ALLACCI, Leone
Nato a Chio nel 1586, erudito e teologo, l'A. occupa un posto di rilievo nella storia della cultura del sec. XVII. Il cognome Allacci è adattamento italiano del greco ῾Αλάτζης (venditore di sale), scherzoso soprannome dato al padre Nicola (come attesta la biografia scritta dal contemporaneo Stefano Gradi); accanto a questa forma, altre ne appaiono: Allacio, in italiano, Allacius e Allatius, in latino. Sin dalla fanciullezza egli mostrava particolare inclinazione agli studi, nei quali lo dirigeva, con severità talora eccessiva, lo zio materno Michele Neuridis. Ancor giovanissimo l'A. veniva condotto dallo zio in Italia; Messina, Paola (ove si tratteneva due anni in casa di Mario Spinelli) e Napoli furono le tappe del viaggio, che doveva avere per meta Roma. Ammesso verso la fine del 1599 nel collegio di S. Atanasio, istituito nel 1577 da Gregorio XIII per l'istruzione dei giovani greci di professione cattolica, l'A. poté coltivarvi, oltre agli studi di filosofia e teologia, le due lingue classiche, di cui diveniva ottimo conoscitore; nel 1610 egli conseguiva i gradi di doctor e magister in filosofia e teologia. L'esperienza del collegio greco si sarebbe rivelata definitiva nella formazione della personalità di studioso dell'Allacci.
Dopo il compimento dei propri studi l'A, pur non avendo preso gli ordini sacri, fu per qualche anno vicario generale del vescovo di Angiona, Bernardo Giustiniani; più tardi, rientrato a Chio, ebbe lo stesso incarico presso Marco Giustiniani, l'arcivescovo latino dell'isola, e s'adoperò con fermezza a sanare i contrasti sorti in seno alla popolazione, cercando di vincere l'ostilità che ne era ricaduta sull'arcivescovo; ché anzi, per sostenere a Roma la posizione di questo, si decise ad accompagnarlo nel suo viaggio in Italia. Ora l'ingegnoso giovane s'accendeva d'amore per lamedicina e, sotto la direzione dell'aristotelico Giulio Cesare Lagalla, compiva i suoi studi, fino al conseguimento dei gradi accademici nell'ottobre del 1616. Del maestro egli fu anche biografo, intendendo difenderlo, con la penna, dalle accuse di eterodossia a lui rivolte, in particolare per le sue vedute sul problema della provvidenza: la Vita uscì a Parigi nel 1644. Non però la medicina doveva essere la professione della sua vita, ché, raccomandato al cardinale bibliotecario Scipione Cobelluzzi ed assunto alla Biblioteca Vaticana come coadiutore di uno "scrittore"greco, fu poi nominato egli stesso scrittore, avviandosi così per strada più adatta alla sua vocazione di raccolto studioso. In questi anni va anche segnalata la sua attività come insegnante di retorica presso il collegio atanasiano, bruscamente interrotta a causa di una viva rivalità col collega Matteo Caryophyllis. Come scrittore della Vaticana, riceveva nel 1622 il grave incarico di eseguire il trasferimento in Roma della Biblioteca Palatina di Heidelberg, donata alla S. Sede da Massimiliano I, duca di Baviera, dopo la vittoriosa conclusione della sua campagna contro il Conte Palatino. Di questo viaggio, che fa dell'A. il protagonista di un episodio notevole nella storia delle biblioteche europee, si conserva principale notizia nella relazione dall'A. stesso composta (per le edizioni, cfr. bibl.), oltre che in lettere da lui in quell'occasione scritte e raccolte in un minutario.
