Martino V
Oddone Colonna, figlio di Agapito e di Caterina Conti, appartenne ad una delle più prestigiose e influenti famiglie romane, cioè al ramo cadetto dei Colonna di Genazzano che aveva il nucleo centrale dei propri possedimenti in Genazzano, Cave, Capranica, San Vito e Pisoniano. Nacque a Genazzano in una data collocabile tra il 25 gennaio 1369 e il 25 gennaio 1370, come si deduce dal documento relativo alla concessione del priorato di S. Maria di Bevagna (nella diocesi di Spoleto) da parte di Bonifacio IX in data 25 gennaio 1391 e nel quale Oddone è indicato come "magister", "notarius pape", nonché "in vicesimo secundo etatis sue constitutus". La carica di "notarius pape" era già presente in un documento del 9 novembre 1389, mentre quella di "magister" rinvia alla laurea in arti, a cui avrebbero fatto seguito gli studi di diritto canonico che egli con molta probabilità approfondì presso lo Studio di Perugia, ovvero presso quella Università dove, oltre a Siena, confluiva la maggior parte della gioventù romana per questo tipo di studi. Fin dagli anni giovanili si accumularono su Oddone numerosi benefici ecclesiastici: il 14 febbraio 1387 divenne canonico del Capitolo del duomo di Lüttich, mentre a partire dal 23 ottobre 1391 è citato come priore di S. Maria di Bevagna; fu dispensato comunque dall'obbligo della residenza in quanto frequentava l'Università. Nel già citato documento del 25 gennaio 1391 viene precisato che il priorato di S. Maria di Bevagna non impedisce ("non obstat") il personato della chiesa parrocchiale di St-Germain presso Tirlemont (che Oddone possedeva ancora nel 1401) e l'altare di S. Agata presso la chiesa di Burscheyle nella diocesi di Liegi. La formazione giuridica lo portò inoltre ad essere nominato auditore di Rota al tempo di Bonifacio IX.
Nel testamento del padre Agapito (6 agosto 1390) fu nominato unico successore, anche se in un secondo tempo rinunciò ai suoi diritti ereditari: nell'atto di matrimonio della sorella Paola (18 gennaio 1396) Oddone infatti rinunciava, insieme con il fratello maggiore Giordano, a metà del paese di Capranica che veniva appunto concesso in dote. Egli manteneva stretti legami con l'intera famiglia tanto che nel 1401, come risulta da un documento del 3 giugno del notaio Iacobello Capogalli, dette in pegno i propri gioielli ed oggetti preziosi (per un valore di 866 fiorini) in cambio della somma che consentisse al fratello Giordano di acquisire diritti sul castello di Cave. Come tutta la famiglia appartenne alla Confraternita della Società del S. Salvatore, anche se non se ne conosce la data di ingresso: nel catasto stilato da Niccolò Signorili il 1° giugno 1419 è infatti annoverato tra i pontefici "qui fuerunt et sunt de Societate nostra".
Nel 1401 Oddone fu nominato amministratore della Chiesa di Palestrina, che era la sede dell'altro e più antico ramo della famiglia Colonna. Dopo che il fratello Giordano alla morte di Bonifacio IX ebbe partecipato all'assalto al Campidoglio, anche Oddone ricevette da parte del Comune di Roma, con un decreto dell'11 gennaio 1405, l'assoluzione dei delitti commessi contro lo stesso Comune. Il 12 giugno 1405 fu nominato da Innocenzo VII cardinale diacono di S. Giorgio in Velabro. Come la maggior parte dei cardinali di Curia svolse le sue mansioni in accordo con il pontefice: fece ad esempio parte del Concistoro che il 14 giugno 1406 procedette alla condanna di scomunica nei confronti di Ladislao d'Angiò-Durazzo, il quale imperversava per le campagne romane e per la stessa città di Roma; partecipò all'elezione di Gregorio XII e nel 1407, come racconta Antonio di Pietro dello Schiavo, fu costretto a rifugiarsi dentro Castel S. Angelo insieme con il pontefice stesso. Gregorio XII gli affidò inoltre l'incarico di sanare la lite tra Iohannes Rutenus, rettore della chiesa di S. Maria de Lamburga, e i parrocchiani di Magdeburgo, nonché le divergenze tra i vicari degli Ordini dei Predicatori e dei Minori sorte a proposito delle decime. Dal 1408 al 1417 fu cardinale protettore dell'Ordine dei Servi di Maria.
Il 29 giugno 1408 Oddone fece parte del gruppo di cardinali cosiddetti "urbanisti" che si incontrò con un gruppo di cardinali "clementini" per stendere una dichiarazione comune nella quale tutti si impegnavano per la convocazione di un nuovo concilio; nel novembre 1408 si unì all'ambasceria che Firenze aveva inviato il 14 dello stesso mese a Pisa per poi proseguire e dare conto al re Ladislao di Durazzo. Il 25 marzo 1409 fece parte della solenne processione con cui si apriva il concilio di Pisa, e mentre era a Pisa, come racconta lo stesso Antonio di Pietro dello Schiavo, a Roma il 21 maggio i caporioni Lorenzo Natoli del rione Ponte e Lo Sconzo del rione Trastevere ordinarono che agli uomini armati recanti le insegne del cardinale Oddone, come del resto anche per altri cardinali, fossero cancellati gli stemmi dalle armi. A Pisa Oddone abbandonò Gregorio XII per eleggere il 26 giugno 1409 Alessandro V (v. Alessandro V, antipapa); questi concesse ai fratelli Giordano e Lorenzo in data 21 maggio 1410 il vicariato su Castro e Ripi, che sarebbe stato riconfermato dal successore. Alla morte di Alessandro V Oddone partecipò a Bologna, il 17 maggio 1410, all'elezione di Giovanni XXIII (v. Giovanni XXIII, antipapa), il quale si appoggiò sul cardinale Colonna e sulla sua famiglia per il forte prestigio che essi godevano nella città di Roma: il fratello Giordano fu infatti incaricato di scortare a Roma il 15 giugno il cardinale Pietro de Frias, legato pontificio di Giovanni XXIII. A seguito dell'adesione all'obbedienza pisana Oddone fu nel 1411 scomunicato da Gregorio XII; numerosi benefici ed incarichi furono invece a lui concessi da Giovanni XXIII, come ad esempio l'esenzione dalle imposte sul sale e sul focatico per Pisoniano e Ciciliano, privilegio che riguardava i fratelli ma che fu direttamente concesso ad Oddone.
Nel febbraio 1411 Oddone fu nominato vicario generale in Perugia, Todi, Orvieto e Umbria: Antonio di Pietro dello Schiavo racconta che il 13 maggio 1411, all'ora nona, il cardinale Oddone uscì dal Palazzo Apostolico, con un vessillo in mano, per dirigersi verso il Patrimonio; nel maggio 1411 anche la città di Terni fece atto di sottomissione al cardinale Colonna. Dopo la partenza di Giovanni XXIII da Roma Oddone divenne con tutta probabilità legato dell'Urbe e del Patrimonio. Al seguito dello stesso Giovanni XXIII si recò al concilio di Costanza e seguì nella fuga il pontefice a Sciaffusa il 21 marzo 1415, ma ben presto fece ritorno a Costanza, dove divenne testimone del processo che porterà alla deposizione del pontefice. Dopo la proclamazione della sede vacante, il 30 maggio 1417, Oddone fu eletto papa l'11 novembre 1417, all'ora decima, come egli scrisse in una successiva lettera del 22 novembre al fratello Lorenzo, al termine del conclave che era iniziato l'8 novembre. In precedenza, il 9 ottobre 1417, nella trentanovesima sessione erano stati definiti con la bolla Frequens i criteri e i tempi per la convocazione dei concili (De conciliis generalibus), ma soprattutto il 28 ottobre era stato raggiunto un accordo a proposito dell'elezione pontificia che, in base alla proposta della nazione francese, spettava ai ventitré cardinali presenti e a trenta prelati e dottori: tale accordo fu sancito con un decreto del 30 ottobre, emanato nella quarantesima sessione plenaria, nel quale inoltre si stabiliva che il neoeletto pontefice avrebbe dovuto, prima di sciogliere il concilio, procedere alla riforma della Chiesa e della Curia romana. Grandi furono i festeggiamenti, come si deduce tra gli altri dal racconto che Beltramo de Mignanellis inviò alla Repubblica di Siena il 15 novembre 1417.
