Vedi Irlanda dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Le origini dello stato irlandese risalgono al Trattato anglo-irlandese del 1921, in base al quale venne istituito l’Irish Free State, che iniziò ad esercitare la propria sovranità sull’80% dell’isola, mentre sei contee nella provincia dell’Ulster – quella che oggi è l’Irlanda del Nord – secondo gli accordi sarebbero rimaste sotto la sovranità del Regno Unito. La risoluzione della questione dell’Irlanda del Nord, che ha rappresentato per lungo tempo la priorità della politica estera di Dublino, ha trovato la sua temporanea conclusione nella stipula del cosiddetto Accordo del Venerdì Santo (Good Friday Agreement) del 1998. In base a questo documento, l’Irlanda rinunciava alle proprie pretese territoriali nei confronti dell’Irlanda del Nord e, insieme al Regno Unito, attribuiva a entrambi i popoli dell’isola il diritto all’autodeterminazione attraverso referendum nei rispettivi territori. L’accordo ha inoltre rafforzato i legami istituzionali tra Irlanda e Irlanda del Nord. L’ultimo legame formale con il Regno Unito è stato interrotto nel 1949 quando l’Oireachtas (il parlamento nazionale) ha approvato il Republic of Ireland Act, dichiarando l’Irlanda una repubblica e uscendo dal Commonwealth delle Nazioni, che ha a capo la monarchia britannica.
Successivamente, i rapporti con Londra sono gradualmente migliorati e i legami economici tra i due paesi sono oggi forti. Insieme al Regno Unito, l’Irlanda è entrata a far parte della Comunità economica europea nel 1973, beneficiando così dell’afflusso di sussidi comunitari che si sono rivelati uno dei più rilevanti fattori di crescita economica del paese. Nonostante ciò, e benché in Irlanda si registri un basso livello di euroscetticismo, la tradizionale politica di neutralità tenuta da Dublino nel panorama internazionale ha comportato rapporti altalenanti con l’Unione Europea (Eu). Oltre ad opporsi alle iniziative in materia di sviluppo della difesa comune europea, l’Irlanda – la cui costituzione prevede che le modifiche ai trattati comunitari debbano essere sottoposte a referendum – ha bloccato, nel 2001 e 2008, la ratifica dei trattati di Nizza e Lisbona, approvandola solo con una seconda consultazione nel 2002 e 2009.
L’Irlanda, che non ha preso parte alla Seconda guerra mondiale, alla sua conclusione non ha aderito all’Alleanza atlantica (poi Nato), portando avanti una politica di neutralità. Ciò non ha però impedito lo sviluppo di una profonda collaborazione con gli Usa, per i quali l’Irlanda costituisce una sorta di hub economico, oltre a essere paese di destinazione di cospicui investimenti diretti primariamente al settore tecnologico. D’altro canto la tradizionale emigrazione irlandese verso gli Usa è stata un elemento importante dei rapporti tra i due paesi, sebbene si sia notevolmente ridotta nel corso degli ultimi due decenni grazie alla crescita economica verificatasi in Irlanda.
Il sistema di governo è parlamentare di tipo bicamerale, composto da un Senato non direttamente eletto e con poteri molto limitati (Seanad È’ireann) e da una Camera dei rappresentanti (Dáil È’ireann) che detiene il potere legislativo e viene eletta ogni cinque anni.
Il presidente, attualmente Michael Higgins, è eletto per sette anni e ha un ruolo principalmente cerimoniale. I due principali partiti sono Fianna Fáil (‘Soldati del destino’), che nacque come partito di opposizione al Trattato anglo-irlandese, e Fine Gael (‘Famiglia degli irlandesi’), che era invece a favore del trattato. Fianna Fáil, che ha guidato il paese per lungo tempo, è oggi inquadrabile nello schieramento di centro, mentre Fine Gael in quello di centro-destra. Con la prematura caduta nel 2008 del governo Cowen, in carica dal 2007, le elezioni anticipate del 25 febbraio 2011 hanno mostrato una significativa inversione di tendenza: Fianna Fáil, al governo dalla seconda metà degli anni Novanta senza interruzioni, ha infatti perso numerosi seggi, passando dai 77 del 2007 ai 19 attuali.
