Maschera
L'impiego di maschere e travestimenti è un fenomeno frequente, riscontrabile pressoché in tutte le culture umane. Tuttavia la maschera sembra rinviare soprattutto a una dimensione lontana e arcaica, a popoli 'selvaggi' e alla loro misteriosa e indecifrabile spiritualità. In uno dei primi lavori dedicati al problema della maschera, William Healey Dall (v., 1884, p. 73) sostenne l'opinione secondo cui lo studioso che fosse riuscito a comprendere pienamente questo argomento avrebbe trovato la chiave per svelare "il pensiero religioso e lo sviluppo sociale dell'uomo primitivo o non civilizzato". Analogamente, Roger Caillois (v., 1967, p. 170) riteneva che l'uso generale delle maschere nelle 'società primitive' costituisse "uno dei misteri principali dell'etnografia". La terminologia antropologica attuale si è lasciata alle spalle termini quali 'società primitive' o 'popoli primitivi'; tuttavia le strane, bizzarre e grottesche maschere che popolano le vetrine di quasi tutti i musei etnografici continuano a esercitare uno strano fascino, anche sui visitatori più avvertiti. Quelle forme artistiche destinate a coprire il volto umano non cessano di provocare nell'animo dell'osservatore un'impressione mista di interesse per l'esotico e di ammirazione per una spontaneità espressiva primordiale.
Ma la maschera isolata e osservata esclusivamente nella sua dimensione di creazione plastica, di oggetto artistico o museografico, è in realtà il prodotto di un processo di impoverimento e di selezione, determinato dall'intervento europeo, a partire da un contesto molto più vasto e complesso. Una maschera assume il suo significato completo nel momento in cui è indossata da un individuo che esegue determinate azioni cerimoniali, in un preciso contesto comunitario. La sua funzione si esprime attraverso la danza, la musica, le azioni dei personaggi che le si muovono intorno. Questo contesto culturale più ampio (che comprende l'occasione sociale in cui la maschera fa la sua comparsa, i ruoli e le funzioni di coloro che indossano le maschere e di coloro che assistono, il significato e la funzione dei comportamenti di ciascun partecipante, e così via) varia naturalmente da una società all'altra. Il significato di una maschera è quindi strettamente avviluppato in un complesso intrico di relazioni simboliche e di valori culturali specifici di una particolare società. Alcuni antropologi ritengono, di conseguenza, che la variabilità di questi contesti culturali sia tale da rendere inutile ogni tentativo di elaborare una definizione generale del fenomeno 'maschera', valido per tutte le culture (v. Jedrej, 1980).
D'altra parte, è inevitabile riconoscere numerosi tratti comuni nell'uso di maschere nelle situazioni culturali più diverse. Come altre categorie antropologiche, quella di maschera deve essere quindi intesa come il prodotto della continua interrelazione tra realtà etnografica e tentativi più ampi di generalizzazione e comprensione. Il rischio di confusioni e fraintendimenti, che possono portare a raggruppare sotto una sola rubrica fenomeni eterogenei, è controbilanciato dal fatto che proprio dal confronto tra fenomeni appartenenti a contesti culturali diversi è consentito all'antropologo trarre spunto per definizioni più articolate e comprensive dei caratteri distintivi della cultura umana.
La maschera, nel suo significato più generale, è un oggetto artificiale con cui coprire il volto (e il corpo) dell'uomo o della donna che la indossa. In molti casi la copertura del volto è soltanto una parte del costume dell'individuo mascherato, in altri il volto è solo parzialmente occultato o addirittura rimane in vista, e la maschera viene portata come una sorta di copricapo. Alcune grandi maschere melanesiane, poi, erano un tempo prodotte non per essere indossate, ma per venir appese lungo le pareti interne delle capanne riservate agli uomini, dove avevano la funzione di oggetti sacri, immagini di spiriti e di entità sovrumane la cui vista era proibita ai non iniziati. Tuttavia la gran maggioranza delle maschere utilizzate nelle più diverse culture sono create per essere portate da determinati individui in occasioni prestabilite.