Per l'incoronazione, avvenuta il 21 novembre, fu redatto un apposito cerimoniale (Ordo quando quis eligitur in papam qui non est episcopus consecratus) che si adattava alla condizione di Oddone quale cardinale diacono; per le procedure e i festeggiamenti di questa incoronazione la Curia dovette comunque prendere in prestito 1.000 fiorini. La piena adesione ai decreti del concilio che lo aveva eletto è sicuramente testimoniata dalla bolla del 22 febbraio 1418 con la quale M. ribadiva congiuntamente la condanna per Wycliffe, Hus e Girolamo da Praga. Nel primo anno di pontificato M. concesse la carica di "secretarius apostolicus" senza l'obbligo di residenza in Curia a numerosi letterati e cancellieri, tra i quali Giovanni Corvini, Gasparino Barzizza e Paolo Fortini. Ben presto iniziarono le discussioni su dove M. dovesse fissare la sede papale; l'imperatore Sigismondo proponeva Basilea, Magonza e Strasburgo; i Francesi caldeggiavano l'antica sede di Avignone; numerosi e qualificati interventi auspicavano il ritorno a Roma, tra i quali quello di Alberto degli Albizzi, che in una famosa lettera (tradotta da Giovanni da San Miniato) teorizzava la necessità di riportare il pontefice a Roma ("ritorniate alla città santa" scriveva infatti il 4 marzo 1418). Ma già nei suoi esametri composti il 24 novembre 1417 Pietro de Putomorsi invitava il pontefice a rompere gli indugi e tornare a Roma. A ridosso dell'elezione pontificia è comunque significativo che Leonardo Bruni dedicasse espressamente al pontefice la sua fatica versoria degli Oeconomica pseudoaristotelici. Problemi di diversa natura, ma tutti intersecantisi tra di loro, si ponevano con urgenza a M., in particolare la ricostituzione dello Stato pontificio, i rapporti con le varie potenze straniere, le prospettive di riforma ecclesiale, la ridefinizione dei tributi ecclesiastici, la riorganizzazione degli uffici di Curia. Dai decreti emanati emerge la piena consapevolezza di M. nell'affrontare i singoli problemi. Uno dei primi documenti fu comunque la bolla indirizzata ad Alfonso d'Aragona il giorno stesso dell'elezione, l'11 novembre, nella quale M. oltre a promettere aiuto e protezione ripercorreva le varie fasi del concilio. Per quanto riguarda invece i rapporti con la città di Roma, M. si affrettò a riconfermare come vicario negli affari temporali e spirituali il cardinale Giacomo Isolani che già svolgeva queste funzioni dal 1414 e che si era trovato coinvolto nella lotta tra Braccio da Montone e Muzio Attendolo Sforza per il dominio su Roma; di particolare interesse risulta la bolla del 2 dicembre 1417 con la quale si chiedeva una tregua tra i Romani e i baroni. M. si appoggiava anche sul fratello Giordano che, entrato a far parte dell'esercito dello Sforza, si era scontrato il 10 agosto 1417 contro Braccio da Montone per poi entrare in Roma il 27 agosto. E se attraverso le proprietà della famiglia Colonna e dei loro alleati M. poteva controllare Roma e le regioni limitrofe, non altrettanto poteva dirsi dell'Umbria, dove Braccio da Montone cercava di costituire un dominio autonomo, oppure dei vicariati romagnoli o della stessa Bologna.
Dopo l'elezione ebbero luogo numerose ambascerie e legazioni per rendere omaggio al nuovo pontefice; da parte di quest'ultimo furono spedite varie missive ai vari sovrani e regnanti, nonché ai Comuni dello Stato della Chiesa: ad esempio il 27 novembre 1417 M. annunciava la propria elezione ai Cornetani e ai Viterbesi; assegnava al fratello Giordano il compito di chiedere alla regina Giovanna di inviare un'ambasceria a Costanza; nel 1418 destinava presso la corte aragonese il cardinale di Pisa Alamanno Adimari, dopo che il cardinale Guillaume Fillastre aveva rinunciato a questa missione; Fillastre invece tra il febbraio ed il marzo 1418 fu inviato in Francia insieme con il cardinale Giordano Orsini, con lo scopo di conseguire la pace tra Francia ed Inghilterra, il primo rivolgendosi a Carlo VII ed il secondo ad Enrico V. A Costanza M. riceveva, ma con scarsi risultati, la delegazione bolognese composta da Floriano di S. Pietro, Bartolomeo Manzoli e Matteo Canetoli; ed ancora nel 1418 M. spediva in Grecia il cardinale Giovanni Dominici, che però non riuscì a completare la missione essendo morto in Boemia il 10 giugno 1419. Da Costantinopoli, probabilmente nel gennaio-febbraio 1418, era giunto Gregorio Camblak, vescovo di Kiev, con lo scopo di sollevare il problema dell'unione tra le Chiese.
Nell'ottica di una ricostituzione dello Stato pontificio, tradizionalmente articolato in dominio diretto e terre "mediate subiecte", di particolare importanza risulta il decreto del gennaio 1418 nel quale si proponeva che le terre e le città della Chiesa fossero sottoposte ad un cardinale o a un ecclesiastico: in una situazione quanto mai frastagliata e differenziata l'elemento unificante sembrava essere una certa resistenza al riconoscimento del dominio temporale della Santa Sede, resistenza che M. cercò abilmente di sconfiggere rinforzando i domini locali e favorendo le oligarchie dominanti nelle loro mire espansionistiche di natura sia territoriale sia economica. Per quanto riguarda invece i rapporti con le singole nazioni, solo dopo il decreto De reformatione ecclesie, sancito il 21 marzo 1418 a conclusione della quarantatreesima sessione del concilio, M. procedette a concludere singoli negoziati che tra i vari articoli comprendevano sia la riserva dei benefici ecclesiastici sia le commende, le indulgenze e le dispense: in particolare il 15 aprile 1418 fu sancito il concordato con la Germania, a cui fecero seguito, anche dopo che la Curia si mosse da Costanza, il concordato con la Spagna (13 maggio 1418), con la Francia (10 giugno 1418) ed infine con l'Inghilterra (21 luglio 1418).
Il 19 aprile 1418 fu scelta Pavia come luogo del successivo concilio (De loco futuri concilii) e il 22 dello stesso mese, nella quarantaquattresima sessione, fu chiuso il concilio di Costanza: M. partì da Costanza il 16 maggio 1418 per arrivare, passando attraverso Sciaffusa e Berna, l'11 luglio a Ginevra, dove rimase fino al 4 settembre. A Ginevra furono ricevuti gli ambasciatori bolognesi Romeo Foscari e Benedetto della Ratta. Già in questa tappa a Ginevra, a quanto risulta da un mandato camerale del 22 agosto 1418, M. si preoccupò di far restaurare alcuni libri, tra cui probabilmente anche il breviario conservato nel Vat. lat. 14701 della Biblioteca Apostolica Vaticana. Con la costituzione In apostolicae dignitatis del 1° settembre 1418 M. procedette al riordinamento dei vari uffici di Curia (scrittori, abbreviatori) e soprattutto del Tribunale di Rota, imponendo agli auditori l'obbligo del giuramento; altre precisazioni per il funzionamento furono emanate con la successiva costituzione Statuimus del 7 aprile 1421 e con la Romani pontificis del 1424.
