La preistoria
Com'erano fatti i nostri lontani progenitori, quelli che abitavano la Terra milioni di anni fa? Come vivevano, cosa mangiavano, cosa sapevano fare? E come si è evoluta, nel tempo, la nostra specie, quella di Homo sapiens sapiens? Lo possiamo scoprire sfogliando il grande libro della preistoria.
Immaginiamo di entrare in un negozio di libri antichi. Sugli scaffali di legno sono allineati centinaia di volumi. Sono un po' diversi dai libri allegri e colorati per ragazzi. Hanno la copertina di pelle, rossa o verde scura. Guardiamo bene: in un angolo, tutta impolverata, c'è una lunghissima fila di volumi enormi, quasi un centinaio di libri con migliaia di pagine piene di figure. Il titolo è scritto in caratteri dorati: Storia della vita sulla Terra, dai suoi inizi sino a oggi. I primi volumi raccontano di quando il nostro pianeta era molto diverso da com'è ora, con continui terremoti e vulcani in eruzione. Poi ci sono quelli che parlano delle prime forme viventi e della loro evoluzione. Ecco, ce n'è uno che racconta la storia dei dinosauri, i giganteschi animali che hanno popolato la Terra per 160 milioni di anni e poi sono scomparsi per sempre.
Soltanto l'ultimo di questi volumi racconta la storia della nostra specie e descrive la vita dei nostri antichi progenitori, cominciata in un periodo così lontano che si fatica solo a pensarlo: milioni di anni fa! Proviamo a leggere. A quei tempi non c'erano né gli uomini né le scimmie così come le conosciamo oggi. Da un'unica specie originaria, lentamente, nel corso del tempo, se ne sono formate tante altre: alcune specie erano più simili alle scimmie, altre, quelle degli ominidi, più simili agli uomini.
Questi ominidi erano bassi di statura e il loro corpo era quasi interamente ricoperto da peli. Il loro cranio era più piccolo di quello di un uomo moderno, e avevano denti grandi e robusti, anche se si nutrivano soprattutto di vegetali. Gli scienziati che hanno trovato le tracce della loro esistenza li hanno chiamati australopitechi, che vuol dire grosso modo "esseri scimmieschi che vivono nell'emisfero Sud". Li rendeva diversi dalle scimmie il fatto che non camminavano a quattro zampe, ma si muovevano su due piedi, usando le mani per raccogliere, tirare, spezzare o portare alla bocca le cose che trovavano. In Africa sono state scoperte impronte fossili lasciate da tre ominidi che, tre milioni e mezzo di anni fa, si stavano allontanando da un'eruzione vulcanica. Due camminavano affiancati e il terzo seguiva i loro passi, ricalcando le orme dell'individuo più grande.
L'australopiteco più famoso si chiama Lucy o, meglio, così l'ha chiamato l'antropologo che ha scoperto il suo scheletro fossile quasi completo. Era una femmina di piccola statura, alta circa un metro e dieci centimetri, vissuta in Etiopia tre milioni di anni fa. Dalla forma delle ossa delle gambe e del bacino si è capito quali movimenti poteva fare: anche Lucy camminava in piedi.
Gli australopitechi che popolavano la Terra milioni di anni fa si sono estinti, cioè non hanno lasciato discendenza. Per un tempo molto lungo, però, questi ominidi hanno condiviso il Pianeta con ominidi appartenenti ad altre specie, sviluppatesi nel corso del tempo, e più o meno simili all'uomo di oggi. Se sfogliamo rapidamente le pagine del nostro volume, fino ad arrivare a 1,5 milioni di anni fa, troveremo la storia di un ragazzo che viveva in Africa vicino al lago Turkana (nell'attuale Kenya). Aveva circa 11 anni, ed era alto quasi come noi, con gambe lunghe e fianchi stretti: il suo corpo aveva perso quasi completamente le caratteristiche scimmiesche. Gli antropologi che hanno ritrovato le sue ossa hanno stabilito che apparteneva alla specie Homo erectus. È da questa specie che, circa 125 mila anni fa, si è evoluta la nostra: Homo sapiens sapiens.
Bastoni, lance con la punta di pietra, sassi da scagliare: con queste armi rudimentali ma efficaci gli uomini primitivi catturavano le piccole prede. Per uccidere orsi e mammut, invece, si andava a caccia in gruppo. Perché l'unione fa la forza.
Continuiamo a sfogliare il libro della preistoria, per conoscere meglio la vita dei primi gruppi umani. Dalle loro ossa fossili gli scienziati hanno capito che già mezzo milione di anni fa vivevano in Africa i nostri antenati della specie Homo sapiens. Essi erano molto simili a noi, ma con mascelle e nasi leggermente più larghi. Sappiamo che dall'Africa diversi gruppi migrarono in altri continenti. Mentre le altre specie di ominidi si sono estinte, la specie Homo sapiens si è evoluta ancora, sopravvivendo per centinaia di migliaia di anni. Da lei discendono le popolazioni di Homo sapiens sapiens, i nostri antenati più diretti, quelli da cui proveniamo tutti, bianchi e neri, alti e bassi, biondi e bruni, con gli occhi azzurri o a mandorla. In Francia, in un luogo della Dordogna chiamato Cro-Magnon, in un riparo sotto la roccia sono stati trovati importanti resti scheletrici (di quattro individui e un feto) che risalgono a circa 30.000 anni fa.
A quell'epoca il clima del Pianeta era molto freddo, l'Europa del nord era coperta dai ghiacci e in Italia c'erano boschi e foreste popolati da animali tipici delle regioni glaciali, come il mammut, il rinoceronte lanoso o l'orso delle caverne. Le donne partorivano accucciandosi in un angolo (come fanno le scimmie) e tagliando coi denti il cordone ombelicale del neonato. Per il freddo, le malattie e i disagi di quell'epoca molti bambini morivano presto, ma anche la vita degli adulti non era lunga. Una persona a trent'anni era già vecchia! Per trovare da mangiare, le femmine raccoglievano frutti selvatici, i maschi catturavano piccoli animali e probabilmente portavano a casa quelli che trovavano già morti. Le loro armi erano rudimentali, ma efficaci: bastoni di legno, lance con la punta di pietra, sassi appuntiti da scagliare contro gli animali con una specie di fionda.
