lessicalizzazione
La lessicalizzazione è il processo per cui nuove unità linguistiche che in una fase precedente non erano considerate lessicali vengono a far parte del lessico di una lingua; lessicalizzato significa perciò «codificato nel lessico». La lessicalizzazione è, quindi, un tipico fenomeno diacronico.
Volendo assumere una definizione molto ampia si possono considerare lessicalizzazioni:
(a) i processi di ➔ formazione delle parole;
(b) i processi di fusione di elementi linguistici che comportano una riduzione della composizionalità del significato (➔ definizione lessicale);
(c) i processi di separazione di elementi originariamente unitari, che sfociano in una maggiore autonomia degli elementi che si sono separati.
In base al primo concetto di lessicalizzazione, si potrebbe dire che ogni parola di una lingua è di per sé una lessicalizzazione. Ad es., l’italiano possiede una sola lessicalizzazione per due concetti di «nipote», mentre lo spagnolo e l’inglese ne hanno due, per «nipote di zio» rispettivamente (sobrino e nephew) e per «nipote di nonno» (nieto e grandson).
L’uso del termine con il significato di «codificazione nel lessico» si riscontra, ad es., in Lyons 1968, ma anche in studi di tipologia, fra cui i più conosciuti sono quelli di Talmy (1985 e 2000) e Schwarze (1985 per l’italiano) sulla lessicalizzazione delle componenti dell’evento di moto (➔ movimento, verbi di): l’ipotesi è che ci sono lingue, come le lingue romanze, che lessicalizzano sia la direzione che il percorso nel lessema verbale, e altre, come l’inglese, il cinese, le lingue ugro-finniche, che lessicalizzano direzione e percorso in un elemento esterno connesso col verbo: la differenza si nota nel confronto, ad es., tra l’italiano uscire e l’inglese to go out.
Si parla anche di lessicalizzazione sintetica e analitica per sottolineare come nel rapporto fra forma e contenuto ci sia una sintesi, un concentrato di significato in una parola unica, oppure un’analisi, una distribuzione su più parole. Le lingue si servono sia dell’una che dell’altra e non è possibile dire che un concetto complesso venga espresso in forma analitica mentre uno semplice lo è in forma sintetica. Lo dimostra il confronto interno a ogni lingua (cadere e andare giù; donare e fare dono di) e fra lingue (it. sciare, ted. ski fahren o ski laufen; it. fare paura e avere paura, ingl. to scare, to fear).
Lingue del Nord e del Centro America mostrerebbero quella che è stata definita lessicalizzazione descrittiva perché la parola che designa un oggetto è una descrizione, mentre la lessicalizzazione etichettante non lascia capire la motivazione dell’attribuzione di una parola a un concetto. Anche nelle lingue indoeuropee tuttavia si potrebbe definire descrittiva la lessicalizzazione che si serve di composti nome + verbo, come portapacchi o spremiagrumi (➔ composizione). D’altra parte gli studi etimologici mostrano che un parlante d’oggi può vedere lessicalizzazioni etichettanti in quelle che all’origine erano descrizioni motivate del significato: si veda, ad es., l’avverbio italiano fa nell’espressione due mesi fa; sapendo che deriva dall’evoluzione di or fa (voce del verbo fare) due mesi, nel senso di «sono passati due mesi da ora», se ne comprende la motivazione. Lo stesso si può dire per l’inglese ago, che deriva dal participio passato del verbo ago corrispondente in inglese medio al moderno to go away.
Il termine lessicalizzazione è stato usato in relazione a quello di istituzionalizzazione per le analisi delle formazioni occasionali (ingl. nonce words: cfr. Bussmann 2007, ad vocem), forme coniate spesso per vivacizzare la prosa dei giornali – ad es., it. celodurista, che potrebbe seguire la strada di lessicalizzazione di menefreghista, o ingl. bandwagon-jumper-on, letteralmente «saltatore sul carro (del più forte)» –, che per entrare nel lessico devono poi essere istituzionalizzate, diventare comprensibili, spesso con un significato specializzato, anche al di fuori del contesto che le ha viste nascere.
Questa accezione del termine lessicalizzazione non esclude la prima, ma la inquadra in un’ottica più diacronica, di cambio linguistico, e la oppone al processo di ➔ grammaticalizzazione (Lehmann 1995: 6; e, prim’ancora, Jakobson 1959 e Žirmunskij 1966): in questo senso, vi sono alcuni casi che vengono trattati come lessicalizzazione.
(a) I processi che portano all’entrata nel lessico di una lingua di una parola, o di una sequenza di parole grafiche, che prima non veniva percepita come un’unità: it. fin che → finché, poi che → poiché, tirami su → tiramisù; sp. en cima → encima «addosso». Processi analoghi, ma con perdita di confini di morfema, sono parole come eliporto da eli(cottero) e (aero)porto, e l’ingl. netiquette da net e etiquette. Quando, come in questi casi, parole grafiche autonome, ma spesso adiacenti, danno luogo a un’unità lessicale nuova che, nello stadio finale del processo, finisce per esser scritta come una parola grafica unica, si parla di ➔ univerbazione. La grafia unita però non è condizione indispensabile della lessicalizzazione: le parole inglesi per «suocera» (mother-in-law) e per «fuoco amico» (friendly fire) o le parole italiane zig zag, va e vieni e gratta e vinci sono lessicalizzazioni, pur non essendo univerbate. Molti studiosi, e in particolare i lessicografi che operano sulle lingue romanze, ritengono d’altro canto che la grafia separata rappresenti un grado di lessicalizzazione inferiore, e quindi non promuovono facilmente a lemmi (➔ lemma, tipi di) queste parole, come invece tende a fare la lessicografia dell’inglese. I linguisti studiano i composti e li suddividono in base al modo in cui reagiscono a determinati test: tra questi quello di topicalizzazione, di modificazione interna con inserzione di avverbi o aggettivi o di cambiamento di ordine dei componenti, di sostituzione di un componente con un suo sinonimo, o con un elemento di un paradigma simile, e così via.