Il 3 settembre 1418 fu deciso il trasporto della Curia a Mantova e M. si mise in viaggio verso l'Italia. Dopo aver attraversato le Alpi e la Savoia, passando per Susa e Torino, giunse il 5 ottobre a Pavia dove si trattenne fino al 12 ottobre. Grandi furono i festeggiamenti, che dettero luogo, tra l'altro, a diverse orazioni: in particolare Giuseppe Brivio, studente di teologia e filosofia nell'Università di Pavia, parafrasando il dettato biblico "tu es columna et super hanc columnam reedificabo ecclesiam meam" (Matteo 16, 18) con aperti riferimenti alla famiglia di appartenenza del pontefice e di conseguenza allo stemma dello stesso M., discuteva sulla funzione del pontefice come vicario di Cristo e sull'impegno assunto da M. di convocare entro cinque anni il concilio. All'orazione del Brivio si aggiunsero anche quelle di Paolo Bimio e Ambrogio Bussero, studenti di diritto civile ed entrambi ufficiali del Comune di Milano, e soprattutto quella di Gasparino Barzizza. Da Pavia M. si diresse verso Milano dove arrivò il 18 ottobre 1418, dando luogo a grandi festeggiamenti che culminarono soprattutto nella consacrazione dell'altare maggiore del duomo. Come di consueto, gli intellettuali più famosi della città si cimentarono in elaborate orazioni, a partire da Uberto Decembrio e dallo stesso Gasparino Barzizza. Il 24 ottobre 1418 M. arrivò a Mantova, dove si sarebbe trattenuto fino al 6 febbraio successivo: il vescovo di Padova Pietro Donato sul versante ecclesiale e Guarino Veronese, se è giusta l'attribuzione tratta dai codici, sul versante letterario scrissero orazioni per tale circostanza. Avendo come principale obiettivo la ricostituzione dello Stato pontificio, M. procedette a riconoscere situazioni già esistenti, tentando tuttavia di ribadire l'autorità pontificia e al tempo stesso di regolare la riscossione dei censi: proprio da Mantova, ad esempio, confermò i privilegi a Terracina (7 novembre 1418), conferì per un triennio il vicariato di Imola a Ludovico Alidosi (13 novembre), quello di Forlì a Giorgio Ordelaffi (29 novembre); ridusse a tre anni il vicariato a Malatesta Malatesta, che invece Gregorio XII aveva concesso senza limiti temporali (29 gennaio 1419); nel gennaio 1419 nominò duca di Spoleto Guidantonio da Montefeltro, con il quale avrebbe mantenuto stretti rapporti tanto da concedergli in moglie nel 1424 la nipote Caterina Colonna. Probabilmente spinto da una volontà di ricomposizione anche delle parti religiose e sociali, M. emanò il 31 gennaio 1419 la bolla Sicut Iudeis nella quale veniva concessa la facoltà agli ebrei di esercitare qualsiasi attività, di riposarsi durante le feste ebraiche, nonché di lavorare durante le feste cristiane purché questo avvenisse non in pubblico. Ma soprattutto M. ricevette l'ambasceria bolognese e parimenti invitò il cardinale Albergati a fare da paciere con i Bolognesi.
Durante la tappa mantovana M. si dedicò anche a recuperare alcuni libri che potevano essergli utili, e precisamente, come risulta dal breve del 21 dicembre 1418 (Exigit equitas), diede quietanza dell'avvenuta consegna a François de Conzié, vescovo di Narbona e camerario papale già al servizio di Giovanni XXIII: si tratta di un messale, due pontificali e un cerimoniale che già nel 1415 Giovanni XXIII aveva fatto pervenire dalla biblioteca papale conservata ad Avignone, a cui si aggiungono, anche questi provenienti da Avignone, un Catholicon e lo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais in quattro volumi (il terzo e il quarto sono stati identificati con i mss. Vat. lat. 1965 e 1966 della Biblioteca Apostolica Vaticana).
M. decise poi di trasferirsi a Firenze; durante la sosta a Ferrara, il 10 febbraio 1419, ricevette la delegazione del Comune di Bologna, incontro che era stato preparato da lunghe trattative mediate dal vescovo di Bologna Niccolò Albergati già durante il soggiorno a Mantova. A Firenze M. prese alloggio presso il monastero di S. Maria Novella: la sacrestia della chiesa fu trasformata per ospitare adeguatamente il pontefice e la Curia, come si ricava dai pagamenti effettuati il 2 marzo 1419 al falegname Michele e soci e come testimonia Bartolomeo di Michele del Corazza nel suo Diario. Al seguito della Curia era nominato come depositario generale il direttore del Banco Spini di Roma che, dopo la bancarotta del 1420, sarebbe stato sostituito dal rappresentante della filiale di Roma del Banco dei Medici. Una delle prime preoccupazioni fu quella di sancire un accordo con la regina Giovanna di Napoli, alla quale M. promise di riconoscerne i diritti; il 24 gennaio 1419 il fratello Giordano insieme con il cardinale legato Pietro Morosini aveva assistito all'investitura papale del Regno napoletano; al tempo stesso M. ottenne la restituzione della Chiesa di Benevento nonché il riconoscimento per i suoi fratelli di alcuni feudi esistenti nel Regno di Napoli, come i Ducati di Amalfi e di Venosa, con la promessa di concedere a Giordano il Principato di Salerno; il 6 marzo 1419, su ordine della regina Giovanna, il generale Sforza Attendolo sgomberava Roma, aprendo la strada ad un ritorno del pontefice nella città, mentre da parte sua il fratello Giordano, una volta tornato a Roma, procedeva a pacificare Savelli e Orsini.
Nel 1419 M. sancì un primo accordo con il Comune di Bologna, al quale veniva concessa l'elezione di tutti i pubblici ufficiali nonché l'esercizio delle finanze, mentre la nomina del podestà rimaneva al pontefice (che doveva scegliere fra tre candidati designati dal Comune nel caso che si trovasse in Bologna o entro un raggio di 100 leghe) o, in caso contrario, al vescovo di Bologna; il Comune, al quale M. fino a quel momento non concesse il vicariato, tornando sotto il governo della Santa Sede, accettava di versare 5.000 fiorini per il 1418, 8.000 per il 1419 e 10.000 per il futuro, contribuendo a sostenere finanziariamente le spese per l'esercito che il pontefice stava organizzando contro Braccio. Questi infatti aveva assediato Spoleto nell'aprile 1419, sia pure con scarsi risultati anche per l'intervento da parte di Carlo Malatesta: ma la posizione della Signoria fiorentina da un lato e lo stravolgimento delle alleanze con il Regno di Napoli dall'altro portarono M. ad un accordo con lo stesso Braccio che sarebbe stato sancito il 26 febbraio 1420 con la restituzione del Ducato di Spoleto, delle città di Orvieto, Narni e Orte da parte di Braccio e con la concessione in vicariato di Perugia, Todi e Iesi. Nel frattempo, in risposta alla decisione da parte della regina Giovanna di appoggiare Alfonso d'Aragona come suo successore, M. con una bolla segreta designava nel novembre 1419 Luigi d'Angiò come successore nel Regno di Napoli.
In relazione ai rapporti con la Chiesa d'Oriente, M. nell'aprile 1419 ricevette la visita di Teodoro Crisoberga, che il 10 aprile 1418 aveva creato vescovo di Olene, nonché la visita di Nicola Eudaimonoioannes; il 27 marzo 1420 M. nominava legato il cardinale Pietro Fonseca per un enventuale concilio da tenersi a Costantinopoli, come insistentemente richiedeva l'imperatore bizantino Manuele II; il cardinale Fonseca sarebbe stato poi immediatamente inviato in Spagna nel tentativo di risolvere la questione con Benedetto XIII. Inoltre con la bolla del 12 luglio 1420 M. accordava indulgenze a chiunque avesse contribuito a vario titolo per la crociata contro il Turco, che sarebbe stata comandata dall'imperatore Sigismondo, mentre il 21 agosto chiedeva all'arcivescovo di Colonia di procurare 6.000 fiorini per sovvenzionare il progetto dell'unione e in pari data agli arcivescovi di Magonza e Treviri 4.000 fiorini per il medesimo progetto. Ma a Firenze soprattutto M. ricevette l'omaggio e l'obbedienza di Baldassare Cossa, cioè il deposto Giovanni XXIII, al quale il 23 giugno 1419 M. concesse il cappello di cardinale vescovo di Tuscolo, episodio questo ampiamente ricordato dal Bruni nei Rerum suo tempore gestarum Commentarii. Con tale atto di sottomissione si celebrava la fine dello scisma, come avrebbe bene illustrato il cardinale Jean Fraçon Allarmet de Brogny in un sermone recitato a Firenze il 2 luglio 1419; del resto gli stessi giuristi richiedevano la piena reintegrazione del Cossa, come si deduce dalle orazioni di Antonio Roselli, dottore "in utroque iare", e di Paolo Capograssi di Sulmona, antico chierico di Camera dello stesso Giovanni XXIII.
