LOTTA (lat. lucta; fr. lutte; sp. lucha; ted. Ringen; ingl. wrestling)
Combattimento a corpo a corpo di due contendenti senza armi, fondato esclusivamente sulla pressione del corpo e sull'allacciamento delle membra. Sia come mezzo di offesa e di difesa, sia come forma di gara agonistica, è comune si può dire a tutti i popoli, e sin da tempi remoti. Così ne troviamo raffigurazioni nell'antico Egitto, in Etruria; e che fosse nota agli Ebrei si può desumere dal notissimo episodio biblico del combattimento corpo a corpo di Giacobbe con l'Angelo (Gen., XXXII, 24 segg.).
Antichità classica. - La lotta si distingue dal pancrazio (v.) perché in questo era lecito servirsi del pugno. Nell'età classica due sono le specie di lotta fondamentali: quella in piedi (ὀρϑὴ πάλη) che consiste in un combattimento da ritti e nel tentativo di rovesciare l'avversario a terra; e la lotta a terra (ἁλίνδησις, κύλισις) praticata in pubblico solo nei tardi tempi, nella quale gli avversarî si combattono anche inginocchiati o sdraiati sul terreno. Ci sono poi numerose sottovarietà e varî momenti nella lotta, ciascuno dei quali è noto per un suo nome particolare. Accenniamo al tentativo di afferrare, rendendolo impotente, un braccio dell'avversario; la pressione della fronte contro la fronte; lo sforzo per far perdere l'equilibrio all'avversario, il tentativo di sollevarlo da terra, la manovra per abbassargli la nuca.
Il lottatore deve possedere un corpo slanciato e ben proporzionato e avere non soltanto forza fisica ma anche notevole resistenza, giusto peso e grande agilità mentale per prevedere e prevenire i movimenti dell'avversario. Senofonte (Cyr., I, 32) poteva infatti asserire che i Greci avevano appreso la loro proverbiale furberia dall'esercizio della lotta.
L'atleta ha pertanto bisogno di esercizio lungo e costante e di una scuola di metodo che gli darà forza e salute. La leggenda attribuirà ad Apollo e a Ermes l'invenzione della lotta e dirà figli di Ermes Autolico, il primo lottatore, e Palestra. Eracle stesso, famoso tra l'altro per la lotta contro Anteo, Erice e Cercione, sarebbe stato uno dei primi discepoli degli dei e a Teseo Atena stessa sarebbe stata maestra di lotta.
La tradizione attribuisce al 708 a. C. (XVIIIª Olimpiade) la prima entrata della lotta nei concorsi greci; nel 632 a. C. (XXXVIIª Olimpiade) si sarebbe introdotta anche la lotta dei fanciulli, e ad un fanciullo, Alcidamante di Egina, è appunto dedicata l'VIIIª Olimpica di Pindaro.
In Roma la lotta subisce la sorte di tutti gli esercizî atletici ed è nell'età classica scarsamente praticata, causa la ripugnanza dei Romani per il corpo nudo e per gl'incontri agonistici singolari. Solo con l'Impero subentrano i professionisti, pugiles ed anche luctatores, e la lotta entra a far parte delle gare del circo sino ai divieti teodosiani.
Medioevo ed età moderna. - Tra i popoli che nel Medioevo continuarono a praticare largamente la lotta, occorre menzionare in primo luogo i Tedeschi. Parecchi manoscritti di data anteriore al sec. XIV già contengono delle regole tecniche, le quali ci permettono di accostare quel tipo di incontri a quelli dell'odierna lotta libera. Specialmente noto il cosiddetto "codice Wallerstein" del castello di Maihingen. Pure nel senso di una lotta libera si esprimono un Maestro Lichtenauer (ms. del 1390 nel Germanisches Museum di Norimberga), e un'opera anonima sulla scherma della fine del sec. XV (Dresda). In questi scritti la lotta appare come parte integrativa della scherma e frequenti raffigurazioni di artisti anche sommi ci mostrano appunto lotte corpo a corpo di contendenti armati di daga o di pugnale. Più che altro, questa lotta era un buon mezzo d'offesa e difesa: mezzo divenuto popolare verso la fine del sec. XV, e che nel sec. XVI venne regolarmente coltivato, sempre come facente parte della scherma, da nobili e da cavalieri. Quando l'invenzione della polvere e l'uso delle armi da fuoco tolsero efficacia alle armi bianche, la lotta si dissociò dalla scherma, e la celebre Ringerkunst di Fabian von Auerswald (1539) già manifesta un'evoluzione in senso sportivo di questi incontri, ai quali - egli scrive - occorre partecipare friedlich und gesellig: solo le classi alte, comunque, la praticano con questo spirito. Il popolo la considera sempre come mezzo di offesa e di difesa personale.