Dalle consultazioni è uscita vincitrice la coalizione formata dal partito Fine Gael e dal piccolo partito di centro-sinistra Labour Party; l’originale governo guidato da Enda Kenny del Fine Gael gode tuttavia di una certa stabilità, principalmente a causa della presenza di una solida maggioranza in parlamento, della necessità di non provocare la sfiducia degli investitori internazionali e della debolezza e frammentazione dell’opposizione. Quest’ultima è solidamente guidata dal partito di sinistra Sinn Féin, che sta continuando a guadagnare consensi sottraendoli in parte al Labour Party, tacciato dagli elettori di sinistra di collaborazionismo con i conservatori del Fine Gael. Le prossime elezioni generali sono previste per la primavera 2016.
Gli irlandesi sono prevalentemente di origine celtica, mentre una minoranza discende dagli Anglo-Normanni. L’inglese è lingua ufficiale ed è usato comunemente, l’irlandese (gaelico) è parimenti lingua ufficiale ed è insegnato nelle scuole. La maggioranza della popolazione è cattolica (84,2%); vi sono poi alcune minoranze, tra cui anglicani (Chiesa d’Irlanda, 2,8%), musulmani (1%), presbiteriani, metodisti ed ebrei. La libertà di religione è generalmente rispettata. L’alta adesione al cattolicesimo è storicamente una caratteristica irlandese, tuttavia ciò non è servito ad evitare il recente sdoganamento tramite referendum dei matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Sotto il profilo delle dinamiche demografiche, mentre fino agli anni Ottanta erano numerosi gli irlandesi che emigravano all’estero, con il boom economico degli anni Novanta tale tendenza si è capovolta attirando numerosi lavoratori stranieri. Tuttavia, la recente crisi economica e la disoccupazione hanno determinato un’inversione di tendenza nel 2010, anno in cui l’emigrazione, soprattutto dei giovani, è tornata a crescere in virtù di un tasso di migrazione netta pari a 22,5 su 1000 abitanti. A partire dal 2012, tuttavia, tale dato ha ripreso a calare, attestandosi mediamente attorno a 10,9 su 1000 persone. Dal punto di vista delle politiche sociali, l’istruzione è obbligatoria per tutti i ragazzi dai 6 ai 15 anni. Pressoché la totalità dei bambini frequenta le scuole primarie pubbliche, il 20% delle quali è gestito da istituti cattolici. Anche le scuole secondarie sono prevalentemente pubbliche e circa la metà è gestita dalla Chiesa cattolica. Infine, l’Accordo del Venerdì Santo prevedeva, tra le altre disposizioni, la creazione di una commissione irlandese per i diritti umani, che collaborasse con quella dell’Irlanda del Nord; tale commissione è stata istituita nel 1998 e riconosciuta nel 2001 come membro del network delle National Human Rights Institutions (Nhri).
La corruzione è una problematica controversa nel sistema-paese Irlanda. Da un lato, la sezione irlandese di Transparency International ha infatti denunciato l’entità del fenomeno in ambito politico-istituzionale, frutto delle diffuse pratiche nepotistiche, del patronato e della mancanza di trasparenza nel processo decisionale. Dall’altro lato, però, i report annuali della stessa organizzazione registrano un basso livello di corruzione percepita da parte della popolazione; ciò nasce soprattutto dall’alta competitività ed efficienza del settore economico nazionale. Nel 2014, in concomitanza del ritorno alla forte crescita economica, Transparency International ha rilevato che l’Irlanda è passata in termini di percezioni dal 25° al 17° posto nel ranking dei paesi meno corrotti. Le libertà e i diritti individuali e collettivi sono tutelati dalla legge e rispettati nella prassi.