Dopo la morte del Cossa M. minacciò di scomunicare Giovanni Bicci per recuperare una mitria di Giovanni XXIII data in garanzia per un prestito di denari; ugualmente, con l'intento di recuperare materiali importanti, Branda da Castiglione, in qualità di reggente della Cancelleria, imponeva a Giovanni de' Medici di restituire registri e documenti di Giovanni XXIII.
Durante il soggiorno fiorentino M. non trascurò i problemi della diocesi che lo ospitava: innanzi tutto il 2 maggio 1419 mutava il vescovado di Firenze, di cui era titolare fin dal 1411 Amerigo Corsini, in arcivescovado; né tralasciava la questione della disciplina degli Ordini se ad esempio nel settembre 1419, come testimonia la relazione autografa di Ambrogio Traversari, inviava una visita apostolica a Camaldoli dove erano sorti feroci contrasti. Avendo istituito inoltre, proprio nel 1419, la nuova Congregazione dell'Osservanza di S. Giustina di Padova, M. vi inserì tra i quattro monasteri anche la badia fiorentina, di cui dal 1419 era abate il portoghese Gomes Eanes che nel 1423 sarebbe stato eletto presidente della Congregazione stessa; invano nel 1420 i Domenicani del convento di Fiesole chiedevano a M. di concedere loro il monastero di S. Marco in Firenze, dove la Congregazione silvestrina sembrava immersa in un periodo di grave crisi. M. consacrò inoltre la chiesa di S. Egidio, come è tra l'altro testimoniato da un affresco dipinto da Masolino ed ancora oggi conservato presso la chiesa di S. Maria Novella, come pure consacrò l'ospedale di S. Maria Nuova, episodio questo ricordato dall'affresco di Bicci di Lorenzo conservato presso lo stesso ospedale.
Fin da questi primi anni M. esercitò con molta chiarezza nei confronti degli Ordini religiosi un'azione di sostegno a favore dei movimenti riformatori interni agli Ordini stessi: così ad esempio, dopo aver nel 1418 revocato tutti i privilegi concessi dai precedenti pontefici a favore dell'Ordine delle Brigidine, con la bolla del 7 aprile 1419, in cui inseriva la cosiddetta "Regula sancti Salvatoris", riconosceva l'Ordine fondato da Brigida di Svezia. Analogamente, dopo aver annullato i privilegi concessi da Giovanni XXIII (che il 26 marzo 1414 aveva riconosciuto con la Super gregem l'Ordine dei Servi di Maria), M. nel novembre 1418, su richiesta del generale dello stesso Ordine, Stefano di Borgo San Sepolcro, concedeva il diritto di mendicare, per poi riconoscere il Terzo Ordine dei Servi solo più tardi con la bolla Sedis apostolicae del 16 marzo 1424. Il rilancio di quest'Ordine l'avrebbe poi portato ad inviare Stefano di Borgo San Sepolcro in missione in Polonia. Ed ancora: con una bolla del 6 gennaio 1420 M. stabiliva che i padri provinciali dei Frati Agostiniani non potessero essere rieletti, mentre con una bolla del 24 settembre 1420 esentava i Certosini dal pagamento delle decime. Il 30 giugno 1421 avrebbe poi sancito l'unione dei Canonici Regolari di S. Agostino. Ma anche nei confronti delle diocesi favorì l'azione riformatrice di alcuni vescovi, come ad esempio Otto von Ziegenhain, vescovo di Treviri, al quale sono indirizzati numerosi documenti del pontefice a partire dal 22 agosto 1419; e proprio a Treviri si tenne il Capitolo provinciale degli abati benedettini dove furono sancite importanti decisioni inerenti la riforma dell'Ordine. Nel 1421 M. avrebbe designato legato in Germania il cardinale Branda da Castiglione con lo scopo di attuare la riforma dei vescovati tedeschi.
Nel quadro di un consolidamento della struttura finanziaria già da questi primi anni M. sembra rivolgere particolare attenzione alla scelta dei collettori ecclesiastici, come avviene ad esempio per Simone Lelli da Teramo, nominato collettore per l'Inghilterra il 6 settembre 1420; per quanto riguarda invece la politica beneficiaria, relativamente all'università, M. con una bolla del 7 giugno 1419 consentiva ai chierici (compresi i suddiaconi) di frequentare qualsiasi insegnamento, nonostante le disposizioni contrarie di Onorio III. A Firenze M. riceveva l'ambasceria dei Bolognesi e soprattutto nel luglio 1420 riduceva Bologna all'obbedienza papale, con un accordo che limitava fortemente le prerogative del Comune il quale, pur conservando la struttura finanziaria, era sotto il controllo del tesoriere apostolico: il 4 agosto 1420 M. nominava il tesoriere apostolico di Bologna nella persona non di un curiale ma del mercante fiorentino Pietro Bartolomeo de Borromeis; il 20 agosto nominava "legatus Bononie" il cardinale Alfonso di Castiglia (20 agosto 1420), che il 26 agosto entrava in città. In prospettiva del ritorno della Curia a Roma, il papa già da Firenze procedeva ad alcune significative disposizioni volte alla restaurazione dello Stato pontificio e soprattutto al lento ma ben preciso processo di esautorazione delle cariche cittadine sottoponendole al controllo degli uffici curiali: in relazione alla risistemazione dell'ordine pubblico e della giustizia M. nominò il 27 aprile 1419 Ranuccio Farnese senatore di Roma, mentre il 24 settembre avrebbe riconfermato Giovanni degli Astalli "thesaurarius de Urbe"; il 23 febbraio 1420 nominò camerario di Ripa e Ripetta il romano Lorenzo de Picotiis; subito dopo il ritorno nell'Urbe il vicecamerario della Camera apostolica avrebbe inviato a Giovanni Astalli, tesoriere della "Camera Urbis", la tavola degli stipendi mensili; sempre in prospettiva di tale ritorno il pontefice istituì una commissione di sorveglianza per il restauro delle basiliche e delle chiese di Roma, devolvendo consistenti somme di denaro.
La presenza a Firenze del pontefice diede luogo a numerosi e tradizionali omaggi: M. ricevette in dono dal teologo agostiniano Luca de Offida l'attuale ms. Vat. lat. 938 della Biblioteca Apostolica Vaticana, contenente la Summa de ecclesiastica potestate di Agostino Trionfo; il canonico fiorentino Salutato Salutati donava l'attuale ms. 206 della Houghton Library dell'Harvard University (Cambridge, Mass.), contenente il De seculo et religione del padre Coluccio Salutati; Lorenzo, figlio di Domenico di Bandino, dedicava a M. l'ultima stesura del Fons memorabilium universi del padre, di recente deceduto. Antonio Baldana, inoltre, studente di diritto a Firenze, offriva al pontefice il suo De Magno schismate, l'attuale ms. 1194 della Biblioteca Palatina di Parma, un resoconto in versi che si arrestava agli episodi del giugno 1419, cioè fino alla sottomissione di Giovanni XXIII, e che era arricchito da un corredo di illustrazioni molto ampio.
Il 9 settembre 1420 M. lasciava Firenze dirigendosi verso Roma, dove arrivò il 28 settembre, per poi fare, il 30 dello stesso mese, l'ingresso trionfale da S. Maria del Popolo fino a giungere a S. Pietro. A quanto è testimoniato dal diario concistoriale conservato nel codice Vat. lat. 12123, M. spostò spesso la sua residenza all'interno della città, da S. Pietro a S. Maria Maggiore nei primi anni; a partire dal 1424 sembrò prediligere la basilica dei SS. Apostoli, pur non trascurando la basilica di S. Giovanni in Laterano. Costante rimaneva comunque lo spostamento estivo insieme con la Curia in località di stretta pertinenza della famiglia Colonna (Tivoli, Vicovaro, Marino, Gallicano, Genazzano). Dopo il ritorno a Roma M. rivolse particolare cura e attenzione alla restaurazione del potere pontificio nei vari Comuni e vicariati soggetti alla Santa Sede, con il contemporaneo ristabilimento della struttura finanziaria, anche se le misure e i provvedimenti furono alquanto diversi nei singoli casi, concedendo maggiori, o minori libertà: a parte le città di Ancona e di Macerata, M. attuò nella Marca, nel Patrimonio e nella Tuscia la tendenza ad assoggettare il contado alle città maggiori, nonché a favorire famiglie o fazioni dominanti; per quanto riguarda invece l'istituto del vicariato M., seguendo le indicazioni di un decreto del concilio di Costanza, cercò di assegnarlo per il periodo di un triennio, anche se fece qualche eccezione, come per i da Polenta a Ravenna (un decennio); in alcuni casi seguirono rivolte da parte degli eredi, caso che si verificò alla morte di Carlo Malatesta a Rimini nel 1429.
