MAMIANI Della Rovere, Terenzio
Uomo politico e scrittore, nato a Pesaro il 27 settembre 1799, morto a Roma il 21 maggio 1885. Suo padre, Gianfrancesco, assai contrario alle idee liberali, lo avviò agli studî nel civico ginnasio. E già allora il M. mostrò grande amore alle lettere, cimentandosi sedicenne nell'arringo poetico con una dissertazione Sulla poesia musicale letta il 3 febbraio 1816 nell'accademia pesarese. Poco dopo, il padre lo mandò a Roma, a far da ripetitore nel seminario dell'Apollinare. Frequentò la società colta ed elegante; e poiché quel tenore di vita non era gradito al padre, fu richiamato a Pesaro (settembre 1818), dove rimase fino al 1826, quando andò a Firenze, stringendosi colà in amicizia col Leopardi, che gli era parente, col Tommaseo, col Niccolini, col Capponi. La morte del padre (14 novembre 1828) lo richiamò a Pesaro. Concorse a preparare i moti rivoluzionarî del febbraio 1831, percorrendo la Toscana e le Romagne per infervorare gli animi e stringere accordi, dopo che erano giunte in Italia notizie della rivoluzione parigina del febbraio 1830. Andato a Bologna subito dopo che il 5 febbraio 1831 era scoppiata a Modena la rivoluzione, poi ricondottosi a Pesaro, fu da quel governo provvisorio incaricato di portare a Bologna l'adesione della sua provincia al Governo nazionale centrale. Eletto deputato e segretario all'assemblea nazionale (26 febbraio), fu poi nominato ministro dell'Interno nel govemo delle provincie unite, che fu costituito il 4 marzo e che venti giorni dopo, fuggendo da Bologna innanzi agli Austriaci incalzanti, si ridusse ad Ancona, dove, raccolti a consiglio quei che ne facevano parte, abbandonata l'idea della resistenza armata, propose il partito di venire a patti col legato pontificio, cardinale G. A. Benvenuti, e di mettere nelle sue mani l'amministrazione delle provincie insorte. Il M. protestò sempre di essersi negato di firmare quella convenzione; ma sembra che il verbale che fu redatto allora abbia la firma di lui. Comunque, il governo di Roma non riconobbe legale la convenzione, e quando buon numero di patrioti, fra i quali era il M., imbarcatisi sull'Isotta, si disposero alla via dell'esilio, furono catturati in mare da una nave austriaca e condotti nelle carceri di Venezia. Colà M. rimase quattro mesi e negli ozî della prigionia compose l'Inno ai Patriarchi. Liberato e ripreso il mare, giunse a Civitavecchia, dove seppe che era stato condannato all'esilio perpetuo, con altri 38 suoi compagni di fede. Proseguì per Marsiglia, poi per Parigi, dove rimase fino al 1847, non avendo voluto sottoscrivere la dichiarazione imposta per godere dell'amnistia di Pio IX del 16 luglio 1846.
Nel 1832, M. diede alla luce in Parigi quattro Inni sacri, e altri componimenti poetici; e scrisse e pubblicò negli anni seguenti: Nuove Poesie (1835), Idilli (1840), Poesie per la prima volta riunite e ordinate con aggiunta di inedite (1843) ecc. Pure a Parigi, strinse relazione con i più noti esuli italiani e con letterati, filosofi e uomini politici francesi, di che diede ampia illustrazione nello scritto: Parigi or fa cinquant'anni (in Nuova Antologia, 15 ottobre e 15 dicembre 1881). Tenne pure carteggio col Mazzini, dal quale si divise nel 1839, quando nel suo opuscolo intitolato: Nostro parere intorno alle cose italiane, dato alla luce in quell'anno, espresse l'opinione che si dovessero "abbandonare le temerarie cospirazioni e le utopie". E si accostò al partito moderato degli esuli.