Chissà quanta paura avevano i nostri antenati davanti a un gigantesco mammut inferocito! Come era possibile, con quelle armi primitive, uccidere animali così grandi e forti? Probabilmente gli uomini andavano a caccia in gruppo. A volte spingevano i branchi di cervi, alci o stambecchi verso i dirupi per farli cadere, o li facevano impantanare nelle paludi. Una volta ucciso, l'animale veniva macellato sul posto o, quando non era troppo grosso, veniva trasportato nell'accampamento. Qui veniva tagliato a pezzi e scuoiato, poi le pelli erano raschiate con pietre sottili e taglienti come lame di coltello per essere utilizzate come vestiti o coperte per ripararsi dal freddo.
Chi viveva vicino ai fiumi poteva mangiare anche pesci e molluschi. In molte caverne sono state trovate collane fatte da gusci di conchiglie. Per pescare si usavano fiocine e tridenti, come dimostra una piccola scultura di osso, trovata in una caverna in Francia, che rappresenta un uomo con un arpione. La punta di questi strumenti era di osso, di corno o di pietra. Proprio per l'abilità degli antichi di lavorare la pietra, questo periodo preistorico si chiama Paleolitico, che significa "antica Età della Pietra".
Per un certo periodo, in Europa e nel Medio Oriente, insieme alla specie dei Cromagnoniani (dal nome della località dove furono trovati i resti di tali individui) viveva anche quella dei Neandertaliani, uomini che rispetto a quelli della specie Homo sapiens avevano il corpo tozzo, la testa grossa e la fronte sfuggente. Sapevano costruire armi di pietra, legno e osso, e avevano anche una loro cultura, visto che seppellivano i loro morti invece di lasciarli in balia delle bestie. Le tracce della loro esistenza scompaiono intorno a 30.000 anni fa. Quelli che oggi popolano il Pianeta, dunque, sono i discendenti di Homo sapiens.
Immaginate una vita senza luce di notte, senza calore quando fa freddo, senza poter cuocere la carne. Per fortuna, migliaia di anni fa, gli uomini riuscirono a controllare le fiamme che si sviluppavano in natura e impararono a conservarle e a produrle ogni volta che volevano.
Proviamo a immaginare la vita degli uomini vissuti migliaia di anni fa, quando la sola luce era quella del sole, la notte era illuminata soltanto dal chiarore della luna e delle stelle, e l'unico modo per riscaldarsi era avvolgersi nelle pelli degli animali uccisi. Niente lampadine per vedere al buio, e soprattutto niente stufe né termosifoni per combattere il freddo della caverna… Eppure, il fuoco era presente in natura, e gli uomini lo conoscevano bene: sulle foreste cadevano i fulmini che incendiavano gli alberi secchi, e i vulcani eruttavano lava incandescente che faceva ardere tutto quello che toccava. Cosa pensavano le popolazioni vissute migliaia di anni fa di questo fenomeno così potente? Probabilmente avevano subito imparato a riconoscere la pericolosità del fuoco, ma forse erano anche affascinate dal suo potere, dalla sua capacità di distruggere ogni cosa vivente e dal bagliore delle fiamme che si sviluppavano sotto i loro occhi.
D'altra parte, il fuoco era un fenomeno molto utile: con la sua luce si potevano illuminare le grotte buie, con il suo calore ci si poteva riscaldare, si potevano indurire le punte delle lance di legno, si poteva cuocere la carne e, soprattutto, si potevano tenere lontani gli animali feroci, che avevano paura delle fiamme e non si avvicinavano. Gli uomini impararono presto a conservare il 'seme' del fuoco che si creava spontaneamente: lo alimentavano con tronchi e rametti, e lo controllavano in modo che non diventasse pericoloso. Una delle prime testimonianze dell'uso del fuoco risale addirittura a 360.000 anni fa. In una caverna scoperta nei dintorni di Pechino, in Cina, insieme a diversi resti di ominidi, sono state trovate ossa bruciacchiate di animali uccisi e mangiati, pezzi di carbone di legna e uno spesso strato di cenere sul terreno.
Era molto importante imparare non solo a tenere viva la fiamma, senza farla mai spegnere, ma anche a produrla nel momento e nel posto desiderato, per esempio dentro una fredda caverna. Le antiche popolazioni si erano accorte che, battendo insieme due selci, si formavano scintille capaci di incendiare erba e rametti secchi. Avevano imparato a distinguere ciò che bruciava da ciò che non bruciava e sapevano che i sassi si arroventavano senza bruciare. Notarono pure che dopo un violento incendio alcune pietre si erano parzialmente liquefatte lasciando chiazze luccicanti di materiali duri e resistenti: i metalli. Inizialmente questi materiali venivano usati come ornamento o offerti in omaggio ai defunti. Solo ottomila anni fa gli uomini impararono a modellarli e a utilizzarli per costruire armi e altri oggetti.
Ogni popolo ha ricostruito a modo suo il momento in cui l'umanità scoprì l'uso del fuoco, e lo ha tramandato attraverso miti e leggende. Gli antichi Greci, per esempio, raccontavano la storia di Prometeo, un Titano (un essere un po' uomo e un po' dio) che aveva rubato il fuoco a Zeus, re degli dei dell'Olimpo, e lo aveva regalato ai mortali che vivevano sulla Terra. Zeus, adirato, aveva deciso di punire Prometeo incatenandolo stretto a una roccia. Di giorno un'aquila gli volteggiava intorno e con il becco gli mangiava il fegato, che però durante la notte si riformava. Così la ferita di Prometeo si riapriva, come il fuoco che si riattiva dalla cenere.