Questo fatto comporta l'esistenza di due fattori determinanti nell'uso della maschera: ciò che è nascosto (colui che è mascherato) e ciò che è mostrato (la maschera stessa e ciò che essa rappresenta). L'elemento nascosto è il più delle volte un volto, il volto umano, immagine dell'individualità e dell'identità personale dell'essere umano. Ciò che viene mostrato è un 'altro' volto, qualcosa di diverso e inusuale, a volte una rappresentazione mostruosa e inquietante. Oppure, la maschera può rivelare quello che è distinto e separabile dall'essenza fisica dell'uomo (lo status sociale, la condizione, l'interpretazione di un ruolo, di una parte).
Ma questa distinzione determina anche una certa ambiguità. La maschera infatti non nasconde del tutto: ciascuno sa che dietro la maschera e il costume è nascosto un essere umano e, molto spesso, gli spettatori sono in grado di riconoscere anche la persona che indossa una certa maschera (v. Ottenberg, 1982, p. 155). Ma la maschera non mostra neanche tutto: essa rappresenta spesso uno spirito, un antenato, una divinità, ma non 'è' semplicemente una rivelazione soprannaturale; ciascuno sa che, in fondo, si tratta appunto di una maschera, di un artificio, di una 'finzione'. Eppure, la solennità, la ritualità, le prescrizioni che circondano in molte culture la comparsa di personaggi mascherati rivelano che si tratta di occasioni socialmente importanti, in cui trovano espressione i valori e le credenze più significativi per la comunità.
La maschera si pone così come il luogo di numerose apparenti contraddizioni e antinomie, come espressione di una fondamentale ambiguità, che ha indotto alcuni autori a parlare del 'paradosso' della maschera (v. Napier, 1984). Ambiguità che si presta adeguatamente a segnalare i momenti critici, le fasi di passaggio, le zone intermedie e marginali della vita sociale, i confini più o meno definiti tra un dominio della realtà e l'altro. In effetti proprio queste sono le occasioni in cui si ricorre più frequentemente all'impiego delle maschere: i riti di passaggio, la rappresentazione delle fasi originarie del mondo, la raffigurazione dei momenti di trasformazione che segnalano la transizione dal mondo umano a un 'altrove' non umano.
Nella cultura tradizionale di molti popoli extraeuropei la comparsa di maschere e costumi cerimoniali contrassegna momenti sociali di grande rilevanza, occasioni collettive di festa e di celebrazione. In genere ciò avviene secondo un ciclo regolare che segue il susseguirsi delle stagioni, dei ritmi ecologici e dei cicli produttivi. Il periodo più opportuno per la celebrazione di feste mascherate è quello di minor attività lavorativa, quando le scorte di cibo sono abbondanti e gli uomini possono dedicarsi a rituali e cerimonie intesi a confermare o innalzare lo status sociale di alcuni individui, a riordinare le relazioni sociali o a contrarre nuovi legami tra gruppi. In queste circostanze si celebrano matrimoni, riti funerari, scambi cerimoniali di doni, e altre forme di attività rituale che comportano frequentemente la presenza di individui mascherati, i quali partecipano alle danze e alla festosità collettiva, oppure introducono un'atmosfera di grave solennità indicando la presenza di entità riverite e temute.
Ma il momento più caratteristico per l'intervento delle maschere è costituito dai riti di iniziazione. Nell'Africa occidentale, in Melanesia e sulla costa nordoccidentale dell'America le maschere sono strettamente associate a società cerimoniali, definite spesso 'società segrete', in quanto l'accesso non è aperto a chiunque, ma è generalmente riservato a un solo sesso (ai soli maschi quasi sempre), e comporta un lungo ed elaborato rituale di iniziazione. I membri di queste società si presentano al pubblico indossando le maschere che fungono da simbolo ed emblema della propria condizione di iniziati. Queste immagini rappresentano antenati, in forma umana o animale, divinità o esseri spirituali, in genere associati al bosco o alla foresta, la cui principale funzione sembra quella di provvedere all'iniziazione dei nuovi membri della società cerimoniale.
