COLONNA, Isabella
Figlia di Vespasiano di Prospero, duca di Traetto e conte di Fondi, e della prima moglie di questo, Beatrice Appiani, nacque nel primo quarto del sec. XVI.
Nel suo testamento il padre, morto il 13 marzo 1528, dispose che i propri beni rimanessero alla seconda moglie, Giulia Gonzaga, fino a che ella non si rimaritasse, e che la C. dovesse sposare il nipote di Clemente VII, Ippolito de' Medici, con una dote di 30.000ducati; nel caso che questo matrimonio non avesse potuto aver luogo, la vedova avrebbe dovuto provvedere a maritarla a uno dei suoi fratelli con una dote di 5.000 ducati di rendita sopra i beni di Campagna. Queste disposizioni cozzarono però contro la tradizionale politica patrimoniale dei Colonna, tesa a mantenere i beni alla linea maschile; d'altra parte anche il papa, benché fuggiasco da Roma, pose gli occhi sui possedimenti delle due donne, né guardò con interesse al matrimonio proposto da Vespasiano, poiché a Ippolito de' Medici, che divenne poi cardinale, il connubio non interessava. Con l'intento di assegnarlo poi a chi ne avesse effettivamente e legittimamente diritto, Clemente VII inviò a occupare Paliano un contingente di truppe, che però fu poi scacciato da Sciarra Colonna e da Prospero da Cave.
Già nella seconda metà di aprile la C. sposava intanto segretamente, perché non si era affatto sicuri che l'unione sarebbe stata di gradimento del papa, Luigi di Ludovico Gonzaga dì Sabbioneta, detto Rodomonte, fratello della matrigna di lei, il quale si inserì nella lotta fra gli Orsini, che a sostegno del pontefice avevano soppiantato i Colonna nell'occupazione di Paliano, e i Colonna stessi. Poco prima che la questione fosse risolta in favore di Ascanio Colonna, nel settembre il Gonzaga si recò in Lombardia, dove ricevette Rivarolo in feudo dal padre.
Durante il soggiorno di Carlo V a Bologna la segretezza del matrimonio creò qualche complicazione, quando Ferrante Gonzaga chiese la mano della C. all'imperatore. A chi fece presente al pretendente che il matrimonio era, se pur segretamente, rato e consumato, Ferrante Gonzaga rispose con un memoriale tendente a dimostrare la nullità del vincolo. Comunque la sua tesi non fu accolta e nel 1531 le nozze furono celebrate solennemente a Roma; Girolamo Muzio compose un'egloga per esaltarle (Egloghe, Vinegia 1550, cc. 56-59).
Agli ordini dell'imperatore, Luigi Gonzaga si recò di nuovo in Lombardia. La C. gli donò prima della partenza un anello d'oro con una gemma, in cui erano scolpiti due occhi, che dette occasione ad altri componimenti poetici di Angelo Colocci e di Francesco Maria Molza.
Il 6 dic. 1531 nasceva il primo figlio della C., a cui veniva imposto il nome del nonno materno, Vespasiano.
In effetti i beni di quest'ultimo, le cui disposizioni testamentarie erano state confermate da Carlo V, con un privilegio del 1° apr. 1532, al contrario di quanto era stato disposto nel predetto testamento, erano pervenuti - esclusi quelli nel Lazio - alla C., che otteneva nello stesso giorno dall'imperatore un altro privilegio, che le confermava i titoli e il possesso dei ducato di Traetto e del contado di Fondi e di tutte le terre appartenute al padre. Infatti la C., pur dovendosi rassegnare alla perdita di Paliano che rimase in possesso di Ascanio Colonna, dimostrò un carattere volitivo e anche litigioso, e fu in perenne contrasto sia con questo congiunto, sia con la matrigna. Proprio del luglio di quello stesso anno è una delle cause contro Ascanio a proposito di alcune terre già appartenute a Vespasiano.
Nel novembre il Gonzaga, combattendo per conto del pontefice contro gli Orsini, ricevette a Vicovaro una ferita, che ai primi di dicembre lo portò alla morte. Aveva fatto testamento nominando tutori del figlio Federico Gonzaga, duca di Mantova, il fratello Francesco e il padre Ludovico, a cui sarebbe rimasto affidato nel caso che la C. si fosse risposata.
Dopo la morte del marito la C. si stabilì nel feudo di Rivarolo, ma il soggiorno in Lombardia durò soltanto un anno circa perché, per disaccordi con il suocero, la C. si ritirò a Napoli nel 1534.