Si ammettono quindi gradi progressivi di lessicalizzazione, man mano che il composto diventa più fisso, non modificabile e idiomatico, cioè con un significato non ricavabile dalla somma dei suoi componenti.
(b) I passaggi da una parte del discorso a un’altra (è il processo chiamato tecnicamente ➔ conversione). Fra i casi più produttivi in italiano si nota il passaggio di forme come il ➔ participio presente e passato alla classe dei nomi: ad es., insegnante, impiegato, disoccupato, laureato, ecc. Casi particolari di passaggio sono quelle combinati a ellissi di una parte di un’unità multiparola: ingl. drive-in theatre → drive-in. Quando a cadere è la parte di composto costituita dal modificatore (come in ferro da stiro → ferro), non si osservano grandi cambiamenti; se si omette la testa in lingue con marca di genere e numero (come l’italiano) possono andar perdute alcune caratteristiche morfologiche: it. Facoltà di Lettere → Lettere (femm. sing., ma * la Lettere), aereo da caccia → caccia (masch. invariabile ma numerabile, il / i due caccia).
(c) I casi in cui un affisso diventa una parola autonoma, di solito un nome: ad es., ex- → ex (masch. o femm. invariabile: il mio / la mia / i loro ex), trans- → trans (masch. o femm. invariabile: il / la / i trans). Qualcuno considera una lessicalizzazione dello stesso tipo il caso degli scorciamenti, in cui si prendono le prime sillabe di una parola più lunga per sostituire la parola stessa (la minigonna → la mini), sia che coincidano con un affisso o elemento di composizione, sia che ciò accada senza riguardo per il confine di morfema (il processo detto da alcuni clipping), come bici o uni, che valgono in varie lingue europee bicicletta e università. A volte per adattare lo scorciamento alle regole grafiche e fonologiche di una lingua (➔ adattamento) si modifica il finale di sillaba, come in francese dictionnaire → dico, intellectuel → intello.
La lessicalizzazione è considerata come il processo opposto alla grammaticalizzazione e come prova del fatto che la grammaticalizzazione non è unidirezionale. Studi più recenti propendono per una gradualità di stati fra i due poli (cfr. Lindström 2004; Brinton & Traugott 2005; Ramat 2005).
Bernini, Giuliano (2006), Strategie di lessicalizzazione: tipologia e apprendimento. Il caso dei verbi di moto, «Zeitschrift für Literaturwissenschaft und Linguistik» 36, 143, pp. 95-118.
Brinton, Laurel J. & Traugott Elizabeth C. (2005) Lexicalization and language change, Cambridge, Cambridge University Press.
Bussmann, Hadumod (2007), Lessico di linguistica, trad. it., adattamento e revisione sulla base della 3a edizione originale, a cura di P. Cotticelli Kurras, Alessandria, Edizioni dell’Orso.
Jakobson, Roman (1959), Boas’ view of grammatical meaning, in The anthropology of Franz Boas. Essays on the centennial of his birth, edited by W. Goldschmidt, Menasha (Wi.), American Anthropological Association (rist. in Id., Selected writings, The Hague - Paris, Mouton, 1971, vol. 2º, Word and language, pp. 489-496).
Lehmann, Christian (1995), Thoughts on grammaticalization, München, Lincom Europa (1 ed. 1982).
Lindström, Therese (2004), Lexicalised grammaticalization?, in History of linguistics in texts and concepts, edited by G. Hassler & G. Volkmann, Münster, Nodus, 2 voll., vol. 2º, pp. 835-851.
Lyons, John (1968), Introduction to theoretical linguistics, Cambridge, Cambridge University Press (trad. it. Introduzione alla linguistica teorica, Bari, Laterza, 1971).
Ramat, Paolo (2005), Su degrammaticalizzazione e transcategorizzazione, in Id., Pagine linguistiche. Scritti di linguistica storica e tipologica, Roma - Bari, Laterza, pp. 89-105.
Schwarze, Christoph (1985) ‘Uscire’ e ‘andare fuori’: struttura sintattica e semantica strutturale, in Sintassi e morfologia della lingua italiana d’uso. Teorie e applicazioni descrittive. Atti del XVII congresso internazionale di studi della Società di Linguistica Italiana (Urbino, 11-13 settembre 1983), a cura di A. Franchi De Bellis & L.M. Savoia, Roma, Bulzoni, pp. 355-371.
Talmy, Leonard (1985), Lexicalization patterns: semantic structure in lexical forms, in Language typology and syntactic description, edited by T. Shopen, Cambridge, Cambridge University Press, 3 voll.,vol. 3º (Grammatical categories and the lexicon), pp. 57-149.
Talmy, Leonard (2000), Toward a cognitive semantics, Cambridge (Mass.), The MIT Press, 2 voll. (vol. 1º Concept structuring sys-tems, vol. 2º, Typology and process in concept structuring).
Žirmunskij, Viktor M. (1966), The word and its boundaries, «Linguis-tics» 27, pp. 65-91 (ed. orig. in «Voprosy jazykoznanija» 3, 1961, pp. 3-21).