I Kwakiutl della Columbia Britannica canadese impiegano una quantità di maschere molto elaborate nel corso delle lunghe celebrazioni invernali, al cui centro si colloca l'introduzione di un giovane nei ranghi di una delle numerose società rituali (v. Boas, 1897; v. Comba, 1992). Il rito iniziatico consiste nel rapimento del candidato da parte di spiriti iniziatori, che lo trasportano fuori dal villaggio e dal mondo umano, nella foresta. Queste entità sono rappresentate in forma di animali selvatici (lupi, orsi, uccelli rapaci, ecc.) o in forma di entità mostruose e terribili (lo Spirito Cannibale, lo Spirito Guerriero, e così via). La vera e propria cerimonia di iniziazione comincia nel momento in cui il giovane ritorna dal suo soggiorno nel mondo non umano e deve essere reintegrato nella comunità, ricevendo un nuovo rango, nuove prerogative e una nuova posizione sociale. Ciò avviene attraverso un distacco dalle forze selvagge e terrifiche rappresentate dalle maschere mostruose degli esseri iniziatori, e si conclude con il riacquisto della propria nuova identità di essere umano e di membro del corpo sociale.
In questo, come in altri rituali in diverse parti del mondo, le maschere costituiscono l'espressione e il tramite di una trasformazione che ha luogo nell'individuo, il cui fine sembra essere quello di realizzare un essere umano 'completo' e conforme alle esigenze e ai valori del gruppo sociale cui appartiene. Questo processo di trasformazione avviene ponendo una serie di coppie di opposti in relazione tra loro: il villaggio e la foresta, il mondo umano e il mondo animale, la sfera quotidiana e la dimensione soprannaturale. L'iniziato deve dimostrare di saper integrare queste diverse dicotomie grazie alla propria capacità di 'uscire' e di 'rientrare', di 'superare la soglia', di entrare in contatto con una sfera misteriosa e terrificante e, al contempo, di saper ritrovare la propria condizione originaria. La maschera sembra connotare proprio queste fasi marginali, di limite estremo, di confine, in cui una sfera si compenetra con un'altra, ambiti diversi si avvicinano e si sovrappongono. La fase di transizione, 'liminale', consente secondo Victor Turner (v., 1967, p. 106) la ricombinazione degli elementi conoscitivi, propri di una tradizione culturale, in forme e immagini fantastiche e mostruose, rappresentate spesso nelle maschere. Il processo di trasformazione e di creazione fantastica, ricombinando aspetti della realtà ed elementi concettuali in nuove forme e immagini, favorisce la rappresentazione simbolica, la riflessione metafisica e l'esegesi esoterica di un sapere tradizionale che, attraverso il processo iniziatico, viene consegnato solennemente alla cura delle nuove generazioni.
Tra i Dogon dell'Africa occidentale ogni individuo maschio, dopo aver superato la cerimonia iniziatica della circoncisione, diviene membro della società delle maschere del villaggio. Questa società ha il compito di partecipare alle cerimonie funebri di ciascun membro della comunità e, inoltre, è incaricata del culto reso all'antenato mitico Dyongu Seru, rappresentato dalla Grande Maschera di proprietà del villaggio. Ogni sessant'anni, la cerimonia del Sigui rievoca gli avvenimenti che causarono la morte del primo antenato. In quest'occasione si intaglia una nuova Grande Maschera (alcune sono alte quasi dieci metri), che rappresenta il ritorno in vita dell'antenato e la sua presenza nella comunità (v. Griaule, 1938, pp. 167 ss.). Il significato e il ruolo rituale delle maschere possono essere compresi in modo adeguato solo se vengono inseriti nel contesto delle concezioni cosmologiche e religiose, nel ciclo delle celebrazioni e delle ricorrenze, nel quadro delle narrazioni mitiche che ne spiegano e documentano l'origine. Nella maggior parte delle culture in cui le maschere hanno un importante ruolo cerimoniale, esse rinviano a un'epoca originaria, a un tempo primordiale in cui la terra era abitata da antenati mitici. Secondo numerose tradizioni, il mondo delle origini si differenzierebbe dal mondo attuale per numerosi aspetti peculiari: gli antenati primordiali possedevano qualità e poteri sconosciuti agli uomini odierni, non esistevano ancora le nette distinzioni tra i diversi settori della natura, e le caratteristiche umane e animali si trovavano combinate e mescolate tra loro in vario modo. Le pittoresche maschere degli Indiani della costa nordoccidentale canadese rivelano in modo impressionante la commistione di tratti umani e forme animali che caratterizza l'aspetto del 'popolo del mito', degli antenati da cui ebbero origine i clan, i villaggi, le comunità indigene attuali (v. Hawthorn, 1979).
