Mediterraneo
Nei Paesi tradizionalmente considerati parte del mondo mediterraneo viveva nel 2003 una popolazione di circa 453 milioni di abitanti, pari al 7,3% dell'umanità, di cui 206 milioni (45,5%) in 11 Stati europei (Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia e Montenegro, Albania, Grecia, Malta; 12 dal 2006, quando il Montenegro si è separato dalla Serbia) - con i 4 mini-Stati in essi inseriti (Andorra, Monaco, San Marino, Città del Vaticano) -, 102 milioni (22,5%) in 5 Stati asiatici (Turchia, Siria, Libano, Israele, Cipro) e 145 milioni (32%) in 5 Stati africani (Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco). Le previsioni a breve termine indicano mezzo miliardo di abitanti entro il 2010.
Fanno indiscutibilmente parte della realtà mediterranea sia il territorio (dominion) britannico di Gibilterra (27.000 ab.), rivendicato dalla Spagna, sia l'Autorità nazionale palestinese, che controlla dal 2005 la Striscia di Gaza. Tale Autorità rappresenta l'embrione di un possibile Stato palestinese da affiancare, come Stato mediterraneo, a quello israeliano. Va infine ricordato che Cipro, dopo il fallimento del progetto di riunificazione lanciato dall'ONU nel 2004, risulta tuttora suddivisa de facto tra la Repubblica cipriota, che è riconosciuta dalla comunità internazionale e ospita quasi i tre quarti della popolazione dell'isola, e una Repubblica turca di Cipro del Nord, riconosciuta solo dalla Turchia.
Da quanto si è detto, emerge il fatto che il mondo mediterraneo affianca alla sua indiscutibile unità altrettanto chiari elementi di diversificazione. La suddivisione in sponda settentrionale (europea), sponda orientale (asiatica) e sponda meridionale (africana) è la più classica. Ma non si possono trascurare altre suddivisioni più sottili, in particolare quella che distingue nella sponda settentrionale i tradizionali Paesi 'occidentali' del M. del Nord, dal Portogallo all'Italia, sviluppati, membri della NATO (North Atlantic Treaty Organization) nonché dell'Unione Europea, e i Paesi 'orientali', generalmente meno sviluppati e usciti da bufere recenti, legati a NATO e Unione Europea (UE) soltanto nel caso della Grecia e, dal 2004 e limitatamente all'UE, della Slovenia, con un'ultima appendice NATO in quella Turchia che però già fa parte della sponda asiatica. Quest'ultima è la minore per superficie e per popolazione, come si è visto, ma non certo la più unitaria, solo che si pensi all'unicum rappresentato da Israele, all'arabismo deciso della Siria, alle contraddizioni di Cipro (nell'UE) a partire dal 2004. Infine la sponda africana, la più omogenea fisicamente e culturalmente, ma pur sempre variegata nelle sue economie e nelle sue posizioni politiche. L'economia mediterranea si evolve, com'è del resto naturale, nella stessa direzione dell'economia mondiale. Valutando questa evoluzione in termini di numero di addetti ai tre grandi settori economici, si può notare che tra il 1990 e il 2003 il settore primario si è ridimensionato in tutto il mondo mediterraneo: nei Paesi europei, dove è passato a occupare dal 10 al 6% della popolazione attiva, ma anche in quelli asiatici e africani, dove è sceso rispettivamente dal 39 al 29% nei primi, dal 34 al 29% nei secondi. Il settore secondario, pur diversissimo nella sua composizione interna, occupa invece sulle tre sponde del M. una percentuale di forza lavoro relativamente omogenea, poco più di un quarto della popolazione attiva, con appena qualche punto in più nella media dei Paesi europei del bacino. La forte differenza, che fa da pendant a quella accennata per il settore primario, si ritrova nel settore terziario, che occupa in media i due terzi degli attivi nel M. europeo, la metà nel M. africano e soprattutto in quello asiatico (con l'eccezione di Israele e di Cipro). Naturalmente, tali percentuali e graduatorie si riferiscono al numero degli attivi nei tre tradizionali settori produttivi, non all'incidenza di questi ultimi nella formazione del PIL. Quest'ultima proporzione è nel M., come altrove, abbastanza diversa dalla prima, a tutti i livelli, in specie per quanto riguarda il settore primario e i Paesi meno sviluppati: per es., in Turchia o nel Marocco gli occupati in tale settore costituiscono rispettivamente il 33 e il 44% della popolazione attiva, tuttavia generano soltanto il 13 e il 16% del PIL.