Ma il problema fondamentale restava Braccio da Montone: nonostante gli avesse nel 1423 rinnovato il vicariato, M. continuava la sua lotta articolata sia attraverso le vie diplomatiche sia attraverso la designazione del nipote Ludovico Colonna a capo dell'esercito pontificio; dopo la rivolta della città dell'Aquila che si dichiarava fedele a Luigi d'Angiò, e dopo la frattura tra la regina Giovanna ed Alfonso d'Aragona, l'esercito pontificio insieme con quello napoletano comandato da Giacomo Caldora e Francesco Sforza sconfisse il 2 giugno 1424 Braccio da Montone, che moriva tre giorni dopo. In ricompensa per la fedele partecipazione degli Aquilani alla battaglia contro Braccio, M. emanò una bolla datata Gallicano 9 agosto 1424 con la quale istituiva la diocesi dell'Aquila.
Dopo la battaglia dell'Aquila la città di Perugia, che già nel 1392 aveva fatto piena sottomissione alla Santa Sede, ma che era stata assoggettata prima a Ladislao e poi a Braccio da Montone, rientrò nell'ubbidienza pontificia e nello stesso 1424 fu sancito un accordo tra M. e il Comune, in base al quale il legato era scelto dal pontefice, ma doveva essere ugualmente gradito al governo della città; in tale accordo furono inoltre stabilite precise indicazioni per la tassazione fiscale che era devoluta alle due Camere, quella dei "conservatores monetae" e quella dei "massari", con a capo un tesoriere apostolico; nel marzo 1425, dopo che una legazione capeggiata da Francesco de' Coppoli si era recata a Roma, fu sancito il sussidio minimo di 12.000 fiorini all'anno, per il quale invano nel 1428 fu richiesta la riduzione da parte di un'altra ambasceria; nel 1428 fu istituita inoltre la carica di capitano; quando poi Domenico Capranica successe come legato a Pietro Donato l'assoggettamento della città alla Santa Sede divenne più palese.
Il consolidamento del potere pontificio si accompagnava anche ad una risistemazione della struttura finanziaria che, dopo le limitazioni poste dal concilio di Costanza alle cosiddette entrate spirituali, si concentrava su quelle temporali, secondo un processo in base al quale la finanza pontificia si veniva a sovrapporre a quella degli ordinamenti locali nelle terre "immediate subiecte", sia pure secondo modalità quanto mai diversificate: delle cinque tesorerie funzionanti - cioè la Marca d'Ancona, Ascoli, Perugia, il Patrimonio e Campagna e Marittima - sono rimasti soltanto i libri delle entrate e delle uscite a partire dal 1420-1421 per il Patrimonio, dal 1422 per la Marca e dal 1427 per Campagna e Marittima; il tesoriere entrò invece in funzione a Perugia e all'Aquila solo dal 1424, da quando cioè queste due città passarono sotto il dominio diretto della Santa Sede.
Con il ritorno a Roma M., pur avendo unificato le tre Curie, cercò di ridimensionare la partecipazione francese all'amministrazione papale, appoggiandosi per lo più sul personale dell'obbedienza pisana, anche se il ciambellano François de Conzié e il vicecancelliere Jean de Broniac avevano iniziato sotto l'obbedienza avignonese e solo in un secondo momento si erano avvicinati a quella pisana; dopo i primi anni in cui ben diciotto segretari erano al servizio della Curia, in quanto provenivano da obbedienze diverse, M. riuscì a ridimensionare il numero dei segretari tanto che negli anni 1429-1431 ne ebbe solo quattro. Invece, relativamente ai referendari, per i quali il concilio di Costanza prevedeva un numero massimo di sei, non riuscì a seguire tali direttive, tanto che se ne contano ben settantacinque per l'intero pontificato. Nel segno della continuità M. utilizzò le regole della Cancelleria pontificia sulla base di quelle del papato pisano, nonché mantenne, almeno teoricamente, la distinzione, scaturita dalla riforma della Cancelleria operata da Giovanni XXIII, tra "cancellaria gratiae" (composta dal vicecancelliere e da dodici abbreviatori del "parcus maior") e la "cancellaria iusticiae" (formata dal vicecancelliere, da notai e altri esperti). La carica di "magister domus", istituita da Alessandro V, fu però sostituita con quella di "praefectus Sacri Palatii"; al "datator", che compare nella regola 36 della Cancelleria apostolica al tempo di Giovanni XXIII, fu sostituito il "datarius", configurando già dal 1418 e poi con maggiore evidenza nelle regole 112 (15 settembre 1420) e 121 (15 ottobre 1421) l'ufficio della Dataria come un ufficio autonomo della Cancelleria. M. definì anche i criteri per divenire avvocati concistoriali, per cui era necessario aver insegnato almeno tre anni in una famosa università. Nel 1425, nell'ambito della riforma della Penitenzieria, avrebbe anche ridefinito le funzioni del cardinale penitenziere. La riforma della Curia, che si articolava dalla proibizione dell'accumulo delle cariche e delle deleghe alla ricerca di un adeguato sostentamento per il personale, si inseriva del resto nelle direttive del concilio di Costanza, in base alle quali la riforma della Chiesa significava anche riforma della Curia. L'internazionalità di quest'ultima emerge chiaramente dal Liber officialis, anche se esso non comprende per intero tutti i membri della stessa Curia (un esemplare del Liber, l'attuale codice Vat. lat. 8502, fu eseguito dal copista Petrus Uberti su ordine del camerario François de Conzié). Tale internazionalità costituiva un elemento qualificante delle scelte politico-ecclesiali di M., anche se i livelli più alti erano occupati da personale italiano: la vera patria, come avrebbe teorizzato Poggio Bracciolini in una lettera del 7 marzo 1428 a Francesco Barbaro, è la Curia romana. In tal senso M. favorì l'arrivo in Curia degli uomini più dotti del suo tempo: e se Cencio de' Rustici e Bartolomeo Aragazzi da Montepulciano non avevano mai abbandonato la Curia, non altrettanto avevano ad esempio fatto lo stesso Poggio ed Antonio Loschi, che ritornavano in Curia proprio con la mediazione del pontefice Colonna. Nel conferimento della cittadinanza romana ad Antonio Loschi (26 marzo 1422) - un breve stilato da Cencio de' Rustici - veniva ribadita l'attenzione del pontefice nei confronti dell'"alma Urbs" rispetto alle altre città, al fine di incrementarne lo sviluppo e il benessere. Nello stesso anno 1422 veniva anche sottolineata l'autonomia politica dei curiali: infatti nel 1422 il vicecamerlengo, il cardinale Louis Aléman, rivendicando la "libertas curialium et romanam curiam sequentium", ribadiva al senatore di Roma Bartolomeo Gonzaga l'immunità e l'esenzione dalle magistrature cittadine. Particolare cura dimostrò M. nella conservazione e nel recupero dell'archivio della Camera apostolica: sono rimasti infatti un documento relativo al trasporto dei registri camerali da Bologna a Firenze, le spese per lavori della "sala del registro", nonché le spese per l'allestimento di casse che dovevano contenere documenti della Tesoreria. Il 6 luglio 1428 M. ordinava che i registri di lettere e bolle della Cancelleria apostolica fossero trasportati da S. Maria sopra Minerva ai SS. Apostoli, dove del resto aveva fissato la sua residenza per molti mesi dell'anno. M. non mancò di interessarsi ai rapporti con la Chiesa d'Oriente: non a caso Bartolomeo Facio, nel suo De viris illustribus, lo avrebbe ricordato come il pontefice di grande autorità che aveva ripristinato non solo l'unità della Chiesa ma aveva ricondotto i Greci "ad orthodoxam fidem"; ed è certo significativo che la famosa lettera del "prete Gianni", in cui viene difesa l'ortodossia della Chiesa orientale, fosse per così dire aggiornata all'anno 1426, durante il pontificato cioè di Martino. Il 15 giugno 1422 M. inviò il francescano Antonio di Massa come nunzio a Costantinopoli per trattare con l'imperatore Manuele II l'unione religiosa, ovvero il ritorno dei Greci "nell'unico ovile di Cristo": con difficoltà Antonio di Massa riuscì ad ottenere udienza il 20 ottobre dall'imperatore Giovanni VIII, che nel frattempo era impegnato per la successione paterna e che solo il 14 novembre forniva una risposta nella quale, pur rifiutando l'unione, si accennava alla possibilità di convocare un concilio nel quale discutere la questione del Filioque, del purgatorio e della eucarestia, temi che, come è noto, saranno discussi al concilio di Ferrara e Firenze. La relazione finale di Antonio di Massa - documento alla cui stesura parteciparono come notaio Francesco Filelfo e come testimone Giovanni Aurispa - fu in seguito letta ed ampiamente commentata l'8 novembre 1423 al concilio di Siena.
