LINGUISTICA (fr. linguistique; sp. linguística; ted. Sprachwissenschaft; ingl. comparative philology, linguistic science)
La linguistica o glottologia è la scienza che ha per oggetto il linguaggio e la lingua. Essa ha per scopo precipuo la ricerca delle relazioni di parentela delle varie lingue e lo sviluppo storico delle lingue stesse. Un altro fine della linguistica è quello di studiare l'origine e lo sviluppo del linguaggio, per quanto il problema dell'origine del linguaggio, che per alcuni è la meta suprema della glottologia in realtà trascenda i limiti della linguistica per entrare nel campo proprio alla filosofia.
La linguistica, come scienza, è relativamente recente; essa nasce quando si forma, attraverso il movimento della scuola romantica, una concezione storica della lingua e si viene stabilendo il principio dell'affinità genealogica (v. filologia; lingue). È però indubbio che i precursori della linguistica storica, e cioè coloro che raccolsero con diversi scopi e diversi metodi (ma quasi esclusivamente descrittivi e pratici) varî idiomi che erano prima ignoti o male conosciuti, aprirono la via a un più rapido progresso della scienza novella, che aspettava solo di avere un "metodo". L'oggetto della linguistica è formato, come si diceva, dal linguaggio in tutte le sue manifestazioni: lingue di popoli selvaggi, lingue di nazioni civili, lingue che vantano antiche e gloriose letterature o lingue che non furono mai fissate dalla scrittura, lingue parlate da molti milioni d'individui o morenti sulla bocca di poche decine di uomini o già morte da secoli, tutte hanno interesse per il glottologo. Il compito della linguistica è, secondo F. de Saussure, triplice e consiste: "a) nel fare la descrizione e la storia di tutte le lingue che potrà, ciò che vuol dire fare la storia delle famiglie di lingue e ricostituire, per quanto è possibile, le lingue madri di ogni famiglia; b) nel cercare le forze che sono in giuoco in un modo permanente e universale in tutte le lingue e di trarre le leggi generali alle quali si possano ricondurre tutti i fenomeni particolari della storia; c) nel delimitare e definire sé stessa" (Cours de linguistique générale, Parigi 1922, p. 20).
Concepita in questo modo, la linguistica è essenzialmente comparativa e storica per il suo primo e più importante scopo; per il secondo non è unicamente filosofica nel senso di applicare principî generali della filosofia al linguaggio, ma in base alle osservazioni linguistiche trova principî generali valevoli per il linguaggio in genere. Da una parte si ha così la linguistica generale comparata (che comporta una serie di linguistiche comparate minori per famiglie linguistiche genealogiche affini), dall'altra la linguistica generale, quale è intesa, p. es., da F. de Saussure, da M. Grammont, da A. Meillet, ecc. Esclusivamente filosofica è invece la linguistica generale di B. Croce (v.) e di qualche altro filosofo. Si comprende quindi come la glottologia sia prevalentemente storica; e se pure anche vi è una linguistica descrittiva, questa non è tanto una scienza per sé stessa, quanto una scienza ausiliaria per la linguistica storica. Farà opera scientifica senza dubbio colui che darà una descrizione chiara di una lingua o di un dialetto poco noto, senza entrare in problemi di grammatica storica, ma sulla base di una tale descrizione si dovrà più tardi procedere alla grammatica storica e ai chiarimenti dei problemi etimologici; e solo allora avremo un'opera veramente glottologica. Troppo spesso infatti il glottologo comparatista non ha la possibilità di raccogliere direttamente i materiali ed è costretto a servirsi di quelli raccolti da terzi, spesso non glottologi, e il più delle volte con fini esclusivamente descrittivi o pratici. Rientrano per questo nella storia della linguistica anche le opere dei pionieri, dei viaggiatori, dei missionarî, che hanno permesso di fissare idiomi più tardi spariti o alterati; rientrano nella storia della linguistica anche i tentativi di costruzioni di schemi elaborati per spiegare le particolarità, l'organamento delle singole lingue da grammatici e sull'origine del linguaggio.
Ci limiteremo a trattare qui della storia degli studî linguistici, rinviando per l'oggetto di essi agli articoli linguaggio; lingue.
L'antichità. - Gli antichi, e specialmente i Greci e i Romani, non ebbero alcun interesse per le speculazioni linguistiche, se non per qualche problema filosofico relativo all'origine del linguaggio e all'origine delle parole (etimologia) o allo schematismo grammaticale della propria lingua, che consisteva specialmente nell'ordinare ciò che era regolare di fronte a ciò che era irregolare. Del primo problema si occuparono principalmente i filosofi ed è notissimo il dialogo di Platone, Cratilo, che è il più antico esempio, nel mondo classico, di speculazione etimologica. La storia di questi tentativi fu già trattata nella v. etimologia (XIV, p. 455 segg.). Anche i tentativi di spiegazione dei nomi proprî così frequenti nell'Antico Testamento. D'altra parte, i Greci si occuparono della schematizzazione della lingua attraverso un'analisi che partiva dal concetto dell'anomalia. Sorse così la grammatica empirica che, quantunque disprezzata dai filosofi, restò, sotto la forma datale da Dionisio Trace (II sec. a. C., v. VII, p. 944), il fondamento della grammatica per tutto l'evo antico, e in gran parte, medio e moderno, provocando vantaggi e danni alle nostre conoscenze linguistiche (danni in quanto la maggior parte dei missionarî e dei viaggiatori si sforzarono di ordinare secondo gli schemi della grammatica tradizionale latina, che imitava quella greca, i materiali desunti dalle lingue più svariate dell'America, Asia, Oceania, ecc.). La storia della grammatica è certo storia della linguistica e dovrebbe formare il nucleo principale di questa prima parte della storia della linguistica, se non fosse abbastanza per noi rimandare all'articolo grammatica (XVII, p. 648 segg.), ove si parla diffusamente dell'argomento. Codeste speculazioni, sia etimologiche (tanto gradite a tutti gli autori classici, non escluso Cicerone), sia analogiche e cioè grammaticali, vertevano tutte sulla lingua materna; gli etimologisti e i grammatici latini si spingevano talvolta al greco e riconoscevano spesso delle etimologie giuste, limitatamente alle voci latine mutuate dal greco. L'osservazione di lingue straniere era esclusa; nessun grammatico o lessicografo greco o romano si è mai curato di fare oggetto delle sue ricerche una delle tante lingue del mondo antico con le quali la Grecia e Roma ebbero molteplici contatti.
I popoli non ellenici furono dai Greci chiamati βάρβαροι, cioè "balbuzienti", e le loro lingue sembrarono indegne di essere prese in considerazione: la perdita che la linguistica moderna risente da tale pregiudizio è assai considerevole, ché facilmente si comprende quale utilità presenterebbe per noi un glossario, p. es., latino-etrusco o greco-lidio. Le poche parole di lingue straniere riportate dagli scrittori greci e latini sono citate quasi sempre incidentalmente; solo assai più tardi i lessicografi bizantini manifestarono qualche interesse per quelle ricerche che ormai era troppo tardi perseguire. Nel mondo antico, però, non mancano esempî di glossarietti bilingui, ma all'infuori del mondo classico e piuttosto nell'Oriente, e specialmente in Assiria, ove troviamo liste dichiarative scritte in assiro e in sumero (p. es., la tavoletta K. 2009 del British Museum). Ma anche gli studî grammaticalì e lessicografici degli Assiro-Babilonesi non servono gran che alla glottologia moderna, essendo in gran parte limitati a un problema solo: all'elucidazione dei caratteri cuneiformi. I grammatici indiani si occuparono esclusivamente della loro madre-lingua e dell'esplicazione delle fasi più arcaiche della lingua stessa. Ciononostante essi occupano nella storia della linguistica un luogo preminente, sia per l'esattezza con la quale essi analizzarono i suoni e le forme dell'antico indiano, sia per l'influsso che essi esercitarono sugl'indianisti europei del sec. XIX e sui creatori della grammatica comparata delle lingue indo-europee; meravigliosa è invero la grammatica di Pāṇini (la più antica a noi pervenuta e risalente al sec. IV a. C.) per la profondità delle osservazioni, specialmente nella parte riferentesi ai suoni e alla distinzione fra radicale e suffisso. La grammatica di Pāṇini è infatti precipuamente una śabdānuśãsanam, che insegna a scindere la parola in tutti i suoi elementi e insegna quali funzioni essa può acquistare unendosi ad altri elementi formativi o ad altre parole, Pāṇini, al pari dei suoi successori, cerca di esporre le regole nel modo più generale e astratto. Nell'Estremo Oriente non sono mancati tentativi di elaborazione grammaticale e specialmente opere lessimgrafiche talvolta amplissime; sono note le fatiche dei lessicografi cinesi, ai quali siamo debitori di quelle notizie che ci permettono di ricostruire in molte parti il protocinese; ma non solo ricerche sulla lingua materna sono state condotte dagli autori dell'Estremo Oriente, sibbene anche dizionarî bilingui e plurilingui (dal sec. XIV in poi), come, per citare solo qualche esempio, i numerosi vocabolî sino-mongolici, ricordati dal Laufer (in Keleti Szemle, VII, 1907, pp. 172-182), dal Pelliot (in Journal asiatique, I [1925], pagine 198-99) e dal Ligeti (Rapport préliminaire d'un voyage d'exploration fait en Mongolie chinoise, 1928-31, Budapest 1933, p. 44 segg.). Uno di cinque lingue (cfr. Abel-Rémusat, San, si-fan, man, meng, han tsiyao; ou Recueil nécessaire des mots Sanskrits, Tangutains, Mandchous, Mongoles et Chinois, in Fundgruben des Orients, IV [1814], pp. 183-201).
Presso i popoli semitici, gli Arabi ebbero celebri grammatici e lessicografi; il primo sarebbe, secondo la tradizione, Abū 'l-Aswad ad-Du'alī (morto nel 680-681 d. C.; cfr. I, p. 154). Gli Ebrei cominciarono a scrivere grammatiche della loro lingua e a studiare teoricamente l'ebraico classico sotto l'impulso degli Arabi, verso il sec. X; uno dei primi scrittori di grammatica ebraica sarebbe stato l'egiziano Saadia Gaon (morto nel 942), ma il padre della grammatica ebraica è, secondo la maggior parte degli autori, R. Giuda Hayyūg di Fez (sec. XI circa), detto anche Abū Zakariyyā', che per primo vide chiaramente il trilitterismo delle radici ebraiche (mentre gli autori anteriori riguardavano le radici quiescenti e deficienti come bilittere). Il dotto ebreo Jehuda ibn Qoraish nel sec. X intravvide già l'affinità tra l'arabo e l'ebraico.