Le grandi linee dell'economia della regione mediterranea sono rimaste sostanzialmente invariate nell'ultimo decennio del Novecento e nei primi anni del Duemila. Per es., il M. è sempre caratterizzato da un'economia marittima intensa e assai diversificata, e in particolare dal massiccio trasporto via mare di idrocarburi dai Paesi produttori di energia del Vicino Oriente e dell'Africa settentrionale verso i Paesi europei che di tale energia sono grandi consumatori. Anche altri flussi hanno direzioni costanti: in particolare quelli di prodotti agricoli e di migranti da sud a nord, e quelli di turisti da nord a sud. Le differenze macroeconomiche tra i protagonisti dell'economia mediterranea restano fortissime: il reddito medio pro capite dei francesi è quasi doppio di quello dei greci o dei portoghesi, supera di otto volte quello dei turchi e di una ventina quello dei marocchini e dei siriani. Nell'insieme, ai Paesi della sponda europea, con il 45% della popolazione del bacino, si deve ben il 90% del PIL della regione mediterranea.
Tra i grandi settori produttivi, quello primario si differenzia tradizionalmente nel M. per una prevalenza agricola a nord e una pastorale a sud e a est, con persistenze di nomadismo; e si caratterizza anche per la coesistenza di latifondi e di minifondi, nonché per la relativa scarsità dei terreni più fertili. Cereali, olio d'oliva, vino, frutta e ortaggi continuano a essere i maggiori prodotti di questa agricoltura a forte intensità di lavoro. Tuttavia, anche l'immagine tradizionale dell'agricoltura mediterranea sta cambiando: crescono infatti la percentuale della superficie irrigata e la meccanizzazione agricola.
L'industria dei Paesi mediterranei si presenta, nell'insieme, concentrata intorno a due modelli: quello dell'estrema frammentazione in una miriade di piccole imprese semiartigianali e quello della concentrazione in grandi imprese, talvolta multinazionali. Il primo modello è ben noto e tipico delle regioni dell'Italia centrale, ma diffuso anche altrove nella sponda settentrionale, dalla penisola iberica alla Grecia. Il secondo modello è quasi un simbolo dell'unità funzionale che tiene insieme il M., inteso come complesso di mari e di terre. Lungo le coste mediterranee, infatti, nella seconda metà del Novecento le industrie di base - come raffinerie di petrolio, impianti petrolchimici, stabilimenti siderurgici a ciclo integrale, fonderie di metalli non ferrosi - si sono moltiplicate, con ampi sviluppi e ramificazioni nell'interno. Ciò vale in particolare per le coste settentrionali, anche se non va dimenticato che su quelle meridionali un asse minore, ma non trascurabile, unisce industrialmente il Marocco all'Egitto, da Tetouan ad Alessandria. Alla base di una parte di queste industrie disposte lungo l'asse africano sta la produzione dei pozzi petroliferi libici, algerini ed egiziani, i quali, insieme con quelli siriani, forniscono circa il 6% della produzione mondiale di petrolio; va pure ricordata la notevole produzione algerina di gas naturale, che alimenta fra l'altro i consumi della sponda mediterranea opposta mediante gasdotti diretti in Sicilia e in Spagna.
Tale cospicua produzione mineraria e industriale genera un traffico mercantile marittimo che è stimato in un miliardo di tonnellate di merci all'anno, senza contare il traffico di transito. Sono una cinquantina i porti mediterranei d'interesse internazionale, suddivisi molto chiaramente fra porti prevalentemente d'imbarco nella sponda sud e sud-est, da Orano a İskenderun, e porti soprattutto di sbarco a nord, da Gibilterra a Zara. Ai porti d'imbarco affluiscono oleodotti e gasdotti dalle aree produttrici di idrocarburi, le quali si localizzano di frequente all'interno e a distanze abbastanza notevoli dai primi.
