di comunicazione. La censura impediva però ai giornali di pubblicarle e queste venivano fatte circolare in modo clandestino. Nella rivoluzione del 1979 fu decisivo l’utilizzo dei media da parte dell’Ayatollah Khomeini: intervistato dai media occidentali, riuscì a trasmettere un’immagine di sé ascetica, in grado di sedurre le masse degli iraniani del ceto basso. Veniva fotografato e ripreso mentre si nutriva di cibo semplice, seduto su un tappeto mentre offriva il tè ai suoi ospiti. Un’immagine ben diversa rispetto a quella dello sha¯h, le cui abitudini erano sfarzose. Nella Repubblica Islamica i media sono una delle arene in cui si scatena la lotta tra le diverse fazioni. Durante la presidenza di Muhammad Khatami (1997-2005) la stampa aveva vissuto una fase di liberalizzazione, ma era stata presa di mira dai conservatori: molte testate riformiste erano state chiuse, i loro direttori e giornalisti incarcerati. Oggi in Iran vi sono una ventina di quotidiani nazionali: «Tehran Times» (pubblicato dalle autorità), «Iran Daily» (dell’agenzia di stampa ufficiale Irna) e «Iran News» sono in inglese; «Aftab-e Yazd» è un quotidiano riformista; «Kayhan», «Resalat» e «Jomhuriye- Eslami» sono conservatori. Il quotidiano «Jaam- e Jam» è dell’Irib (Islamic Republic of Iran Broadcasting), ovvero dell’organismo che controlla la radio e la televisione di stato. Tra i quotidiani, quelli che vendono il maggior numero di copie sono le testate sportive. L’Irib vanta otto canali radiofonici: per le attività parlamentari, il Corano, e The Voice of the Islamic Republic of Iran, che trasmette in onde corte e su internet. L’Irib ha quattro canali tv nazionali e il terzo è seguito dai giovani in Iran. Oltre a questi, vi sono i tre canali satellitari Jaame Jam, con programmi per gli iraniani in Europa, nelle Americhe, in Asia e Oceania. Per controbilanciare la pressione mediatica statunitense, nel 2007 le autorità iraniane hanno lanciato il canale satellitare di notizie Press TV, in inglese. Rispetto alla carta stampata, in televisione la censura è ancora più severa. Di conseguenza, sebbene sia vietato possedere un’antenna parabolica, molti accedono alle trasmissioni di emittenti straniere, alcune delle quali in persiano (BBC Persian TV e diverse emittenti con sede in California). Tra le agenzie, la Fars New Agency (in inglese) è legata ai pasdaran e la Mehr News Agency (con pagine in inglese) all’Organizzazione per la propaganda islamica. Non irrilevante la dimensione mediatica di internet, sebbene le autorità esercitino un controllo tecnico sulla rete attraverso filtri e limitazioni alla velocità di connessione. Gli utenti sono 32,2 milioni, pari a quasi la metà della popolazione. Il web è un mezzo di comunicazione importante sia per il dissenso sia per la politica ufficiale, tant’è che diversi ayatollah e persino il presidente Ahmadinejad hanno un loro blog. Durante le proteste successive alle contestate elezioni del 12 giugno 2009, Facebook, Twitter e gli altri social network hanno permesso la diffusione di notizie per far conoscere il movimento verde di Mir Hossein Mussavi e la repressione in atto nel paese.
Quando si guarda alla controversia internazionale attorno al programma nucleare iraniano si può farne risalire l’origine alle dichiarazioni dei mujaheddin del popolo iraniano, resistenza armata in esilio che accusò il regime di Teheran di aver sviluppato un programma nucleare a scopi militari in violazione del Trattato di non proliferazione nucleare (Npt) di cui il paese è firmatario. Negli anni, questo ha spinto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti e l’Unione Europea ad adottare sanzioni economiche contro l’Iran. Tali provvedimenti sono diretti a colpire l’economia e la finanza del paese, con l’obiettivo di spingere Teheran a congelare il proprio programma nucleare in attesa di ulteriori verifiche internazionali. Nonostante il governo iraniano abbia minimizzato l’impatto delle sanzioni sull’economia, le difficoltà ad attrarre investimenti diretti esteri e ad accedere agli istituti della finanza globale hanno ulteriormente messo in difficoltà l’apparato industriale e creato serie difficoltà al settore petrolifero. Secondo alcune stime l’Iran avrebbe infatti bisogno di circa 200 miliardi di dollari di investimenti per far fronte alle carenze strutturali del suo sistema economico, soprattutto nel settore della raffinazione degli idrocarburi; d’altro canto, il paese trova difficoltà nel fornire servizi di assicurazione alle proprie petroliere, dal momento che molte compagnie si sono ritirate dal mercato iraniano. Il divieto posto dagli Stati Uniti di Obama di esportare benzina verso il paese ha inoltre costretto il presidente Ahmadinejad a convertire decine di industrie petrolchimiche in raffinerie, con costi di conversione alti e benefici discutibili. In questo contesto è divenuto sempre più difficile per il governo mantenere il precedente sistema di sussidi, usato storicamente per compensare la popolazione per gli alti tassi di disoccupazione e inflazione. A dicembre 2010 Ahmadinejad ha deciso di abolirlo, sostituendolo con erogazioni di denaro soltanto alle famiglie più colpite dalla misura. Per far fronte a una situazione tanto allarmante, il governo ha tentato di aggirare il sistema di sanzioni tramite rapporti con stati terzi (come gli Emirati Arabi Uniti); tuttavia, molti analisti sostengono che le conseguenze di medio-lungo periodo delle sanzioni internazionali potrebbero divenire ancora più pesanti.
Per ragioni storiche, culturali e oggi politico-militari, la Repubblica Islamica si considera una potenza regionale ingiustamente sottovalutata. Le sue relazioni diplomatiche più intense sono dirette verso la Siria, il movimento politico- militare libanese Hezbollah e quello palestinese Hamas, e le forze sciite in Iraq. Si sono invece momentaneamente raffreddate le relazioni con la Turchia di Erdogan, a seguito della divergenza di vedute sulla crisi siriana.
Occorre considerare che l’Iraq e il Libano sono due paesi a forte componente sciita e per questo motivo risentono di una maggiore influenza iraniana sulla propria evoluzione politica interna. D’altra parte la Repubblica Islamica ha anche diverse vertenze ancora aperte con molti paesi della regione: le dichiarazioni bellicose e negazioniste del presidente Ahmadinejad hanno peggiorato i rapporti con Israele, particolarmente tesi fin dall’indomani della rivoluzione. Da parte loro, gli Emirati Arabi Uniti non dimenticano le tre isole occupate dalla Repubblica Islamica: Abu Musa, Piccola Tunb e Grande Tunb. Infine, il progresso del programma nucleare iraniano preoccupa tutta la regione, se non dal punto di vista di una minaccia militare diretta quantomeno per il prestigio e la capacità di influenza che Teheran acquisirebbe diventando una potenza nucleare. In una tale cornice prosegue, pur tra alti e bassi, l’intenso rapporto economico e militare tra l’Iran e la Turchia. Ankara, bisognosa di energia per soddisfare i propri propositi di grandezza neo-ottomana, chiude un occhio sul programma nucleare iraniano, offrendo a Teheran una sponda amica nei forum internazionali e aiutando la Repubblica Islamica ad aggirare le sanzioni. Allo stesso tempo, però, le ambizioni geopolitiche della Turchia si scontrano con il sogno di egemonia ragionale di Teheran: Ankara interferisce nei rapporti tra Iran e Hamas, così come sullo scacchiere siriano.