Dal Rinascimento al secolo XVIII. - In Occidente sono frequenti, durante il Medioevo, dei glossarietti latino-germanici (p. es. Glosse di Kassel); ma la prima opera che può a buon diritto considerarsi come precorritrice della linguistica moderna è il De Vulgari Eloquentia di Dante Alighieri, nel quale, in principio del sec. XIV, si riconosce l'affimità dell'italiano col francese e col provenzale e si dànno alcune caratteristiche dei principali dialetti italiani. Presso gli umanisti si trovano i primi tentativi dí uno studio linguistico più serio, per quanto volto a scopi filologici e non prettamente glottologici. Accanto alle opere di Giulio Cesare Scaligero (1483-1558), di cui è noto specialmente il De causis linguae latinae (1540), e in Francia di Roberto ed Enrico Stefano (Estienne; XIV, p. 409; il Thesaurus graecae linguae di Enrico, sia pure in rielaborazioni posteriori, è tuttora fondamentale per lo studio del lessico e della grecità classica), si deve ricordare la dissertazione Diatriba de Europaeorum linguis di Giuseppe Giusto Scaligero, figlio di Giulio Cesare, scritta nel 1599, nella quale si trova il primo tentativo di un raggruppamento delle lingue europee; egli divise le lingue europee in undici matrices, con parecchie propagines. Delle "matrici" quattro erano maggiori (latino, greco, germanico, slavo) e sette minori (albanese, tartaro, ungherese, finnico col lappone, irlandese, cimrico o britannico col brettone e basco), ma per lui queste undici "matrici" erano "nullo inter se cognationis vinculo coniunctae". Il danese Jacob Madsen Aarhus (Jacobus Matthiae, morto nel 1586) col suo libretto De literis libri duo, pubblicato a Basilea nel 1586, introduce osservazioni nuove nello studio della fonetica sì da essere chiamato da E. Sievers "il più antico fonetista dell'epoca moderna". Nel campo dell'etimologia romanza, si deve citare con onore G. Ménage, che nelle sue Origines de la langue française (Parigi 1650) e poi nelle Origini della lingua italiana (Parigi 1669, poi Ginevra 1685) diede un primo saggio di dizionario etimologico francese e italiano. Per quanto in queste etimologie vi siano di sovente errori gravissimi, molto spesso una naturale intuizione e una notevole erudizione facevano intravvedere al Ménage la verità; mancava però ancora completamente il metodo e non erano state stabilite le corrispondenze fonetiche; tutto si basava sull'evidenza.
Analizzando le prime trecento parole del dizionario etimologico francese del Ménage, che sono in comune col vocabolario etimologico delle lingue romanze del Diez (1854), il Groeber ha osservato (Grundriss der rom. Phil., 12, p. 26) che 216 etimologie, e cioè il 72%, corrispondevano perfettamente; ciò dimostra che per la maggior parte dei casi l'intuizione del Ménage suppliva alla mancanza del metodo. Si può dire altrettanto per le Origini della lingua italiana, talché la percentuale degli etimi fondamentalmente esatti non è di molto inferiore a quella che si trova in un dizionario etimologico moderno composto da un dilettante (e quindi fatto anch'esso a forza d'intuizione) qual è, p. es., quello di O. Pianigiani, che pure è pubblicato nel 1907.
Ma accanto a ricercatori, i quali, in mancanza di strumenti sicuri, si servivano del buon senso, non mancavano studiosi che si lasciavano guidare da preconcetti, specialmente d'indole religiosa; così, p. es., coloro i quali, prendendo alla lettera la tradizione biblica, sostenevano che tutte le lingue dovessero necessariamente derivare dall'ebraico; questo indirizzo fioriva nel '500 e nel '600 in varî paesi d'Europa; nel '500, p. es., in Ungheria con Johannes Silvester, che nella sua Grammatica hungarolatina (1539) afferma che, p. es., la struttura dei pronomi ungheresi "manifestissime ostendit, magnam nostrae linguae cum sacra illa, nimirum hebraea, esse affinitatem" (presso Toldy, Corpus grammaticorum linguae hungaricae veterum, Pest 1866, p. 45). Sul principio del '600 Étienne Guichard pubblicava a Parigi un volume: L'Harmonie étymologique des langues, ove si tenta di derivare ogni cosa dall'ebraico, modificando variamente e capricciosamente l'ordine delle lettere. Questo modo di procedere era giustificato, secondo l'autore, con queste parole: "Quand à la deriuaison des mots par addition, subtraction, trasposition, & inuersion des lettres, il est certain que cela se peut & doit ainsi faire, si on veut trouver les étymologies. Ce qui n'est point difficile à croire, si nous considerons que les Hebrieux escriuent de la droicte à la senestre, & les Grecs & autres, de la senestre à la droicte".
Durante il sec. XVI e il XVII si erano però imparate a conoscere, più o meno profondamente, parecchie lingue che prima erano poco o affatto note.
Per citare solo qualche esempio, ricorderemo che, dopo la scoperta del nuovo mondo, una schiera di missionarî si mise subito a tradurre catechismi, raccolte di preghiere e prediche in vari idiomi americani e, non contenta di questo, cominciò a elaborare una serie di grammatiche e di dizionarî. La più antica opera riguardante un idioma americano sarebbe la Breve y mas compendiosa doctrina christiana en lengua mexicana y castellana, manoscritto del 1539; la più antica grammatica sarebbe l'Arte de la lengua mexicana por el P. Andres de Olmos franciscano, manoscritto risalente al 1547, conservato nella Biblioteca nazionale di Madrid. Il più antico libro stampato riferentesi a una lingua americana sarebbe una Doctrina christiana en lengua mexicana, che risale al 1547. Seguono poi il vocabolario messicano di Alonso de Molina (1555), l'Arte en lengua de Michoacán di Maturino Gilberti (1558) e molti altri.
Anche per le lingue europee, asiatiche e africane, questi secoli segnano un fiorire di grammatiche descrittive. Così nel 1548 si pubblica a Roma la prima grammatica etiopica di M. Victorius; nel 1635, pure a Roma, esce il primo dizionario albanese di F. R. Blanchus (Bianchi); nel 1651 esce, sempre a Roma, il Dictionarium annamiticum, lusitanum et latinum di A. de Rhodes che nello stesso anno e nella stessa città pubblica anche una Linguae annamiticae seu tunchinensis brevis declaratio. Nel 1624 si pubblica a Milano la prima grammatica armena, dovuta a Fr. Rivola; nel 1649 ad Åbo la prima grammatica finnica di A. Petraeus; nel 1629 esce a Roma il Dittionario giorgiano ed italiano di Stefano Paolini e nel 1670 il Syntagma linguarum orientalium quae in Georgiae regionibus audiuntur di F. M. Maggio; nel 1697 il padre Dias dà una discreta descrizione di una lingua bantu (il Bunda) nella sua Arte da lingua de Angola (Lisbona).
L'attività dei missionarî, e specialmente di quelli dipendenti dalla Congregazione di Propaganda Fide di Roma, promoveva la conoscenza di varie lingue appartenenti a diverse famiglie, stimolando anzi il diffondersi della poliglottia, la quale, se pure non ha che vedere con la linguistica vera e propria, è però della glottologia possente stimolo e ausilio. Prova di questa tendenza è anche la pubblicazione delle celebri Bibbie poliglotte (per cui v. bibbia, VI, pp. 913-14). Ma tali materiali linguistici erano sparsi e disordinati e molto spesso difficilmente accessibili. Spetta al genio di G. W. Leibniz l'aver compreso quale utilità potesse portare, per la conoscenza del pensiero umano, l'analisi del maggior numero possibile di idiomi; egli stesso aveva tentato saggi etimologici che furono pubblicati dopo la sua morte (Leibnitii collectanea etymologica illustrationi linguarum veteris celticae, germanicae, gallicae aliarumque inservientia, Hannover 1717) e aveva cercato di dare una specie di classificazione etimologica in base alle differenze linguistiche (Brevis designatio meditationum de originibus gentium ductis potissimum ex indicio linguarum, in Opera philosophica omnia, a cura di I. E. Erdmann, 1840, I, p. 299 segg.).
Ma i tentativi di raccolta fatti prima dell'epoca sua erano troppo poca cosa. Lo svizzero Konrad von Gesner (v. XVI, p. 850), nel suo Mithridates sive de differentiis linguarum tum veterum, tum quae hodie apud diversas nationes in toto orbe terrarum in usu sunt observationes (Zurigo 1555), aveva traduzione del Pater noster in ventidue lingue. Girolamo Megiser aveva pubblicato nel 1592 a Stoccarda uno Specimen XL diversarum, atque inter se differentium, linguarum et dialectorum, a diversis auctoribus collectarum, quibus oratio dominica est expressa, con cinquanta versioni del Pater noster. Claude Duret aveva pubblicato a Yverdon nel 1619 un voluminoso Thresor de l'histoire des langues de cest Univers, contenant les origines, beautez, perfections, decadances, mutations, changemens, conversions et ruines des langues, ove parlava di cinquantasei lingue, non dimenticando neppure di ricordare la lingua degli animali e degli uccelli. Queste opere si limitavano a riprodurre in generale il Pater noster in un numero vario di idiomi, con alcune note più o meno critiche e con molti gravi errori, che dimostravano la poca o nessuna conoscenza della maggior parte degli idiomi di cui si pubblicavano i saggi (p. es. il Megiser, nell'opera citata, scambia il testo del Pater noster romeno, pubblicato sotto il num. XLI con quello cinese, pubblicato sotto il n. XLVI). Raccolte simili si susseguono anche sullo scorcio del sec. XVII (Andrea Müller, Oratio Orationum, Ss. orationis dominicae versiones praeter authenticam fere centum, eaque longe emendatius quam antehac, et a probatissimis auctoribus potius quam prioribus collectionibus, iamque singula genuinis lingua sua characteribus .... traditae, Berlino 1680) e sul principio del sec. XVIII (John Chamberlayne, Oratio dominica in diversas omnium fere gentium linguas versa et propriis quisque linguae characteribus expressa, Amsterdam 1715). Dal Cinquecento in poi frequentissimi i vocabolarî plurilingui, con scopi solo pratici; famose alcune edizioni del vocabolario del bergamasco A. Calepino (v. VIII, p. 409) con la versione perfino in undici lingue.