Rendere appuntito un ramo di quercia, intagliare una zanna di elefante, scuoiare un animale ucciso e raschiarne la pelle… Quante cose si possono fare con un primitivo coltello di pietra! Ma quanto tempo è stato necessario per capire che dai sassi si potevano ottenere schegge affilate?
Se oggi possiamo usare un coltello per tagliare una fettina di carne, o un ago per riattaccarci un bottone, il merito è dei nostri antenati preistorici. In particolare, di quelli appartenenti alla specie Homo habilis che, circa due milioni di anni fa, osservando una pietra scheggiata o un pezzo d'osso di animale, capirono che quegli oggetti potevano diventare qualcosa di diverso: strumenti per rendere più facile la vita quotidiana. Per esempio, si resero conto che se si battevano l'uno contro l'altro in un certo modo i ciottoli di fiume si potevano ottenere schegge affilate per tagliare a pezzi la carne, per fare la punta a un ramo da usare come arpione o per raschiare le pelli degli animali. Se si rendeva appuntito un frammento di osso, lo si poteva utilizzare per bucare le pelli e cucirle insieme per farne tende o vestiti; oppure, legato stretto alla cima di un'asta di legno, lo si poteva utilizzare per difendersi meglio dagli animali o dagli uomini di una tribù nemica.
Da principio, probabilmente, le popolazioni primitive si accontentavano di usare i sassi appuntiti raccolti lungo il cammino, o le ossa spezzate degli animali morti. Poi, nel corso di migliaia di anni, qualcuno si rese conto che le schegge potevano essere costruite e modellate in forme diverse, secondo l'uso che se ne voleva fare. Si utilizzavano ciottoli particolarmente duri, di selce o di lava, le stesse pietre che, battute forte, facevano le scintille per il fuoco.
Con il passare del tempo, gli uomini divennero abilissimi a costruire oggetti di pietra diversi secondo gli usi che ne volevano fare. Quando diventava difficile trovare le pietre adatte, riaffilavano quelle usate (un po' come oggi fanno gli arrotini con le lame dei coltelli vecchi), o le rimodellavano, scheggiandole in altre forme, e poi le abbandonavano quando non era più possibile utilizzarle. Moltissime di queste schegge sono state trovate nelle caverne, vicino alle ossa degli animali uccisi o vicino agli scheletri degli uomini che le avevano usate. Queste pietre lavorate avevano spesso la forma di mandorla, e per questo sono state chiamate amigdale, che in latino significa appunto "mandorle". Dalla scheggiatura più o meno raffinata i paleoantropologi, ossia gli scienziati che studiano la cultura delle popolazioni primitive, sono riusciti a capire quello che gli uomini sapevano fare e a immaginare i loro modi di vita e le loro abitudini. Così è stato possibile anche individuare le differenti culture locali dei luoghi in cui queste pietre lavorate sono state ritrovate: quelle francesi erano un po' diverse da quelle tedesche, un po' diverse da quelle trovate in Africa, e così via.
La capacità di fabbricare schegge di pietra affilate permise, nel tempo, di costruire strumenti più elaborati, unendo insieme materiali diversi: pietra, corno e legno per fare lance e arpioni, legno e pelle per fare archi, e così via. C'erano anche momenti di festa: in queste occasioni ci si agghindava con orna menti fabbricati con conchiglie, ossa, piume e materiali colorati, e per fare musica si costruivano tamburi da percuotere o strumenti a fiato come i corni.
In tempi storici molto più vicini ai nostri, cioè circa 5.000 anni fa, cominciò anche la lavorazione dei metalli. Per costruire armi più resistenti, per fabbricare recipienti per alimenti e persino spille e oggetti decorativi (come fibbie e collane), il bronzo era un metallo ideale. Per ottenerlo bisognava fondere insieme il rame e lo stagno, due metalli che si trovano in natura sotto forma di minerali: per estrarli dalla roccia bisogna portarli ad alta temperatura, in modo che il metallo fonda e si separi dalla pietra. Gli oggetti in bronzo venivano realizzati versando la miscela liquida in uno stampo e poi lasciandola raffreddare.
Oggi la maggior parte delle persone vive con la famiglia in una casa fatta di mattoni. Tanto tempo fa, invece, gli uomini vivevano dentro tende leggere e si spostavano ogni anno, alla ricerca di nuovi territori ricchi di animali da cacciare e di frutti da raccogliere.
Circa 100.000 anni fa, un grande gelo avvolgeva l'Europa. Gli uomini e le donne trovavano rifugio nelle caverne naturali scavate dall'acqua o formatesi tra le rocce durante qualche terremoto. Le comunità erano piccole, composte da alcune decine di persone che si aiutavano e si difendevano insieme dagli animali o dai gruppi nemici. Poi, nel corso di migliaia di anni, il clima è cambiato: i ghiacci si sono sciolti e sulle pianure verdeggianti hanno iniziato a brucare mandrie di buoi e di cavalli. Le piccole tribù potevano ora vivere fuori dalle caverne e spostarsi sul territorio, inseguendo i branchi selvatici. A volte ritornavano insieme agli animali, stagione dopo stagione, nei luoghi da cui si erano allontanate, ritrovando ogni primavera i posti sicuri in cui partorire e nutrire i piccoli.
Le pelli delle bestie catturate e uccise venivano utilizzate per coprirsi. Per renderle adatte a fare dei vestiti, dovevano innanzitutto essere ripulite dal grasso e dai tessuti dell'animale, con raschiatoi di selce, e poi messe in tensione, in modo da farle seccare senza che si restringessero o deformassero troppo. Per farle conservare e renderle morbide bisognava conciarle, cioè trattarle con sostanze vegetali. Ci si accorse che le pelli potevano essere tinte e decorate: da principio si usava il sangue di animali, poi si imparò a usare colori estratti dalle piante o dai minerali.
