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'IRĀQ

di Gabriella Cundari, Francesco Gabrieli, Francesco Gabrieli, Giorgio Gullini - Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)
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'IRĀQ (XIX, p. 528; App. I, p. 737; II, 11, p. 63; III, 1, p. 892)

Gabriella Cundari
Francesco Gabrieli
Francesco Gabrieli
Giorgio Gullini

Q Popolazione. - Secondo una stima del 1975 la popolazione irachena ammontava a 11.124.250 ab., esclusi i nomadi. Il coefficiente di accrescimento annuo è piuttosto elevato (3,3% negli anni 1970-74). Gli abitanti, per l'80% Arabi, con forti minoranze di Curdi e poi di Turchi, Assiri, Caldei, Iraniani, si concentrano principalmente nelle regioni settentrionali (tra Kirkūk e Mossul) per le buone possibilità offerte dalle attività legate al petrolio e nella regione centrale pianeggiante per le buone possibilità agricole.

Attività economiche. - Pur partecipando solo in misura secondaria all'economia nazionale, l'agricoltura occupa ancora il 47% della popolazione attiva. Nonostante le imponenti opere idrauliche e la riforma agraria, spesso l'agricoltura viene praticata secondo schemi e sistemi arcaici. Poche sono le aziende moderne e le forme cooperativistiche, e le aziende di stato risultano tutt'oggi poco diffuse. Base dell'economia agricola sono ancora i cereali (grano 8,5 milioni di q nel 1975, orzo 4,4 milioni di q; poi riso e mais) con la palma da dattero (4 milioni di q annui, pari a un quinto del prodotto mondiale). Nelle aree irrigue (corrispondenti a un terzo della superficie territoriale) c'è una maggiore varietà di prodotti (cotone, tabacco, oppio, ortaggi, barbabietola da zucchero, piante oleaginose). Nelle regioni fresche e umide del settentrione prosperano i frutteti. Per quanto riguarda l'allevamento, è rimasto pressoché invariato rispetto al precedente decennio il numero dei cammelli e degli ovini, mentre si registra un forte aumento dei bufali (330.000) dei bovini (2.116.000) dei caprini (2.675.000) e una diminuzione degli asini, dei muli e dei cavalli. L'allevamento viene praticato nelle vaste steppe (due terzi del territorio nazionale) da pastori nomadi e seminomadi e ancora oggi non risulta quasi mai collegato all'agricoltura. Poco rilevante è il peso della pesca, se si eccettua l'apporto delle aree paludose che si estendono fra al-Amāra sul Tigri e Suq ash-Shuyukh sull'Eufrate, fino allo Shaṭṭ al 'Arab. Nel 1975 la produzione di pesce assommava a 21.832 tonnellate.

La principale ricchezza del paese è il petrolio, la cui produzione nel 1976 è stata di 107.664.000 t (l''I. è ai primi posti nel mondo); cui vanno aggiunti 1.210 milioni di m3 di gas naturale. Nell'ultimo decennio la produzione di petrolio si è raddoppiata e ha permesso un rapido sviluppo delle industrie ad essa legate più da vicino (raffìnerie di Alwand, Davra, Muftieh, Qaiyāra; industrie chimiche a Baghdād, Babilonia, Maditha, ecc.). L''I. ha sempre avuto rapporti tesi con la Compagnia concessionaria (IPC) e questo ha favorito la formazione di un Ente Nazionale Idrocarburi (INOC) cui è stato devoluto il compito di valorizzare le risorse petrolifere esistenti e non ancora sviluppate dello stato. A questo fine, l'INOC viene coadiuvato dalla compagnia francese ERAP, e dai tecnici sovietici, che operano nel campo delle ricerche e per l'esecuzione di progetti riguardanti la costruzione di raffinerie e oleodotti (Mossul e Baghdād).

A parte il settore petrolifero, buone industrie si hanno nel campo tessile (cotone a Mossul, seta artificiale a Hindiyah, lana a Baghdād), nelle manifatture di tabacchi, nei cementifici (Baghdād, Mossul e Kirkūk). Una certa importanza conserva ancora la lavorazione artigiana dell'argento.

Vie di comunicazione e commercio. - La buona posizione geografica, a cavallo tra il Levante e l'India, ha sempre favorito il paese, che oggi dedica buona parte dei cespiti petroliferi al potenziamento delle vie di comunicazione. Alla ferrovia Mossul-Baghdād-Bassora è stato aggiunto un tronco per Khānaqīn. Ben sviluppata è la rete stradale (10.824 km). I principali nodi di traffico sono rappresentati da Bassora e Baghdād, sedi tra l'altro dei due aeroporti internazionali del paese.