Il Leibniz, desiderando avere una raccolta il più possibile completa di lingue, non esitò a scrivere anche a Pietro il Grande, nel 1713, esortandolo a far raccogliere nel suo immenso impero abitato da genti di varie e disparate favelle, i saggi del maggior numero possibile di idiomi; e il suggerimento fu raccolto più tardi da Caterina II. L'impresa assai ardua fu affidata a diversi dotti e l'opera si pubblicò a Pietroburgo nel 1786-1789 per cura del viaggiatore e naturalista P. S. Pallas col titolo: Linguarum totius orbis vocabularia comparativa. Augustissimae cura collecta (due parti in voll. 3 in-4°). Questo vocabolario contiene, nella sua prima parte, la traduzione di 285 parole in 51 lingue europee e 140 asiatiche e, nella seconda, la traduzione delle stesse 285 parole in molte lingue africane e americane. I materiali di questa poderosa raccolta, che per alcune lingue dell'Asia settentrionale conserva ancora altissimo valore, furono poi ripubblicati (con molte riduzioni e alcune correzioni) da F. I. Jacovich de Marie col titolo: Sravnitel′nyi slovar′ všech jazykov i narečij po azbučnomu porjadku raspoložennyj, Pietroburgo 1790-91. Quantunque raccolti per iniziativa di Caterina II già in epoca ptecedente, i vocabolarî editi dal Pallas (e comunemente noti col nome Vocabolarium Catharinae), si pubblicarono dopo che era già uscita un'opera che sotto molti aspetti può considerarsi come il primo scritto serio che abbracci tutte le lingue del globo e cioè il Catalogo delle lingue conosciute e notizia della loro affinità et diversità, di Lorenzo Hervás y Panduro, Cesena 1784; opera seguita dalla Origine, formazione, meccanismo e armonia degli idiomi, ivi 1785, dal Vocabolario poliglotto, ivi 1787, e dal Saggio pratico delle lingue, ivi 1787 (v. hervás y panduro, XVIII, p. 480; lingue, XXI, p. 202). È certo che le speculazioni dell'autore sono sovente errate, che il risultato al quale mirava nel Saggio pratico delle lingue e che faceva noto anche nel titolo ("... con cui si dimostra l'infusione del primo idioma dell'uman genere e la confusione delle lingue in esso poi succeduta e si additano la diramazione e dispersione delle nazioni con molti risultati utili alla storia") non poteva essere raggiunto: tuttavia il tentativo dell'Hervás di raggruppare molti idiomi secondo le lingue ch'egli chiamava "matrici", precorre, sotto un certo aspetto, la classificazione genealogica. In molti casi le sue osservazioni sono state confermate dagli studî posteriori, come per il raggruppamento delle lingue ugro-finniche, fatto nel Catalogo citato a p. 162 e che, a parte l'inclusione del ciuvasso, è fedelissimo.
Si è già visto come ancora durante il Medioevo fossero state riconosciute da alcuni dotti, alcune parentele linguistiche, e si è già parlato nell'articolo lingue (v.) dei precursori dei grandi raggruppamenti. Dopo la pubblicazione dei materiali sull'etiopico e sull'amarico, l'unità dell'intera famiglia semitica era già chiara nella mente dei grandi orientalisti del secolo XVII: H. Ludolf, S. Bochart, E. Castell, ecc. Per quanto Martino Vogel ancora nel sec. XVII avesse intravista la parentela tra il finnico e il lontano ungherese, l'aggruppamento delle lingue ugro-finniche è cominciato solo con la Demonstratio idioma Ungarorum et Lapponum idem esse di Giovanni Sajnovics (Trnava 1770), è proseguito con la Affitas linguae hungaricae cum linguis fennicae originis grammatice demonstrata di Samuele Gyarmathi (Gottinga 1799), fra cui s'incunea, come si è detto, l'affermazione dell'Hervás. I primi esempî della dimostrazione scientifica dell'affinità di due o più lingue fra di loro sono la Dissertatio de harmonia linguae Aethiopicae cum ceteris orientalibus di Job Ludolf (Francoforte sul Meno 1702), e specialmente l'Affinitas del Gyarmathi. In quest'opera per la prima volta le comparazioni non si basano sul lessico, ma sulla struttura grammaticale e questo è appunto il nucleo della futura grammatica comparata. Come metodo, l'opera del Gyarmathi precorre di quasi un ventennio quella di E. F. Bopp e pertanto è giusto ritenere questo autore ungherese come il padre della moderna linguistica comparata, titolo riconosciutogli anche da G. v. d. Gabelentz. La grande mccolta di lingue di ogni parte del globo fatta dall'Hervás non doveva rimanere a lungo senza imitatori, e in Germania Johann Christoph Adelung (v.) cominciò a pubblicare il Mithridates, oder allgemeine Sprachenkunde, continuato dopo la sua morte da J. J. Vater (Berlino 1806-17). L'Adelung adottò, al pari dell'Hervás, la divisione geografica come principio di classificazione, e descrisse brevemente l'origine, la storia e la struttura grammaticale di ogni lingua e dialetto. I suoi saggi di traduzione dell'orazione domenicale abbracciano 500 idiomi, e ogni saggio è seguito da una piccola ricerca critica, quasi esclusivamente lessicale, dopo la quale viene una breve bibliografia. L'Adelung non aveva alcuno scopo di classificazione genealogica e si proponeva soltanto di penetrare nella struttura interiore delle singole lingue. Nelle aggiunte del Vater però si trovano già accenni a una classificazione genealogica delle lingue più facilmente identificabili (come, p. es., le lingue neolatine; così il Vater osserva [op. cit., IV, p. 407] che il romeno non doveva essere messo sotto "römisch-slawisch" nel secondo volume, ma immediatamente dopo il reto-romano, perché la sua struttura grammaticale è latina e gli elementi slavi sono sovrapposizioni ulteriori, mentre alcune analogie con le lingue slave, segnalate dall'Adelung, debbono spiegarsi diversamente).
Origini della linguistica moderna. - A far sorgere la moderna linguistica contribuì in primo luogo la conoscenza del sanscrito in Europa e il movimento della scuola romantica in Germania. Gli Europei che avevano avuto conoscenza del sanscrito erano stati, fino allo scorcio del sec. XVIII, rarissimi; alcuni viaggiatori portoghesi e italiani avevano avuto conoscenza degl'idiomi neo-ariani dell'India, ma non avevano osservato alcun rapporto con le favelle europee. Si suole in generale attribuire all'inglese W. Jones (17461794) il merito di aver scoperta l'affinità fra il sanscrito da una parte, e il greco e il latino dall'altra; ma, se è vero che il Jones nel 1786 scrisse che il sanscrito sta al greco e al latino "tanto per ciò che riguarda le radici dei verbi, quanto per ciò che riguarda le forme grammaticali in un rapporto di parentela, il quale è così prossimo che non può essere prodotto dal caso e così deciso che ogni filologo che studii tutti tre questi idiomi deve venire alla conclusione che essi siano sgorgati dalla medesima fonte, la quale forse non esiste più", è altrettanto vero ch'egli ebbe un lontano precursore nel viaggiatore italiano Filippo Sassetti (1540-1588), che, in una lettera al Davanzati, accenna al fatto che nel sanscrito "sono molti de' nostri nomi, e particularmente de' numeri il sei, sette, otto e nove, Dio, serpe et altri assai" (cfr. A. De Gubernatis, Memorie intorno ai viaggiatori italiani nelle Indie Orientali, Firenze 1867, p. 116). Molto giovò alla conoscenza del sanscrito l'opera di H. Th. Colebrooke (1765-1837) che per primo conobbe profondamente e rese noto il sistema dei grammatici indiani che tanto influsso doveva poi esercitare sulla nascente linguistica indoeuropea (v. la sua opera: A grammar of the sanscrit language, Calcutta 1805). Il Colebrooke fu il primo profondo sanscritista nel vero senso della parola. L'interesse che per le cose esotiche avevano dimostrato i romantici in Germania e specialmente Herder e Goethe, aveva destato uno speciale interesse per l'antichissima cultura e letteratura dell'India. Ma lo studio del sanscrito prima della pubblicazione della grammatica del Colebrooke e del dizionario dello stesso autore (Umrucoshu, or Dictionary of the sanscrit language, Serampore 1803), non si poteva condurre che su un'infelicissima grammatica di fra Paolino da San Bartolomeo pubblicata a Roma nel 1790 (Sidharubam sive grammatica samscrdamica); testi, glossarî, ecc., non erano pubblicati ancora. Uno studio diretto si poteva fare dunque solamente sui manoscritti che erano già stati portati in buon numero dall'India. E tale studio condusse appunto F. Schlegel (1772-1829) durante la sua permanenza a Parigi cominciata nel 1803. Lo Schlegel fu aiutato nel suo studio dall'inglese A. Hamilton, che aveva imparato il sanscrito in India dai bramini. Frutto di questi studî fu il libro Über die Sprache und Weisheit der Indier (Heidelberg 1808), libro molto importante anche per la linguistica. In esso è tratteggiata per la prima volta la teoria della classificazione morfologica delle lingue, che tanto tempo ha resistito nella linguistica e vi si afferma anche in modo indubbio la parentela dell'antico indiano con le lingue classiche, con le germaniche e col persiano. È vero che questa parentela era già stata intravista dal Jones, ma all'opera dello Schlegel, che ebbe una grande diffusione, spettò il merito di attrarre l'attenzione dei dotti sull'antico indiano. Bisogna però riconoscere che a una grammatica comparata di buona parte delle lingue indoeuropee, per quanto imperfetta, si poteva giungere anche senza la conoscenza del sanscrito; un luminoso esempio ci è dato dal danese R. K. Rask (1787-1832), il quale, nel suo volume Underøgelse om det gamle Nordiske eller Islandske Sprogs Oprindelse, premiato dall'Accademia di Copenaghen e già pronto nel 1814, quantunque uscito nel 1818, dimostra la parentela di tutte le lingue germaniche tra di loro e con