Le pelli venivano anche impiegate per costruire tende provvisorie da usare fino allo spostamento successivo: abitazioni mobili da smontare e caricare sulle spalle. In questo modo, le popolazioni erano meno legate ai rifugi trovati tra le rocce, e potevano vivere da nomadi, viaggiando per lunghe distanze alla ricerca di acqua e nutrimento senza tornare mai indietro, vivendo di quello che trovavano volta per volta. Sono state trovate tracce di gruppi che si sono spostati addirittura da un continente all'altro. Erano forse i primi commercianti e scambiavano con le popolazioni incontrate i beni che portavano con sé: il seme del fuoco, recipienti di pelle, vasi di coccio. Si possono seguire le tracce delle loro migrazioni ritrovando nelle varie tappe del percorso gli utensili costruiti con le pietre dei loro luoghi d'origine.
Ancora oggi, in molte parti del mondo, esistono popolazioni nomadi, ma la maggior parte degli uomini vive in case di mattoni; questo perché le abitudini di gran parte dell'umanità sono state modificate dalla diffusione dell'agricoltura e dell'allevamento. Il periodo nel quale si sono sviluppate queste nuove abilità, che risale a circa 7.000 anni fa, si chiama Neolitico, che vuol dire "nuova Età della Pietra". Per coltivare i campi, molti gruppi umani fissarono la loro dimora in luoghi adatti, costruendo accampamenti stabili. La vita era un po' meno avventurosa: si potevano costruire e conservare attrezzi ingombranti, da usare al momento opportuno. Per esempio, a questo periodo risalgono i primi telai, che permettono di intrecciare le fibre vegetali per farne tessuti, molto più morbidi e comodi delle pelli di animale. I vasi di argilla e di creta non correvano più il pericolo di rompersi durante i lunghi spostamenti e se ne costruirono di molto grandi, solidi e ben decorati, adatti a contenere acqua o a conservare alimenti.
Ventimila anni fa gli uomini dipingevano sulle pareti delle caverne scene di caccia e di vita quotidiana, e intagliavano gli oggetti d'osso o di legno. Sono le prime forme d'arte dell'umanità. Oggi queste antichissime opere possono essere viste nei musei, come i quadri di Raffaello e di Picasso.
Entriamo in questa caverna buia, seguiamo un corridoio che sprofonda sotto terra per decine di metri. È un posto difficile da raggiungere. Immaginiamo gli uomini primitivi che vi sono arrivati con le loro torce fumose, forse per celebrare un rito o per organizzare la caccia del giorno seguente. Sulle pareti si formano ombre che si muovono con l'ondeggiare delle fiaccole. Guardiamoci attorno: sulle pareti della grotta sono state disegnate scene di caccia, profili di animali e poi figure di uomini e di donne. Immagini bellissime, incise come i graffiti o colorate come i dipinti. Chi le ha disegnate, e perché?
Già le popolazioni di cacciatori vissute nel Paleolitico Superiore avevano lasciato tracce di disegni, sculture, pitture (v. graffiti). Alcune si trovano sulle pareti delle grotte, altre sulle armi o su altri oggetti, e forse tutte hanno significati magici. Straordinari dipinti di 17.000 anni fa sono stati scoperti nel 1940 nella grotta di Lascaux, in Francia, da quattro adolescenti. Illuminando le pareti della caverna, i ragazzi si accorsero che erano piene di disegni colorati: tori dalle lunghe corna appuntite, cavalli possenti ritratti di profilo o di fronte, cervi, stambecchi e diversi felini dipinti nei colori della terra (nero, giallo ocra, rosso, marrone). Altri dipinti, risalenti a 15.000 anni fa, sono stati trovati sulle pareti della grotta di Altamira, in Spagna. Sono figure di animali, di uomini più o meno vestiti, con semplici perizomi o con parastinchi da caccia, e donne con lunghi abiti di pelli morbide. Oggi, purtroppo, le due grotte sono state chiuse perché il passaggio dei visitatori stava rovinando le pitture sulle pareti.
Le popolazioni primitive incidevano anche motivi geometrici o figure di uomini e di animali sugli oggetti di legno, oppure sull'osso, sull'avorio delle zanne dei mammut o sul corno. Sono state trovate anche figure scolpite nelle 'morbide' pietre di arenaria e, in tempi successivi, bellissimi vasi di terracotta dalle forme originali, decorati col margine seghettato delle conchiglie, con punteruoli o legnetti che lasciavano tracce regolari. Più tardi, per dipingere i vasi con figure di animali si usarono terre colorate.
In una grotta della Slovenia abitata quasi 100.000 anni fa dai Neandertaliani è stato trovato un pezzo di femore di orso con tre fori artificiali. Forse si tratta di uno strumento musicale, una specie di flauto molto semplice. Se davvero questo oggetto è servito a produrre suoni, vuol dire che l'invenzione della musica è molto più antica di quanto si
pensava prima di questo ritrovamento.
Nella preistoria il concetto di bellezza femminile era molto diverso da quello attuale: le donne erano attraenti solo se paffute, con i fianchi larghi e il seno prominente, perché si pensava che fossero più adatte a fare figli. Se ne sono accorti gli archeologi che hanno trovato statuette di migliaia di anni fa, fatte di creta o di pietre facili da scolpire. Sono state chiamate le Veneri del Paleolitico (perché Venere era la dea della bellezza) e mostrano un tipo di donna grassottella, con la testa poco definita e un grosso sedere rotondo. Gli studiosi pensano che siano immagini di buon augurio, o figure magiche usate dagli stregoni.
Sfogliando il grande libro della preistoria, siamo arrivati a un capitolo fondamentale. Quello che racconta di quando le popolazioni primitive si accorsero che piantando i semi nella terra si potevano ottenere piante utili all'alimentazione
Sono passati milioni di anni dal tempo in cui i primi ominidi popolavano la Terra. Ora gli abitanti del Pianeta sono proprio uguali agli uomini moderni e il loro cervello è grande e complesso così da funzionare e pensare come il nostro. Ma la vita è ancora molto diversa da quella attuale. Per nutrirsi si devono raccogliere bacche e piante commestibili. E questa attività richiede tempo e fatica, tanto che a volte bisogna accontentarsi di mangiare qualche mirtillo, funghi, la scorza interna delle cortecce, i germogli verdi o i tuberi di qualche pianta come il giglio selvatico. Ma ecco che avviene un cambiamento che modificherà per sempre la vita degli esseri umani e dell'intero Pianeta: la diffusione dell'agricoltura.
