Kyoto
Città del Giappone centrale, fra le più antiche e importanti storicamente per essere stata, per oltre un millennio (794-1868), capitale dell’impero giapponese e residenza dell’imperatore. La dovizia e la magnificenza dei monumenti, che ne fanno un vero museo di storia e di religione nazionale, stanno ancora ad attestare, con l’antica gloria, gli undici secoli dell’inoffuscato splendore di K., che fu sempre alla testa del progresso civile e culturale del Paese. La presenza di una corte raffinata ed elegante, composta di nobili e ricchi, costrinse le industrie locali a elevare la propria produzione a vere forme d’arte, che procurarono e procurano ancora oggi larga rinomanza alla città. K. fu costruita in due anni (792-794) per ordine dell’imperatore Kammu (737-806) sul modello di Ch’ang-an (od. Xi’an), capitale della Cina sotto i Tang. La città si chiamava anticamente Heiankyo, da cui deriva il nome del periodo che ebbe inizio con lo stabilirvisi della corte, periodo Heian (794-1185). La corte imperiale, precedentemente stabilita a Nara, aveva deciso di spostare la capitale per far decadere la fortissima influenza dei potenti templi buddhisti che la circondavano (un monaco era addirittura arrivato a sedere sul trono imperiale); la capitale fu spostata a Nagaoka nel 784 e, dopo una serie di tristi vicende legate alla corte, a Heiankyo nel 794. Sede della corte anche con l’instaurazione del primo shogunato (➔ bakufu) e durante i governi militari successivi, senza contare le devastazioni e i saccheggi operati dai bellicosi bonzi buddhisti dei conventi del vicino monte Hiyei nelle loro incursioni, nel suo sviluppo la città subì incendi, terremoti e guerre civili. La guerra Onin, per esempio, ebbe luogo negli anni 1467-77 per via di una successione shogunale e vide la devastazione della città. K. fu sempre ricostruita, per quanto possibile, sul modello primitivo. In epoca più recente, quando lo shogunato fu sconfitto e fu restaurata l’autorità imperiale (era Meiji, 1868-1912), la città ricevette il nome attuale di K., ma la capitale imperiale fu stabilita nella vecchia capitale shogunale, Edo (od. Tokyo). L’antica Heiankyo aveva la forma di un immenso rettangolo, nel cui lato nord, al centro, era il palazzo imperiale, cinto da mura, in cui si aprivano 12 porte. Una grande arteria, il Suzaku oji, la divideva da N a S in due metà, dette Ukyo quella a O, Sakyo quella a E. Non si conosce il motivo per cui la prima divenne presto deserta; l’altra invece prosperò e subì una continua espansione verso Oriente. Una serie di strade, che si intersecavano ad angolo retto, traversava la città da un capo all’altro, dandole un aspetto assai regolare che conserva ancora.
Documento attuativo degli obblighi volti a limitare i cambiamenti climatici originati dalle attività umane, stabiliti nella relativa Convenzione quadro dell’ONU (UN-FCCC, United Nations framework convention on climate change), approvata nella Conferenza di Rio de Janeiro sull’ambiente e lo sviluppo (1992). Il protocollo di K., varato nel dicembre 1997 dalla Conferenza delle parti, istituita per dare attuazione alla Convenzione, individua nelle emissioni in atmosfera di gas e inquinanti capaci di aumentare l’effetto serra una delle principali cause dei cambiamenti climatici, e definisce per gli Stati firmatari alcuni obblighi politico-economici in settori strategici (produzione e utilizzazione dell’energia, produzione industriale e agricola) con l’obiettivo di mitigarne gli effetti negativi. Il trattato impone agli Stati firmatari una riduzione delle emissioni di sostanze inquinanti, a partire dai «gas serra», di almeno il 5% di quelle registrate nel 1990-95, da conseguirsi tra il 2008 e il 2012. Il protocollo, che doveva entrare in vigore dopo la ratifica di almeno 55 Paesi aderenti alla Convenzione UN-FCCC, tra cui quelli maggiormente inquinanti, ha però stentato ad affermarsi, anche per le divergenze sorte tra Stati Uniti e Unione Europea. Per favorire la sua attuazione, sono state quindi introdotte delle misure di flessibilità economica, tra cui la joint implementation (JI) e l’emission trading (ET). La JI consente ai Paesi maggiormente inquinanti di ottenere crediti di emissione in base a progetti finalizzati alla riduzione o all’assorbimento delle emissioni, realizzati nei Paesi in via di sviluppo. L’ET invece prevede che, se un Paese ha conseguito una riduzione delle emissioni maggiore della propria quota, può vendere l’eccedenza, o parte di essa, a un altro paese. Tale sistema è stato tuttavia contestato, in quanto rischia di allargare la dicotomia tra Paesi sviluppati e arretrati, senza ottenere il calo delle emissioni da parte degli Stati maggiormente inquinanti. Il protocollo inoltre è entrato in vigore solo nel febbraio 2005, in seguito alla ratifica da parte della Russia. Sottoscritto da 141 nazioni, continua a scontare pesanti assenze, quali quella degli Stati Uniti, che pur essendo tra i Paesi firmatari non lo hanno ancora ratificato.