le celtiche, le slave, il latino e il greco. Il Rask non conobbe probabilmente il libro dello Schlegel, e, indipendentemente da lui, affermò l'importanza maggiore della struttura grammaticale in confronto al lessico per dimostrare le parentele linguistiche. Egli vide anche e definì alcune fra le corrispondenze fonetiche più importanti; nel suo volume è trattata ampiamente e in modo chiaro, se pur non del tutto completo, la legge della prima Lautverschiebung germanica che veniva perfezionata e poi enunciata nel 1822 nella seconda edizione del primo volume della Deutsche Grammatik di J. Grimm e che da quest'ultimo prendeva il nome di legge di Grimm (il Pedersen ha proposto giustamente che la Lautverschiebung venisse chiamata "legge di Rask"). Il ritardo di quattro anni nella pubblicazione delle Undersegelse, impedì che l'opera del Rask fosse, in ordine di tempo, la prima seria ricerca di grammatica comparata indoeuropea venuta in luce. Nel 1816 era uscito infatti a Francoforte il libro Ûber das Conjugationssystem der Sanskritsprache in Vergleichung mit jenem der griechischen, lateinischen, persischen und germanischen Sprach di Franz Bopp (v. VII, pp. 442-43). Il Bopp nato a Magonza nel 1791, aveva studiato a Parigi fra il 1812 e il 1816 e si era reso padrone del persiano e del sanscrito oltre che dell'arabo. La conoscenza del sanscrito e del persiano gli permise di costruire la grammatica comparata con maggiore esattezza del Rask, pur esagerando, specialmente nel vocalismo, il valore dell'antico indiano; si sente in lui l'eco delle teorie contemporanee della scuola romantica, ma specialmente importante è l'influsso dei grammatici indiani. Il Conjugationssystem non è ancora la grammatica comparata delle lingue indoeuropee, la quale seguì dal 1833 al 1857 (Vergleichende Grammatik des Sanskrit, Send, Armenischen, Griechischen, Lateinischen, Litauischen, Altslavischen, Gotischen und Deutschen, Berlino). Nel primo volume non compare ancora lo slavo, e l'armeno non è utilizzato che nella seconda edizione, seguita immediatamente alla prima (1857-1863). Fra il Conjugationssystem e la Vergleichende Grammatik s'inseriscono anni di studî profondi a Parigi, a Berlino e a Londra e pubblicazioni speciali. Il Bopp cercò anche di applicare il metodo della grammatica storica a dimostrare i rapporti delle lingue indoeuropee con lingue caucasiche e specialmente col georgiano, e con lingue maleo-polinesiache (v. lingue, p. 202). L'opera del Bopp, e specialmente la sua grammatica, che fu tradotta anche in francese da M. Bréal (Grammaire comparée des langues indoeuropéennes, Parigi 1866-74), ebbe un fortissimo influsso sui contemporanei, e sebbene egli non sia, come si è visto, il vero scopritore della grammatica comparata e dell'unità della famiglia indoeuropea, è certo che l'opera sua servì a costruire una nuova scienza.
Accanto al Bopp si può citare come fondatore della linguistica generale, Wilhelm von Humboldt (v.; XVIII, p. 595). Il Humboldt ha un concetto della lingua che è nello stesso tempo storico e filosofico; egli, come già il Bernhardi (v.; VI, p. 756), si occupò anche dell'origine del linguaggio, ma non ritenne che il linguaggio fosse nato da assoluta necessità, bensì da un bisogno dell'umanità. La lingua per lui non è un ἔργον ma una ἐνέργεια. La principale opera linguistica del Humboldt è l'introduzione al libro Über die Kawisprache auf der Insel Jawa (Berlino 1836-37), per ciò che riguarda la linguistica generale. E grandissima è l'importanza di lui riguardo al problema della classificazione delle lingue (v. lingue, p. 203). Ma anche in molti punti particolari il Humboldt intravide verità giustissime, così p. es. che il basco sia la continuazione dell'antico iberico (Prüfung der Untersuchungen über die Urbewohner Hispaniens mittelst der baskischen Sprache, Berlino 1821). La vastissima conoscenza di lingue europee, asiatiche e americane permise al Humboldt di avere un'idea assai più esatta del linguaggio di quella che avevano avuto i suoi predecessori.
Ma accanto alla grammatica comparata doveva nascere la grammatica storica e cioè quella grammatica che, lasciando da parte i preconcetti filosofici della cosiddetta grammatica generale o ideologica, quale si era avuta nel sec. XVIII (cfr. grammatica, XVII, p. 650), mostrasse lo svolgimento di una lingua nel suo divenire e nelle sue diverse fasi. Si suole ammettere nella storia della linguistica che il fondatore della grammatica storica sia stato Jacob Grimm, ma anche egli ha un precursore nel campo ugro-finnico, e precisamente in Nicola Révai (1750 o 1752-1807). Basandosi sui precedenti lavori del Sajnovics e del Gyarmathi, e specialmente sopra uno studio profondo dei più antichi monumenti della lingua ungherese, dette nella sua Elaboratior grammatica ungarica ad genuinam patrii sermonis indolem fideliter exacta, affiniumque linguarum adminiculis locupletius illustrata (Pest 1803-1805), il primo saggio di grammatica storica di una lingua non facile. I due volumi pubblicati trattano della fonetica e della morfologia; il terzo, comprendente la sintassi, non poté essere pubblicato e vide la luce solo nel 1907, edito da Sigismondo Simonyi sul manoscritto originale. Importantissima è la trattazione della formazione delle parole e l'analisi di radice e suffissi (per es. ungh. tét-el, vét-el, ecc.). Jacob Grimm (1785-1863; v.), spinto da una critica severa di A. W. Schlegel a una precedente opera sua, critica in cui si affermava fra l'altro la necessità di una precisa conoscenza grammaticale per l'interpretazione e la critica dei testi antichi, scrisse la sua celebre Deutsche Grammatik, il cui primo volume uscì nel 1819. Il lavoro superava quanto era stato pubblicato fino allora in fatto di grammatica tedesca, ed aveva lo speciale merito di applicare i risultati del Bopp alla morfologia delle lingue germaniche. Se il Grimm aveva avuto come precursore il Rask e se anche la famosa legge della prima mutazione consonantica (Lautverschiebung) germanica (da lui formulata nella seconda edizione del primo volume, 1822) era già stata veduta per la massima parte, come s'è detto, dal linguista danese, egli è però considerato come il fondatore del sistema storico nella linguistica germanica e non è senza ragione che la sua grammatica è dedicata a K. L. von Savigny, il grande storico del diritto romano.
I primi decennî dell'Ottocento non furono produttivi soltanto per la linguistica indoeuropea; nel 1808 il naturalista tedesco M. H. K. Lichtenstein (1780-1857), che era stato alcuni anni nell'Africa meridionale, in una memoria intitolata Remarks on the languages of the savage tribes of South Africa, with a short vocabulary of the most usual dialects of the Hottentots and Kafirs, dimostrava che il cafro e lo chwana erano strettamente affini e che tutti gl'idiomi dell'Africa meridionale formavano un'unica famiglia. Per avere però una grammatica comparata delle lingue bantu, bisogna attendere il 1862, anno in cui si pubblica il primo volume della Comparative Grammar di W. H. I. Bleek (cfr. VII, pp. 187-88). È indubbio che il Bleek, che aveva studiato filologia a Bonn e a Berlino, applicò nella sua grammatica alcuni principî della linguistica indoeuropea (ciò appare anche dal titolo di un suo scritto: Grimm's Law in South Africa, Londra 1873) ma è certo che la parentela delle lingue bantu venne scoperta indipendentemente dalla scuola romantico-storica. Anche William Marsden (1754-1836) intravide nel 1816 la parentela di parecchie lingue bantu, ma la dimostrazione scientifica non venne che più tardi.
Sebbene gli studî maleo-polinesiaci si possano dire cominciati con L. Hervás, la prima opera fondamentale è quella grandiosa del Humboldt sulla lingua kawi nell'isola di Giava e che abbiamo citato più sopra. Il vol. III di quest'opera si deve però completamente a J. K. E. Buschmann (cfr. VIII, p. 157), il quale lasciò anche altre opere di linguistica maleo-polinesiaca. Ma il nome del Buschmann è meritamente celebre nella linguistica americana per le sue opere fondamentali: Der athapaskische Sprachstamm (Berlino 1856), Die Spuren der aztekischen Sprache im nördl. Mexico (Berlino 1859), Grammatik der sonorischen Sprachen (Berlino 1863). In queste opere per la prima volta si tenta la grammatica comparata di gruppi di lingue che si riconoscono geneticamente affini. La parentela delle lingue altaiche veniva scientificamente provata da W. Schott (1807-1889) nella sua opera Versuch über die tatarischen Sprachen (Berlino 1836) e la parentela dell'intero gruppo uralo-altaico, la cui unità è ancor oggi discussa, veniva sostenuta per la prima volta da M. A. Castrén (v.) nella dissertazione De affixis personalibus linguarum altaicarum (Helsingfors 1850), e da W. Schott, Altaische Studien (Berlino 1860 segg.). La grammatica comparata delle lingue dravidiche fu fondata, sul modello di quella indoeuropea, da R. Caldwell (v.) nella sua Comparative Grammar of the dravidian or south Indian family of languages (Londra 1856). L'unità del gruppo tibeto-birmano fu riconosciuta in una serie di lavori di B. H. Hodgson pubblicati dal 1828 in poi e raccolti nel volume Essays on the languages, literature and religion of Nepal and Tibet (Londra 1874). La fonetica del tibeto-birmano in comparazione col cinese non si cominciò che col lavoro Ûber chinesische und tibetische Lautverhältnisse (Berlino 1861), di quello stesso K. R. Lepsius (1810-1884) che alcuni anni più tardi, nell'introduzione alla sua Nubische Grammatik (Berlino 1880) affermava l'unità delle lingue africane.
