Vedi Kenya dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Situato nell’Africa orientale, il Kenya è una delle poche nazioni della regione che non appartiene alla lista dei paesi meno avanzati stilata dalle Nazioni Unite. Esso partecipa attivamente ai processi di integrazione regionale e ne promuove lo sviluppo, con riferimento particolare sia alla Comunità dell’Africa orientale (Eac), che rappresenta il maggior mercato per le esportazioni manifatturiere kenyote, sia al Mercato comune per l’Africa orientale e meridionale (Comesa). Il Kenya ha inoltre svolto un ruolo importante nei processi di pace dei vicini Sudan e Somalia, da un lato assumendo il ruolo di mediatore in Sudan nelle contrapposizioni che hanno coinvolto il sud e nord del paese, dall’altro promuovendo la creazione di un governo di transizione in Somalia. Proprio la crisi somala rappresenta una delle principali fonti di rischio per la sicurezza kenyota, soprattutto a causa del movimento islamico radicale al-Shabaab, presente nella Somalia meridionale e le cui attività hanno un impatto negativo sulla sicurezza della regione nordorientale del Kenya, in ragione della porosità della frontiera tra i due paesi.
Le relazioni politiche ed economiche con gli Stati Uniti sono sempre state buone fin dall’indipendenza. Nairobi si è d’altra parte rivelato un alleato prezioso per Washington nella lotta al terrorismo fondamentalista che vede gli Usa impegnati nella regione, specie a seguito degli attentati alle ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania nel 1998. Il paese mantiene inoltre buone relazioni con i principali donatori internazionali e sta intensificando i rapporti con Cina, India e Sudafrica.
Ex colonia inglese indipendente dagli anni Sessanta, il Kenya è stato di fatto governato da un partito unico, la Kenya African National Union (Kanu), per circa quarant’anni, fino alle elezioni del 2002. Le ultime elezioni presidenziali (2007) hanno segnato una battuta d’arresto nel processo di consolidamento ;democratico del paese e sono state fonte di forte tensione interna: i sospetti di brogli e manipolazione, che hanno accompagnato la vittoria di Emilio Mwai Kibaki, sono infatti sfociati in manifestazioni di violenza tra Kikuyu, Luo e altri gruppi etnici, costate più di 1500 morti e 300.000 sfollati. Kibaki, della coalizione Party of National Unity, ha così negoziato un accordo con Raila Odinga dello Orange Democratic Movement, suo principale rivale nelle elezioni, che ha portato nell’aprile 2008 alla formazione di un governo di coalizione e all’assegnazione della nuova carica di primo ministro proprio a Odinga. Nel 2008 una commissione di inchiesta sulle violenze post-elettorali (la Commissione Waki) ha richiesto la creazione di un tribunale speciale per perseguire i responsabili delle violenze o l’intervento della Corte penale internazionale (Icc).
Nel 2010 è stata approvata dal Parlamento e da un referendum popolare una nuova Costituzione che mantiene il sistema presidenziale, ma prevede la devoluzione di alcuni poteri e prerogative a livello locale, la creazione di una camera alta del Parlamento al fine di monitorare la gestione degli affari locali, l’introduzione di una Carta dei diritti, l’istituzione di una Corte suprema e l’abolizione della posizione di primo ministro. Il nuovo testo costituzionale ha previsto, inoltre, la creazione di una commissione indipendente per risolvere l’annosa questione delle riforme terriere.