Al ritorno da questo viaggio Antonio di Massa avrebbe portato un codice greco con le Vitae philosophorum di Diogene Laerzio e un altro con l'Adversus Graecorum errores de processione Spiritus Sancti di Manuele Caleca, testi che sarebbero stati tradotti da Ambrogio Traversari proprio su ordine di Martino. Il Traversari avrebbe tradotto in un solo mese il trattato di Caleca portandolo a termine il 29 aprile 1423 e dedicandolo allo stesso pontefice, traduzione questa che avrebbe avuto una immediata ed ampia fortuna, ovviamente in ambiente curiale. Del resto al Traversari e contemporaneamente al priore del monastero di Camaldoli si rivolgeva M. con due brevi (databili tra il 1423 e il 1426) nei quali esortava il monaco a tradurre solo testi sacri e il priore ad esonerare il Traversari da altri compiti che lo potessero distogliere dal lavoro di traduzione.
Con una bolla del 25 gennaio 1426 M. cercava di regolare uno dei punti più scabrosi che distanziavano le due Chiese, cioè quello del sacramento dell'eucarestia ("De sacramento eucharestiae laicis sub una tantum specie iuxta Constantiensis sancita concilii ministrando"). Cercando di mantenere i rapporti con l'imperatore bizantino, nel 1426 M. inviò a Costantinopoli il domenicano Andrea Crisoberga, che poi avrebbe nominato "magister Sacri Palatii" ed al quale avrebbe concesso il 16 febbraio 1430 un indulto con cui gli assicurava l'eredità del fratello Teodoro. Proprio nel 1430 fu inviata a Roma dall'imperatore d'Oriente un'ambasceria composta dal funzionario Marco Iagaris e dal monaco Macario Makrès con lo scopo di discutere di fronte al papa sui principali problemi teologici che separavano le due Chiese, e precisamente intorno all'eucarestia e alla processione dello Spirito Santo.
Mantenendosi alle disposizioni del concilio di Costanza, M. convocò il concilio a Pavia, che si aprì il 23 aprile 1423 con una messa solenne celebrata da Andrea Poznam e con un sermone pronunciato da Giovanni da Ragusa a commento del versetto di Giovanni 10, 16 ("Fiet unum ovile et unus pastor"). Già lo stesso Giovanni da Ragusa il 7 dicembre 1422 aveva recitato in S. Maria Maggiore a Roma un sermone nel quale, sollecitando proprio il concilio di Pavia, ricordava i punti nodali della politica pontificia, cioè il problema degli ussiti e quello dell'unione con i Greci. Pochi prelati parteciparono al concilio di Pavia e lo stesso pontefice rimase a Roma, nonostante che nel marzo dello stesso anno avesse fatto elaborare un progetto di riforma da alcuni cardinali tra i quali Giordano Orsini. Nel giugno 1423, a causa dello scoppio della peste, M. decise di trasferire il concilio; dopo lunghe trattative e dopo numerose ambascerie inviate a Roma dalla Signoria di Siena fu scelta quest'ultima città. Nella prima sessione del 31 ottobre 1423, dove ancora una volta Giovanni da Ragusa fu designato a recitare il suo sermone, furono riconfermati tutti i decreti del concilio di Costanza. Nonostante le promesse, M. non si recò a Siena. Il 19 febbraio 1424 fu scelta Basilea come sede del successivo concilio, mentre il 26 febbraio fu emanata una bolla "secreta" con la quale si proclamava chiuso il concilio, con la conseguenza di una spaccatura tra quanti avevano ad esso partecipato. Nello stesso periodo in cui aveva aperto il concilio a Pavia, M. dovette affrontare il problema della convocazione del giubileo che, essendo trascorsi trentatré anni dal 1390, doveva convocarsi proprio in quel 1423: pochi sono i documenti superstiti ed il giubileo del 1423 costituisce un discusso problema storiografico, nel senso che l'esistenza dello stesso proviene non da una documentazione pontificia, ma da limitati accenni tratti da cronache contemporanee. Probabilmente, con la presenza di Benedetto XIII in Spagna e l'appoggio a questi fornito da Alfonso d'Aragona, M. preferiva con prudenza non convocare in forme solenni tale giubileo; decisa per converso fu invece la sua azione nei confronti del cosiddetto giubileo inglese del 1420 che celebrava l'anniversario della morte di Thomas Becket, giubileo nei confronti del quale, durante il soggiorno fiorentino, si era mostrato non del tutto contrario, sia pure attraverso un cosiddetto "oraculum vive vocis", ma che nel 1423 condannava invece molto severamente. Tra il 1423 e il 1424 va comunque collocato tale giubileo.
Nel 1423 con la bolla In coena Domini M. condannava l'eresia dei Fraticelli, e proprio nel 1424, in relazione a numerose denunce della presenza di tali Fraticelli "de opinione", M. esercitò una dura azione repressiva, concedendo ad esempio ampi poteri a Pietro Colonna, rettore della Marca Anconetana, al fine di perseguirli ma anche di concedere indulti a quanti avessero fatto pentimento; di pari passo M. si appoggiò sulla predicazione di Giacomo della Marca, aderente all'osservanza francescana, con la concessione di procedere su tutto il territorio. Segno analogo di fermenti e di polemiche costituiva anche la predicazione di fra Bernardino da Siena, che proclamava la devozione al nome di Gesù: dopo le accuse sollevate contro Bernardino dal domenicano Luigi Tosi da Pisa che da Bologna ne additava l'eresia, e forte soprattutto dell'appoggio degli Agostiniani che con Andrea Biglia ne criticavano le posizioni dottrinali, M. nella Pasqua del 1427 convocò a Roma Bernardino per sottoporlo ad un serrato processo: nonostante le previsioni, il frate ne uscì ampiamente vincitore e rafforzato nelle linee della sua predicazione. Il 1425 rappresenta un anno importante per la storia della città di Roma: M. approvava gli Statuti cittadini del 1363, nonché le prime leggi suntuarie per Roma, che poi sarebbero state confermate da Eugenio IV nel 1442. Ma soprattutto con la bolla Etsi de cunctarum del 1425 M. individuava la causa del degrado della città di Roma collegandolo alle conseguenze delle attività lavorative dei macellai, pescivendoli e conciatori di pelle. In relazione a tale stato di degrado ripristinava l'antica magistratura dei Maestri di strada. E non è un caso che proprio in questi anni Niccolò Signorili, caporione del rione Monti nonché appartenente alla Confraternita del S. Salvatore, dedicasse al pontefice il De iuribus et excellentiis Urbis Romae, un'opera che, come si legge nel proemio, gli era stata direttamente commissionata dal pontefice e nella quale venivano presi in esame non solo l'elenco delle basiliche, come suggerirebbe l'edizione parziale del Codice topografico della città di Roma, ma anche la storia e le origini della città di Roma. Nel quadro della sicurezza dei commerci rientravano anche le comunicazioni fluviali e marittime, e non è un caso che fossero concessi numerosi salvacondotti per i proprietari delle galee, come ad esempio Gaspare Vignola, che in realtà sancivano patti molto più complessi; in particolare venivano tutelati i trasporti di grano, che ovviamente servivano per il rifornimento annonario. La dogana di Ripa veniva in tal modo posta alle dirette dipendenze della Camera apostolica ed i proventi erano utilizzati per gli scopi più diversi. Per quanto riguarda la promozione degli "Studia", uno dei primi provvedimenti di M. fu di nominare il 2 novembre 1420 il reggente dello "Studium curiae" nella persona del domenicano Giovanni Casanova, prelato di fiducia che egli stesso avrebbe designato nel 1423 confessore di Alfonso d'Aragona e poi nel 1426 elevato alla porpora cardinalizia.