Ritorniamo un momento alla linguistica indoeuropea: Augusto Friedrich Pott (1802-1887) si basò sui lavori di Bopp, Grimm, Rask, ecc., ma si dedicò specialmente allo studio dell'etimologia, per la quale dovette per altro approfondire lo studio delle corrispondenze fonetiche che rappresentavano giustamente la chiave dell'etimologia. L'opera fondamentale del Pott è data dalle Etymologische Forschungen auf dem Gebiete der indogermanischen Sprachen (Lemgo 1833-36). "Pott ha creato insieme l'etimologia e la fonetica comparata delle lingue indoeuropee; e, ciò che mostra il progresso del metodo linguistico in pochi anni, la sua opera contiene già relativamente meno parti caduche di quella di Bopp" (A. Meillet). Ma lo studio complessivo del campo indoeuropeo che, come si diceva, si era andato man mano allargando, richiedeva anche un approfondimento delle singole lingue e dei gruppi di lingue minori. Per le lingue germaniche si erano avuti i lavori del Rask e del Grimm, ma per le altre mancavano ancora studî all'altezza dei moderni metodi. E. Burnouf (1801-1852; v.) approfondì le conoscenze sull'iranico e dette importanti lavori sulla lingua dell'Avesta. F. C. Diez (1794-1876; v.) si prefisse di dare una grammatica delle lingue romanze parallela a quella che il Grimm aveva dato per le lingue germaniche. Con la sua Grammatik der romanischen Sprachen (Bonn 1836-43) e col suo Etymologisches Wörterbuch der romanischen Sprachen (Bonn 1853), il Diez fondò su solide basi la linguistica romanza, che doveva poi rapidamente fiorire in tutti i paesi (v. neolatine, lingue; filologia, XV, pp. 346-48). La grammatica comparata delle lingue romanze non ebbe il solo compito di chiarire idiomi fra i più importanti d'Europa, ma anche un grande valore metodico, in quanto la grammatica comparata delle lingue romanze è la sola in cui la lingua base sia nota (il latino); il proto-germanico e il proto-slavo, al pari del proto-indoeuropeo non sono che ricostruzioni artificiali; è quindi facile comprendere il valore generale che dovevano assumere constatazioni, che a prima vista sembravano particolari, nel campo romanzo. Quale padre della filologia slava viene considerato l'abate boemo Iosef Dobrovský (1753-1829; v.), che pubblicò prima una Geschichte der Böhmischen Sprache und Literatur (Praga 1792), poi un Ausführliches Lehrgebäude (Praga 1809) e infine l'opera capitale Institutiones linguae slavicae dialecti veteris (Vienna 1822). Per quanto il Dobrovský, specie nelle sue due prime opere, non segua il metodo storico, il suo studio sulla morfologia è fondamentale ed alcune sue idee furono riprese in seguito (come p. es. la divisione del verbo slavo in sei coniugazioni). Chi introdusse però il metodo storico nella linguistica slava fu Franz Miklosich (1813-1891; v.) che pubblicò appunto un'ampia recensione della grammatica del Bopp. La Vergleichende Grammatik der slavischen Sprachen il cui primo volume uscì a Vienna nel 1852 (l'ultimo nel 1876) rappresenta l'applicazione, nel campo slavo, dei principî della scuola storica del Bopp e del Grimm. Il Miklosich ci diede anche un dizionario dell'antico slavo (Lexicon palaeoslovenico-graeco-latinum, Vienna 1862-65) e un dizionario etimologico delle lingue slave (Etymologisches Wörterbuch der slavischen Sprachen, Vienna 1886) che restano ancora fondamentali. Fondatore della linguistica celtica può dirsi Johann Kaspar Zeuss (1806-1856; v.), autore di una celebre Grammatica Celtica (Berlino 1853; 2ª ed., 1871). In questo periodo si perfeziona naturalmente anche lo studio delle lingue classiche. Bastino soltanto alcuni nomi (per maggiori particolari si veda la voce: filologia, XV, pp. 339-42): l'ellenista J. W. Donaldson, che già nel 1839 pubblicava una completa trattazione del greco su basi comparative, in cui si trovano ancora parecchie cose utili (The New Cratylus, or contributions towards a more accurate knowledge of the Greek language); l'indianista e ellenista Th. Benfey (1809-1881), autore di un noto Griechisches Wurzellexicon (Berlino 1839), che è il primo dizionario etimologico del greco e, per quanto debole dal punto di vista filologico, è notevole per la genialità dell'autore; il latinista danese N. Madvig (1804-1886), la cui grammatica latina, tradotta in molte lingue, è stata usatissima nelle scuole. Fra gl'indianisti ricorderemo, oltre al Benfey già citato, F. Max Müller (1823-1900; v.), tedesco stabilito in Inghilterra e più celebre per le sue diffusissime Lectures on the science of language (Londra 1861; traduzione italiana di Gh. H. Nerucci, Milano 1874) che per gli eccellente studî indianistici; Otto von Böhtlingk (1815-1904; v.), autore in collaborazione con R. Roth del gigantesco Sanskrit-Wörterbuch pubblicato dall'Accademia delle scienze di Pietroburgo in sette volumi fra il 1855 e il 1875. Egli produsse anche molti altri scritti linguistici, alcuni dei quali rivolti anche a lingue non indoeuropee, come il volume, ancora importantissimo, Über die Sprache der Jakuten (Pietroburgo 1851). Nel 1852 Adalberto Kuhn (1812-1881) fondò la Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung (Berlino-Gottinga 1852 segg.), che continua ancora oggi ed è un'imponente collezione nella quale si riflette tutto il movimento linguistico del secolo.
La linguistica intorno al 1850. - Un altro periodo nella storia della linguistica indoeuropea si inizia con l'opera di Augusto Schleicher (1821-1868); questi studiò linguistica e filosofia hegeliana all'università di Bonn; i suoi primi studî riflettono l'eco delle teorie filosofiche di cui si era imbevuto, ma ben presto si dedicò a ricerche puramente linguistiche e in tutta la sua opera si nota un indirizzo più strettamente glottologico di quello dei suoi predecessori che erano tutti, nello stesso tempo, anche filologi. La sua cura principale fu la fonetica e nelle sue Sprachvergleichende Untersuchungen (Bonn 1848) si occupò di determinare certi influssi dello i̯ (iod) (il cosiddetto zetacismo). Nella seconda parte dedicata alle lingue d'Europa, diede un riassunto di un sistema linguistico. Per i suoi criterî generali della classificazione delle lingue v. lingue. Interessa qui specialmente osservare che, mentre i suoi predecessori erano stati specialmente filologi e indianisti e avevano preso come oggetto di osservazione le lingue letterarie, lo Schleicher rivolse la sua attenzione con preferenza a lingue vive ed in speciale modo al lituano. Il suo Handbuch der litauischen Sprache (Praga 1856-37) ha una speciale importanza perché rivelò ai dotti una lingua indoeuropea che, se pur documentata in epoca relativamente recente, presenta notevolissimi caratteri arcaici. La fonetica si basa in questo manuale sull'articolazione e sui cambiamenti di articolazione e non più sulle lettere e sulle corrispondenze di lettere fra le varie lingue, come avevano fatto i suoi predecessori che non si sapevano ancora staccare dalla grammatica tradizionale. Anche la sintassi è eccellente. Lo svolgimento linguistico era per lo Schleicher sottomesso a delle regole fisse e costanti; data questa premessa, ne risultava la possibilità non solo di seguire un cambiamento fonetico da una data fase a a una fase a′, a″, ecc., ma anche di poter ricostruire una forma più antica ax sulla base delle forme documentate a, an, an′, ecc. Questa fede cieca fece sì che lo Schleicher tentasse di ricostruire il proto-indoeuropeo sulla base delle corrispondenzedenze delle varie lingue. La sua opera capitale fu il Compendium der vergleichenden Grammatik der indogermanischen Sprachen (Weimar 1861; riduzione italiana di D. Pezzi, Torino 1869). Questa opera ebbe un'immensa fortuna, giacché in quindici anni se ne pubblicarono tre edizioni; la fonetica ha la parte preponderante, mentre i problemi riguardanti la spiegazione delle forme indoeuropee e che avevano affaticato le menti del Bopp e del Pott vi sono scarsamente rappresentati. Il torto nello Schleicher è stato non solo quello di credere all'esattezza matematica delle ricostruzioni, ma altresì quello di ritenere che l'evoluzione del linguaggio rappresenti una continua decadenza. Il suo proto-indoeuropeo è una pura finzione, e una mera curiosità è la favoletta in lingua proto-indoeuropea, da lui redatta col titolo di Avis akvasaska "La pecora e i cavalli". Egli partiva dal semplice (antica fase) per giungere al complesso (fasi moderne); il suo proto-indoeuropeo avrebbe posseduto p. es. soltanto le vocali a, i, u e un numero relativamente esiguo di consonanti. I lavori posteriori hanno invece dimostrato che il sistema fonetico del proto-indoeuropeo doveva essere molto più complesso. Nel campo della filologia classica si eleva la figura di Georg Curtius (1820-1885; v.); spoecialmente importanti per la linguistica sono i suoi Grundzüge der griechischen Etymologie (Lipsia 1858-62; 5ª ed., 1879). I Grundzüge rappresentano un grande progresso in confronto al Wurzellexicon del Benfey, anche se non sono in tutto originali; notevole è anche il suo Das Verbum der griechischen Sprache, Lipsia 1873-76; grande influsso ebbe nelle scuole la Griechische Schulgrammatik (Praga 1852) più volte tradotta. Accanto al Curtius si deve ricordare un altro classicista, cioè Wilhelm Corssen (1820-1875; v.), autore di Über Aussprache, Vokalismus und Betonung der lateinischen Sprache (Lipsia 1858-59), ancora notevole specialmente per il materiale raccolto. Completamente fallita può invece dirsi la sua opera Über die Sprache der Etrusker (Lipsia 1874-75).