Negli anni Sessanta l’economia irlandese versava ancora in uno stato di forte arretratezza rispetto alle economie dell’Europa occidentale. Dalla metà degli anni Novanta, però, l’Irlanda ha fatto registrare un elevatissimo tasso di crescita economica (che ha raggiunto il 10,7% nel 1999), tanto da meritarsi il soprannome di ‘tigre celtica’. Tale crescita è stata in gran parte frutto di politiche di attrazione degli investimenti esteri: il paese ha infatti optato per una politica fiscale espansiva, imperniata su una tassazione alle imprese molto bassa. Il riferimento è in particolare alla Corporate Tax, l’aliquota sul reddito delle società, fissata al 12,5% a fronte di una media Eu pari a circa il 23%. Grazie a ciò e a una politica di liberalizzazioni e privatizzazioni, l’Irlanda ha oggi raggiunto il nono posto nella classifica mondiale dell’indice di libertà economica e il diciassettesimo posto nel ranking dei paesi dove è consigliabile fare business. I flussi degli investimenti diretti esteri si sono concentrati sui settori dell’information technology, dei servizi finanziari, della chimica e dell’industria farmaceutica.
L’industria, che ha notevolmente beneficiato dell’afflusso di investimenti dall’estero, è arrivata a pesare, nel 2007, per il 34% del pil nazionale. Da alcuni anni si registra un trend di lieve ma costante diminuzione della quota di pil generata dal settore secondario, che si attesta oggi sul 24,1%. La proprietà straniera degli assetti industriali irlandesi ha tuttavia comportato un rilevante trasferimento dei profitti oltreconfine e un notevole divario tra pil e pnl, pari rispettivamente a 227 e 197 miliardi di dollari nel 2009. A partire dal 2012, però, il pnl ha iniziato a colmare il gap crescendo in media il 2% in più rispetto al pil su base annua. Il divario tra i due tassi di crescita si è ridotto tra il 2014 e il 2015, con il primo che comunque aumenta in proporzione più del secondo (0,5%).
Di rilievo è inoltre il settore dei servizi finanziari, soprattutto bancario e assicurativo. Nel febbraio 2008 le attività complessive degli istituti di credito operanti in Irlanda, inclusi quelli esteri (che hanno sede principalmente nell’International Financial Services Centre di Dublino, dove operano quasi 50 delle più grandi banche del mondo), ammontavano a 1400 miliardi di euro, ovvero il 77% del pil di quell’anno.
La crescita degli anni Novanta ha resistito fino al 2007, ma il sopraggiungere della crisi finanziaria ha causato una delle peggiori recessioni mai subite dal paese (-7% del pil nel 2009). Tra i principali fattori all’origine della crisi vi sono lo scoppio di una bolla immobiliare e la forte esposizione del sistema bancario irlandese sul mercato dei derivati. Nonostante l’intervento del governo, che ha nazionalizzato alcune banche e ha immesso liquidità nell’economia durante la crisi di credito, il rischio di bancarotta nazionale è stato superato soltanto grazie alla concessione di un ingente prestito congiunto da parte del Fondo monetario internazionale e dei membri dell’Eu.
Nel dicembre 2013 il paese è uscito dal piano di aiuti internazionali, cominciando a far registrare performance estremamente positive, soprattutto se comparate con gli altri paesi dell’eurozona, le cui economie sono ancora in sofferenza a causa del perdurare della crisi economica. Nel gennaio 2014 Dublino è infine ritornata sul mercato dei titoli di stato registrando un notevole successo in particolare sui bond decennali, il cui rendimento è passato dal 3,5% di inizio 2014 all’1,21% dell’ottobre 2015.
Non avendo proprie riserve di petrolio e carbone – materie prime attraverso cui l’Irlanda ricava rispettivamente il 46% e il 15,3% dell’energia consumata – e disponendo di limitate riserve di gas, il paese è fortemente dipendente dalle forniture energetiche dall’estero. In particolare per ciò che concerne il gas, che copre oltre il 29% del mix energetico nazionale, l’Irlanda è totalmente dipendente dal Regno Unito. Le fonti rinnovabili, tra le quali l’eolico riveste notevole importanza, producono il 4% dell’energia consumata. Nel paese non sono invece presenti impianti nucleari a causa della forte opposizione dell’opinione pubblica. In questo contesto, le possibilità che l’Irlanda possa ridurre nel breve-medio periodo la propria dipendenza energetica estera appaiono esigue.