Fra le attività terziarie dei Paesi mediterranei una delle più importanti, e senz'altro quella con maggiori ripercussioni territoriali e paesaggistiche, è comunque l'attività turistica, per la quale il M. svolge sicuramente un ruolo di avanguardia a livello mondiale. La straordinaria combinazione tra i vantaggi offerti dal clima e il fascino dell'ambiente storico-culturale fa del turismo il perno delle attività economiche mediterranee. I 25 milioni di arrivi di turisti del 1960 sono diventati 85 nel 1975 e 200 nel 2000 (un terzo di tutto il movimento turistico internazionale), con una previsione di quasi 400 per il 2025: uno sviluppo che suscita peraltro fondati timori per l'impatto futuro di così grandi masse sulla natura e l'ambiente del Mediterraneo. In termini di PIL, il turismo contribuisce alle economie dei Paesi mediterranei con più del 5%: con più del 20% in quelle insulari di Malta e di Cipro, con il 5-10% in Marocco, Tunisia ed Egitto, con meno del 2% nei Paesi a economie evolute e complesse come Francia e Italia, e con ancor meno nei pochi Paesi in cui il fenomeno turistico non ha finora potuto svilupparsi a causa delle situazioni locali. Come si è detto, questa forte pressione turistica suscita timori, legati al suo impatto ambientale. Si parla perciò sempre più spesso di 'turismo sostenibile', che si comincia a realizzare con la creazione di parchi e riserve naturali o di aree protette negli spazi marini e costieri: se ne contano già oltre un centinaio, naturalmente più o meno efficienti a seconda dei luoghi, e comunque concentrati sui litorali settentrionali.
La consistenza demografica degli Stati mediterranei è molto varia: alcune centinaia di migliaia di abitanti a Malta, a Cipro e in Montenegro; qualche milione in Croazia, Slovenia, Albania, Libano, Libia; dieci milioni in Portogallo, Serbia, Grecia, Israele (se vi si comprendono però i territori occupati), Tunisia; 17-18 in Siria. Si salta poi alla trentina di milioni di Algeria e Marocco, alla quarantina della Spagna, ai quasi sessanta di Francia e Italia e alla settantina di Turchia ed Egitto, i due colossi demografici del Mediterraneo. Così, la densità di popolazione del mondo mediterraneo nasconde, dietro una 'ragionevole' media di circa 50 ab./km2 (valore di poco superiore a quello medio mondiale), differenze elevatissime. Anche se si trascura il dato eccezionale del piccolo arcipelago maltese (quasi 1300 ab./km2), la gamma varia dai 330-350 ab./km2 di piccoli Stati come il Libano e Israele, ai quasi 200 dell'Italia, ai 100-110 di Portogallo, Francia, Slovenia, Serbia e Albania, agli 80-90 di Spagna, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Grecia, Turchia, Siria e Cipro, ai 60-65 di Egitto, Tunisia e Marocco, ai 45 del Montenegro. Ma ad abbassare la media provvedono l'Algeria (poco più di 12 ab./km2) e la Libia (appena 3), i grandi Stati desertici per eccellenza. Al di là delle differenze tra i vari Paesi, va notato che in molti di essi la popolazione tende ad addensarsi sulla fascia costiera, a non più di 50-100 km dal mare, e che questa 'litoralizzazione' demografica tende a crescere con il tempo. Se le alte densità, a parte i casi di Libano e Israele, caratterizzano essenzialmente i Paesi del M. europeo, la tendenza alla crescita demografica prevale al contrario in quelli delle sponde africana e asiatica: la sponda europea ha perso l'esigua maggioranza assoluta di popolazione che deteneva ancora nel 1990 (50,1%), scendendo al 45,4%. Questa tendenza, che secondo le proiezioni porterà il contributo della sponda europea al totale della popolazione mediterranea ad appena un terzo nel 2025, dipende dal diverso comportamento demografico naturale, e trova un parziale correttivo solo nei movimenti migratori: questi tendono infatti in qualche misura a ridurre la senilizzazione dei Paesi di arrivo e ad attenuare la presenza giovanile nelle popolazioni dei Paesi di partenza.