L'A. partiva da Roma il 28 ott. 1622, munito di tre brevi di Gregorio XV, di cui uno destinato a tutti i fedeli, un secondo al duca di Baviera, un terzo al generale conte de Tilly, segretario del duca, oltre che di due istruzioni, rispettivamente del cardinale bibliotecario Cobelluzzi e del camerlengo Ludovisi, sui criteri da seguire nel trasferimento della preziosa biblioteca: si dovevano portare a Roma tutti i manoscritti, mentre si lasciava all'A, ampia facoltà di scelta per le opere a stampa. Nella Palatina questi metteva piede solo nella seconda metà del mese di dicembre e cominciava subito a raccogliere i manoscritti e a stenderne un rapido inventario, in mancanza di adeguati cataloghi; delle opere a stampa egli sceglieva i libri degli autori più segnalati e, in particolare, per i testi protestanti si limitava ai più antichi. Dal Tilly otteneva inoltre il permesso di portar seco manoscritti della biblioteca privata del Conte Palatino, mentre con abili trattative riusciva a convincere i professori dell'università di Heidelberg a cedergli codici della biblioteca accademica. Ma difficile risultava poi, in parte per l'ostilità dell'ambiente, in parte per le devastazioni operate dalla guerra in quei paesi, reperire l'occorrente per l'imballaggio dei libri e, ancor più, i carri atti al trasporto delle centonovantasei casse piene di preziosi volumi. L'A. lasciava Heidelberg il 14 febbr. 1623, ma la sua missione poteva dirsi conclusa, con il rientro definitivo in Roma, solo nel luglio seguente.
Non è però da credere che queste fatiche gli fruttassero grande utile personale, ché la morte, frattanto avvenuta, di papa Gregorio XV lo privava di una forte protezione e lo lasciava così esposto agli attacchi di non pochi avversari, in particolare di coloro cui era stato preferito nella delicata missione; né troppo benevolo gli era il nuovo pontefice, Urbano VIII, col quale aveva precedentemente avuto motivi di dissenso. Poté ormai contare sulla protezione del cardinale Lelio Biscia, che lo nominò suo teologo per le questioni riguardanti la Chiesa greca, e, dopo la di lui morte nel 1638, sul favore del cardinale Francesco Barbenini, di cui fu bibliotecario. Nel 1661 successe a Luca Holstenio come primo custode della Vaticana; morì a Roma il 19 genn. 1669.
Queste le grandi linee della biografia dell'A. dopo l'episodio della Palatina; la sua autentica storia fu però quella delle sue opere e del diffondersi della sua fama in Italia e fuori; egli prendeva parte a imprese culturali di portata europea (v. oltre); intratteneva rapporti epistolari con personaggi notevoli italiani e d'oltralpe (il folto elenco dei suoi corrispondenti include nomi come: Antonio Magliabechi, Angelico Aprosio, Ferdinando Ughelli, Gabriele Naudé, Giacomo Goar, Francesco Combefis, Daniele Papenbroeck, Bartoldo Nihus e perfino Mazzarino e Colbert); le sue opere vedevano la luce a Roma come a Parigi, a Lione come a Colonia. La sua reputazione era tale che Luigi XIV gli offrì, fra i primissimi, una delle pensioni destinate a studiosi stranieri: solo i dissensi tra S. Sede e Francia lo costrinsero a rifiutarla.
Dell'immensa dottrina dell'A. bel quadro ci forniscono le sue circa sessanta pubblicazioni e i suoi scritti tuttora inediti, frutto di una prodigiosa operosità che si estende per quasi mezzo secolo. L'erudizione dell'A. abbraccia i più diversi campi: teologia e bizantinistica, patristica e architettura sacra, antichità classica e letteratura italiana. Benché questi interessi s'alternino variamente nella vita di lui, una diversa dosatura di essi nei vari periodi si ricava dalla cronologia delle opere: per es., gli scritti e le edizioni di testi riguardanti l'antichità pagana s'addensano negli anni 1630-40 circa, mentre il ventennio successivo è particolarmente fecondo di studi di teologia e bizantinistica, e le opere di maggior rilievo per la letteratura italiana vedono la luce in periodo piuttosto tardo.
