ZIMARA, Marco Antonio
– Nacque a San Pietro in Galatina (Lecce) intorno al 1470, figlio di Nicola e di una donna di cui si ignora il nome, ma di cui è noto che apparteneva alla famiglia Bonuso.
Fu lo zio materno di Marco Antonio, Pietro Bonuso, prelato della chiesa di S. Pietro in Galatina, a sostenere le spese degli studi del nipote: filosofia naturale e medicina a Padova. Riconoscente, Zimara dedicò allo zio i Quodlibeta Hervei: subtilissima Hervei Natalis Britonis theologi acutissimi quodlibeta undecim cum octo ipsius profundissimis tractatibus (Venezia, G. Arrivabene, 1513), e alla benevolenza dello zio accennò anche nella Quaestio de primo cognito (Venezia, B. Locatelli, 1508), dedicata a Marcantonio Contarini, allievo di Zimara. Oltre ai fondi provvisti dallo zio, negli anni della formazione filosofica poté contare sull’altra entrata dovuta al corso privato di logica che egli tenne a Padova. Durante il periodo universitario è probabile che facesse temporaneo ritorno in Puglia e vendesse la casa dei genitori (era di nuovo a Padova intorno al 1498).
Da queste informazioni si evince che la sua famiglia non era particolarmente benestante e che la durata dei suoi studi risentì di questi sforzi economici. Nella Quaestio de regressu (Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., S.Q. +, 20, cc. 232v-236v, citato in Nardi, 1958, p. 123), Zimara afferma di essere stato allievo del tomista domenicano Francesco de Nardò, che morì nel 1489, dal che si deduce che attese dodici anni prima di laurearsi: discusse preliminarmente il proprio dottorato a Padova, il 30 luglio 1501 nella chiesa di S. Urbano, in cui si riuniva il Collegio medico, e il 6 agosto, in vescovato, sostenne il privatum examen e conseguì il titolo di dottore in artibus. Suoi testimoni furono i due filosofi aristotelici Pietro Pomponazzi e Tiberio Bacilieri, che erano stati anche suoi maestri (è possibile che sia stato proprio Zimara a raccogliere le lezioni sul De anima tenute da Pomponazzi nel 1500-01). Inoltre, Zimara studiò con Nicoletto Vernia, Pietro Trapolin (primo promotore del suo dottorato), Antonio Trombeta, Antonio Fracanziano e Maurizio Ibernico e frequentò le loro lezioni godendo di una compagnia illustre: tra i suoi compagni furono Gaspare Contarini, Leonardo Venier e Andrea Mocenigo, cui rimarrà profondamente legato anche in seguito e cui nel 1505 dedicherà la Quaestio de principio individuationis ad intentionem Averrois et Aristotelis.
Dopo la laurea gli fu assegnata la cattedra straordinaria di filosofia naturale, con uno stipendio di 47 ducati di argento. Nello stesso periodo si dedicò alla cura dell’edizione delle Quaestiones in duodecim II Metaphisicae di Giovanni di Jandum, licenziate all’inizio di febbraio del 1505 a Venezia per i tipi di Ottaviano Scoto, opera che lo rese famoso a livello europeo. Nel volume sono contenute anche la Quaestio de principio individuationis, la Quaestio de triplici causalitate intelligentiae e le Annotationes in Ioannem Gandavensem super quaestionibus Metaphysicae, una sorta di appendice in cui Zimara spiega diffusamente le proprie ragioni di opposizione a Giovanni di Jandum ed espone quello che a suo parere era il vero pensiero di Averroè. Nello stesso anno preparò l’edizione delle Quaestiones super Parvis Naturalibus, stampata da Giorgio Arrivabene a Venezia, e la Quaestio qua species intelligibiles ad mentem Averrois defenduntur, dedicata ad Antonio Surian, amico e condiscepolo di Zimara. Quest’ultima fu pubblicata nuovamente nel 1575 presso Orazio Salviano in un volume di testi filosofici in cui si trovava anche il Tractatus adversus quaestionem M. Ant. Zimarae de speciebus intelligibilibus del francescano Gerolamo Girelli, già alunno di Pomponazzi così come Zimara.