Nei Paesi della sponda Nord i tassi annui di natalità sono - con la sola eccezione dell'Albania, che ha un comportamento demografico tendenzialmente 'islamico' - fra il 9 e il 13‰, quelli di mortalità fra l'8 e l'11: è evidente che resta poco margine per una crescita numerica della popolazione. Tale margine si concretizza quasi soltanto in Francia, Paese 'ringiovanito' dall'immigrazione assai prima degli altri, nella Bosnia ed Erzegovina parzialmente musulmana, nella 'giovane' Malta, e in questi Paesi si limita comunque al 2-3‰ di crescita naturale annua. Tutti gli altri Stati euromediterranei fanno registrare tassi di variazione naturale che si aggirano fra +1 e −1‰: in altre parole, una crescita zero, accompagnata dal conseguente invecchiamento della popolazione. La sponda asiatica, abitata da popolazioni giovani e prevalentemente musulmane, con l'eccezione di Cipro, in prevalenza greca e con età media elevata, fa registrare invece indici di natalità attorno al 20‰, con una punta che tocca il 30 in Siria, e indici di mortalità del 6-7‰ - in Siria soltanto del 5 -; e dunque tassi di crescita naturale sul 10-15‰, con un record del 25 naturalmente in Siria. Infine, nella sponda africana la situazione è molto diversificata: tassi di natalità notevolmente ridottisi rispetto al passato in Tunisia e Algeria (17-20‰), ma ancora alti in Marocco, Egitto e Libia (24-28). Con una mortalità che sta fra il 4 e il 6‰, ne risulta un saldo naturale annuo che va da un minimo dell'11‰ (Tunisia) a un massimo del 24 (Libia).
Solo con i movimenti migratori si ridimensiona (peraltro in misura modesta) questo differenziale di crescita demografica fra le tre sponde, cui corrisponde ovviamente come naturale conseguenza un forte differenziale nella struttura per età della popolazione, in maniera particolare nell'incidenza del numero dei giovani, e di conseguenza nella disoccupazione giovanile. Tuttavia il fenomeno migratorio, seppur tradizionale e di lunga data fra il Maghreb e la Francia, è assai più recente per la maggior parte dei Paesi mediterranei, dei quali molti sono multietnici in larga misura e per vecchia tradizione, altri lo stanno diventando solo marginalmente e da poco tempo. Fra i primi si collocano i territori della ex Iugoslavia: nonostante che il mosaico etnico si sia tradotto sul finire del Novecento in una frammentazione in più Stati, la maggior parte di essi continua a inglobare minoranze nazionali consistenti. Così in Croazia quasi il 5% della popolazione attuale è rappresentato da serbi, e in Bosnia e in Erzegovina addirittura metà della popolazione è composta da croati e da serbi. Sulla sponda africana, un terzo degli abitanti del Marocco e un quarto di quelli dell'Algeria sono berberi, su quella asiatica più di un decimo dei residenti in Turchia e il 7% di quelli della Siria sono curdi, mentre a Cipro oltre un quinto sono turchi, abitanti per lo più nella già citata Repubblica turca di Cipro del Nord. Infine, nello Stato d'Israele più di un quinto della popolazione è classificato come 'altri', ed è costituito nella stragrande maggioranza da palestinesi. Fra gli Stati mediterranei che hanno subito soltanto di recente o addirittura stanno sperimentando solo adesso trasformazioni etniche, il meno studiato è la Libia, Paese scarsamente popolato e bisognoso di manodopera per lo sfruttamento delle risorse petrolifere, che è stato perciò soggetto a cospicue quanto poco conosciute immigrazioni recenti, tanto da censire ormai nelle proprie statistiche della popolazione un 20% di 'altri' (molti di provenienza per l'appunto mediterranea, per es., egiziani e siriani). Ben note, ma numericamente modeste in proporzione alle popolazioni autoctone, sono invece le comunità immigrate dalla sponda africana occidentale in Francia, e in minor misura e più di recente in Italia e in Spagna: quasi un milione e mezzo di nordafricani risiede in Francia, soprattutto marocchini e algerini, alcune centinaia di migliaia in Italia, un po' meno in Spagna. È da notare che l'immigrazione algerina in Francia e quella tunisina in Italia rappresentano l'esatto inverso delle emigrazioni mediterranee d'altri tempi, soprattutto francesi in Algeria, ma anche italiane in Tunisia. Opposte sono anche le condizioni nelle quali tali migrazioni si sono svolte o si svolgono: francesi e italiani avevano piena libertà di emigrare e di stabilirsi nei due Paesi maghrebini, mentre i migranti da questi ultimi, dopo una prima fase in cui sono stati ben accetti in Francia per fabbisogno di manodopera (come i turchi in Germania), si sono trovati di fronte alle regole dell'Unione Europea istituite con la Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen (1990). Resta il fatto che nell'intera Unione Europea vivrebbero stabilmente diversi milioni di cittadini originari di Paesi del M. meridionale e orientale, in massima parte di religione e cultura islamica, profondamente radicate e profondamente diverse da quelle dominanti nei Paesi ospiti. Nonostante questi complessi e intrecciati spostamenti di popolazione, rimangono nel M. diversi Stati realmente 'nazionali', ossia abitati in assoluta prevalenza da autoctoni: per es., l'Albania, che ha solo una piccola minoranza greca (meno del 2% della popolazione); la Tunisia, con solo il 3-4% di berberi e altri; e soprattutto l'Egitto, Stato nazionale per eccellenza, abitato pressoché esclusivamente da egiziani.