Va certo detto che non sempre alla vastità dell'erudizione corrisponde attendibiità di conclusioni critiche e che spesso la pagina dell'A. tradisce la fretta della composizione; ma, pur tenuto conto di questi limiti, di cui in parte si farà carico all'immaturità di certa filologia dell'epoca, si dovrà riconoscere l'importanza davvero notevole dell'A. nella storia della cultura del Seicento.
Un posto a parte meritano le opere relative ai rapporti tra la Chiesa romana e quella greca; ad occuparsi di tale problema lo spingeva già la sua origine. In tale contesto andrà menzionato innanzi tutto il De Ecclesiae occidentalis atque orientalis perpetua consensione (Coloniae 1648).
L'opera, dedicata a Luigi XIV e al cardinale Mazzarino, prende le mosse dall'accusa rivolta da parte greca alla Chiesa romana, d'avere, per smania innovatrice, alterato i tratti dell'antica fede; convinto della falsità dell'imputazione, l'autore si fa a considerare sin dagli inizi la storia della Chiesa greca, le sue peculiari caratteristiche e insieme ciò che essa ha incomune con la Chiesa romana. Le conclusioni cui l'autore giunge per questa via sono le seguenti: la fede delle due Chiese è stata sostanzialmente sempre la medesima; prima dello scisma, inoltre, da parte greca s'è prestata alla Chiesa occidentale ossequiosa obbedienza; se innovazioni hanno avuto luogo col passar del tempo, esse hanno comunque riguardato soltanto riti e cerimonie, lasciando intatta la sostanza del dogma.
L'opera si svolge con ampio respiro di tre libri. Il primo libro muove dall'affermazione del primato di Pietro e dallo studio della storia dei patriarcati: Antiochia, Alessandria e Roma sono i più antichi, ma il primato di Pietro comporta anche il primato della sua sede. Nel pontefice romano s'assomma triplice potestà: episcopale, patriarcale, apostolica. Segue la storia della formazione e dello sviluppo del patriarcato di Costantinopoli: posteriore per nascita agli altri, esso ha affermato per via di soprusi la sua autorità; ma la sua inferiorità rispetto a Roma risulta, per esempio, dal fatto che al vescovo di questa città, come anche al patriarca di Alessandria, è conferito il titolo di papa, mentre per i patriarchi di Costantinopoli e Gerusalemme vale la denominazione di arcivescovi. La superiorità del romano pontefice è ancora confermata dalla funzione di arbitro da lui esercitata in dispute sorgenti fra i vari patriarcati, la stessa funzione che ogni patriarca esercita nei confronti dei fedeli. E non si tratta di superiorità risultante da privilegi concessi da sinodi e da imperatori al vescovo di Roma: Cristo ne è supremo garante. Esempi tratti dalla storia del patriarcato costantinopolitano mostrano come anche per questo l'autorità romana avesse valore di suprema istanza.
Il secondo libro è dedicato essenzialmente ai decisivi episodi di Fozio e Cerulario. L'A. si sforza qui di mostrare come anche dopo lo scisma permanesse da parte di imperatori e autorevoli rappresentanti della Chiesa greca un atteggiamento di fondamentale reverenza nei confronti di Roma. Il terzo libro riguarda la più recente storia dei rapporti fra le due Chiese e dei tentativi di avvicinamento e d'unione, favoriti su un piano umano dalla lunga consuetudine sussistente tra Greci e Latini, oltre che dal colpo inferto all'orgoglio dei primi dalla caduta dell'impero d'Oriente in mani turche. L'interesse della S. Sede per la questione orientale è fra l'altro confermato dalla fondazione del collegio di S. Atanasio da parte di Gregorio XIII, allo scopo di provvedere all'istruzione di giovani greci non dissidenti; a questo punto s'inserisce nell'opera una storia dei più illustri personaggi del collegio greco. Segue infine una rassegna delle più recenti polemiche di scrittori orientali contro la Chiesa latina, con confutazione degli argomenti addotti dagli avversari e riconferma della concordanza tra le due Chiese sul piano del dogma.