Le maschere rappresentano gli antenati, e la loro comparsa durante i rituali, indossate da individui iniziati, ha lo scopo di rendere visibili e presenti gli antenati stessi. Sarebbe, tuttavia, troppo ingenuo pensare che coloro che assistono alle celebrazioni mascherate credano realmente di trovarsi di fronte i veri e propri antenati. Le maschere 'sono' gli antenati in quanto li rappresentano e li incarnano, in quanto sono il veicolo della loro presenza e del loro potere: esse rendono visibile e percepibile qualcosa che non sarebbe altrimenti possibile rappresentare concretamente. Le maschere segnalano ancora una volta un superamento di confini e di barriere concettuali, il momento in cui si realizza uno slittamento da un piano all'altro dell'esistenza. Da un lato i danzatori mascherati determinano l'introduzione nel mondo umano, nella piazza del villaggio o nella casa delle cerimonie, di un elemento extraumano (il mondo degli antenati e delle potenze soprannaturali). Dall'altro lato la comunità umana, attraverso la celebrazione dei rituali e la rappresentazione degli antenati sotto forma di personaggi mascherati, opera una temporanea abolizione delle barriere che separano la dimensione temporale ordinaria dal tempo mitico delle origini, realizzando una riattualizzazione del momento originario primordiale.
Strettamente connesse con la conservazione e la trasmissione del sapere tradizionale, le maschere si rivelano come espressione visibile di complessi sistemi di racconti mitici. Lévi-Strauss si è occupato in particolare di mostrare come l'aspetto plastico e le correlazioni mitologiche di alcune maschere della costa nordoccidentale d'America si trasformassero, passando da un gruppo culturale e linguistico all'altro, secondo una precisa logica strutturale (v. Lévi-Strauss, 1979²). Questi racconti, come numerosi altri provenienti da altre parti del mondo, mettono spesso in relazione l'origine delle maschere con le vicende che hanno come protagonisti un fratello e una sorella incestuosi. L'incesto, come d'altra parte la comparsa improvvisa delle maschere provenienti dal cielo o il dono di queste da parte di una divinità, indica come le maschere siano il risultato di un avvicinamento eccessivo di due sfere ritenute solitamente separate e distinte. È grazie a questa origine da un'ambigua sovrapposizione tra realtà diverse che la maschera trae la sua capacità di consentire una comunicazione tra ambiti diversi, di superare il confine che divide i vivi dai morti, gli esseri umani dagli animali, il villaggio dalla foresta. La maschera, costruita con materiali per lo più tratti dal mondo naturale (legno, fibre vegetali, piume, pelli), prende posto al centro del villaggio e diviene l'emblema della tradizione culturale, di ciò che più contribuisce a distinguere l'uomo dalla natura (v. Maertens, 1978, p. 19).