Le esportazioni dell''I. si basano per il 93% sul petrolio, che mantiene attiva la bilancia commerciale; altri prodotti da esportazione sono i datteri, il cemento, le pelli, ecc. Le importazioni riguardano soprattutto macchinari, autoveicoli, prodotti alimentari, farmaceutici, tessili. Gli scambi sono intensi sia con i paesi occidentali, sia con l'Unione Sovietica.

Bibl.: K. M. Langley, The industrialization of Iraq, Cambridge (Mass.), 1961; B. Vernier, L'Iraq aujourd'hui, Parigi 1963.

Storia. - Una data fondamentale della moderna storia dell''I. fu il sanguinoso colpo di stato del 14 luglio 1958, che abbatté la monarchia hashimita, eliminò re Faiṣal II e il filobritannico primo ministro Nūrī Āl Sa'īd, e portò al potere il gen. Qāsim. Da allora l''I., sottrattosi a ogni tutela straniera, è divenuto un irrequieto e radicale anello nella catena di stati arabi, accentuatamente avverso al gruppo occidentale. All'interno, la sua vita politica si è svolta attraverso una serie di colpi di mano militari, in cui s'intrecciano rivalità personali, correnti e gruppi politici. La dittatura di Qāsim fu abbattuta nel febbraio 1963, e sostituita da quella del gen. Muḥammad 'Ārif, sostenuto dal partito socialista Ba‛th, di origine siriana e poco dopo asceso al potere anche in Siria. Nel novembre dello stesso anno, 'Ārif si disfaceva del Ba‛th, ma nel luglio 1968 questo si prendeva la rivincita con un opposto colpo, capeggiato dal gen. Āl Bakr, che rovesciava il fratello e successore di 'Ārif (perito poco prima in un incidente aereo), e iniziava un nuovo periodo ba‛thista, tuttora perdurante. Il gen. Āl Bakr è attualmente presidente della repubblica, affiancato da un Consiglio del comando della rivoluzione, cui son devoluti tutti i poteri.

Gravi problemi di politica interna ed estera hanno successivamente impegnato gli uomini alternatisi in questi anni al potere in 'Irāq. All'interno, il monopolio del partito unico non ha posto termine alle rivalità di gruppi e fazioni, svolgentisi nella clandestinità, e spesso soffocate silenziosamente nel carcere e nel sangue. Nel nord del paese, è cronica da un quindicennio la guerriglia dell'insurrezione autonomistica curda (capeggiata dallo sheikh al-Barzānī, morto nel 1974), di cui né la repressione armata né effimeri accordi son riusciti a venire a capo. All'estero, replicati tentativi di intese e unioni con altri stati arabi (Siria ed Egitto), più volte avviati, non hanno avuto risultato. Nel moto panarabo di resistenza a Israele, l''I., se non ha dato un contributo militare apprezzabile, si è distinto sul piano politico per una dura intransigenza, allineandosi con la vicina Siria e la lontana Algeria. Nella instabile situazione del Medio Oriente, esso resta in conclusione uno dei maggiori fattori d'instabilità.

Letteratura. - Da provincia arretrata e periferica della letteratura neo-araba, l''I. è passato nei recenti decenni a una posizione di avanguardia, grazie a una fiorita di talenti letterari, che hanno saputo efficacemente esprimere l'agitata, convulsa vita politica e sociale del loro paese.

Nella prima metà del Novecento, le voci dell''I. nel concerto della moderna poesia araba erano state az-Zahāwī (1863-1936) e ar-Ruṣāfi (1875-1945). La generazione nata intorno alla svolta del secolo si era poi distinta con Ṣafī an-Nagiafī (nato nel 1896) e Mahdī al-Giawāhirī (nato nel 1900). Ma la nuova leva poetica s'inaugura coi poeti nati negli anni Venti, e affacciatisi all'attività letteraria nel più recente periodo di storia irachena, susseguito alla seconda guerra mondiale. È dapprima la delusione dei sogni d'indipendenza e libertà, poi la rivoluzione salutata liberatrice e inaugurante invece nuove tirannidi e nuove oppressioni. In questo mondo d'insicurezza, di odi e persecuzioni, la voce dei poeti mescola alle esperienze personali un diffuso senso di frustrazione e irrequietezza: ai problemi puramente iracheni s'intrecciano quelli di politica estera, i turbati rapporti con la Giordania, gli echi del dramma palestinese, spina nel fianco di tutto l'arabismo. Questo quadro ambientale spiega gli accenti profondamente pessimistici di gran parte di questa nuova poesia. Ma essa è nuova anche nella forma: forte della precedente esperienza della scuola siro-americana, ma corroborandola con l'ulteriore sviluppo della poesia moderna anglosassone (determinante qui l'influsso di T. S. Eliot), la nuova scuola poetica irachena rompe del tutto con la tradizione classica, adotta il verso libero, rinnova il lessico poetico. L''I. si pone così a modello, nella poesia, degli altri paesi arabi che guardano all'avvenire.