I contrasti con la matrigna intanto continuavano e il 24 maggio 1636 quest'ultima otteneva che la C. le pagasse 2.500 ducati per il "suo vivere", ma la lite rimaneva pendente e la Gonzaga nello stesso anno si lamentava di non poter recuperare la sua dote. Inoltre ella argomentava che il fatto che il marito avesse lasciato alla figlia 5.000 ducati di rendita significava che il resto dei frutti doveva restare a lei. E in effetti il ragionamento non sembra illogico, ma pare che a rendere giuridicamente valida questa tesi sarebbe stato necessario un assenso imperiale, vivo ancora Vespasiano. La C., come aveva impugnato il testamento paterno, così si appellò contro la sentenza, a lei sfavorevole, di Pietro da Toledo, incaricato da Carlo V di dirimere la questione fra le due donne. Il 27 febbr. 1536 l'imperatore affidò la causa a tre giuristi. Il giorno dopo però confermava il compromesso del secondo matrimonio della C., che portava in dote tutti i beni lasciatile dal padre.
Le nozze della C. con Filippo di Lannoy, principe di Sulmona, avvennero in Castel Capuano, alla presenza dell'imperatore, della sua corte e di quante personalità erano presenti a Napoli. Il 22 marzo '36 Carlo V confermava nuovamente alla C. il possesso di Traetto, Fondi e tutti i beni paterni.
Tuttavia, l'anno successivo, la C. dovette pagare alla Gonzaga 1.000 ducati di arretrati e impegnarsi a versarle 2.500 ducati annui. La C. proseguì le liti anche con Ascanio Colonna, il quale rispondeva, oltre che per vie legali, con abigeati e invasioni di terre della C., che d'altra parte tentò più volte, con l'aiuto del secondo marito, di recuperare terre passate al parente e già appartenute al padre.
Dal Lannoy, che morì nel 1551, la C. ebbe tre figli: Carlo, Orazio e Maria, ma dovette rinunciare a tenere con sé il figlio Vespasiano, la cui tutela il suocero Ludovico lasciò, morendo nel 1540, a Giulia Gonzaga. La C. morì a Napoli l'11 apr. 1570.
Era stata in relazione con i circoli letterari del tempo. Sono edite lettere indirizzatele fra il settembre 1536 e il novembre 1542 da Antonio Minturno (Lettere, Vineggia 1549). Berardino Rota scrisse un sonetto per lei, come pure Laura Terracina. Giacomo Beldando la incluse nella serie di dame di cui tesseva le lodi nel suo poemetto Lo specchio de le bellissime donne napoletane (Napoli 1536, st. XXXII), come pure Mario di Leo nel poemetto L'amor prigioniero e Ludovico Domenichi nel suo Nobiltà delle donne (Vinetia 1549, p. 244). Giovanni Cantelmo, duca di Popoli, le dedicò il suo De la Métheora, conservato manoscritto nella Bibl. Apost. Vaticana (Patetta 365). A lei si accenna laudativamente nelle ottave 9-11 del XXXVII canto e nella 8 del XLVI dell'Orlando Furioso dell'Ariosto.
Fonti e Bibl.: M. Sanuto, Diarii, LVI, Venezia 1901, coll. 387, 552; J. E. Martínez Ferrando, Privilegios otorgados por el emperador Carlos V en el Reino de Nápoles, Barcelona 1943, pp. 82, 147, 159; G. A. Summonte, Dell'historia della città e Regno di Napoli, IV, Napoli 1675, p. 119; I. Affò, Vita di Luigi Gonzaga detto Rodomonte, Parma 1780, pp. 70-76, 100-104; A. Coppi, Mem. colonnesi, Roma 1855, pp. 299 ss., 308; G. Ceci-B. Croce, Il poemetto "L'Amor prigioniero" di Mario di Leo da Barletta, in Rass. Pugliese, XI (1894), pp. 45, 72, 108; B. Amante-R, Bianchi, Mem. storiche e statutarie... di Fondi in Campania ...; Roma 1903, pp. 148, 164 s., 312 s., 318; G. Tomassetti, Della Campagna romana, in Arch. d. R. Soc. romana di storia patria, XXVIII (1905), p. 121; XXIX (1906), pp. 332 s.; G. L. Masetti Zannini, Livia Colonna tra storia e lettere, in Studi offerti a G. Incisa Della Rocchetta, Roma 1973, pp. 299 s., 311; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Colonna, tav. IV; sub voce Gonzaga, tav. XIV; sub voce Lannoy, tav. unica.