La popolazione kenyota è composta da più di 40 gruppi etnici. I Kikuyu rappresentano il gruppo maggioritario (21%), seguiti da numerosi altri gruppi quali i Luhya (14%), i Luo (12%), i Kalnjin (12%) e i Kamba (11%). La divisione etnica si riflette sulla politica e sull’economia (le controversie per i terreni spesso sono legate a conflitti etnici) e le tensioni tra etnie sono piuttosto frequenti e suscettibili di sfociare in episodi di violenza. Il Kenya ospita, inoltre, circa 340.000 rifugiati, prevalentemente dalla Somalia ma anche da Etiopia e Sudan meridionale. L’80% dei kenyoti è cristiano, ma vi è una significativa minoranza musulmana che rappresenta circa il 10% della popolazione. Il paese ha riconosciuto ufficialmente i tribunali Kadhi che applicano la Sharia per alcuni aspetti, come i matrimoni e le successioni, nelle aree dove la popolazione musulmana è maggioritaria.
Il tasso di crescita della popolazione sta diminuendo (2,64% tra il 2005 e il 2010) a causa di vari fattori tra i quali l’urbanizzazione e la diffusione dell’Hiv, la cui incidenza nel 2003 era dell’8,7% per le donne e del 4,6% per gli uomini. Tale fenomeno comporta costi elevati per la sanità nazionale e vede il governo impegnato da anni in politiche di sensibilizzazione e prevenzione che hanno effettivamente ridotto l’incidenza della malattia – che raggiungeva il 14% ancora alla metà degli anni Novanta.
Nel 2002 il governo, guidato dalla National Rainbow Coalition (Narc), ha reso gratuita la scuola primaria, portando il tasso netto di scolarizzazione dal 61% del 2002 all’81% del 2008. Il tasso relativo alla scuola secondaria registra, invece, percentuali inferiori, sebbene anch’esso sia passato dal 35% al 49% nel medesimo periodo. Il tasso di alfabetizzazione degli adulti è dell’87%, più elevato rispetto agli altri membri Eac.
La libertà di espressione nel paese è generalmente rispettata e i media kenyoti si dimostrano tra i più attivi del continente africano. Vi sono però alcune episodiche restrizioni della libertà di stampa, come nel caso del periodo successivo alle elezioni del 2007, durante il quale le autorità imposero un temporaneo divieto di trasmissioni in diretta.
La corruzione, infine, che ancora coinvolge tutti i rami dell’amministrazione pubblica e interviene nel rapporto tra pubblico e privato, rappresenta un freno tanto per il raggiungimento di uno stato di diritto compiuto, quanto per il decollo di un processo costante di sviluppo economico.
Tra il 2002 e il 2007 la crescita media del pil è stata del 5,4%. Nonostante nel 2008 la crisi economica internazionale e i disordini interni ne abbiamo rallentato la progressione (con tassi relativi al biennio 2008-09 pari all’1,6% e al 2,6%), l’economia kenyota sembra essere ripartita, segnando una crescita del 4,6% nel 2010 e con stime per i prossimi anni che la vedono in ulteriore incremento.
Il settore formale è ridotto e comprende il comparto manifatturiero, quello della lavorazione e dell’esportazione di prodotti di base e quello di servizi come il turismo. La maggior parte della popolazione è invece impiegata nel settore informale e nell’agricoltura di sussistenza. La povertà e le disuguaglianze sono diffuse, così come la disoccupazione: secondo stime calcolate dalla Banca mondiale, infatti, al 2005 circa il 40% della popolazione kenyota viveva con meno di 2 dollari al giorno. Una percentuale quindi rilevante, sebbene molto al di sotto dei trend regionali.
L’agricoltura conta per il 28% del pil e fornisce i principali prodotti esportati, quali tè e prodotti ortofrutticoli, seguiti da caffè e pesce. Benché il settore abbia beneficiato di riforme quali la liberalizzazione del mercato del tè, l’agricoltura resta vulnerabile al clima ed è frequentemente colpita dal problema della siccità. Il settore manifatturiero è dominato dalla comunità asiatica e si concentra su agroalimentare e tessile. A livello regionale, il Kenya è il paese più industrializzato dell’Africa orientale. Il paese è infatti il maggiore esportatore di manufatti nell’ambito dell’Eac, mentre le sue esportazioni verso Stati Uniti e Unione Europea riguardano soprattutto prodotti di base. Il settore dei servizi, infine, conta per il 52% del pil ed è il principale motore di sviluppo dell’economia nazionale: turismo in primis, che offre safari nei parchi naturali e può contare sulle spiagge della costa, in particolare quelle di Mombasa, ma anche il settore delle telecomunicazioni, che negli ultimi anni ha registrato una crescita molto significativa.