Nessun documento specifico consente di valutare l'azione di M. nei confronti dello "Studium Urbis", che ovviamente aveva molto sofferto durante l'assenza del pontefice: di particolare interesse, anche se il progetto non fu realizzato, risulta la fondazione di un collegio universitario presso la chiesa di S. Apollinare in Roma, destinato agli scolari poveri ed elaborato dal cardinale Branda da Castiglione, come si ricava da un breve del 3 settembre 1427. Ugualmente con una bolla del 23 maggio 1430 M. fondava, su istanza del vescovo di Recanati Alberto Guidalotti, la Casa di S. Girolamo (detta anche Sapienza nuova) presso l'Università di Perugia, nei confronti della quale si era sempre mostrato particolarmente attento sia riconoscendo le immunità dello Studio (in concomitanza, tra l'altro, con la restituzione della sovranità pontificia su Perugia nel luglio 1424) sia aumentando nel 1426 e nel 1428 la dotazione dello stesso. Per quanto riguarda, inoltre, lo Studio bolognese, dopo che durante lo stesso concilio di Costanza erano state rivolte accuse a Giovanni XXIII per aver ridotto l'antica istituzione quasi "ad nihilum", M. su istanza dei più famosi dottori del tempo confermò i privilegi di Bonifacio IX, favorendo il Collegio gregoriano che era stato fondato da Gregorio XI. Sono inoltre documentati i suoi interventi per altre città, come ad esempio l'assegnazione di entrate per l'Università di Torino (28 gennaio 1420) o come la fondazione nel 1421 della Facoltà di teologia a Montpellier; con la bolla Sapiencie immarcescibilis (9 dicembre 1425) istituiva lo "Studium" generale a Lovanio con esclusione però della Facoltà di teologia, per ottenere la quale invano una delegazione si recò a Roma a metà ottobre 1426. Del resto non erano mancati già dagli anni di Costanza interventi a vario titolo per l'Università di Salamanca in particolare, ma anche per Lipsia, Nantes, Oxford, Valladolid, Vienna.
Come ricorda anche il Liber pontificalis, di cui M. costituisce appunto l'ultima biografia, il pontefice Colonna si distinse per l'azione restauratrice nei confronti della città di Roma.
Tra i primi provvedimenti di restauro ovviamente fu privilegiata la basilica di S. Pietro, di cui in particolare M. promosse il rifacimento del portico; ed anche per quanto riguarda i Palazzi Vaticani sono attestati tra l'ottobre 1420 e il maggio 1422 numerose spese per alcuni ambienti, come l'aula del Concistoro, la camera del pontefice e la cappella maggiore. Nel 1421, proprio perché sede del carcere pontificio, fu restaurata la torre di Tor di Nona. Al 1423 risale inoltre il restauro del Pantheon, in particolare il rinnovo dei piombi del soffitto che erano caduti nel 1405 a causa di una tempesta; sempre nel 1423 è costruita una stanza all'interno di Castel S. Angelo, i cui lavori di ristrutturazione erano iniziati fin dal 1398. Nel 1423 inoltre M. concesse l'autorizzazione ai lavori di ristrutturazione dell'Ospizio di S. Stefano degli Ungheresi che sarebbero stati a carico del re Sigismondo di Ungheria. Al 1423-1424 risalgono i lavori per la basilica e il palazzo di S. Maria Maggiore; nel 1425 M. affidò al cardinale Gabriele Condulmer (il futuro Eugenio IV) l'incarico di restaurare la basilica di S. Paolo, per la quale già dal 1423, con la concessione di particolari indulgenze, aveva sollecitato i fedeli a devolvere una parte dei propri lasciti testamentari. Nel 1425, in occasione del restauro di S. Giovanni in Laterano, M. autorizzò l'utilizzazione di marmi e pietre di edifici ecclesiastici che si trovassero fuori dell'abitato ed in pieno stato di abbandono. Tra il 1424 e il 1427 fu restaurato il ponte di S. Maria, dopo che restauri minori erano stati apportati ad altri ponti, ovviamente allo scopo di facilitare le vie di comunicazione, e precisamente il ponte Nomentano e il ponte Salario (1423) e il ponte Milvio (1424), come pure per uno scopo difensivo erano state fortificate le porte Appia e Pinciana (1424). Fu inoltre spianata la piazza dell'Ara Coeli. Nel 1427 fu fortificato il palazzo senatorio del Campidoglio con la costruzione di una torre, palazzo che già nel marzo 1420, prima del ritorno della Curia, la "Camera Urbis" aveva provveduto a restaurare; del resto, in quanto simbolo del potere municipale, nel 1404 i Romani avevano chiesto ad Innocenzo VII di provvedere proprio al restauro del Campidoglio, che avrebbe dovuto tra l'altro recuperare la sua funzione di centro politico e amministrativo. A scopo difensivo fu inoltre da M. sollecitato il lavoro di rafforzamento della torre di Ostia, nonché furono realizzati numerosi lavori di drenaggio. In tale ottica di riorganizzazione edilizia un particolare rilievo assume nel 1425 la già ricordata decisione di M. di avocare a sé la nomina dei "magistri aedificiorum, viarum et stratarum ac decursuum aquarum". Anche fuori di Roma M. promosse numerosi restauri, primo di tutti il palazzo papale di Avignone, ma anche numerose chiese d'Italia come per esempio S. Maria ad Orvieto, S. Domenico a Venezia e le chiese di Velletri. Tra le nuove costruzioni vanno segnalati il palazzo di famiglia fatto erigere a Roma accanto alla chiesa dei SS. Apostoli, ad opera soprattutto del fratello Giordano, e il castello fatto innalzare a Genazzano.
Del resto proprio nell'Oratiuncula ad summum pontificem Martinum V Leonardo Bruni, che era stato inviato nel giugno 1426 insieme con Francesco Tornabuoni in ambasceria a Roma, si soffermava non tanto sulle "virtutes" o il carattere del pontefice, ma soprattutto sulle "res", ovvero sugli effettivi progressi compiuti da M. per il rafforzamento dello Stato pontificio, progressi che il Bruni individuava da un lato nel ristabilimento dell'ordine e della pace nelle turbolente campagne romane (consentendo in tal modo il tranquillo svolgersi della mercatura fiorentina) e dall'altro nella sistemazione urbanistica ed edilizia della città di Roma, avendo ordinato il restauro di numerose basiliche romane (in particolare S. Giovanni in Laterano) e dei ponti che attraversavano il Tevere. Anche Agapito de' Rustici, figlio del curiale Cencio, riconosceva ed esaltava l'azione restauratrice del pontefice tanto da indirizzargli l'appellativo di "tertius Romulus".
Nel 1427 M. commissionò a Gentile da Fabriano quegli affreschi in S. Giovanni in Laterano che furono distrutti in concomitanza con gli interventi del Borromini, ma di cui fornisce tra l'altro testimonianza Bartolomeo Facio nel suo De viris illustribus quando ricorda che Gentile dipinse l'"historia" di s. Giovanni Battista, apprezzandone in particolare la figura del profeta Geremia, dipinta come una scultura in marmo. Ancora dal Facio si apprende che Gentile aveva dipinto una "tabula" raffigurante M. e dieci cardinali. Dopo la morte di Gentile (1427), l'affresco narrativo del Laterano fu continuato da Pisanello, del quale si dispone di alcuni disegni che consentono la ricostruzione parziale del lavoro, in particolare per la scena del Battesimo di Cristo; al Pisanello si deve inoltre un foglio con un disegno riproducente il ritratto di M. che si conservava nella Collezione Koenigs del Museo Boymans di Rotterdam ma che è andato distrutto nella seconda guerra mondiale, e proprio agli anni di M. si deve il cosiddetto Libro romano di schizzi, un taccuino di disegni dello stesso Pisanello e della sua cerchia, nel quale sono riprodotti statue, monete, sarcofagi e monumenti celebri di Roma, in una sorta di studio e di disegno dall'antico. Nel 1428 M. commissionò a Masolino e Masaccio un doppio trittico per S. Maria Maggiore, di cui rimangono un pannello di Masaccio raffigurante s. Girolamo e s. Giovanni Battista conservato a Londra, e due pannelli di Masolino, rispettivamente a Napoli e nella Johnson Collection di Philadelphia. A quanto risulta da una lettera del 24 aprile 1429 all'arcivescovo di Tarantasia e ai vescovi di Maurienne e Belley, M. decise di utilizzare nella misura di un terzo le somme provenienti da pene inflitte agli ecclesiastici per procedere al restauro delle chiese romane.