Nel sec. XVII la lotta viene alquanto trascurata in Germania, perché la moda di Francia voleva che la si lasciasse alle classi inferiori; il lato sportivo è di bel nuovo trascurato. La Ritterkunst di J. J. von Wallhausen (1616) insegna che la lotta è l'ultimo mezzo con cui si può atterrare l'avversario e quindi depredarlo. Libri come Der künstliche Ringer di Nikolaus Petter (Amsterdam e Mömpelgard 1674-75) consigliano una serie di terribili prese e di colpi atti a produrre gravi ferite o la morte. Nel sec. XVIII la lotta, come tale, è completamente abbandonata, malgrado gli sforzi compiuti da Basedow e da Guthsmuths per rivalorizzarla nell'ambito della ginnastica. Nel sec. XIX essa si riafferma gradatamente, e riprende il posto che attualmente occupa fra gli sport atletici.
Altri paesi in cui la lotta è stata o è specialmente coltivata, sono la Svizzera, l'Inghilterra, il Giappone, i paesi scandinavi, la Turchia, la Francia. In Svizzera è tipico il cosiddetto Schwingen o Hosenlupf, in cui i due contendenti afferrano con una mano i calzoncini dell'avversario mentre con l'altra eseguiscono le prese, i sollevamenti, ecc. In Inghilterra la lotta ha origini assai remote, e la si menziona nel poema di Beowulf. Sotto Enrico II si svolgevano gare annuali di lotta nei giorni di S. Bartolomeo e di S. Giacomo. Anche l'As you like it shakespeariano (atto I) menziona la lotta. Enrico VIII fu egli stesso un fortissimo lottatore. Oggi si distinguono varî stili inglesi di lotta (Lancashire, Cornwall, Westmoreland): il primo s'identifica col catch-as-catch-can o "lotta libera" (v. appresso).
Nel Giappone la lotta è in onore da varî secoli, e si vuole che nell'859 una gara di lotta tra i due figli dell'imperatore Buntoku abbia deciso della successione al trono. Dopo il 1200 la lotta continuò in Giappone a far parte dell'educazione dei samurai. Verso il 1600 subentrò il professionismo, ma la lotta rimase in onore come mezzo di offesa e di difesa, distinguendosi in due categorie: la lotta propriamente detta (sumo) e quella specialissima che ha nome jiu-jitsu (v.). Nel sumo è data grande importanza al peso degli atleti, che si accompagna però spesso a una notevole agilità; lo stile è all'incirca quello della lotta libera.
Nei paesi latini, e particolarmente in Italia, la lotta praticata in modo saltuario fu sempre del tipo greco-romano; ma se qualche nome emerge, in tempi meno remoti, qua e là, si tratta di atleti isolati, di ercoli da baraccone che si producevano in esercizî di forza bruta, e davano inoltre saggi rudimentali di lotta antica. Si ricordano ad es., nel sec. XVIII, le gesta dei Masperi e dei Bartoletti. Più tardi, nel sec. XIX, a somiglianza di quanto avveniva in Germania, in Inghilterra e anche in Francia, e specialmente per l'eccezionale apporto fornito dalla ripresa dei giochi olimpici, anche in Italia si formarono nuclei di sportivi dediti in particolar modo alla lotta greco-romana e al sollevamento pesi. Milano, Torino, Genova, Roma ebbero regolari associazioni di dilettanti, che, per iniziativa della Gazzetta dello Sport, fondarono il 18 maggio 1902, a Milano, la Federazione italiana di lotta e sollevamento pesi, oggi Federazione atletica italiana (F. A. I.). La federazione organizzò subito i campionati italiani, strinse rapporti con le consorelle di altre nazioni e assolse di poi sempre regolarmente i suoi compiti. Risiedette a Milano dal 1902 al 1912, a Roma dal 1912 al 1914, a Genova dal 1914 al 1924, ancora a Milano dal 1924 al 1929, anno in cui fu definitivamente trasferita a Roma presso il Comitato olimpico nazionale italiano (C. O. N. I.).
I lottatori si dividono, a seconda del loro peso, nelle seguenti categorie: gallo (sino a kg. 56), piuma (sino a 61), leggieri (sino a 66), medioleggieri (sino a 72), medî (sino a 79), medio-massimi (sino a 87), massimi (oltre 87). I rispettivi campioni italiani (1933) sono stati: T. Villa, M. Nizzola, A. Molfino, S. Tozzi, E. Gallegati, M. Gruppioni e S. Bolognesi alla pari, U. Fanti.