Prima d'iniziare l'esame di un nuovo periodo della linguistica indoeuropea e generale, vediamo quanto era stato fatto negli altri dominî. Nel campo della linguistica ugro-finnica dopo i lavori del Gyarmathi e del Révai sopra ricordati, si condussero una serie di ricerche particolari per opera di A. Reguly, P. Hunfalvy in Ungheria; di M. A. Castrén, A. Ahlqvist in Finlandia, V. Thomsen in Danimarca. Nel 1862 il Hunfalvy cominciò a pubblicare a Budapest la rivista Nyelvtudományi Közlemények, che è stato ed è il principale organo della linguistica ugro-finnica e uralo-altaica. Lo studio di V. Thomsen l'Über den Einfluss der germanischen Sprache auf die Finnisch-lappischen, trad. ted. di H. Sievers, Halle 1870, fu il primo fondamentale lavoro dedicato alle voci mutuate (Lehnwörter). Esso non è solo importante per la linguistica ugro-finnica, ma anche per quella germanica, in quanto le più antiche voci mutuate dalle lingue germaniche rappresentano una fase più antica del gotico di Ulfila e assai vicina al proto-germanico. Con l'attività di Iozsef Budenz (v.) s'inizia anche per la linguistica ugro-finnica una nuova era.
Benché la parentela delle lingue semitiche fosse stata provata assai prima di quella delle lingue indoeuropee, tuttavia una grammatica comparata delle lingue semitiche non si pubblica che nel 1890 (quella di William Wright). Ma anche in questo periodo gli effetti benefici della nuova scuola linguistica si fanno sentire specialmente in opere fondamentali come la Mandäische Grammatik di Th. Noldeke (Halle 1875), la Grammatik der Tigriñasprache di F. Praetorius (Halle 1871), e Die amharische Sprache dello stesso (Halle 1879), ecc., o in lavori speciali come quelli di H. Almkvist (Den semitiska språkstammens pronomen, Upsala 1875). Nel 1860, fondandosi sulla concordanza dei pronomi, il Lottner affermò la reciproca parentela del saho, galla, tamasceq ed egizio e il loro rapporto col semitico, emettendo così per la prima volta l'ipotesi di una parentela camito-semitica. La linguistica maleo-polinesiaca, fondata, come si disse, dal Humboldt, fece un nuovo e notevole progresso con l'opera Die melanesischen Sprachen di H. C. von der Gabelentz (v.), pubblicata nelle Abhandlungen d. k. sächs. Ges. der Wiss., VIII e XVII, Lipsia 1860 e 1873. Le lingue caucasiche erano fino alla metà del secolo scorso conosciute solo attraverso i materiali raccolti dai naturalisti A. J. Güldenstädt (1743-1781), P. S. Pallas (1741-1811), dall'orientalista H. J. Klaproth (1783-1835) e, limitatamente al georgiano, da M. Brosset. Verso la metà del secolo però G. Rosen (1820-1891) illustrava alcuni idiomi meridionali del Caucaso (Über die Sprache der Lazen, Berlino 1844), ecc., e dal 1856 al 1873 si pubblicavano a Pietroburgo i notevoli lavori di A. Schiefner (1817-1879) su un gran numero di lingue caucasiche settentrionali. Alcuni di questi lavori sono memorie originali (Versuch über die Sprache der Uden, Pietroburgo 1863, ecc.), altre, rielaborazioni di materiali raccolti dal barone P. v. Uslar (p. es. Ausführlicher Bericht über des Generals Baron Peter von Uslar... Abchasische Studien, Pietroburgo 1863, ecc.).
Dal 1878 ai giorni nostri. - L'ultimo venticinquennio del secolo scorso segna, come si diceva, un nuovo periodo nella linguistica indoeuropea; man mano che si approfondiva lo studio, specialmente della fonetica, appariva che una nuova regola, una nuova norma fonetica subentrava a spiegare certi fatti che fino a quel momento erano sembrati anormali; la regolarità si sostituiva dunque all'anomalia. Il matematico e indianista H. Grassmann (1809-1877; v.) nel dodicesimo volume della Zeitschrift citata del Kuhn (1863) aveva dato la spiegazione di un fenomeno che sembrava in contraddizione con la legge di Grimm e cioè la corrispondenza apparente: sanscrito b, greco π, gotico b; p. es. sanscrito bandháḥ "legame", bánduḥ "parente", greco πενϑερός "suocero", germanico bindan "legare". Secondo la legge di Grimm invece a un b del sanscrito corrisponde un β del greco e un p del germanico. L'apparente eccezione veniva spiegata dal Grassmann con una nuova legge, secondo la quale in tutti questi casi si ha in sanscrito e in greco una dissimilazione di una delle due aspirate esistenti nella parola in modo che non bisogna ammettere sanscrito b = greco π = germanico b, ma sanscrito bh = greco ϕ = germanico b, quindi il sanscrito bandháḥ e il greco πενϑερός rappresentano dissimilazioni di forme più antiche *abhandhah e *ϕενϑερός. Alcuni anni più tardi il linguista danese K. Verner, nella stessa Zeitschrift del Kuhn (XXIII, 1877) spiegava con una differente accentuazione (il cui stadio è conservato nel greco e nel sanscrito) la presenza ora di f, p, h, ora di ???, đ, γ (got. b, d, g) fra sonore (vocali o sonanti) di fronte all'indoeuropeo p, t, k; secondo la legge di Verner, la sorda è conservata se la vocale precedente corrisponde a una vocale tonica, sanscrita o greca, è sonorizzata se corrisponde ad una atona. Per es. got. bropar "fratello" con la sorda p perché il sanscrito ha bhrādtā e il greco ϕράτωρ, ma got. fadar "padre" con la sonora d perché il sanscr. ha pitā e il greco πατήρ. La scoperta di queste e di altre leggi fonetiche dava ai ricercatori una sempre maggiore fiducia nella bontà e nell'infallibilità del metodo. I giovani linguisti tedeschi formulano verso quest'epoca i canoni della nuova scuola che prese il nome di neo-grammatica (Junggrammatische Richtung) solo dal 1878 (in origine un nomignolo dato da Fr. Zarncke). Lo slavista A. Leskien nel suo lavoro Die Deklination im Slavisch-Litauischen und Germanischen (Lipsia 1876) aveva già affermato che non si possono ammettere eccezioni alle leggi fonetiche perché "ammettere deviazioni arbitrarie, fortuite, impossibili a coordinare, equivale a dire che l'oggetto della ricerca, cioè la lingua, è inaccessibile alla scienza". Più rigorosamente H. Osthoff e K. Brugmann nella prefazione al primo volume delle Morphologische Untersuchungen (Lipsia 1878) affermavano: "ogni mutamento fonetico, in quanto procede meccanicamente, si compie seguendo delle leggi senza eccezioni".
Questo principio, esposto in una maniera così rigida, diede luogo a molte discussioni, specialmente da parte di quei linguisti che avevano già svolto una fruttuosa attività nella glottologia anche senza una così ristretta formulazione teorica. Notevolissime furono le opposizioni di G. Curtius, Zur Kritik der neuesten Sprachforschung (Lipsia 1885) di H. Schuchardt (1842-1927), Über die Lautgesetze. Gegen die Junggrammatiker (Berlino 1885) e di G. I. Ascoli (1829-1907; v.), Dei neogrammatici, lettera al professore Pietro Merlo, in Archivio Glott. Ital., X, pp. 18-73. È però indubbio che anche lo Schuchardt e l'Ascoli seguirono la norma dell'ineccepibilità delle leggi fonetiche.
L'Ascoli stesso scriveva infatti: "Io non parlo mai, né scrivendo, né insegnando, di eccezioni. Mostro e dimostro che di un dato suono, o di una data combinazione di suoni, si possono anche avere esiti diversi in una lingua medesima o in un medesimo dialetto, e cerco le ragioni della diversità. Spesso le trovo; e quando io non le trovi, conchiudo: non par possibile che la data voce o la data serie di voci non abbia il fondamento etimologico che le assegniamo, ma la ragione della special determinazione fonetica non è ancora trovata. Così io credo che facciano tutti i veri linguisti da un gran numero di anni" (cfr. Silloge linguistica dedicata alla memoria di G. I. Ascoli, Torino 1929, p. 587 e segg. e fonetica, XV, pp. 622-624). I meriti della scuola neogrammatica furono certamente immensi e riconosciuti anche dai contraddittori e specialmente dall'Ascoli. Per merito specialmente di K. Brugmann (1849-1919, v.) si trasformò la conoscenza del vocalismo indoeuropeo, sul quale doveva lasciare poi tracce indelebili Ferdinand de Saussure (1858-1913) dalla cui scuola uscirono linguisti come M. Grammont, A. Meillet, ecc. Al Brugmann spetta anche il merito di avere dimostrato la presenza nel proto-indoeuropeo di una nasale sonante. Il Brugmann, nella sua feconda attività, ha dato alla linguistica opere fondamentali, quali la Griechische Grammatik (Monaco 1885); egli riassunse poi tutte le conoscenze acquisite e le nuove teorie nel celebre Grundriss der vergleichenden Grammatik der indogermanischen Sprachen (prima ediz., Strasburgo 1886-1900 in collaborazione con B. Delbrück; seconda ediz., da solo, Strasburgo 1897-1916). Egli fondò anche la rivista Indogermanische Forschungen (Lipsia 1891 segg.), dove apparvero lavori notevolissimi.
G. I. Ascoli, A. Fick (1833-1916) e J. Schmidt (1843-1901) nei loro più recenti lavori stanno a cavaliere fra le due scuole, ma l'Ascoli occupa un posto tutto particolare. Egli fu, infatti, non solo un grande indoeuropeista che lasciò tracce indelebili (e basterebbero solo la sua teoria delle gutturali indoeuropee e gli studî celtici), ma anche il fondatore della dialettologia romanza. I Saggi Ladini che occupano il primo volume dell'Archivio Glottologico Italiano (1873), sono un'opera fondamentale, non solo come risultati, ma anche, e forse più, come modello di metodo. Il Fick ci dette un Vergleichendes Wörterbuch der indogermanischen Sprachen (Gottinga 1868) che segue molto le ricostruzioni del proto-indoeuropeo proposte da Schleicher e J. Schmidt, e pubblicò importanti studî su varî argomenti di fonetica e morfologia indoeuropea: Die Pluralbildungen der indogermanischen Neutra (Weimar 1889); Kritik der Sonantenteorie (Weimar 1895). La linguistica prende, negli ultimi due decenni del secolo scorso e nei primi di questo, impulso grandissimo.