Effettivamente, con il tempo il rapporto tra ex allievo ed ex maestro si era compromesso. Nel primo periodo del suo insegnamento padovano, Zimara compose le Solutiones contradictionum in dictis Averrois (anche note come Solutiones contradictionum Aristotelis et Averrois, prima edizione Venezia, Er. O. Scoto, 1508), un testo che risente delle polemiche spesso molto vivaci che accendevano gli studenti e i professori sul tema dell’interpretazione di Aristotele da parte di Averroè, e sulle relative contraddizioni. In esso Zimara poneva, in realtà, soprattutto l’accento sulle concordanze tra i due e assumeva una posizione rigida contro i ‘detrattori di Aristotele’, tra cui figurava anzitutto Pomponazzi. Questi si opponeva al metodo «di una pedissequa esposizione o lectura di Aristotele», scoprendo i punti più vulnerabili del pensiero di Averroè e criticando in questo senso Zimara, al quale ostacolò a lungo il passaggio all’ordinariato di filosofia (Antonaci, 1971, p. 20). L’averroismo di Zimara non era comunque sterile riproposizione delle posizioni del maestro. La sua ricerca filosofica si poneva come una riflessione critica interna alla tradizione aristotelica e per questo motivo divenne grande esperto del pensiero del suo commentatore arabo, a cui si richiamò per trattare problemi metafisici, psicologici e morali. Attraverso Averroè, Zimara si volgeva a una comprensione il più genuina possibile di Aristotele e dei problemi da lui lasciati aperti, e alla costruzione di una sintesi che permettesse un avanzamento sui vari terreni su cui il pensiero del Rinascimento si era incamminato.
Nel 1509, Zimara abbandonò Padova, afflitta dalla guerra, e tornò in Italia meridionale, dove si occupò anche di politica. Nel 1514 ricoprì a Galatina la carica di sindaco ed è nota la lettera che scrisse nel 1522 agli amministratori della città, relativa alla controversia tra i cittadini galatinesi e il viceré Ferdinando Castriota (la lettera è pubblicata in Antonaci, 1971, p. 353). Nel 1515 gli nacque il figlio Teofilo, che avrebbe seguito l’inclinazione paterna verso gli studi filosofici, dirigendola, tuttavia, verso il neoplatonismo, per quanto mantenesse un interesse per il pensiero dello Stagirita, come mostra la sua importante edizione del De anima. Il figlio primogenito di Zimara si chiamava invece Nicolò, e di lui si sa che divenne giurista e visse a Roma, dove testò e morì nel 1569 (Arcudi, 1709, p. 186). Sappiamo che Zimara si ‘ammogliò’ al suo ritorno in patria, mentre per risalire al nome della donna è necessario fare riferimento al volume Lecce sacra, che reca notizia di una Cecilia Zimara, carmelitana scalza nel monastero di Lecce e «figliuola di Marc’Antonio e di Orsola Fornari» (G.C. Infantino, Lecce 1859, p. 117).
Tra il 1518 e il 1522 insegnò filosofia e medicina teorica a Salerno dove stipulò, il 19 maggio 1521, un contratto con l’università per un compenso annuo di 360 ducati, da pagarsi a Natale e a Pasqua. In questo stesso periodo, frequentò il palazzo di Matteo Ruggi a Napoli, dove era ospitato il principe Fernando (cui Zimara dedicherà i Theoremata), e diventò un punto di riferimento nel panorama culturale della città, anche grazie al suo impegno medico e al prestigio che gliene derivava. Nel 1523 iniziò a insegnare a Napoli, presso lo ‘studio’ di S. Lorenzo, e lo stesso anno, per i tipi di Pietro De Domenico, pubblicò i Theoremata, cui affidò la ricostruzione teorica dell’opera dello Stagirita e una sua rielaborazione. Zimara (e dopo la sua morte il figlio Teofilo) continuò ad apporre additiones nelle successive edizioni, per cui la versione completa del testo si data al 1550 (Venezia, G. Scoto, 1550).
Il libro fu concepito e prodotto nel periodo in cui l’autore leggeva pubblico stipendio la Metafisica di Aristotele (molti sono i riferimenti al problema didattico e alla metodologia della ricerca), che interpretava come un’opera di filosofia e metodologia della scienza, spaziando dalla fisica alla medicina, dalla logica alla metafisica vera e propria. Il discorso poggiava su un’approfondita conoscenza del testo aristotelico e averroistico, e ruotava attorno al problema della definitio, delle modalità attraverso cui si dà il sapere scientifico, e del rapporto tra le scienze. Uno dei principali meriti di Zimara è quello di avere posto l’attenzione sul soggetto conoscente (ad esempio assegnando un ruolo centrale all’immaginatio, la facoltà capace di estrapolare, sintetizzare e trasformare i dati dell’esperienza empirica in conoscenza teorica) e, in questo senso, i Theoremata rappresentano un importante elemento di novità, che pone l’autore su una linea di continuità teorica, oltre che cronologica, con i grandi protagonisti del dibattito scientifico e filosofico moderno (Dell’Anna, 1989, pp. 60 s.).