Alcune piccole tribù impararono a produrre in proprio il cibo senza doverlo andare a cercare in luoghi lontani. Iniziarono a coltivare vicino ai villaggi le piante più utili per l'alimentazione. Le popolazioni che prima erano nomadi cominciarono a restare ferme in un luogo per periodi sempre più lunghi. Per vivere vicino ai campi, si costruirono abitazioni di pietra, più solide e destinate ad accogliere tutta la famiglia per lunghi anni.
Alcuni scienziati pensano che la pratica dell'agricoltura abbia avuto inizio proprio con quelle popolazioni nomadi che, tornando stagione dopo stagione nei posti dai quali si erano allontanate, ritrovavano le tracce del loro passaggio: si accorgevano, per esempio, che i semi di orzo abbandonati l'anno precedente avevano germogliato, o che le lenticchie cadute nella pozza di fango invernale avevano formato un mucchietto di piante che avevano prodotto nuovi semi.
Le prime piante coltivate furono i cereali, come l'orzo, il miglio, il frumento, perché crescevano in fretta ed erano molto produttive. Si sfruttavano anche le radici e i tuberi come la manioca, e i legumi come i piselli, le lenticchie e le fave. In alcuni scavi sono anche stati ritrovati semi di papavero e di lino, due piante dalle quali era possibile ricavare olio oppure fibra per tessuti.
Probabilmente, le più antiche popolazioni di agricoltori vivevano negli altipiani del Vicino e Medio Oriente (dove sono attualmente l'Iraq e la Palestina), regioni all'epoca molto fertili. In zone che portano tracce di coltivazioni sono stati trovati depositi di orzo e di frumento coltivati, e strumenti agricoli in pietra, come zappe e falcetti, che sembrano risalire a circa 10.000 anni fa. Altre tracce di lavori agricoli sono state trovate in Cina e in India, dove 9.000 anni fa già si coltivava il riso; e in America, dove 8.000 anni fa si coltivavano mais e patate. Questo significa che la pratica dell'agricoltura si è lentamente diffusa nel corso dei millenni dai territori mediorientali in tutto il Pianeta.
L'aratro più antico mai ritrovato risale a circa 4.000 anni fa. È fatto tutto di legno ed è formato da un unico pezzo, ricavato da un ramo di quercia. Il vomere vero e proprio, la lama dell'aratro che entra nella terra e la rivolta, non è stato ritrovato, ma certamente era inserito in una scanalatura nella parte inferiore dell'attrezzo. Si tratta di un aratro a zappa, adatto a lavorare terreni già dissodati da tempo e preferibilmente pianeggianti. Questo tipo di aratro era particolarmente diffuso nelle Età del Bronzo e del Ferro, cioè tra la fine del terzo e l'inizio del primo millennio a.C., ma nelle regioni mediterranee si è mantenuto in uso fino all'introduzione dei trattori moderni.
Migliaia di anni fa le popolazioni dell'Asia centrale capirono che gli animali potevano essere addomesticati, cioè catturati, fatti riprodurre e utilizzati come fonte di cibo o di pelle, per portare carichi pesanti o per fare la guardia. O persino per tenere compagnia.
Un ragazzo si avvicina con cautela a un cavallo, un passo dopo l'altro, senza fare movimenti bruschi. L'animale lo guarda con sospetto, ma anche con curiosità. Nitrisce e scuote la criniera, ma non si allontana. Il ragazzo è sempre più vicino, in mano ha un po' di erba. Con il palmo ben aperto la offre all'animale. Il cavallo allunga il muso, annusa, si ritira, poi si decide: quell'erba è veramente gustosa, non si può resistere… Ora il ragazzo può allungare una mano per accarezzare il pelo lucente del collo e dei fianchi. E magari tornare domani, con un altro po' di erba, finché il cavallo non deciderà di seguire il suo nuovo amico.
Probabilmente la storia dell'incontro tra l'uomo e il cavallo non è andata proprio così. Di certo, però, migliaia di anni fa le popolazioni capirono che alcuni animali potevano essere addomesticati, cioè catturati, rinchiusi dentro recinti di legno o pietra costruiti vicino ai villaggi, fatti moltiplicare e sfruttati come fonte di cibo o di pellame ogni volta che era necessario.
Sappiamo che la regione in cui le popolazioni cominciarono ad allevare animali fu l'Asia centrale. Qui erano presenti, allo stato selvaggio, molte specie che potevano essere utili per l'alimentazione: la pecora, la capra, il cinghiale e l'uro, un tipo di bue selvatico oggi scomparso, progenitore degli attuali buoi. Gli studiosi dicono che nel mondo di allora esistevano almeno 148 specie animali che potevano essere addomesticate, ma le prime popolazioni ne scelsero solo 14. Con quali criteri? Certamente preferirono quelle che avevano le caratteristiche più favorevoli: dovevano essere specie poco aggressive (come le pecore), essere in grado di nutrirsi anche degli avanzi lasciati dagli umani (come i cani), essere animali sociali e che vivevano in gruppo (come i cavalli).
Il cane fu addomesticato tra 20.000 e 30.000 anni fa, periodo a cui risalgono molti resti di ossa canine ritrovati nei villaggi di varie popolazioni in Europa e nel Vicino Oriente. La pecora fu addomesticata nell'Asia occidentale quasi 11.000 anni fa, quando in Anatolia e in Iran si cominciavano ad allevare le capre. Nei millenni successivi, greggi di pecore e capre si trovano anche in Europa. Altri animali, come il cavallo, l'asino, il cammello, il dromedario, il bufalo e il gatto, furono addomesticati molto più tardi, in diverse regioni europee e asiatiche. Ogni specie veniva scelta per particolari caratteristiche utili: le pecore per il latte e il pelo morbido, i cavalli per la resistenza nel trasporto di carichi o per la velocità della corsa. Ma... quali sono le caratteristiche utili del gatto?