Il processo di urbanizzazione continua la sua marcia anche nel mondo mediterraneo; la diversa velocità e le differenti modalità che lo hanno caratterizzato dipendono dalle tradizioni, dall'ambiente, dalle scelte territoriali. Così, il più rurale dei Paesi mediterranei risulta essere l'Egitto, il quale ancora nel 2003 non aveva che il 43% di popolazione urbana, restando dietro anche all'Albania (44%), alla Bosnia ed Erzegovina (44%), alla Siria (50%). I Paesi più avanzati del M. nord-occidentale risultano urbanizzati al 65-80%, ma anche la Turchia si attesta sul 59%, e Libia e Libano si stanno avvicinando al 90%. Malta e Israele (quest'ultimo per ragioni strategiche, oltre che geografico-fisiche) toccano la quota più elevata del bacino (92%), mentre la media mediterranea si colloca su un ragionevole 64%, peraltro prevedibilmente suscettibile di ulteriore crescita.
Le città mediterranee crescono, e naturalmente si trasformano. Però la loro evoluzione risulta condizionata dai modelli iniziali di urbanizzazione: modello europeo, modello mediterraneo in senso stretto, modello multiculturale orientale, modello arabo-islamico. Il primo, tipico della sponda settentrionale del M. centro-occidentale e legato in genere al mondo europeo più sviluppato, si caratterizza per una forte base economica capitalistica, una crescita dinamica delle aree suburbane e periurbane, servizi pubblici efficienti, una consistente e attiva classe media, capacità attrattiva nei confronti di immigrazioni di vario genere: gli esempi vanno da Malaga a Barcellona, da Marsiglia a Nizza, da Genova a Pisa, da Venezia a Fiume. Il modello mediterraneo in senso stretto riguarda città con una base economica più debole, con notevole ricorso alla spesa pubblica, forte peso delle attività terziarie amministrative, sviluppo relativamente recente dell'industria pubblica, fenomeni evidenti di speculazione edilizia: da Napoli a Palermo, da Ajaccio alla Valletta, da Atene a İstanbul, questo è il mondo urbano in cui Europa e Asia, Oriente e Occidente, sviluppo moderno e residui di sottosviluppo si incontrano. Il modello multiculturale orientale nasce da una preesistente base economica rurale e tradizionale, come quella che ha dato origine a Beirut o alle città israeliane, da Tel Aviv a Gerusalemme; queste ultime si caratterizzano in particolare per un'estrema efficienza dei servizi pubblici ed elevati livelli di vita, nonché per un forte senso di egualitarismo e di solidarietà nella vita sociale. Infine, le città del modello arabo-islamico presentano tre caratteristiche fondamentali comuni: un retroterra largamente desertico, una cultura quasi totalmente omogenea, il retaggio dell'influenza diretta oppure indiretta esercitata su esse dall'Occidente in epoca coloniale e postcoloniale.
La trasformazione fondamentale che si è verificata nella seconda metà del Novecento nelle città mediterranee è quella dal 'punto' alla 'area' o alla 'linea'. Anch'esse hanno cioè conosciuto il dilagare della popolazione urbana in periferia, l'espandersi delle costruzioni, la graduale cancellazione degli spazi rurali: il passaggio dalla città all'agglomerazione e poi alla conurbazione, quando non all'area metropolitana. I centri (intesi in senso lato) delle città mediterranee restano molto densamente popolati. Spesso per ragioni geomorfologiche manca lo spazio per un'edilizia più rarefatta; ma anche dove tale spazio esiste, in genere le costruzioni si accumulano, mancano gli spazi verdi, le densità abitative superano i 100 residenti per ettaro, come a Marsiglia, a Napoli, a İstanbul, ad Algeri - ma anche i 200, come a Il Cairo, nonostante le consistenti tendenze allo spostamento della popolazione verso la periferia.