L'opera qui descritta si colloca agevolmente nel quadro dell'attività svolta a favore dell'unione da parte dei Greci uniti educati a Roma. Con analoghi intenti, Pietro Arcudio, proveniente anch'egli dal collegio greco, aveva scritto e pubblicato nel 1619 Libri VII de concordia Ecclesiae occidentalis atque orientalis in septem sacramentorum administratione.
La questione greca, collocandosi realmente al centro degli interessi spirituali dell'A., conferisce alla sua personalità quella unità e consistenza, di cui potrebbe far sospettare la mancanza una superficiale rassegna dei molti argomenti da lui trattati. Fra i numerosi scritti relativi a questo tema, citeremo ancora: De aetate et interstitiis in collatione ordinum etiam apud Graecos servandis (Romae 1638); De libris ecclesiasticis Graecorum dissertationes duae (Parisiis 1645); De utriusque Ecclesiae occidentalis atque orientalis perpetua in dogmate de purgatorio consensione (Romae 1655); i due volumi di Graeciae orthodoxae scriptores (Romae 1652-59),che raccolgono gli scritti dei teologi greci sostenitori della doppia processione dello Spirito dal Padre e dal Figlio; inoltre le opere scritte nel corso della polemica contro Giovanni Enrico Hottinger, l'orientalista di Zurigo, autore di opposte tesi in merito alla questione orientale: Johannes Henricus Hottingerus fraudis et imposturae manifestae convictus circa Graecorum dogmata (Romae 1661) e De octava synodo Photiana (Romae 1662).
D'altro canto si può isolare nel vasto Corpus allacciano un gruppo di scritti relativi al problema dell'omonimia (De Psellis,Romae 1634; De Georgiis,Parisiis 1651; De Symeonibus,Parisiis 1664; De Nilis,Romae 1668; Tres grandes dissertationes de Nicetis, de Philonibus et de Theodoris,in A. Mai, Novae Patrum Bibliothecae,VI, 2, Romae 1853, pp. 1-202, ecc.), che, pur non essendo specificamente dedicati alla questione orientale, rispondono in parte alla preoccupazione di provare l'autenticità di opere convalidanti le posizioni romane.
Parallelamente alla personalità del teologo matura nell'A. quella del bizantinista di stampo più propriamente erudito. È l'epoca in cui, sotto il patronato di Luigi XIV e del Colbert, la famosa stamperia del Louvre inizia la pubblicazione di un Corpus di storici bizantini, animatore Filippo Labbe: all'impresa collabora in Italia, con Luca Holstenio, il nostro A., cui spetta l'edizione della Historia byzantina e del Chronicon compendiarium di Giorgio Acropolita, insieme con scritti di altri storici (Parisiis 1651); il testo greco èaccompagnato da una versione latina; seguono note all'opera dell'Acropolita e la citata diatriba De Georgiis.
Nel campo della patristica si segnala, accanto alla versione latina della Catena S.S. Patrum in Ieremiam prophetam (testo greco a cura di Michele Ghislieri, Lugduni 1623), l'edizione di Eustathii in Hexahemeron commentarius ac De engastrimytho dissertatio adversus Origenem. Item Origenis de eadem engastrimytho (Lugduni 1629), con traduzione latina e note.