L’Irlanda è storicamente, dal momento della sua indipendenza dal Regno Unito, un paese neutrale, le cui forze militari non sono mai state coinvolte in un conflitto. La spesa militare è dunque molto ridotta (oggi equivale a circa lo 0,5% del pil) e il servizio militare non è obbligatorio. Tra il 2013 e il 2014 si è registrato un lieve incremento nel numero di unità delle forze armate, in particolare nella marina che ha superato i mille uomini. Da segnalare che Dublino esporta la totalità delle armi prodotte a livello nazionale, pari a 5 milioni di dollari americani, al Cile. Pur potendo fare affidamento su una clausola di esenzione per ciò che concerne l’ambito della politica di difesa europea, l’Irlanda contribuisce ad alcune delle missioni internazionali all’estero dell’Eu (la missione Eutm in Uganda e Mali, e la missione Eufor in Bosnia-Erzegovina). L’esercito irlandese è inoltre impegnato nelle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite in Libano Unifil e nelle Alture del Golan tra Siria e Israele Undof.
Pur non essendo membro dell’Alleanza atlantica, dal 1999 l’Irlanda partecipa al programma Partnership for Peace; più di recente, ha contribuito anche ad Isaf in Afghanistan e a Kfor in Kosovo, anche se qui il contigente, un tempo corposo, è oggi ridotto a 12 unità. Ad oggi, le unità irlandesi prendono parte anche alla missione Nato Resolute Support di addestramento delle forze armate afghane con un contingente simbolico di sette soldati.
Nel maggio 2015 si è tenuto in Irlanda un referendum inteso a rendere costituzionalmente legale il matrimonio tra le persone dello stesso sesso. Si è trattata di una consultazione popolare densa di significato culturale per un paese che storicamente è a forte maggioranza cattolica, in contrapposizione al vicino protestante britannico, e che fino al 1993 prevedeva il reato di omosessualità. Ad essere modificato è stato l’articolo 41 della Costituzione irlandese del 1937, che per quasi ottant’anni, alla voce ‘Famiglia’ del capitolo sui ‘Diritti fondamentali’, non prevedeva che il matrimonio potesse essere contratto da due persone dello stesso sesso. Oggi la modifica in tal senso è stata approvata con il 62,1% delle preferenze, un largo consenso motivato soprattutto dal voto dei giovani, che si sono schierati in prima fila affinché la Costituzione potesse venir modificata. L’esito del referendum ha rammaricato la Santa Sede, che, nella persona del Segretario di stato, cardinale Pietro Parolin, lo ha definito «una sconfitta dell’umanità».
Nel dicembre 2013 l’Irlanda è uscita dal piano di aiuti internazionali da 67,5 miliardi. Le dure politiche di austerity, implementate sotto l’occhio vigile di Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale, hanno dimostrato la loro efficacia nel ridurre in maniera sostanziosa la spesa pubblica, il cui peso sul pil è passato in quattro anni dal 46,3% al 39% (2012-2015). L’economia irlandese ha così ripreso a crescere, trainata soprattutto dal settore terziario ma anche dall’export e dall’aumento dei consumi. Nel corso del 2014 le esportazioni sono infatti aumentate di oltre il 10% rispetto al 2013 e nel 2015 hanno proseguito sul cammino della crescita grazie anche e soprattutto al buono stato di salute dell’economia statunitense e di quella britannica, principali partner commerciali di Dublino. I consumi privati hanno invece fatto registrare un aumento costante nel corso degli ultimi due anni e le proiezioni restano ottimiste. Rimangono ancora da sciogliere i nodi della disoccupazione che si attesta su un alto tasso (13%) e del debito pubblico, che però è in rapida diminuzione essendo passato dal 123,7% del pil nel 2014 al 107,7% del 2015. Dublino sembra così essere complessivamente sulla strada del completo recupero, divenendo il primo tra i membri dell’eurozona che hanno ottenuto gli aiuti internazionali – tra questi, Grecia, Portogallo e Cipro – ad essere uscito stabilmente dalla crisi economica. Il bailout dell’Irlanda, ossia il piano di salvataggio internazionale, era cominciato nel 2010 dopo la grave crisi delle principali banche del paese, travolte dal crollo del mercato immobiliare nazionale avvenuto due anni prima.