Un genere molto diffuso di racconti narra come in origine le maschere fossero una proprietà esclusivamente femminile, di cui i maschi riuscirono successivamente a impadronirsi, con la forza o con l'astuzia. Queste tradizioni proiettano all'indietro, sul tempo mitico, capovolgendola, la situazione attuale in cui le maschere sono frequentemente una prerogativa maschile e, a volte, alle donne e ai giovani non iniziati ne è perfino proibita la vista. È indubbio che, in queste circostanze, l'uso di maschere sancisce e perpetua l'esercizio del potere, esprime la disuguaglianza e il conflitto tra i sessi o tra le fasce di età.In numerose società le donne e i bambini manifestano spavento e timore di fronte alle maschere, che vengono rappresentate come potenze soprannaturali temibili e aggressive. Tuttavia è palese che anche in questi casi le donne sono perfettamente a conoscenza del fatto che si tratta di maschere, ossia di oggetti artificiali dietro i quali si nasconde un uomo. Sembra che anch'esse partecipino al gioco delle parti, lasciando intendere che credono alla rappresentazione inscenata dagli uomini e comportandosi di conseguenza.La contraddizione tra individui che indossano la maschera (e agiscono in quanto personificazioni dell'essere raffigurato dall'immagine) e pubblico (che mostra di credere alla presenza di entità misteriose e sovrumane) si riproduce a vari livelli nella rappresentazione di un rituale mascherato. La maschera è un manufatto che richiede considerevoli abilità manuali e artistiche: tuttavia spesso la sua origine è descritta come il dono di una divinità o il frutto di un ritrovamento misterioso. Si tratta di tradizioni che, comunque, tendono a negare alla maschera la qualità di oggetto fabbricato, prodotto dall'opera umana. In qualche caso, come tra i Dan dell'Africa occidentale (v. Ottenberg, 1982, p. 156) o tra i Kwakiutl (v. Goldman, 1975, p. 228), si crede che le maschere siano abitate da una sorta di forza vitale che le rende in grado di muoversi e di agitarsi autonomamente.
Queste ambiguità e contraddizioni sono parte integrante del significato culturale della maschera: la negazione della sua origine ad opera dell'uomo, la credenza nella sua qualità di espressione di un mondo 'altro', diverso da quello umano e, al tempo stesso, la consapevolezza che si tratta comunque pur sempre di un prodotto della cultura umana contribuiscono a fare della maschera un oggetto particolarmente adatto a segnalare le zone di confine del mondo quotidiano, le fasi limite, di transizione e di trasformazione.
L'aspetto teatrale e scenografico delle maschere è diffuso in tutte le culture umane. In esso non si esprime forse tanto il gusto per la finzione e l'inganno, quanto l'espressione della fondamentale duplicità e contraddittorietà di numerose situazioni della vita umana, nelle quali interviene una dimensione diversa rispetto alla comune esperienza quotidiana. Il punto in cui l'esistenza umana viene posta a contatto con un 'altrove' misterioso e insondabile trova espressione in particolare nell'uso di maschere funerarie, immagine quanto mai efficace del difficile connubio tra la vita e la morte.
Un gran numero di maschere, in culture diverse, presenta immagini di animali o di esseri fantastici con attributi in parte animali e in parte umani. In questi contesti sembra che l'indossare la maschera consenta all'individuo di abolire momentaneamente le barriere che separano il mondo umano da quello animale, il tempo attuale da quello delle origini, la dimensione della vita quotidiana dal mondo degli spiriti o dei morti. La maschera determina una parziale confusione e interscambiabilità delle diverse sfere, resa esplicita plasticamente attraverso una molteplicità di forme fantastiche, in cui il volto umano e i caratteri animaleschi si combinano e si fondono in vari modi. Gli Indiani della costa nordoccidentale d'America hanno escogitato un mezzo singolare e straordinario per esprimere questa stessa ambiguità: la maschera multipla mobile. Un complesso e ingegnoso meccanismo comandato da fili permette alla maschera rappresentante un animale di aprirsi, mutando aspetto e rivelando al proprio interno un'altra maschera, che raffigura un volto umano. Non il volto umano del portatore della maschera, ma un 'altro' volto, che si contrappone all'aspetto animale (corvo, orso, o altro) raffigurato dalla maschera più esterna, in un gioco di sovrapposizioni e di sostituzioni che rivela il ruolo ambiguo e paradossale della maschera rituale.Analogamente, le maschere eschimesi dell'Alaska si presentano spesso divise in due parti: una metà raffigura un volto umano e l'altra metà un animale. Esse rappresentano la duplice natura di esseri spirituali (inua), visibili in forma animale, ma che possono assumere un aspetto umano o manifestarsi come potenze superiori all'uomo stesso (v. Hipszer, 1965). Testimoni di un mondo spirituale oscuro e incomprensibile all'uomo comune, le maschere sono strettamente associate alla figura dello sciamano. Le visioni e le esperienze spirituali di questo personaggio costituiscono la fonte delle rappresentazioni che l'artista traspone nella maschera, cercando di rendere nel modo più fedele possibile ciò che lo sciamano ha 'visto' durante i suoi viaggi estatici nel mondo degli spiriti. In questo caso il produttore della maschera è lo sciamano stesso, oppure un artista che lavora sotto il suo controllo e seguendone scrupolosamente le istruzioni (v. Van Stone, 1968-1969, p. 830). La celebrazione di una festa mascherata costituisce, quindi, una celebrazione rituale in onore degli spiriti-animali, al fine di invocarne la benevolenza e il favore nell'attività di caccia.