L’afflusso di rimesse rappresenta una risorsa fondamentale per l’economia nazionale, mentre l’attrazione di investimenti esteri nel paese è resa difficoltosa da diversi fattori, tra i quali l’inadeguatezza delle infrastrutture e un diffuso livello di corruzione, seppur inferiore alla media dell’Africa sub-sahariana.
Il Kenya produce più dell’80% dell’energia che consuma, generata per più del 90% dalla combustione di legname. Importa invece petrolio, che rappresenta il 16% del suo consumo totale. Quest’ultimo è usato soprattutto per l’energia necessaria al settore commerciale, mentre le biomasse sono la fonte primaria delle comunità rurali e delle periferie urbane. Le interruzioni di elettricità sono frequenti, soprattutto a causa della dipendenza dall’energia idroelettrica, e la percentuale di accesso nazionale all’elettricità è bassa (15% nel 2007). Al fine di migliorare le infrastrutture e incentivare lo sviluppo economico il governo sta finanziando l’ampliamento della fornitura di elettricità nelle zone rurali (l’accesso dovrebbe passare dal 4% al 12% nel 2012) e in particolare nelle scuole secondarie e centri sanitari.
Nel 2007 il governo ha pubblicato una strategia di sviluppo, denominata Vision 2030, che si pone l’obiettivo di fare del Kenya un paese di nuova industrializzazione, in grado di garantire un’elevata qualità della vita ai suoi cittadini in un ambiente sicuro e con standard di vita adeguati. Una strategia che mira in sostanza al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite attraverso un programma basato su tre pilastri.
In base al primo, di natura economica, il Kenya dovrebbe crescere del 10% dal 2012 al 2030, e quindi generare le risorse necessarie per il conseguimento degli Obiettivi; il secondo, sociale, è finalizzato alla creazione di uno sviluppo equo in un ambiente più sicuro; il terzo, politico, è invece finalizzato alla realizzazione di un sistema democratico responsabile, incentrato sulle persone e orientato ai risultati.
Tra gli obiettivi individuati come prioritari dalla strategia figurano la stabilità macroeconomica, la continuità nelle riforme della governance politica, la modernizzazione del settore pubblico, la creazione di opportunità per combattere la povertà, miglioramenti nelle infrastrutture e ancora un nuovo piano energetico, investimenti in innovazione, l’attuazione di riforme terriere e l’adozione di misure per garantire livelli più elevati di sicurezza.
In Kenya la criminalità è molto diffusa e riflette diversi problemi che interessano il sistema sociale e politico del paese. Tra questi, il principale resta quello della la povertà diffusa, ma non meno rilevanti sono anche la larga disponibilità di armi leggere, i conflitti legati alla spartizione di potere politico e risorse economiche, e ancora un apparato di sicurezza non ancora adeguato.
Essendo stato colpito direttamente da attentati terroristici di matrice islamica, il Kenya è fermamente impegnato, al fianco degli Stati Uniti, nella lotta al terrorismo fondamentalista nella regione: un impegno che Washington sostiene tanto con finanziamenti economici, quanto con programmi di addestramento e cooperazione militare tra le sue forze armate e quelle di Nairobi.
Il Kenya spende circa l’1,9% del pil per il settore militare e mantiene un esercito di circa 24.000 effettivi. Le uniche due missioni di peacekeeping internazionale a cui il paese partecipa sono quelle delle Nazioni Unite in Sudan (Unmis) e in Darfur (Unamid), dato che evidenzia il forte interesse del paese per la stabilità della propria regione di appartenenza.