Più importante il contributo dell'A. alla divulgazione di testi inediti d'antichità pagana, anche se l'attribuzione delle opere non è sempre attendibile e la ricostruzione del testo (come nella consuetudine dell'epoca) è piuttosto arbitraria. Citeremo, fra le opere più significative: 1. Socratis, Antisthenis et aliorum Socraticorum epistolae (Parisiis 1637), accompagnate da un Dialogus de scriptis Socratis e da un commentario, eruditissimi entrambi. La tesi dell'autenticità vi è sostenuta con zelo un po' avvocatesco: ma solo sessant'anni più tardi il Bentley avrebbe pronunciato severa e fondata condanna sulla vasta fioritura di falsi epistolografici d'epoca imperiale; 2. Traduzione latina del De diis et de mundo del neoplatonico Sallustio (testo greco curato dal Naudé, Romae 1638); 3. Philonis Byzantii De septem orbis spectaculis (Romae 1640), con ricche note; 4. Excerpta varia graecorum sophistarum ac rhetorum: Heracliti, Libanii Antiocheni, Nicephori Basilacae, Severi Alexandrini, Adriani Tyrii, Is. Porphyrogennetae, Theodori Cynopolitae et aliorum (Romae 1641): si tratta di raccolte mitografiche e di esercitazioni e declamazioni d'uso scolastico. Nella prefazione l'A. dichiara coscienziosamente di non sapere identificare storicamente taluni degli autori presentati, ecc. Non più che uno scritto patriottico è l'ampio volume De patria Homeri (Ludguni 1640), in cui l'A. si sforza di provare che la patria del sommo poeta è Chio, servendosi di argomenti in parte già vecchi e superati per la sua epoca.
Il nome dell'A. andrà ricordato anche in una storia dell'epigrafia e di una, sia pur incipiente, etruscologia. Egli è infatti il primo editore del noto Monumentum Adulitanum (Romae 1631), ricavato da un codice vaticano della Cosmologia Christiana di Cosma Indicopleuste. Sull'esempio di Cosma, l'A. attribuisce erroneamente all'epoca di Tolomeo III Evergete anche la seconda parte dell'iscrizione: solo l'epigrafia più recente correggerà l'errore.
Responsabile d'aver sostenuto l'autenticità di scritti apocrifi, l'A. ha avuto viceversa il merito di provare la falsità di una pretesa cronaca etrusca d'epoca sillana, pubblicata nel 1636 dall'antiquario Curzio Inghirami. L'opera dell'A. è intitolata: Animadversiones in antiquitatum etruscarum fragmenta ab Inghiramio edita (Parisiis 1640; l'edizione romana del 1642 contiene in aggiunta una Animadversio in libros Alphonsi Ciccarelli et auctores ab eo confictos).È singolare questo precoce interesse per cose etrusche, pur se nella forma per così dire negativa della confutazione di un falsario. L'etruscologia èscienza del sec. XVIII e seguenti, ché anche il De Etruria regali dello scozzese Dempster (1612-25) è solo un frutto fuori stagione.
Interessanti per la storia della letteratura italiana sono poi le seguenti opere: 1. Apes urbanae, sive de viris illustribus, qui ab anno MDCXXX per totum MDCXXXII Romae adfuerunt ac typis aliquid evulgarunt,Romae 1633 (qui, sotto la voce Leo Allatius,si trova un'utile rassegna di opere giovanili dell'A.). 2. Poeti antichi raccolti da codici manoscritti della Biblioteca Vaticana e Barberina,Napoli 1661. 3. Drammaturgia, divisa in sette indici,Roma 1666 (con aggiunte di Giovanni Cendoni, Apostolo Zeno ed altri nell'edizione veneziana del 1755).
La Drammaturgia,bibliografia riguardante opere teatrali italiane edite e inedite, ebbe lunga gestazione, dal 1654 al 1666; per essa, come per i Poeti antichi,raccolta di componimenti poetici dei primi secoli della nostra letteratura, e prima parte di più vasto disegno, che doveva culminare in una vera e propria storia della poesia italiana, l'A. si valse della preziosa collaborazione dell'Aprosio.
Di opere riguardanti l'architettura sacra (De templis Graecorum recentioribus,Coloniae 1645) e altri temi eruditi, nonché di poesie greche scritte in onore di grandi personaggi dell'epoca (Luigi XIV, Urbano VIII, Dionigi Petau, ecc.), basterà qui un cenno.