Tra i lottatori dilettanti che dopo il 190 seppero affermarsi anche all'estero (campionati europei, Olimpiadi) vanno ricordati Enrico Porro, Elia Pampuri, Renato Gardini, Ubaldo Bianchi, Giovanni Gozzi. Porro (pesi leggieri) e Gozzi (pesi piuma) vinsero il titolo olimpionico rispettivamente a Londra (1908) e a Los Angeles (1932). I campioni olimpionici del '32 sono stati, per la lotta greco-romana, G. Brendel (Germania), G. Gozzi (Italia), E. Malmberg (Svezia), I. Johansson (Svezia). V. Kokkinen (Finlandia), R. Svenson (Svezia), C. Westergreen (Svezia), nelle rispettive categorie.
Contemporaneamente al consolidarsi e al diffondersi fra i dilettanti della lotta greco-romana in Italia, nel primo decennio del sec. XX s'imposero all'attenzione generale i lottatori professionisti, che, valendosi di un'accorta pubblicità, attirarono sulle loro imprese il favore morboso delle masse. A Parigi, annualmente, si consacrava appunto il "campione del mondo" con tornei di eccezionale rinomanza, e tutti ricordano i nomi dei famosi colossi: Kara Ahmed (turco), Padubny (russo), Pitlasinsky (russo), Pons (francese), Petersen (danese), Laurent le Beaucairois (francese), Saft (tedesco), Constant le Boucher (francese), e il triestino Giovanni Raicevich (pesi massimi), che conquistò tale titolo e che con i suoi fratelli Max Roberto (pesi minimi) ed Emilio (pesi massimi) costituì una triade famosa. Giovanni vinse altri memorabili incontri nel 1909 e nel 1911 (v. raicevich). Fu questo il periodo aureo in tutto il mondo della lotta greco-romana. Un altro atleta italiano, Ubaldo Bianchi, passato dai dilettanti al professionismo, si aggiudicò anch'egli, nel 1920, il titolo di campione del mondo, categoria medio-massimi. Questi tornei, peraltro, pur laureando il miglior lottatore del momento, mancavano del vero crisma dell'"ufficialità" e costituivano essenzialmente imprese pubblicitarie nelle quali i lottatori erano più o meno direttamente interessati.
Le gare dei dilettanti, invece, rette da norme legali e controllate e disciplinate da federazioni ovunque riconosciute, costituirono pur sempre la giusta base della lotta greco-romana; le federazioni fanno capo sin dal 1921 alla International Amateur Wrestling Federation, che attualmente (1932) ha la sua presidenza in Finlandia e la segreteria a Londra.
Esistono comunque tuttora, ma in quantità scarsa, i lottatori professionisti. Li disciplina l'Internationaler Ringer-Verband (Berlino).
Nozioni tecniche. - I concorrenti a una gara di lotta greco-romana sono previamente sottoposti a visita medica. Non è permesso agli atleti di passare da una categoria di peso all'altra durante una gara. Il campo di combattimento è costituito da una materassina di m. 6 di larghezza e cm. 10 di spessore. Inoltre si applica un margine di materassina di m. 1,50 e cm. 8 di spessore, per evitare che i lottatori possano farsi male cadendo fuori della materassina centrale. Prima di iniziare il combattimento (che ha la durata complessiva di 20 minuti primi) i concorrenti debbono porsi sugli angoli diagonali del tappeto. Al segnale dell'arbitro essi si avvicinano e si stringono la mano; poi iniziano la lotta. A combattimento terminato gli atleti si stringono nuovamente la mano.
I principali colpi sono: in piedi: braccio girato, avambraccio in spalla, ancata in testa o in cintura, cintura in avanti, cintura e mezza elson, doppia presa di braccia in piedi, presa di spalle, cintura in souplesse, presa di testa; a terra: mezza e doppia elson, leva ascellare, presa di braccio, presa di spalle, cintura di fianco, ancata, amerlock e amerlock in cintura, braccio girato, cintura inversa, bascule, souplesse a terra; ponte: è posizione transitoria e di salvataggio per tutti i colpi e consiste nell'appoggio fatto con la testa rovesciata all'indietro sino a toccare con la fronte la materassina; quindi, inarcando il corpo che poggia sulle gambe divaricate, s'imprime al corpo stesso un movimento di rotazione, si riesce di conseguenza a liberarsi dalla posizione di pericolo e si torna a ventre a terra.
Colpi proibiti sono: applicare prese al disotto delle anche, toccare il viso dell'avversario fra la linea della bocca e le sopracciglia, la presa di gola, afferrare il costume o la cintura, dare colpi con i piedi, graffiare, tirare i capelli, torcere le dita. La presa di testa è permessa purché gli avambracci dell'attaccante siano posati sul petto dell'attaccato; per l'esecuzione della doppia presa di testa le gambe debbono restare inattive; il ponte deve essere schiacciato senza che il corpo di chi lo esegue sia sollevato da terra per poi farlo ricadere con forza sul tappeto oppure spingere il corpo verso la testa; l'aggiramento delle braccia è consentito sino a quando la posizione non diventi pericolosa. Tutti i vantaggi conseguiti per una presa irregolare vengono annullati.