Corifei ormai non più giovani di questo rinnovamento sono la poetessa Nāzik al-Malā'ika (nata nel 1923), il caposcuola Badr Shākir as-Sayyāb (1926-1964), Buland al-Ḥaidarī (nato nel 1926), ‛Abd ar-Raḥmān al-Bayātī (nato nel 1926). La Nāzik al-Malā'ika, rivelatasi negli anni Quaranta, occupa oggi una posizione di primo piano nell'intera letteratura neoaraba: le sue varie raccolte liriche (Schegge e cenere, Il cavo dell'onda, ecc.) esprimono potentemente gli ora accennati sentimenti di turbamento e angoscia, che ispirano, anche attraverso ancor più penose e dirette esperienze, la poesia del precocemente scomparso as-Sayyāb (Il canto della pioggia, e altre raccolte). Nei versi liberi di questo poeta altamente dotato è facile percepire l'eco di The waste land e altra produzione eliotiana, ma rivissuta nelle illusioni e delusioni di un moderno patriota socialista d'Oriente. In al-Bayātī, che ha conosciuto anch'egli l'esilio e la miseria, sono particolarmente sensibili gli echi dell'esistenzialismo francese (Sartre e Camus), mentre in Ḥaidarī la passione politica e civile tocca i suoi toni più alti. Nel solco di questi maestri, opera già tutta una nuova leva.

Oltre che nella poesia, notevolissimo è il contributo della giovane letteratura irachena alla narrativa, assurta rapidamente, sotto l'influenza della short-story anglosassone, a ricco e fecondo sviluppo. Se la lirica ha qui dovuto rompere con la stanca produzione classicizzante, la narrativa è nata dal nulla, non esistendo nella letteratura araba classica se non tenui spunti soffocati da preponderanti interessi retorico-linguistici (la maqāma medievale), o il patrimonio popolareggiante riversatosi in talune parti delle Mille e una Notte. Nella schiera dei giovani narratori iracheni emergono oggi Ya‛qūb Bulbul, Shākir Khuzbāk e soprattutto ‛Abd al-Malik Nūrī (nato nel 1921) e Fu'ād Tekerlī (nato nel 1927). I saggi di questi due novellieri, noti anche all'estero in traduzioni antologiche, mostrano a che livello di esperto realismo sa sollevarsi questa giovane narrativa, libera da pastoie d'imitazione, e attingente la sua materia alla primitiva, quasi animalesca vita degli umili nel proprio paese. Ai nomi già citati è giusto aggiungere quello di Mahdī‛Isa aṣ-Ṣaqr, anch'egli sollevante con ferma mano a materia di espressione artistica le miserie e i dolori del suo popolo.

Critica letteraria, sociologia e storia sono anche attivamente coltivate nel moderno 'I. sotto prevalente influsso marxista.

Bibl.: P. Minganti, Notizie su alcuni sviluppi della poesia araba contemporanea in Iraq, in Oriente moderno, XLI (1961), pp. 979-1010; Sh. Moreh, Nāzik al-Malā'ika and ash-shi‛r al-ḥurr in modern Arabic literature, in Asian and African Studies, IV (1968), pp. 57-84.

Archeologia. - L'attuale 'I. include la maggior parte dell'antica Mesopotamia, che pur senza essere stata mai una regione dai precisi limiti politici, ha rappresentato nei suoi confini orografici il luogo di un eccezionale svolgimento di diversi aspetti di civiltà fin dall'età preistorica. Ai cacciatori e raccoglitori del Paleolitico documentati dalle grotte nella regione del Kurdistan (Shanidar) seguono, all'inizio del Neolitico, i primi agricoltori, tra i protagonisti della "rivoluzione agricola" nell'area della mezzaluna fertile; sono stanziati in piccoli villaggi nel nord del paese (Giarmo) che testimoniano una prima architettura, l'inizio della scultura in terracotta e l'addomesticazione di molte specie di animali.