Bibl.: S. Gradi, Vita (incompleta), in A. Mai, Novae Patrum Bibliothecae,VI, 2, Romae 1853, pp. V-XXVIII; L. Crasso, Elogii d'huomini letterati,Venezia 1666, pp. 397-404; A. Fabricius, Catalogus operum L. A.,Hamburgi 1721; Notizie di L. A. col catalogo delle sue opere insieme con cinque lettere scritte da lui ad Antonio Magliabechi,in A. Calogerà, Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici,XXX, Venezia 1744, pp. 265-290;E. Legrand, Bibliographie hellénique, ou description raisonnée des ouvrages publiés par des Grecs au dixseptième siècle,III, Paris 1895, pp. 435-471, e passim negli altri tomi; L. Petit, in Dict. d'archéol. chrétienne et de liturgie,I, Paris 1907, coll. 1220-1226; Id., in Dict. de théologie catholique,I, Paris 1910, coll. 830-833; L. Bréhier, in Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés.,II, Paris 1914, coll. 479-484; P. De Meester, Leone Allazio alunno del pontificio Collegio Greco di Roma ed i suoi scritti in relazione con Roma,in Atti del V Congr. naz. di studi romani,V, Roma 1946, pp. 361-366. In particolare, per le Carte Allacciane (230 mazzi o volumi, conservati nella Biblioteca Vallicelliana di Roma e contenenti, oltre a scritti propri dell'A., copie di codici greci, latini e italiani): Archives des Missions scientifiques et littéraires,s.3, XIII (1887), pp. 850-856; G. Martini, Catalogo dei manoscritti greci esistenti nelle biblioteche italiane,Milano 1902, pp. 201-233; specialmente per la corrispondenza: C. Mazzi, Tre epistolari nella Vallicelliana di Roma,in Riv. delle biblioteche,II (1889), pp. 103-112; per i rapporti tra l'A. e l'Aprosio: G. Manacorda, Dai carteggi Allacciani. Note bibliografiche,in La Bibliofilia,III (1901-02), pp. 213-231, 298-300, 382-387; IV (1902-03), pp. 37-42, 157-167, 242-249; per i rapporti con l'Ughelli (che per la sua Italia sacra si valse della collaborazione dell'A.): Id., L'A. e l'"Italia sacra" dell'Ughelli,in Studi storici,XII (1903), pp. 453-466; per l'A. traduttore: A. Neri, Una traduzione di Giovenale sconosciuta,in Giorn. stor. d. letter. ital.,XIII (1889), pp. 456-457; per l'episodio della Palatina di Heidelberg, definitivo: C. Mazzi, L'A. e la Palatina di Heidelberg,estratto da Il Propugnatore,Bologna 1893; la relazione dell'A, fu pubblicata per la prima volta da C. F. Bähr nell'articolo Zur Geschichte der Entführung der Heidelberger Bibliothek,in Heidelberger Jahrbücher der Literatur (1872), nn.31-32, pp. 486 ss., e successivamente riedita (nell'errata convinzione di pubblicarla per la prima volta) da G. Beltrani, in Rivista Europea. Rivista Internazionale,vol. XXIX (1882), pp. 5-31; l'autografo è contenuto nelle carte 177r-188r del manoscritto vallicelliano B. 38.
Giudizi sull'A. editore di testi antichi in J. Sykutris, Die Briefe des Sokrates und der Sokratiker,Paderborn 1933, p. 9; sull'A. bizantinista, G. Ostrogorsky, Geschichte des byzantinischen Staates,München 1952, p. 2 s.; N. B. Τωμαδάκη, Εἰσαγωγὴ εἰς τὴν βυζαντινὴν Φιλολογίαν,I, 1, Atene 1956, pp. 49-51; H. G. Beck, Kirche und theologische Literatur im byzantinischen Reich,München 1959, pp. 11 s.