Nel mondo mediterraneo si vanno profilando, sia pure in maniera indistinta e contraddittoria, nuove tendenze relativamente unitarie. Si tratta di tendenze che hanno come polo di attrazione quei processi di sviluppo e di unificazione in corso nell'Europa centro-occidentale, i quali stanno nel contempo svolgendo un'analoga azione di 'calamita' nei confronti dell'Europa orientale. Sembra quasi che da est, da sud-est e da sud un insieme crescente di forze graviti verso l'integrazione con un'Europa occidentale - atlantica, ma anche mediterranea - che ha dato l'esempio dei vantaggi connessi a un cambiamento di scala economico e politico.
Il quadro della regione mediterranea resta per ora frantumato e conflittuale. Le fratture e i conflitti sono locali: curdi contro turchi, fondamentalisti contro moderati nei Paesi islamici, maggioranze e minoranze etniche e religiose nella ex Iugoslavia, israeliani e palestinesi in Israele/Palestina. Sono inoltre globali: 'ricchi' prevalentemente a nord/nord-ovest, 'poveri' prevalentemente a sud/sud-est; traffici illeciti, di merci e di persone, dilaganti; mafie in crescita. Da area d'importanza marginale sulla scena politica mondiale, il M. è diventato un centro nevralgico di tensione internazionale. Ai contrasti fra Stati (Israele/Paesi arabi, Grecia/Turchia) si aggiungono quelli all'interno degli Stati, dall'Algeria a Cipro passando per i Balcani. Solo il M. nord-occidentale appare tranquillo, stabile, prospero: nel frattempo ha cominciato a farsi strada l'idea geopolitica - già adottata in un altro ambito territoriale, quello dell'Europa orientale - che la soluzione dei problemi sia nell'Unione Europea, ossia in una futura libera circolazione di merci, di capitali e soprattutto di persone tra M. ed Europa.
Nel M. si è cominciato a parlare di Europa, a dire il vero, già nel 1975, alla Convenzione di Barcellona per la protezione del Mar Mediterraneo dall'inquinamento (la Convenzione è stata adottata nel 1976 e ratificata nel 1978). Poi sono venute le ricerche del Plan Bleu (Programma Mediterraneo/ambiente delle Nazioni Unite), che hanno prodotto una sorta di unificazione scientifica, dal punto di vista tanto delle scienze naturali quanto di quelle umane, delle problematiche mediterranee. Ma un punto di svolta è stato segnato più nettamente dalla nuova Convenzione di Barcellona, ossia la Convenzione del 1995. Non si tratta, per quest'ultimo atto, soltanto di un accordo tecnico di massima per la protezione della biodiversità e lo sviluppo della gestione costiera integrata. A Barcellona nel 1995 si sono riuniti ben 27 Paesi dell'Unione Europea e del M., che hanno adottato congiuntamente un approccio di cooperazione, inteso a dare una nuova dimensione alle loro relazioni, il cui obiettivo più ambizioso è quello della creazione di un'Area mediterranea di libero scambio a partire dal 2010. Accordi specifici in questo senso sono stati nel frattempo stipulati fra Unione Europea e singoli Paesi mediterranei come Marocco, Tunisia, Egitto, Giordania e Israele, e il M. si avvia lentamente, in tal modo, a costituire un nuovo insieme regionale geopolitico e geoeconomico. Si tratterà di vedere se tale nuovo insieme sarà capace di stimolare lo sviluppo, creare posti di lavoro, ridurre la pressione migratoria, assicurare stabilità sociale, nonché suscitare l'indispensabile consenso popolare. L'espressione partnership euromediterranea, con tutta la sua imprecisione geografica e politica, sta già entrando nel linguaggio geopolitico contemporaneo. Non è detto che tale processo si risolva in un vantaggio per i Paesi mediterranei meno sviluppati: però intanto alcuni di essi (Turchia soprattutto, ma anche Tunisia e Marocco) già premono per un ingresso vero e proprio nell'Unione Europea.
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