Il processo di selezione praticato dagli allevatori ha modificato nel corso del tempo le specie animali.
I cinghiali rispetto ai maiali di allevamento sono di taglia più grande, hanno le zanne, il muso e le unghie sono adatti a scavare radici. La loro carne è meno grassa e più saporita di quella di un maiale di fattoria. Gli allevatori sono riusciti a far riprodurre i cinghiali meno aggressivi e con strumenti di difesa meno sviluppati. Selezionando ogni volta le bestie più grasse e tranquille e facendole incrociare tra loro, dopo generazioni e generazioni si è ottenuta la specie dei moderni maiali.
Con lo sviluppo dell'agricoltura e dell'allevamento, le popolazioni che prima erano nomadi si fermarono e costruirono villaggi stabili, sempre più grandi. Nella tribù ciascuno svolgeva il suo mestiere, si scambiavano e si commerciavano i beni e si formavano le prime classi sociali. In Palestina sorse la prima città, con le case
in muratura
Sfogliando il grande libro della preistoria, siamo ormai arrivati alle ultime pagine, dove si narra delle popolazioni vissute 6.000÷7.000 anni fa. In questo periodo gruppi di nomadi si fermarono nelle regioni più accoglienti del Pianeta, come per esempio le terre fertili del Medio Oriente, e si organizzarono in villaggi stabili sempre più grandi. I villaggi erano poco distanti l'uno dall'altro, e costruiti in genere presso corsi d'acqua in modo che fosse possibile irrigare i campi coltivati e dare da bere alle bestie rinchiuse nei recinti. Gli uomini e le donne dei diversi gruppi avevano contatti frequenti e si scambiavano gli oggetti e i prodotti utili (vasi in cambio di pugnali, semi di cereali in cambio di latte di capra), iniziando a praticare una primitiva forma di commercio.
In quest'epoca, i diversi popoli avevano già stabilito regole e accordi per dividersi il territorio ed evitare i conflitti. Erano governati da capi rispettati da tutti, erano organizzati socialmente e avevano luoghi sacri in cui svolgere le pratiche religiose. C'erano uomini sapienti che sapevano interpretare le manifestazioni naturali del cielo e della terra, e dunque avevano un ruolo di grande prestigio. I guerrieri, i cacciatori, gli agricoltori, i fabbri, i vasai appartenevano ormai a classi sociali diverse. È possibile capirlo studiando il modo in cui venivano seppelliti i morti. Le tombe dei guerrieri, in generale, sono ricche di armi e oggetti finemente lavorati, e fanno pensare a una posizione importante nella società, mentre le tombe delle persone che facevano i mestieri più umili sono disadorne, con pochi oggetti di pietra.
Oltre a questi gruppi di villaggi, però, si costruirono anche strutture urbane complesse. Una delle prime grandi città di cui si conserva traccia è Gerico, nell'attuale Cisgiordania, il cui sviluppo risale a oltre 8.000 anni fa: era circondata da mura a difesa dalle incursioni delle popolazioni nomadi ed era abitata da quasi 2.000 persone. A noi può sembrare una città molto piccola, ma per quell'epoca era una vera metropoli!
Più o meno all'epoca in cui gli antichi Egizi costruivano le piramidi, cioè 5.000 anni fa, un uomo vestito di pelli e armato di arco e ascia di metallo andava a caccia su quello che oggi è il massiccio del Similaun, al confine tra Italia e Austria. Colpito da una freccia, l'uomo morì e il suo corpo rimase intrappolato dai ghiacci fino al 1991, quando due alpinisti tedeschi si accorsero di alcuni resti umani che affioravano da un ghiacciaio. Sulle prime si pensò a uno sfortunato escursionista morto poco tempo prima. Poi gli scienziati capirono che si trattava del corpo mummificato di un uomo dell'Età del Rame, vissuto nel 3200 a.C. Dal suo equipaggiamento (un pugnale nel fodero, pezzi di una rete, una bisaccia di cuoio, resti di carbone vegetale ed esche per attizzare il fuoco) si è pensato che potesse essere un cacciatore, oppure un commerciante o un cercatore di minerali, oppure tutte le tre cose insieme.
Come si fa a ricostruire la vita delle popolazioni preistoriche, che non hanno lasciato documenti scritti? I paleoantropologi devono mettere insieme, come un puzzle, le tracce fossili rinvenute nelle antiche caverne.
Il libro che abbiamo appena finito di sfogliare si chiude con l'invenzione della scrittura. Da quando le popolazioni della Mesopotamia, più di 5.000 anni fa, cominciarono a tracciare su tavolette di argilla segni per comunicare (v. scrittura), si è aperta una nuova fase della storia, quella che viene ricostruita dagli studiosi anche sulla base dei documenti scritti.
Come è possibile, allora, immaginare la vita quotidiana delle antiche popolazioni che non hanno lasciato né tavolette di argilla, né papiri, né libri? Bisogna lavorare su tracce di altra natura: per esempio analizzare le ossa fossili degli antenati di Homo sapiens. Dalla struttura dello scheletro di un ominide, per esempio, si può capire se era capace di camminare sui due piedi o se sapeva usare le mani per intagliare il legno e fare lavori di precisione. Dalla forma dei suoi denti si può capire se mangiava molta carne o se la sua alimentazione consisteva soprattutto in frutta e radici. Dalle dimensioni del suo cranio si può capire quanto era sviluppato il suo cervello, dalla forma della bocca se aveva la capacità di parlare, e così via.