La caccia stessa, sicuramente una delle più antiche attività di sussistenza dell'uomo, offre numerosi punti di contatto con il ruolo ambiguo e paradossale che abbiamo attribuito alla maschera. Quando il cacciatore abbandona il proprio villaggio, l'abitazione, il gruppo familiare, per porsi sulle tracce della selvaggina, assume, in un certo senso, una nuova natura. Egli si trasforma, per così dire, in un animale predatore, ne imita il comportamento e l'abilità. In numerose culture, infatti, il cacciatore viene avvicinato simbolicamente a un animale feroce (il lupo, il leone, l'orso o il giaguaro). Le qualità di questi animali sono molto spesso attribuite anche al guerriero, ponendo così una stretta relazione tra le attività di caccia e di guerra. Sia la caccia che la guerra sono infatti azioni che comportano un certo grado di ambiguità e di contraddittorietà. Pur con l'intento di garantire il benessere del gruppo umano, entrambe le attività comportano l'uccisione di esseri viventi (nemici nel caso della guerra, animali nel caso della caccia). Ciò pone evidentemente un problema di non facile soluzione: come conciliare la necessità di promuovere la vita, la fecondità, la riproduzione di uomini e animali con l'altrettanto necessaria distruzione della vita di altri esseri viventi?
Aporia che può essere superata solo grazie all'intervento dello sciamano che, attraverso la sua opera di intermediario, favorisce l'instaurarsi di un rapporto di scambio tra mondo umano e mondo animale, tra sfera dei vivi e dei morti. Simbolo di questo ruolo di comunicazione, di transitorietà, di marginalità e parziale annullamento dei confini, la maschera costituisce una sorta di schermo sul quale si riflettono le nozioni specifiche di umanità e animalità, elaborate nel contesto di ciascuna specifica cultura. Ma la maschera esprime anche il bisogno di uscire dall'ambiguità, di togliersi la maschera, creando un'immagine di umanità realizzabile attraverso il rituale mascherato. La cerimonia iniziatica, in cui compaiono costumi e maschere, trova la sua conclusione e il suo compimento nella costruzione culturale di nuovi esseri umani, secondo i valori e gli ideali culturali propri di ogni gruppo umano.
Nella religione della Grecia antica Dioniso è caratterizzato come il 'dio maschera' per eccellenza (v. Detienne, 1977; v. Vernant e Vidal-Naquet, 1986, pp. 11 ss.). Fin dal periodo arcaico, il dio è rappresentato da una maschera barbuta appesa a un palo o a un albero. La maschera dionisiaca viene inoltre rappresentata su rilievi, su vasi e vari oggetti. Dioniso è una figura singolare nel pantheon ellenico: occupa una posizione marginale rispetto al mondo divino e alcune tradizioni gli attribuiscono un'origine straniera, lidia o trace. Sua madre, Semele, era una mortale e la sua nascita, dalla coscia di Zeus, lo identifica come personaggio straordinario e dalle qualità peculiari. Contrariamente agli altri dei, egli non ha una sede fissa di culto: i suoi fedeli si riuniscono intorno alla sua immagine-maschera, per lo più in zone selvagge e montane, tra i boschi. La comunità dei fedeli di Dioniso, il tiaso, è composta da una moltitudine eterogenea, in cui le consuete categorie sociali si stemperano e si confondono. Donne, schiavi e cittadini sono uniti da una devozione che si esprime in forma tumultuosa ed eccitata. Il dio provoca l'ebbrezza, l'estasi, la follia, un comportamento selvaggio e incontrollato che può arrivare fino alla furia distruttrice e omicida. Il fedele, posseduto dal dio e divenuto egli stesso una 'maschera' della divinità, si avventa su animali selvatici e li sbrana, divorandone le carni crude. Questo comportamento abnorme e singolare indica come nel culto dionisiaco vengano bruscamente abbattute le barriere che separano il mondo degli uomini, quello degli dei e quello degli animali. Il confine tra categorie fortemente significative per il mondo ellenico (quali città e foresta, uomo e donna, umanità e animalità, e così via) viene anche in questo caso manifestato attraverso la figura ambigua e misteriosa della maschera.
