Pensatore e diplomatico (Chambéry 1753 - Torino 1821). Fu aspramente critico verso la Rivoluzione francese e l'Illuminismo. Rintracciò le radici della mentalità razionalistica e individualistica dei philosophes nel 'libero esame' dei protestanti e interpretò il Terrore come il castigo che la Provvidenza aveva inviato al popolo francese per il suo spirito ateo e fanatico (Considérations sur la France ,1796). L'uomo, creatura debole e corrotta dal peccato originale, non può autogovernarsi: un ordine politico stabile è possibile soltanto se fondato sulle verità della religione.
Di nobile famiglia, fu magistrato e nel 1788 membro del senato sabaudo. Pensando di poter giungere, attraverso l'opera della massoneria, all'instaurazione di un'unica Chiesa, la cattolica, che raccogliesse tutte le confessioni, aderì dapprima alla loggia di rito inglese dei Trois Mortiers, poi a quella di rito scozzese della Sincérité, di cui divenne uno dei capi (1778). Di fronte alla Rivoluzione francese il suo atteggiamento parve dapprima favorevole, ma poi, influenzato dallo storicismo di E. Burke, l'avversò; invasa dai Francesi la Savoia, si rifugiò in Svizzera (1793). Tornato a Torino (1797), ma costretto a lasciare di nuovo la città, fu nominato (1799) reggente della cancelleria di Sardegna; a Cagliari entrò tuttavia in urto col viceré Carlo Felice, e allora fu da Vittorio Emanuele I inviato (1802) come ministro plenipotenziario in Russia, dove lo zar gli offrì di passare al suo servizio. La sua teorizzazione dell'assolutismo pontificio e la sua critica accanita rivolta contro il pensiero liberale determinarono però Alessandro I, allora incline alle idee occidentali di progresso e di libertà, a chiedere il suo richiamo. De M. passò a Torino i suoi ultimi anni.
Nelle Considérations sur la France (1796), scritto in Svizzera, dopo aver criticato la dottrina e l'azione rivoluzionarie, finiva per delineare un programma di restaurazione che tenesse conto dei nuovi interessi che la Rivoluzione aveva creati. La sua polemica antirivoluzionaria divenne, dopo il suo ritorno a Torino, polemica antiprotestante: nelle Réflexions sur le protestantisme dans son rapport avec la souveraineté metteva infatti in relazione il libero arbitrio dei riformatori religiosi con lo spirito rivoluzionario. Compose le sue opere maggiori in Russia: le Soirées de Saint-Pétersbourg (post., 1821), in cui, di fronte all'illuminismo mistico, prende una netta posizione critica, e il libro Du pape (1819). Di nuovo a Torino, scrisse la Lettre sur l'état du Christianisme en Europe (1819), in cui riconferma la sua fede nell'avvento di un'unica Chiesa cattolica capace di riunire in sé tutte le Chiese. Nell'Europa della Restaurazione de M. è massimo esponente, con L. de Bonald, di quella corrente teocratica e ultramontanistica che speculativamente s'innesta nel grande moto del Romanticismo europeo, contribuendo ad esso con il concetto della storia (in opposizione all'Illuminismo) come tradizione (nel senso della conservazione eterna dei supremi e trascendenti valori etico-religiosi). Correlativamente, nella politica egli pone a fondamento della vita degli stati il principio di legittimità, sola forza morale capace di rigenerare l'uomo e di restaurare il diritto che la Rivoluzione francese ha calpestato. Tale principio deve realizzarsi in una struttura teocratica dello stato. La pregiudiziale reazionaria di de M. spiega il declino della sua fortuna nella politica e nella cultura di fronte all'affermarsi del pensiero liberale.