Anche gli oggetti che si trovano nelle vicinanze degli scheletri possono essere molto utili per capire come si viveva centinaia di migliaia di anni fa. Le pietre scheggiate trovate sul pavimento delle caverne, oppure gli arpioni con il manico d'osso, i vasi di ceramica o i pugnali di bronzo possono dirci molto sulla cultura e le abilità di una popolazione e sul periodo in cui è vissuta: prima o dopo un altro gruppo umano, prima o dopo un certo evento. Se poi, nello stesso luogo si trovano anche ossa non umane, possiamo sapere quali animali vivevano in quella regione, e quindi quale era il clima in quel periodo. Mettendo insieme tutti questi indizi, come un gigantesco puzzle, si riesce a ricostruire il mondo di tanto tempo fa.
A fare questo lavoro di ricostruzione sono i paleoantropologi. Alcuni di loro lavorano sul campo e scavano nella terra, in punti particolari, cercando di individuare le tracce della vita passata. Oppure esplorano le grotte che possono essere state abitate dalle antiche popolazioni. Il loro compito, una volta rinvenuti strumenti, ossa, pietre o graffiti, è capire a quale periodo risalgano. Oggi la tecnologia permette di datare con molta precisione gli oggetti, ma è importante anche saper paragonare, interpretare le forme e capire se, per esempio, un certo vaso di ceramica è più antico o più recente di un altro trovato in una zona poco distante.
I paleoantropologi non devono soltanto immaginare com'erano fatti gli oggetti, ma anche come venivano prodotti e utilizzati, cioè devono cercare di ricostruire i processi e le tecniche che hanno permesso agli antichi uomini di costruire i loro attrezzi. Per esempio, devono scoprire il modo in cui bisognava battere sui sassi per ottenere lame dai margini taglienti, oppure come si fabbricavano perline e anellini utilizzando l'avorio delle zanne di mammut.
Siccome è passato moltissimo tempo da quando i primi ominidi abitavano la Terra, i resti della loro esistenza non sono molto numerosi. È come se alcune pagine del grande libro fossero malridotte, un po' stropicciate, con frasi scritte male e strappate in alcuni punti. Il compito di questi studiosi è proprio quello di rimetterle insieme, di immaginare cosa c'era scritto là dove le parole si vedono poco, di ricostruire i pezzi che mancano. È un lavoro affascinante, ma anche difficile e delicato, e in cui è molto facile sbagliare .
"Molto tempo fa quando il mondo era nuovo di zecca… gli esseri viventi si assomigliavano tutti ed erano molto diversi da come sono oggi. Non avevano idea di cosa sarebbero diventati". Tutti, però, sentono la necessità di una trasformazione, di una evoluzione. Vogliono diventare diversi, nuovi, migliori. Si sono stancati di essere scambiati l'uno per l'altro. Hanno voglia di crearsi una propria vita, di realizzare i propri sogni e, soprattutto, desiderano andare, come Piedino, alla ricerca della valle incantata. Ognuno deve trovare la sua strategia. Così alcuni animali, come il leone e il cardellino, si esercitano tanto per diventare quello che sono oggi; altri cambiano senza grandi sforzi, altri ancora per l'intervento di qualcun altro.
Ancora gli elefanti non hanno la proboscide. Si piacciono così come sono, ma fra loro c'è un cucciolo curioso che se ne va in giro per la savana a fare domande a tutti. Un giorno l'elefantino, incurante del pericolo, si avvicina al coccodrillo per sapere quale sia la sua colazione preferita, ma quello, invece di rispondere, "lo afferrò per il nasino che, fino a quella settimana, giorno, ora e minuto, era stato non più grosso di uno stivale". Solo con l'aiuto di Pitone l'elefantino riesce a liberarsi, ma il suo naso si è allungato a dismisura e da quel giorno non si è più accorciato. Per fortuna! Perché con quella proboscide l'elefantino riesce a mangiare, a bere, a scacciare le mosche e a sculacciare i prepotenti davvero senza fatica.
Gli animali imparano presto che bisogna cambiare per sopravvivere o anche solo per vivere meglio. Tutti sono disposti a seguire ciò che la natura ha pensato per loro. Tutti tranne la iena, che vuole diventare un leopardo.
"Studiava di camminare come lui, di accovacciarsi come lui, di balzare come lui sulla preda. Cercava di imitare ogni suo movimento".
Seguendo il leopardo, però, la iena non riesce a cacciare per conto suo ed è costretta a mangiare gli avanzi. Una mattina, stanca di aspettare, si avvicina al leopardo e gli chiede se diventerà come lui.
"Il leopardo la guardò scandalizzato. "Tu sei già diventata quello che potevi diventare. Sei diventata un seguileopardo"".
La iena non è soddisfatta, ma si rassegna: così ha voluto la natura.
"Na Tura era una donnona maestosa ma per niente placida come avviene spesso alle donne molto formose. Era, invece, bisbetica, capricciosa, incostante, violenta e malinconica".
Na Tura si annoia spesso e per questo ogni tanto, stanca di trasformare gli animali e le piante che già esistono, si diverte a inventare nuove forme di vita. Così che, in una piovosa mattina primaverile, risvegliatasi da un lungo sonno pieno di sogni, crea l'uomo. Ma quell'uomo non assomiglia molto a noi, è sgraziato, ha tanti peli sul corpo, una brutta voce e modi di fare davvero sgarbati. "Era un Primitivo, e viveva cavernicolosamente in una caverna, indossava pochissimi vestiti, non sapeva scrivere e non se ne curava e, tranne quando aveva fame, era sempre felice".
Pokonaso è un bambino dell'Età della Pietra, un bambino di Neandertal. La sua tribù è abituata a difendersi dagli animali feroci e dalle insidie della natura, ma teme più di ogni altra cosa i Nasastri, "mostri più pericolosi del rinoceronte peloso, più astuti della tigre dai denti a sciabola e più nocivi di un'intera famiglia di orsi bruni".
