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L’Islanda è uno stato insulare nord-europeo. Dal 1944, anno in cui il paese ottenne l’indipendenza dalla Danimarca, la scena politica è stata dominata dal Partito Indipendentista (Sjálfstæðisflokkurinn), ma il crollo finanziario ed economico che nel 2008 ha travolto il sistema islandese ha comportato una drastica perdita di consensi e ha costretto il suo primo ministro Geir Hilmar Haarde, presidente del partito, a rassegnare le dimissioni. Le elezioni dell’aprile 2009, hanno visto il Partito Indipendentista non ottenere la maggioranza delle preferenze per la prima volta nella sua storia; una coalizione di centro-sinistra, costituita dall’Alleanza Socialdemocratica (Samfylkingin) dell’attuale primo ministro Jóhanna Sigurðardóttir e da Sinistra-Movimento Verde (Vinstrihreyfingin – grænt framboð), ha infatti conquistato 34 dei 63 seggi parlamentari, ottenendo il governo del paese. Alle elezioni presidenziali di giugno 2012 è stato eletto per la quinta volta consecutiva Ólafur Ragnar Grímsson, ex esponente dell’ala politica di sinistra.
Rispetto al contesto europeo l’Islanda ha una delle più piccole economie in termini assoluti; prima della crisi del 2008, questa faceva registrare tassi di crescita annui sostenuti e uno dei pil pro capite più alti al mondo e quarto in Europa. Lungo tutto il decennio precedente al 2008, tassi di interesse vantaggiosi avevano attirato sull’isola un ingente flusso di capitali internazionali, sproporzionato però rispetto alle dimensioni dell’economia islandese. Quando poi, in coincidenza con la crisi finanziaria globale, l’agenzia di rating Fitch considerò a rischio il debito sovrano islandese, nel paese si innescò una crisi di sfiducia che portò al crollo delle tre principali banche, che rappresentavano l’85% del settore.
Ancora oggi l’economia islandese sta pagando costi e conseguenze del dissesto finanziario, specie in relazione ai vincoli di politica economica cui il governo islandese si è dovuto impegnare negli accordi sottoscritti con il Fondo monetario internazionale per sanare il proprio debito. La domanda interna ha subito una severa contrazione così come gli investimenti, che nel 2011 sono stati pari a circa un terzo di quelli del 2006. La crisi economica ha influito anche sui rapporti internazionali, complicandoli. Regno Unito e Paesi Bassi sono infatti decisi a recuperare i quasi 4 miliardi di dollari (un terzo del pil islandese) persi dai propri correntisti nel terremoto bancario islandese. Tuttavia, dopo la netta bocciatura referendaria del disegno di legge che ne prevedeva la restituzione entro il 2023 (93% di voti contrari), i negoziati sono al punto di partenza. L’effetto della crisi sembrava aver dato a Reykjavík la spinta decisiva a richiedere formalmente l’accesso all’Unione Europea (luglio 2009), ma difficilmente il progetto andrà in porto, dal momento che incontra il dissenso di gran parte dell’elettorato e che si prevede un ritorno dell’ala indipendentista al governo.
Sotto il profilo della difesa, l’Islanda è uno stato denuclearizzato dal 1985 ed è l’unico membro della Nato a non avere un esercito permanente. La difesa, a partire dal 1951, fu affidata tramite accordo bilaterale agli Stati Uniti, che hanno mantenuto sull’isola una base e un contingente fino al ritiro unilaterale del 2006. Di conseguenza, nonostante resti intensa la cooperazione con gli Usa, l’Islanda si fa oggi carico della propria sicurezza.
In un’ottica di lungo termine, l’Islanda potrebbe divenire uno snodo commerciale cruciale per le rotte intercontinentali quando, e qualora, il Mar Glaciale Artico diventasse navigabile.