Durante il combattimento vengono assegnati dei punti positivi, in relazione a tutti i colpi portati all'avversario, e cioè: mezzo punto a chi costringerà l'avversario a terra; mezzo punto avrà pure chi, dalla posizione di a terra e trovandosi sotto, riuscirà ad alzarsi in piedi; un punto riceverà chi, sia in piedi sia a terra, costringerà l'avversario in ponte senza però metterlo in grave pericolo; due punti colui che metterà in pericolo e in ponte l'avversario; tre punti colui che costringerà in pericolo l'avversario e non gli permetterà di liberarsi che dopo qualche momento di lotta accanita.
Vengono pure assegnati dei punti negativi per punire eventuali infrazioni al regolamento della lotta e così: il lottatore che sfugga dalla materassina o che si aggrappi alla tela della medesima avrà mezzo punto negativo; un punto negativo avrà colui che siasi dimostrato brutale o passivo per impastoiare le azioni dell'avversario; perdurando la passività malgrado l'inevitabile richiamo dell'arbitro, il lottatore sarà dichiarato vinto.
È pacifico che se uno dei lottatori riesce ad atterrare sulle due spalle l'avversario, il combattimento avrà termine immediatamente, senza che sia necessario raggiungere i venti minuti primi regolamentari, in quanto scopo principale della lotta greco-romana è appunto quello dell'atterramento di uno dei due lottatori.
La giuria si compone di un arbitro e di due giudici. Al termine di ogni singolo incontro (se non vi è stato atterramento) i giurati rimettono nelle mani del presidente tre cartellini sui quali ogni giudice avrà segnato i punti accumulati da ciascun lottatore; in base alla somma ottenuta sarà dichiarato il vincitore dell'incontro. Per l'atterramento è necessario che questo sia constatato o dall'arbitro o dai due giudici.
Solamente l'arbitro può far iniziare o sospendere il combattimento, può stabilire le posizioni di vantaggio nei riguardi di ciascun atleta, far cessare tutte le irregolarità nell'applicazione dei colpi, far lasciare determinate prese e rialzare da terra i concorrenti, squalificare il lottatore che, pur essendo stato richiamato due volte per scorrettezze, torni a ripeterle. Egli sospenderà il combattimento se per danneggiamento del costume, emorragia dal naso o caduta con la testa fuori del tappeto, o per altra causa plausibile, uno dei concorrenti si trovi nell'impossibilità di continuare l'incontro.
In ogni gara si addiverrà alla costituzione di una giuria d'appello che vigilerà sull'andamento regolare della manifestazione e risolverà le divergenze che eventualmente dovessero verificarsi.
Lotta libera (catch-as-catch-can). - La lotta libera, derivata dalla greco-romana, ha avuto il suo maggiore sviluppo in America, ove viene preferita all'altra. Essa è stata introdotta colà da lottatori professionisti turchi e ungheresi, che hanno trasformato la lotta classica per renderla più emozionante e spettacolosa. Da qualche tempo è stata compresa nelle specialità olimpioniche e di conseguenza perfezionata dalla federazione internazionale. In tale lotta è permessa la presa di qualsiasi parte del corpo, a eccezione s'intende degli organi delicati, e quindi essa richiede un complicato lavoro di gambe per sgambetti e intrecci, che nella lotta greco-romana sono del tutto proibiti.
L'Italia ha avuto e ha ancora anche in questa specialità dei valorosi campioni professionisti come R. Gardini e G. Calz. I campioni olimpionici del 1932 furono gli svedesi J. Johansson e J. Richtoff, per le categorie dei medî e dei massimi.
Per la parte tecnica anche la lotta libera è disciplinata con norme analoghe a quelle vigenti per la lotta greco-romana.
Per la "lotta giapponese", v. jiu-jitsu.
V. tavv. CXXXIII e CXXXIV.
Bibl.: A. de Ridder, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiq., III, 1904, p. 1340 segg.; G. Zadig, Der Ringkampf, Lipsia 1905; E. Hitchcock e R. Nelligan, Wrestling, catch-as-catch-can style, New York 1910; A. Cougnet, Pugilato e lotta libera per la difesa personale, 2ª ed., Milano 1911; id., La lotta greco-romana sul tappeto, Milano 1912; id., Le lotte libere moderne, Milano 1912; P. Pons, La lutte, Parigi 1912; W. E. Cann, Manual of Wrestling, Battle Creek 1912; A. Guretzki, Der moderne Ringkampf, Lipsia 1922-23; P. Kistner, Schwerathletik und Ringen, Lipsia 1927; P. Locatelli, Atletica. Manubri e sbarre, Milano 1932.