Tutte le branche del campo indoeuropeo vengono coltivate; C. Hübschmann (1848-1908) mostrò la posizione indipendente dell'armeno (che fino allora era riunito all'indoiranico) e ci dette una preziosa Armenische Grammatik di cui uscì purtroppo solo la prima parte dedicata all'etimologia e che è un modello di dizionario etimologico (Lipsia 1895). Gli studî armeni sono poi stati continuati e perfezionati specialmente per merito di A. Meillet, autore di un eccellente Esquisse d'une grammaire comparée de l'arménien classique (Vienna 1903). Il Meillet, che è forse il più fecondo e il più geniale dei linguisti viventi, è il vero fondatore della scuola linguistica francese e ha lasciato tracce indelebili in quasi tutti i campi della linguistica indoeuropea (persiano, slavo, greco, latino, armeno, germanico, ecc.). La sua Introduction à l'étude comparative des langues indoeuropéennes (5ª ed., Parigi 1922) è ormai un libro classico nelle scuole di linguistica indoeuropea.
Gustav Meyer (1850-1900) coi suoi pieziosi studî dedicati all'albanese (Albanesische Studien, Vienna 1883 e segg.; Etymologisches Wörterbuch der albanesischen Sprache, Strasburgo 1891, ecc.) diede grande impulso agli studî albanesi dei quali è oggi il migliore rappresentante Norbert Jokl. Nella linguistica germanica si distinsero specialmente H. Paul, W. Streiberg, H. Hirt, gli olandesi J. Franck e C. C. Uhlenbeck (quest'ultimo anche valoroso indianista e autore d'importanti lavori sul basco e sulle lingue americane), lo svedese A. Noreen, ecc.
Nella linguistica slava, oltre ai tedeschi A. Leskien, E. Berneker (autore di un dizionario etimologico delle lingue slave, purtroppo incompiuto), al francese A. Meillet, agli ungheresi O. Ásboth e J. Melich, al norvegese O. Broch, al finnico J. J. Mikkola, ecc. si distinguono, come è naturale, alcuni glottologi slavi: i russi F. F. Fortunatov, S. M. Kul′bakin, ecc., i cèchi W. Vondrák (autore di una grammatica comparata delle lingue slave) e J. Gebauer (autore di una grammatica e di un dizionario dell'antico cèco); e i polacchi J. Baudouin de Courtenay, J. Rozwadowski, K. Nitsch, J. Łoś, ecc., gli slavi meridionali M. Rešetar, A. Belić, B. Conev, L. J. Miletič, St. Mladenov, ecc. In Austria svolse la sua attività il croato V. Jagić, fondatore dell'Archiv für slavische Philologie, mentre Max Vasmer, fondatore della più recente Zeitschrift f. slav. Philologie, svolge la sua attività in Germania.
La linguistica celtica fece grandi progressi per merito di R. Thurneysen, di W. Stokes e specialmente del danese H. Pedersen che ci ha dato una stupenda grammatica comparata delle lingue celtiche (Vergleichende Grammatik der keltischen Sprachen, Gottinga 1908-1913), di A. Holder, autore di un grande dizionario antico celtico, purtroppo non compiuto, e di G. I. Ascoli che studiò magistralmente l'irlandese antico.
Gli studî di linguistica latina ebbero grande impulso da F. Stolz, autore di una eccellente grammatica storica latina, F. Sommer, A. Walde (autore di un Lateinisches etymolog. Wörterbuch, la cui edizione è in corso di pubblicazione a Heidelberg, a cura di J. B. Hofmann e il cui Vergleichendes Wörterbuch der indogermanischen Sprachen si pubblica postumo a cura di J. Pokorny), dai francesi C. Juret, A. Ernout, autore di una Morphologie historique du latin (Parigi 1914) e, in collaborazione con A. Meillet, di un Dictionnaire étymologique de la langue latine (Parigi 1932); dallo svizzero M. Niedermann, che si è dedicato anche a studî di linguistica baltica e, in Italia, da L. Ceci e ora da G. Devoto. Gl'idiomi italici furono specialmente curati dallo svizzero R. von Planta, che ci ha dato una fondamentale Grammatik der oskisch-umbrischen Dialekte (Strasburgo 1892-97); l'olandese J. F. Müller nel suo Altitalisches Wörterbuch (Gottinga 1926) ha tentato di ricostruire l'italico comune.
Agli studî di greco, dopo il Curtius, si sono dedicati molti indoeuropeisti: K. Brugmann, G. Meyer, H. Hirt, A. Meillet, poi A. Thumb, Fr. Bechtel, A. Debrunner, ecc.; ricorderemo in special modo il belga E. Boisacq, il cui Dictionnaire étymologique de la langue greque (Parigi 1907-1916), supera di molto i precedenti.
Le lingue baltiche, dopo gli studî dello Schleicher, trovarono cultori specialmente negli slavisti: A. Leskien, E. Berneker, R. Trautmann (autore di un Baltisch-Slavisches Wörterbuc, Gottinga 1923); il linguista danese V. Thomsen studiò le voci baltiche entrate nel finnico (Berøringer mellem de finske og de baltiske (litauisklettiske) Sprog, Copenaghen 1890). Fra i linguisti "nazionali" si distinsero specialmente K. Buga in Lituania e J. Endzelin in Lettonia.
Fra gl'indianisti e iranisti ricorderemo J. Wackernagel, autore di una eccellente Altindische Grammatik (Gottinga 1896 segg.) e C. Bartholomae, che fu il miglior conoscitore dell'antico iranico. Nuovi orizzonti si aprono alla linguistica indoeuropea con la scoperta del tocario e dell'eteo.
La linguistica romanza fece, dopo il Diez, progressi assai rapidi. Le singole lingue venivano studiate e si cominciava la raccolta sistematica dei dialetti. Intorno a G. I. Ascoli, che fu il fondatore della dialettologia romanza, e all'Archivio glottologico, si raccolsero i principali linguisti italiani come G. Flechia, F. D'Ovidio, C. Nigra, U. A. Canello, G. Morosi, C. Salvioni, P. E. Guarnerio, S. Pieri, B. Bianchi, E. G. Parodi, ecc. La dialettologia, sorta in Italia, si diffonde su territorio gallo-romano per opera dell'abate P. J. Rousselot, di L. Gauchat, ecc. A Vienna, prima della guerra mondiale, e a Bonn poi si distingueva lo svizzero W. Meyer-Lübke, autore di una Grammatik der romanischen Sprachen (Lipsia 1890 e seguenti) e di un Romanisches etymol. Wörterbuch (Heidelberg 1914-20; 3ª ed., 1930 segg.). Dalla linguistica romanza sorgevano anche nuovi metodi che dovevano avere un'applicazione generale; principalissima la scuola della geografia linguistica che ha il suo antesignano in J.-L. Gilliéron (v.); egli fu l'ideatore dell'Atlas linguistique de la France (Parigi 1914 segg.), dal cui studio tanti progressi ha potuto fare la dialettologia francese. Ora si stanno facendo altri atlanti per gli altri territorî romanzi: quello della Catalogna, diretto da A. Griera, quello dell'Italia e della Svizzera italiana, diretto da K. Jaberg e J. Jud, di cui sono gia usciti alcuni volumi, e quello della Corsica, curato da G. Bottighoni. Un altro atlante linguistico d'Italia, diretto da M. G. Bartoli e uno della Romania, diretto da S. Puşcariu, sono in lavoro.
Anche i lavori di onomasiologia, benché preceduti da alcuni saggi in varî dominî linguistici, hanno il loro sviluppo nel campo romanzo, cominciando dal lavoro dello svizzero E. Tappolet sui nomi di parentela: Die romanischen Verwandtschaftsnamen (Strasburgo 1895), dell'austriaco A. Zauner sui nomi delle parti del corpo: Die romantischen Namen der Körperteile (Erlangen 1902) e dell'italiano C. Merlo sui nomi delle stagioni e dei mesi (1915). L'indirizzo "Parole e cose" (Wörter und Sachen) che propugna lo studio delle parole insieme a quello degli oggetti designati, sorge con R. Meringer (1859-1931) e ha valorosi rappresentanti in H. Schuchardt, G. Baist, L. Spitzer, M. L. Wagner. Gli studî linguistici in Italia sono prevalentemente romanistici e indoeuropeistici. Ricorderemo, fra i romanisti G. Bertoni, fondatore dell'Archivum Romanicum (Ginevra 1917 segg.), M. G. Bartoli, autore di un importante lavoro sul dalmatico e condirettore dell'Archivio glottologico italiano, B. Migliorini, C. Merlo, fondatore dell'Italia dialettale, C. Battisti, specialista nella dialettologia atesina (ladina e tedesca), V. Bertoldi, autore di ricerche etimologiche e di studî sui sostrati, P. G. Goidànich, indoeuropeista e romanista, F. Ribezzo, linguista classico e fondatore della Rivista indo-greco-italica, A. Pagliaro, iranista, B. Terracini e molti altri. Ma l'Italia ebbe ed ha notevoli cultori anche in altri campi, come I. Guidi, il fondatore degli studî amarici e celebre semitista, il turcologo L. Bonelli, l'etiopologo C. Conti-Rossini, il berberologo F. Beguinot.
Anche negli altri campi della glottologia l'ultimo cinquantennio segnò notevolissimi progressi. Nella linguistica ugro-finnica la scuola fondata a Budapest da J. Budenz e alla quale si è accennato, diede ottimi frutti; il maestro pubblicò una magistrale morfologia ugro-finnica e un dizionario comparato delle lingue ugro-finniche e dalla sua scuola uscirono ottimi linguisti come J. Szinnyei, autore di un manuale di grammatica comparata ugro-finnica (Magyar Nyelvhasonlítás, Budapest 1927, 7ª ed.) di un dizionario dei dialetti ungheresi, ecc. I più giovani linguisti si dedicavano a studî sui prestiti linguistici e sulla grammatica comparata. Ricorderemo i nomi di J. Simonyi, B. Munkácsi, Z. Gombocz in Ungheria, di E. N. Setäla, H. Paasonen, Y. Wichmann in Finlandia, di K. Wiklund in Svezia, K. Nielsen in Norvegia, ecc. I metodi della scuola neo-grammatica vengono applicati anche nel campo ugro-finnico e E. N. Setäla ci dà nel 1890 una fonetica del protofinnico che è un modello nel genere (Yhtessuomalainen äännehistoria, Helsingfors 1891). Nel campo delle lingue c. d. altaiche si ebbero ricerche profonde di W. Radloff, V. Thomsen, H. Vambéry, W. Bang, Gy. Németh, ecc. mentre il problema della parentela delle lingue uraliche con le altaiche veniva riesaminato.