Dalle maschere in onore di Dioniso derivano con ogni probabilità le maschere delle rappresentazioni drammatiche, la tragedia e la commedia. In questo caso la maschera ha la funzione di operare una disgiunzione tra l'attore e il personaggio che questi rappresenta sulla scena, mettendo in evidenza la trasformazione che avviene quando il portatore della maschera 'incarna' il protagonista dell'azione drammatica. L'individualità e la personalità dell'attore devono farsi da parte e lasciare il posto alle caratteristiche del personaggio comico o tragico. La maschera teatrale si trasforma in personaggio (in latino persona), in ruolo fisso, stereotipato, così come ciascun individuo, in quanto essere sociale, deve indossare una 'maschera' quando si cala nel proprio ruolo sociale, negli obblighi e nelle regole comportamentali che la sua posizione richiede. Come ebbe a dire Lévi-Strauss, "l'uomo sociale è per eccellenza mascherato: in quanto porta un nome, eredita uno status, detiene una posizione" (v. Lévi-Strauss, 1961, p. 18).
La riduzione della maschera alla sua funzione eminentemente sociale e metaforica è stata favorita dall'atteggiamento severamente ostile delle religioni monoteistiche, e in particolare del cristianesimo, nei confronti della funzione religiosa delle maschere. Ponendo l'accento sul mistero della divinità che si manifesta attraverso l'uomo nell'incarnazione, il cristianesimo rendeva inutile e blasfemo il tentativo da parte delle religioni pagane di esprimere la presenza del divino attraverso lo schermo di una maschera. L'immagine imperscrutabile di un dio che si 'nasconde', può essere colta, per il cristiano, solo attraverso il suo riflesso enigmatico nell'uomo stesso. Il volto umano dissimulato e deformato dalla maschera diviene, in questa prospettiva, indice dell'intervento di una potenza integralmente malvagia, del demoniaco, della sottile astuzia del diavolo (v. Bédouin, 1967, pp. 124125; v. Napier, 1984, p. 27).
La maschera resta relegata nella tradizione popolare, nelle feste carnevalesche, dove ancora svolge un ruolo di espressione dei momenti cruciali nel ciclo delle attività stagionali. Ma il carnevale non è solo un elemento di continuità con la religiosità pagana, è anche uno strumento attraverso il quale la religione cristiana evoca ed esorcizza, per contrasto, le forze diaboliche scatenanti il disordine e il peccato (v. Le Roy Ladurie, 1979, p. 341). L'esuberanza eccessiva del carnevale esige la sua sostituzione con una condotta dalle qualità opposte, l'ideale ascetico e penitenziale della religione (la quaresima), così come le maschere che hanno incarnato per un breve momento le forze della dissoluzione e del sovvertimento devono essere alla fine espulse e distrutte. D'altra parte, questa vittoria sulle forze oscure non è mai definitiva, bensì viene rimessa in discussione a ogni stagione, mentre gli sguardi torvi e impertinenti delle maschere ricordano periodicamente alla comunità che il mondo degli uomini non può mai essere del tutto al sicuro dagli assalti improvvisi e dalle incursioni di un 'altrove', dal volto minaccioso e inquietante. (V. anche Iniziazione; Mito; Riti).
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