Anche i Nasastri, però, sono uomini, ma diversi da quelli che Pokonaso conosce. "Da vicino sono spaventosi. Hanno la testa piccola e il collo lungo e sottile. Hanno il mento in fuori e fronte alta. E, questo è il particolare più orrendo, hanno il naso dritto e corto". Quello che Pokonaso non può sapere è che oggi siamo tutti Nasastri. Gli uomini di Neandertal sono scomparsi e nessuno ne conosce il vero motivo.
Anche i Nasastri, però, hanno paura di chi è diverso dagli uomini che conoscono. Suth è un ragazzo di duecentomila anni fa, appartiene alla Tribù del Falco della Luna, vive in Africa e ha la pelle scura. Un giorno Suth salva la vita a un uomo rimasto sepolto da una frana, ma quando lo vede rimane stupito del suo aspetto. Lo straniero, benché assomigli a Suth, ha la pelle chiara, una faccia lunga e stretta, il naso aquilino, le labbra e i denti sporgenti, e soprattutto, non parla. Emette strani versi che nessuno capisce.
""Quest'uomo non è persona" mormorò Suth. "Dici che è animale?" chiese Noli. "Non so. Le persone parlano. La sua bocca non è ferita, ma lui non parla. Io parlo. Lui sente il suono. Non sente le parole. Non sente le cose che dico"".
Suth e i compagni si ricredono presto sullo straniero e gli danno un nome: Tor. Tor non parla la loro lingua, ma è abile nella caccia e sa scheggiare la pietra come nessun altro. Un tempo anche la Tribù del Falco della Luna sapeva farlo, ma adesso - che sono rimasti solo i bambini e i ragazzi - non più. Suth ci prova, ma invano. Sa che occorrono le pietre giuste, ma non sa riconoscerle e neppure dove trovarle. Tor sì.
"Lo straniero, seduto accanto a Suth, gli insegnava a tenere in mano la pietra prescelta e gli mostrava come e in che punto dovesse colpirla con l'altra".
Il ragazzo fa molti errori e ha le mani graffiate e sanguinanti, ma riesce a fabbricare un coltello.
""Questo è il primo coltello che faccio" disse. "Io, Suth, faccio questo coltello"".
Spesso sono gli adulti a insegnare le tecniche, altre volte succede che il caso e la fortuna permettono grandi scoperte. Grump è l'uomo più goffo e strampalato della sua tribù. Tutti lo prendono in giro e per questo vive tutto solo in una grotta al limitare di un folto bosco. Durante un violento temporale un fulmine abbatte un albero e lo incendia. Grump raccoglie un ramo e lo porta dentro la caverna, deciso ad alimentare il fuoco perché non si spenga; infatti non sarebbe più in grado di riaccenderlo. Un mammut, Erman, in vena di scherzi, soffia sul fuoco. ""Grump cercò di ravvivarlo, ma fu tutto inutile. Le sue bellissime fiammelle erano scomparse per sempre"". L'uomo non sa ancora quanto quello scherzo si rivelerà prezioso.
"Grump gettò via lontano i legnetti spenti, ma uno di essi andò a finire sul muro e vi lasciò un segno molto interessante… Raccolse un bastoncino e con la punta bruciata lo sfregò sulla parete: un altro segno nero! Provò di nuovo: ancora un altro, e un altro ancora, e insieme formavano un'immagine sempre più simile al corpo di un animale".
Grump stenta a credere ai suoi occhi: ha inventato la pittura. Da quel giorno gli uomini cominciano a fare disegni all'interno delle grotte. Credono siano magici e, quando organizzano una caccia, vanno in una caverna speciale, piena di immagini di animali. Ci sono cervi, bisonti, mammut e piccoli uomini stilizzati. In quella grotta gli uomini danzano, cantano e fanno incantesimi per assicurarsi una buona caccia.
Ma l'uomo è ancora selvatico.
"Spaventosamente selvatico. Accennò a domesticarsi solo dopo aver incontrato la Donna, quando si sentì dire che a lei non piaceva vivere in quella sua selvatica maniera".
Per accontentarla, l'uomo migliora la sua abitazione rendendola più accogliente e anche i suoi modi si fanno più gentili. Qualche volta, forse per nostalgia dei tempi passati, ritorna rude e grida, come Fred Flintstone: "Wilma, dammi la clava!". Ma poi ritorna sui suoi passi e vola felice verso il futuro. Un futuro ricco di sorprese e di meravigliose scoperte. Un futuro che l'uomo primitivo non poteva neppure sognare, pieno com'è di tutte quelle cose che noi conosciamo. Un futuro in cui l'uomo arriva perfino sulla Luna. (Anna Antoniazzi)
Don Bluth, Alla ricerca della valle incantata, USA 1988 [Ill.]
Peter Dickinson, La Tribù del Falco della Luna, Piemme, Casale Monferrato 1999 [Ill.]
John Grant, Le avventure di Pokonaso, Editrice Piccoli, Torino 1986 [Ill.]
Ted Hughes, Com'è nata la iena, in Com'è nata la balena e altre storie, Mondadori, Milano 1996 [Ill.]
Rudyard Kipling, Come fu scritta la prima lettera, in Storie proprio così, Mondadori, Milano 1992
Rudyard Kipling, Il gatto che andava per i fatti suoi, in Storie proprio così, Mondadori, Milano 1992
Rudyard Kipling, Il gatto che andava per i fatti suoi, in Storie proprio così, Mondadori, Milano 2003 [Ill.]
Rudyard Kipling, L'elefantino, in Storie proprio così, Mondadori, Milano 1992
Rudyard Kipling, L'elefantino, in Storie proprio così, Mondadori, Milano 2003 [Ill.]
Brian Levant, The Flinstones, USA 1994 [Ill.]
Alberto Moravia, Madre Natura decide di cambiare il mondo, in Storie della preistoria, Bompiani, Milano 2001 [Ill.]
Derek Sampson, Storie con un mammut, Nuove Edizioni Romane, Roma 1994 [Ill.]