Gli studî bantu prendevano una nuova e più sicura via per opera dĭ C. Meinhof, il quale nel Grundriss einer Lautlehre der Bantusprachen (2ª ed. 1910) e nei Grundzüge einer vergleichenden Grammatik der Bantusprachen (Berlino 1906) applicava la rigorosità del metodo neo-grammatico alle lingue bantu, superando di molto i suoi predecessori. Importanti anche i lavori della L. Homburger. Nella linguistica semitica appare nel 1890 la grammatica comparata di W. Wright (Lectures on the comparative grammar of the semitic languages), che era però già al suo apparire in qualche punto antiquata. Anche il secondo tentativo di O. E. Lindberg (Vergleichende Grammatik der semitischen Sprachen, I, Göteborg 1897) contenente il consonantismo, non era perfetto, mentre un grande progresso segnano la Vergleichende Grammatik der semitischen Sprachen di H. Zimmern (Berlino 1898) e specialmente l'opera fondamentale di C. Brockelmann, Grundriss der vergleichenden Grammatik der semitischen Sprachen (Berlino 1908-1913) in due grossi volumi. Lo studio delle lingue camitiche veniva molto perfezionato specialmente per merito del linguista austriaco Leo Reinisch, autore di numerosi lavori su lingue singole e di importanti studî comparativi (Das persönliche Fürwort und die Verbalflexion in den Chamito-semitischen Sprachen, 1909; Die sprachliche Stellung des Nuba, 1911), di R. Basset (specialmente sui dialetti berberi), di F. Praetorius (specialmente sul galla) e di C. Meinhof. Lo studio delle lingue africane della zona centrale veniva perfezionato da D. Westermann, da M. Delafosse e da altri.
Le lingue caucasiche trovavano ricercatori assidui in R. von Erckert, H. Schuchardt e in A. Dirr, ehe tentò una sintesi nella sua Einführung in das Studium der kaukasischen Sprachen, Lipsia 1928, e fondò la rivista Caucasica, in N. Marr, N. Trubetzkoy, M. Ja. Nemirovskij, ecc.
La linguistica maleo-polinesiaca ebbe un notevole impulso per opera dei linguisti olandesi e in special modo di H. Kern, A. Brandes, ecc. Notevolissimi furono anche i lavori dell'austriaco P. Guglielmo Schmidt, dello svizzero R. Brandstetter e del francese G. Ferrand.
Gli studî sulle lingue australiane ebbero impulso per l'opera assidua del padre G. Schmidt, del quale ricorderemo il volume Die Gliederung der australichen Sprachen (Vienna 1919).
Le ricerche dedicate al gruppo linguistico indocinese si perfezionarono per opera di A. Conrady, il cui lavoro Eine indochinesische CausativDenominativ-Bildung und ihr Zusammenhang mit den Tonaccenten (Lipsia t896) è ancora fondamentale. In questi ultimi anni si distinsero, per gli studî cinesi, lo svedese B. Karlgren e per quelli tibeto-birmani l'inglese N. Wolfenden.
Può dirsi poi fondata nell'ultimo cinquantennio la glottologia americana, intesa nel suo sviluppo genetico-storico. Dopo i lavori del Buschmann, già ricordati, si distinsero A. S. Gatschet, R. G. Latham e specialmente M. A. Powell, e, in tempi più recenti, Franz Boas ed E. Sapir, P. Goddard, L. Kroeber, R. Dixon per le lingue dell'America Settentrionale; P. Rivet, L. Adam per quelle dell'America Meridionale. Fra gli americanisti europei, oltre al Rivet, meritano una speciale menzione il glottologo olandese C. C. Uhlenbeck e il danese W. Thalbitzer, specialista di eschimo.
Gli studî comparativi fra gruppo e gruppo si sono venuti sempre più allargando. Le comparazioni fra indoeuropeo e semitico, già indicate come possibili dall'Ascoli, dal Delitsch e da altri, si sono venute metodicamente riordinando per opera del glottologo danese H. Möller e del francese A. Cuny. Gli studî comparativi fra l'indoeuropeo e l'ugrofinnico sono stati trattati da N. Anderson, K. Wiklund e H. Paasonen. Quelli fra l'uralico e l'altaico da Z. Gombocz, Gy. Németh, A. Sauvageot, ecc. Dello sviluppo di questi ultimi studî si dà un cenno nell'articolo lingue.
Opere generali sulla linguistica: F. Müller, Grundriss der Sprachwissenschaft, Vienna 1876 segg.; A. H. Sayce, Introduction to the science of language, Londra 1883; G. v. d. Gabelentz, Die Sprachwissenschaft, ihre Aufgaben, Methoden und bisherigen Ergebnisse, 2ª ed., Lipsia 1901; G. De Gregorio, Glottologia, Milano 1896; V. Porzeżinski, Einleitung in die Sprachwissenschaft, Lipsia 1910 (ed. originale russa, Mosca 1910); P. D. Gune, Introduction to comparative philol., Poona 1918; O. Jespersen, Language, its nature, development and origin, Londra 1922 (trad. ted., Heidelberg 1925); A. Meillet, Linguistique historiqu et linguistique générale, Parigi 1921; F. de Saussure, Cours de linguistique générale, Parigi 1923; A. Trombetti, Elementi di glottologia, Bologna 1923; Kr. Sandfeld, Sprogvidenskaben, en kortfattet fremstilling af dens metoder og resultater, Copenaghen 1923; C. P. F. Lecoutere, Inleiding tot de Taalkunde, 3ª ed., Lovanio 1926; S. Mladenov, Uvod v. obštoto ezikoznanie, Sofia 1927; A. Procopovici, Mic tratat de linguistică generală, Cernauṭi 1930; v. anche linguaggio; lingue.
Per la storia della linguistica cfr. G. I. Ascoli, Studî orientali e ling., I, Gorizia 1854; T. Benfey, Geschichte der Sprachwissenschaft u. orient. Philologie in Deutschland seit Anfang des XIX. Jahrhunderts, Monaco 1869; H. Steinthal, Geschichte der Sprachwissenschaft bei den Griechen und Römern mit besonderer Rücksicht auf die Logik, 2ª ed., Berlino 1890; V. Thomsen, Sprogvidenskabens historie, Copenaghen 1902 (trad. ted. di H. Pollak, Halle 1927); H. Pedersen, Et blik på sprogvidenskabens historie, Copenaghen 1916; S. K. Bulič, Očerk istorii jazykoznaņija v Rossii, Pietroburgo 1904; H. Pedersen, Sprogvidenskaben i det nittende aarhundrede, Metoder og Resultater, Copenaghen 1924 (trad. ingl. di J. Spargo, Linguistic Science in the nineteenth century, Harvard 1931); E. Fiesel, Die Sprachphilosophie der deutschen Romantik, Tubinga 1927.
Dedicate in tutto o nella maggior parte alla linguistica indoeuropea sono le seguenti opere: D. Pezzi, Introduzione allo studio della scienza del linguaggio (pp. i-lxxvii della trad. ital. del Compendio di grammatica comparata dell'antico indiano greco ed italico di A. Schleicher, Torino 1869); B. Delbrück, Einleitung in das Studium der indogermanischen Sprachen, ein Beitrag zur Geschichte und Methodik der vergl. Sprachforschung, 6ª ed., Lipsia 1919, pp. 1-155; A. Meillet, Introduction à l'étude comparative des langues indo-européennes, 5ª ed., Parigi 1922, p. 407 segg.; Jos. Schrijnen, Handleiding bij de studie der vergelijkende indogermaansche Taalwetenschap, 2ª ed., Leida 1924, pp. 21-39; A. Pagliaro, Sommario di linguistica ario-europea, Roma 1930. - Per la storia della linguistica indoeuropea cfr. specialmente: Grundriss d. indogerm. Sprach- und Altertumskunde di K. Brugmann, A. Thumb e C. Bartholomae, Strasburgo 1916 segg.
Per la linguistica neolatina cfr. G. Gröber, Geschichte der romanischen Philologie, in Grundriss d. rom. Phil., I, 2ª ed., Strasburgo 1904, pp. 1-185; I. Iordan, Introducere în studiul limbilor romanice; evoluţia Şi starea actuală a linguisticii romanice, IaŞi 1932.
Per la linguistica germanica cfr. H. Paul, Geschichte der germ. Philologie, in Grundr. d. germ. Phil., Strasburgo 1891, pp. 9-180 (e ediz. successive).
Per la linguistica slava cfr. V. Jagić, Istorija slavjanskoj filologii, Pietroburgo 1910; A. Cronia, Per la storia della slavistica in Italia, Zara 1933.
Per la linguistica ugro-finnica: O. Donner, Öfversikt af den finsk-ugriska sprakforskningens historia, Helsingfors 1872; E. N. Setälä, Lisiä suomalais-ugrilaisen kielentutkimusken historiaan, Helsingfors 1892; J. Pápay, A magyar nyelvhasonlitás története, Budapest 1922.
Per la linguistica caucasica: M. Ja. Nemirovskij, Iz prošlogo i nastojaštego kavkazskoi lingvistiki, Vladikavkaz 1928.
Per la linguistica bantu e per le lingue africane in genere cfr. R. N. Cust, A sketch of modern languages of Africa, Londra 1883; C. Meinhof, Die moderne Sprachforschung in Afrika, Berlino 1910.
Per la linguistica americana cfr. H. Ludewig, The literature of american aboriginal languages, Londra 1858; C. C. Uhlenbeck, Zu den einheimischen Sprachen Nord-Amerikas, in Anthropos, 1910.