Un salto qualitativo nello sviluppo della civiltà avviene con l'introduzione dell'irrigazione cui si deve l'estensione delle aree coltivate e la sicurezza dei raccolti. L'esplorazione di uno stanziamento del 6°-5° millennio nella Mesopotamia centro-settentrionale (Tell es-Sawān, presso Sāmarrā), per la presenza del lino, che nella zona non potrebbe nascere e crescere senza irrigazione, ha provato l'introduzione di questo metodo di coltivazione fin da un'epoca tanto remota. L'irrigazione comporta una profonda trasformazione della società per la necessità di un'organizzazione e di una specializzazione di compiti e di attribuzioni tra i membri della collettività. A questa trasformazione si deve la nascita della città, intesa non come stanziamento di più vaste dimensioni, ma come centro di una vita associata più articolata e complessa. Ne consegue un diverso aspetto della civiltà in Mesopotamia, la civiltà urbana che ci è dapprima testimoniata nel sud del paese e che ebbe come protagonisti genti presumeriche, se non sumerici sono i nomi di molte città. Eridu, Ur e soprattutto Uruk sono i centri più importanti. Uruk nell'ultimo quarto del 4° millennio ci documenta il fiorire di una splendida cultura che possiamo ormai chiamare sumerica e che, accanto a una grandiosa architettura, a una scultura in sottile raffinato equilibrio tra astrazione e naturalismo, conosce l'invenzione della scrittura. I primi ideogrammi sono testimonianza di un eccezionale processo di astrazione e sintesi e peraltro di forme di vita avanzate e complesse. L'organizzazione politica è quella della città-stato che fiorisce nel periodo cosiddetto dinastico che occupa la prima metà del 3° millennio all'incirca e che vede una larga diffusione di un altissimo livello di cultura. Kish (el Oḥeimir), Ur (Muqayyar), Lagash (Tellō), Umma (Giokha), Larsa (Senkere) sono i centri che ci hanno dato la più cospicua documentazione.

All'inizio dell'ultimo terzo del 3° millennio abbiamo il costituirsi del primo grande stato unitario in Mesopotamia con l'avvento di Sargon di Akkad e della sua dinastia, che segna la prima affermazione della componente semitica delle popolazioni mesopotamiche, andatasi facendo nel corso del 30 millennio sempre più cospicua. Ciò significa lo spostamento del centro politico nell''I. centrale (anche se il luogo di Akkad non è stato identificato, la sua collocazione in un'area poco a S di Baghdād appare certa), e la nascita di quel mito del grande regno che ritornerà più volte nella storia mesopotamica. I documenti d'arte ci mostrano un eccezionale naturalismo in scultura (specie nel bronzo) e un'organicità accentratrice nelle tematiche planimetriche in architettura. L'attacco di popolazioni estranee alla Mesopotamia, i Gutei, provenienti dalle montagne iraniche, pone brusca fine alla dinastia accadica e dà origine a un periodo travagliato da cui riemerge la cosiddetta rinascita sumerica, con il ritorno alle città-stato, tra le quali Ur ha un'importanza preponderante, specialmente per le manifestazioni architettoniche, e Lagash per quelle scultoree. Assume forma monumentale l'edificio più caratteristico dell'architettura mesopotamica, che pure ha origini ben più antiche, la ziqqurat, il tempio torre: proprio a Ur, al tempo del re Urnammu (circa 2100 a. C.) abbiamo la più conservata tra le ziqqitrat. Un sovrano di Lagash, Gudea, ci ha lasciato una cospicua serie di statue in diorite che, prima delle recenti scoperte per altri periodi, erano tra i documenti più significativi della scultura mesopotamica.