Nel periodo campano, Zimara si dedicò anche alla redazione dei Problemata (o ‘quesiti salernitani’), che affrontano soprattutto questioni legate alla fisiologia, alla medicina e all’etica e costituiscono una fonte importante per l’insegnamento scientifico e medico a Salerno. L’opera, che rispecchia lo schema della domanda e risposta usato nelle lezioni, fu impreziosita da Zimara con brevi discussioni delle possibili ‘soluzioni’, un tratto che contribuì alla sua fortuna editoriale. I Problemata raggiunsero ventisei edizioni in centotrent’anni: furono pubblicati in latino in diversi Paesi e vennero anche tradotti nelle principali lingue nazionali europee (prima edizione Venezia, B. Stagnino, 1536).
Nel 1525 tornò a Padova. Qui, su proposta dei riformatori Marino Zorzi e Francesco Bragadin, ottenne l’insegnamento di filosofia ordinaria in primo loco e insegnò fino al 1529, entrando in competizione e in polemica con un giovane Marcantonio Passeri. Nei primi anni Trenta si dedicò a una nuova versione delle Solutiones e alla composizione della Tabula dilucidationum, la sua opera più nota: avendo natura enciclopedica ed essendo organizzata come uno dei primi dizionari filosofici, essa divenne presto richiestissima negli studi di tutta Europa.
Si ignora l’anno della morte, ma fu anteriore al 1537, quando la Tabula fu pubblicata a Venezia da Agostino Ricchi da Lucca, il quale dà notizia della morte dell’autore.
Oltre alle opere sopra citate, la sua fama è legata a una serie di lavori minori (sui quali v. Antonaci, 1971, pp. 45-49) e a un testo la cui paternità non è certa, l’Antrum magico-medicum. In quanto allievo di Pomponazzi, che nel 1520 pubblicò il De incantationibus, non sorprenderebbe che Zimara fosse l’autore di un libro che fondeva elementi di magia naturale con altri di medicina e filosofia, e la cui edizione più conosciuta (la seconda) fu pubblicata a Francoforte nel 1625 con il titolo M.A. Zimarae philosophi Antrum magico-phisicorum. Questa attribuzione è tuttavia ancora incerta e, sebbene Antonio Antonaci sostenga che sia impossibile che tutto il libro sia apocrifo (e improbabile che venisse attribuito erroneamente a Zimara, più noto per i suoi interessi aristotelici), non si riesce a ricostruire una genesi più chiara dell’opera (Antonaci, 1971, pp. 35 s.).
La fortuna di Zimara è testimoniata anche dal fatto che il giovane Gottfried Leibniz lesse i suoi scritti e lo citò nella Disputatio metaphisica de principio individui (1663) e nello Specimen quaestionum philosophicarum ex iure collectarum (1664), dove lo definì espressamente averroista.
Fonti e Bibl.: Padova, Archivio antico della Università, Atti del sacro collegio, vol. 319; A.T. Arcudi, Galatina letteraria, Genova 1709, pp. 171-182, 186; B. Nardi, Marcantonio e Teofilo Zimara: due filosofi galatinesi del Cinquecento, in Id., Saggi sull’aristotelismo padovano dal secolo XIV al XVI, Firenze 1958, pp. 321-363; B. Lawn, The Salernitan questions: an introduction to the history of Medieval and Renaissance problem literature, New York 1963, ad ind.; A. Antonaci, Ricerche sull’aristotelismo del Rinascimento. M. A. Z., Lecce-Galatina 1971; E.P. Mahoney, Albert the Great and the Studio Patavino in the late fifteenth and early sixteenth centuries, in Albertus Magnus and the sciences. Commemorative essays, a cura di J.A. Weisheipl, Toronto 1980, pp. 537-564; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1501 ad annum 1550, a cura di E. Martellozzo Forin, Padova 1982, p. 282; G. Dell’Anna, M. A. Z. e l’aristotelismo: il problema della scienza nei “Theoremata” (1523), in Platonismo e aristotelismo nel Mezzogiorno d’Italia (sec. XIV-XIV), a cura di G. Roccaro, Palermo 1989, pp. 55-78; L. Bianchi, Rusticus Mendax. M. A. Z. e la fortuna di Alberto Magno nel Rinascimento italiano, in Albert le Grand et sa réception au moyen âge: hommage à Zénon Kaluza, a cura di F. Cheneval - R. Imbach - T. Ricklin, Friburgo 1998, pp. 264-278; A. Paladini, Il pensiero psicologico e gnoseologico di M. A. Z., Galatina-Milano 2001; D. Rugge, La dottrina logica di M. A. Z., Galatina-Milano 2004; M. Sgarbi, The Italian mind: vernacular logic in Renaissance Italy (1540-1551), Leiden-Boston 2014, pp. 100-102; D. Verardi, Zimara, Marcantonio, in Encyclopedia of Renaissance philosophy, a cura di M. Sgarbi, Cham 2015.