Come scrive Poggio Bracciolini nelle anonime Vitae quorundam pontificum, M. fu accusato di nepotismo: è vero che nel 1422 e nel 1424 egli esentò dieci feudi dei Colonna dal pagamento della dogana minuta, ma in definitiva non i parenti stretti della famiglia risultano favoriti (anche perché i fratelli Giordano e Lorenzo morirono molto presto, rispettivamente nel 1424 e nel 1419, e i nipoti erano abbastanza in tenera età), ma i compatrioti provenienti dai feudi appartenenti ai Colonna di Genazzano. Il 1° febbraio 1427 con la bolla Etsi prudens regolava la successione dei nipoti Antonio, Prospero e Odoardo nei domini della famiglia che fino a quel momento erano indivisi; probabilmente riguardava il patrimonio personale del pontefice la somma di 1.185 fiorini che risulta a suo credito nel bilancio del 12 luglio 1427 stilato dal Banco de' Medici.
Negli ultimi anni del pontificato M. seguì ampiamente le linee direttive già espresse nei vari settori di intervento. Il 26 maggio 1426 promosse la prima creazione cardinalizia, conferendo il cappello ai francesi Giovanni di Rupescissa, Louis Aléman, all'inglese Enrico di Beaufort, al praghese Giovanni de Bucca, al vescovo di Siena Antonio Casini, a Niccolò Albergati, di cui si era servito per la mediazione con Bologna, al veneziano Raimondo Morosini, allo spagnolo Giovanni Cervantes, ad Ardicino della Porta, ad Ugo da Lusignano, a Domenico Ram, a Domenico Capranica, a Giuliano Cesarini, al nipote Prospero Colonna, quest'ultimo sia pure "in pectore", in quanto la nomina sarebbe stata pubblicata solo l'8 novembre 1430. A questa data risale anche la seconda creazione cardinalizia che sarebbe stata limitata solo a due nomi, cioè il domenicano Giovanni Casanova e Guillaume Dinan de Montfort, evidentemente per non superare il numero dei cardinali che appartenevano al Collegio cardinalizio, secondo i dettami del concilio di Costanza.
Per quanto riguarda la linea politica nei confronti degli Ordini religiosi M. cercò sempre di favorire tendenze di autoriforma all'interno di ciascun Ordine. Nel 1428 sancì la separazione della badia fiorentina dagli altri monasteri della Congregazione di S. Giustina; in tale occasione si distaccò dalla Congregazione anche l'abate di S. Giorgio Maggiore di Venezia, Giovanni Michiel, alla cui morte nel 1430 sarebbe stato designato come abate Gabriele Condulmer. In ogni caso M. tentò di ridurre gli abusi degli Ordini mendicanti nel settore dell'insegnamento scolastico, che essi per tradizione detenevano: nel 1429 vietò che il titolo di "magister" fosse conferito ai Francescani mediante una bolla, senza aver prima seguito l'intero iter scolastico, come pure vietò che la carica di provinciale dell'Ordine degli Agostiniani potesse essere riconfermata. Nel 1429 Luca da Offida, nel quadro di un forte recupero agostiniano, presiedeva al trasporto delle reliquie di s. Monica da Ostia a Roma. L'8 marzo 1429 concedeva agli speziali che ne facevano richiesta la collegiata di S. Lorenzo in Miranda, che giaceva in uno stato di degrado, perché fosse fondato un ospedale per i membri della stessa corporazione, a cui avrebbero fatto seguito in data 18 giugno 1430 gli Statuti della Società dell'Ospedale di S. Lorenzo in Miranda.
Rimaneva però aperto il problema dell'obbedienza avignonese: con la morte di Benedetto XIII e in relazione al nuovo pontefice Clemente VIII, anch'egli ampiamente appoggiato da Alfonso d'Aragona, M. intensificò i suoi sforzi per raggiungere una completa unità della Chiesa: fin dal 1425 M. aveva designato per sanare lo scisma il cardinale Pietro di Foix, che però solo nel 1427, dopo un preventivo accordo con Alfonso d'Aragona, poté partire per la Spagna. Il 26 luglio 1429, infine, dopo lunghe trattative, Clemente VIII avrebbe rinunciato alla tiara pontificia, come pure di pari passo il conclave dei cardinali dell'obbedienza avignonese svoltosi a Peñiscola avrebbe riconosciuto il pontefice romano. Nel 1427 M. nominò Giovanni Vitelleschi negoziatore di parte pontificia a Firenze per la revisione degli Statuti del 1415. Per quanto riguarda il controllo del potere della Santa Sede, nel 1428 M. dovette fronteggiare la rivolta del Comune di Bologna, quando i Canetoli e gli Zambeccari furono eletti Riformatori dello stato della libertà; in tale circostanza il generale dei Frati Agostiniani Eremitani, Agostino da Roma, intercedeva, anche da parte del Comune di Firenze, perché la legazione bolognese fosse ricevuta dal pontefice: solo nel 1429 si arrivò ad un accordo con il quale i Riformatori furono confermati ed ebbero il permesso di eleggere i propri successori. In linea con la citata bolla Sicut Iudeis M. emanò il 13 febbraio 1429 una bolla con la quale vietava di arrecare disturbo agli ebrei, mentre nel 1430 M. riconfermava i capitoli del 1402 di Bonifacio IX con i quali si dispensava gli ebrei dal portare il segno distintivo.
Il 1° febbraio 1431 M. indiceva il concilio generale di Basilea, nominando legato il cardinale Giuliano Cesarini; il 20 febbraio moriva per apoplessia e, come racconta P. Dello Mastro nel suo Diario, si verificò un'eclissi ("scurio lo sole").
Fu sepolto in S. Giovanni in Laterano, come ricorda il Liber pontificalis ed anche Giuliano Dati nel suo Tractato di Santo Ioanni. La lastra tombale in bronzo, raffigurante il pontefice in bassorilievo sul letto di morte secondo la tradizione medievale, è ancora oggi esistente: il luogo originario, da cui fu rimossa con solenne cerimonia il 7 febbraio 1853, era il pavimento davanti all'altare maggiore ed in particolare davanti ai busti reliquiari di s. Pietro e di s. Paolo. Su tale lastra è scolpito ai piedi del pontefice un epitaffio che ricorda la data di morte (20 febbraio) e la durata del pontificato, con tutta probabilità composto da Antonio Loschi, il quale tra l'altro scrisse anche un epigramma in morte di M. (B.A.V., Vat. lat. 5994, c. 74v). Tale epigrafe costituisce la prima testimonianza della restituzione della capitale epigrafica e ben si accorda con la supposta origine fiorentina: la lastra tombale in bronzo, infatti, come si ricava dai registri doganali, arrivò a Roma solo il 7 aprile 1445, probabilmente da Firenze, e nulla vieta di pensare che l'autore vada identificato in un artista molto vicino alla scuola di Donatello (forse Simone da Firenze), se non addirittura nello stesso Donatello, almeno per la parte del ritratto; altrettanto probabilmente il promotore di tale operazione fu il nipote cardinale Prospero Colonna, ben noto per il suo patrocinato artistico e culturale.
fonti e bibliografia
Del pontificato di M. sono rimasti i Reg. Vat. 347-358 dell'Archivio Segreto Vaticano, e precisamente i Reg. Vat. 347-351 (detti Officiorum) relativi alla concessione di uffici diversi, i Reg. Vat. 352-355 (detti De curia), il Reg. Vat. 356 del segretario, ovvero di Poggio Bracciolini, e i Reg. Vat. 357-358 (detti Expectativae), mentre il Reg. Lat. 359 contiene brevi di M. e del successore Eugenio IV; i Reg. Lat. 187-301, tutti provenienti dalla Cancelleria apostolica, abbracciano ampiamente il pontificato di Martino V. La registrazione delle spese camerali è conservata nella serie Mandati del fondo Camerale I dell'Archivio di Stato di Roma.
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