L'inizio del 2° millennio vede l'affermarsi dei semiti occidentali, gli Amorrei, con la creazione di nuovi stati città, Isin, Larsa, Mari (che però è nell'attuale Siria) e soprattutto Babilonia. Quest'ultima acquista importanza riuscendo, con una dinastia tra cui spicca particolarmente Hammurabi, il sovrano della famosa stele delle leggi, a costituire un vasto regno che durerà fino alla metà circa del millennio. La civiltà di questo periodo che si chiama usualmente paleobabilonese, ci è poco nota da Babilonia stessa, i cui livelli più profondi non sono stati ancora esplorati perché al di sotto della falda d'acqua; la nostra documentazione proviene da altri centri che illustrano ampiamente architettura e scultura. La fine del periodo paleobabilonese è segnata dall'avvento delle prime popolazioni indoeuropee che si affermano come classe dominante in Mesopotamia: Hurriti a nord e Cassiti nel centro-sud. I primi hanno il loro centro a Nuzi (Yorgan tepe), i secondi divengono i sovrani della Mesopotamia centrale assorbendo la cultura babilonese e fondando una nuova capitale, Dur Kurigalzu (Aqar Qūf), alla periferia nordoccidentale di Baghdād. Verso la fine del 2° millennio assumono rilievo politico gli Assiri con la creazione di un impero che, dopo una recessione all'inizio del primo millennio, si espande con particolare vigore a partire dalla seconda metà del 9° secolo. È il periodo chiamato neoassiro, i cui centri principali sono nel nord del paese: Assur (Qal‛at Sherqāt), Ninive (Qūyungīq), Kalakh (Nimrud), Dūr Sarrukīn (Khorsabad); durante questo periodo le conquiste si estendono fino all'Egitto (sotto il re Assurbanipal). A esso appartengono i grandiosi palazzi che ci hanno dato le collezioni dei rilievi che decoravano gli zoccoli dei muri delle sale, e delle sculture che ornavano gli stipiti delle porte. I rilievi rappresentano una delle testimonianze più alte dell'arte narrativa di tutta l'antichità.

La caduta di Ninive nel 612, ad opera dei Babilonesi e dei Medi, segna la fine dell'Assiria e corrisponde all'inizio della fioritura di Babilonia durante quello che appunto viene chiamato il periodo neobabilonese (7°-6° secolo a. Cristo). È il momento dello splendore di Babilonia, nella fase di vita della città che conosciamo meglio: i palazzi, la via delle processioni con la porta di Ishtar, le mura con la doppia cortina e il fossato antistante, il tempio dell'Esagila e la ziqqurat Etemenanki, le case di abitazione.

La conquista achemenide, con Ciro il grande, nel 539 a. C. mette fine alla dinastia neobabilonese e all'autonomia politica della Mesopotamia che diviene una satrapia dell'impero persiano. Babilonia rimane però ancora una delle città più famose del mondo antico e Alessandro, erede dei sovrani Achemenidi, vi soggiorna nell'ultimo periodo della sua vita e vi muore (323 a. Cristo).

I successori di Alessandro, i Seleucidi, fondano all'inizio del 3° secolo a. C. la più grande città greca di oriente: Seleucia (circa 35 km a S di Baghdād), sul Tigri, il cui eccezionale impianto urbanistico e i cui documenti d'arte, testimonio di un incontro suggestivo di cultura greca e di tradizione mesopotamica, conosciamo ora molto bene grazie agli scavi di una missione italiana. Nel 142 a. C. la Mesopotamia è occupata dagli Arsacidi, i nuovi sovrani dell'Iran, alle cui vicende rimane legata anche quando, nel 226 d. C., si registra l'avvento della nuova dinastia, quella sasanide. Del periodo che comprende l'ultimo secolo a. C. e i primi due dell'era volgare abbiamo una testimonianza di particolare valore nei grandiosi resti di Hatra (al-Hadr), una città che è documento della civiltà delle prime tribù arabe acculturate dall'ellenismo. Per l'età sasanide alcuni monumenti, in particolare il Taq-i Kisra di Ctesifonte, sono prova di un nuovo vigore della civiltà mesopotamica sollecitata da apporti esterni.

La battaglia di Qādisiyya (637 d. C.) segna la fine dell'impero sasanide, l'avvento degli Arabi e la rapida islamizzazione del paese. Nel 672 al-Manṣūr fonda Baghdād secondo una tipica pianta circolare. Ma la città conoscerà la sua splendida fioritura con i califfi abbassidi, che alla metà dell'8° secolo soppiantano gli omayyadi, soprattutto tra il 9° e 11° secolo. L'altra grande città dell''I. in età abasside fu Sāmarrā, concepita con una grandiosa urbanistica e che conserva ancora palazzi, moschee, e il minareto con la scala esterna a spirale (Malwiyya) che si vuole ispirato dalla ziqqurat di Babilonia, la leggendaria torre di Babele, peraltro all'epoca abbasside già completamente distrutta. Vedi tav. f. t.

Bibl.: E. Strommenger-M. Hirmer, L'arte della Mesopotamia dal 5000 a.C. ad Alessandro Magno, Firenze 1963; The Cambridge ancient history, nuova ed. 1961 segg. I, i; I, 2; II, i; II, 2.

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