Il 10 febbraio 1847, concessogli da Carlo Alberto di prendere stanza in Piemonte, andò a Genova dove ebbe festose accoglienze; e pochi mesi dopo ottenne da Pio IX, per il tramite del card. G. Ferretti, Segretario di stato, di potere per tre mesi risiedere nello stato pontificio, senza obbligo di sottoscrivere l'atto di sottomissione a cui si era rifiutato. Le vicende politiche gli permisero invece non solo di rimanervi più tempo, ma di coprire cariche eminenti, poiché, formatosi il ministero costituzionale del 1 maggio 1848, fu nominato ministro dell'Interno nel gabinetto presieduto dal cardinale L. Ciacchi, rappresentandovi l'elemento liberale; e dopo la sconfitta delle truppe pontificie nel Veneto, sostenne la necessità di armarsi sempre più contro l'Austria e di concludere una lega italica. Vide però mancargli la fiducia del pontefice, e il 2 agosto 1848 si dimise, recandosi a Torino, dove s'intese col Gioberti per l'istituzione di quella Società della Confederazione italiana che ebbe breve ed effimera vita. Tornato a Roma dopo l'assassinio di Pellegrino Rossi entrò nel ministero Muzzarelli come ministro degli Esteri: ma la fuga del papa a Gaeta e il trionfo del partito democratico in Roma, dove si formò una giunta di governo, costrinsero il M. ad allontanarsi dal potere. Eletto (21 gennaio 1849) deputato all'Assemblea Costituente, l'8 febbraio si pronunciò contro la proclamazione della repubblica; e quando questa fu un fatto compiuto, si dimise da deputato e visse in Roma privatamente. Sembra avesse stretto accordi con l'inviato della Francia in Roma, F. de Lesseps; a ogni modo non fu disturbato dal governo repubblicano, e uscì dalla città, occupata dai Francesi, il 2 agosto 1849, recandosi a Marsiglia prima, poi a Genova. Eletto deputato al Parlamento subalpino nella V legislatura (nelle due precedenti l'elezione era stata annullata), s'accostò al Cavour, al quale rimase sempre devoto. Nel 1857 ottenne la cattedra di filosofia della storia all'università di Torino, e il 16 gennaio fu nominato ministro dell'Istruzione nel gabinetto Cavour tornato al potere dopo Villafranca (20 gennaio 1861). E oculatissime furono le nomine da lui fatte di professori nelle università delle provincie allora annesse al regno d'Italia. Il 12 giugno 1861, ebbe la nomina a ministro plenipotenziario presso il re di Grecia e il 13 marzo 1864 fu creato senatore del regno. Inviato nel 1865 come ministro plenipotenziario a Berna, tornò presto in Italia. Liberata Roma, ebbe nel 1871 l'insegnamento della filosofia della storia nell'università romana.
Il M. s'interessò largamente di studî filosofici, e cercò in vario modo di promuoverli: nel 1850 fondò, a Genova, l'"Accademia di filosofia italica" (che B. Spaventa satireggiò, nel 1855, sul Cimento di Torino; dal 1857 al '60 insegnò filosofia della storia all'università di Torino; nel '69 costituì con D. Berti la "Società promotrice degli studî filosofici e letterarî" che durò cinque anni, e nel '70 fondò, come organo della società, la rivista La filosofia delle scuole italiane, che diresse fino al 1885, anno della sua morte. Ma alla fama, ch'egli ebbe, di filosofo non corrisponde un reale valore speculativo della sua opera. Questa si compone dei seguenti scritti principali: Del rinnovamento della filosofia antica italiana (Padova 1836); Sei lettere al Rosmini (1838: il Rosmini aveva fieramente criticato il Rinnovamento, dove si propugnava, contro la logica rosminiana dell'essere, il ritorno a un vago "metodo naturale" o empirico: e il M. ritratta qui alcune delle sue posizioni); Dell'ontologia e del metodo (1841); Dialoghi di scienza prima (1846: l'incerto empirismo del M., da un lato timoroso e dall'altro desideroso delle altezze metafisiche, vi oscilla fra una tendenza scettica e un'indagine psicologica della esperienza comune); Confessioni di un metafisico (pubblicate prima nella Rivista contemporanea di Torino del 1850, poi in volume, Firenze 1865, costituiscono l'opera che il M. considerò massima e definitiva espressione della sua filosofia. Il suo empirismo, per salvarsi dalle incertezze scettiche, vi si congiunge con un ingenuo platonismo. Da un lato, egli cerca di giustificare la concezione realistica della conoscenza con la dottrina della "compenetrazione degli atti", cioè della sintesi tra l'atto ricettivo del soggetto e quello "penetrativo" delle forze esterne: non superando, quindi, la stessa più comune maniera di considerare la conoscenza come sintesi di esterno e interno. Dall'altro, cerca di fondare il platonismo su una nuova interpretazione dell'argomento ontologico dell'esistenza di Dio: ma questa stessa interpretȧzione presuppone in realtà il suo stesso platonismo e realismo gnoseologico); Meditaziomi cartesiane (Firenze 1869). Dal 1870 in poi tutta l'attività filosofica del M. fu assorbita dalla collaborazione alla sua rivista, La filosofia delle scuole italiane, destinata, secondo il titolo, a favorire i dibattiti tra le varie correnti filosofiche italiane, ma in realtà volta dal M. al solo scopo della difesa e ripetizione scolastica della filosofia sua, da lui stesso sentita (anche sotto l'influsso delle lodi che ne aveva fatte Luigi Ferri nel suo Essai sur l'histoire de la philosophie en Italie au dixneuvième siècle, Parigi 1869) come l'unica che alla tradizione italiana veramente rispondesse.
Bibl.: G. Saredo, T. M., Torino 1862; G. Mestica, Su la vita e le opere di T. M., Città di Castello 1885; E. Colini, Notizie della vita e delle opere di T. M., Iesi 1885; D. Gaspari, Vita di T. M. della Rovere, Ancona 1887 (ivi la bibl. degli scritti del M.); A. Valdarnini, T. M., Arezzo 1887; T. Casini, La giovinezza e l'esilio di T. M., Firenze 1896; F. Partini, T. M. e i suoi tempi, Roma 1911. Le sue Lettere dall'esilio furono raccolte e pubbl. da E. Viterbo (Roma 1899), e una scelta di sue Prose e poesie da G. Mestica (Città di Castello 1886). Per l'opera filosofica del M., v. G. Gentile, Le origini della filos. contemporanea in Italia, I, Messina 1917, pp. 87-137, contenente anche la bibl. ulteriore.