Meteorologia
La scienza della pioggia e del bel tempo
La meteorologia è la scienza che studia l’atmosfera e i fenomeni fisici che portano all’alternarsi di pioggia e bel tempo, di brezze e tempeste, di caldo e freddo. Da queste conoscenze e dalle condizioni atmosferiche osservate in un dato istante su vaste regioni della Terra, il meteorologo trae i dati per prevedere l’evoluzione del tempo con un anticipo che attualmente può raggiungere i 4/5 giorni. La previsione dei fenomeni meteorologici è di grande importanza per numerosi settori della società moderna, quali l’agricoltura, la navigazione aerea e quella marittima, i trasporti su strada, il turismo e spesso la sicurezza stessa della popolazione
Lo studio dell’atmosfera e le previsioni del tempo oggi possono contare su mezzi tecnologici imponenti. Decine di satelliti artificiali ci inviano immagini dei sistemi nuvolosi e milioni di dati sulla temperatura del suolo e dei mari, sull’umidità, sulla velocità dei venti. Migliaia di stazioni meteorologiche al suolo e di boe sparse negli oceani forniscono il quadro delle condizioni del tempo sulla superficie terrestre. Migliaia di palloni sonda vengono lanciati ogni giorno per rilevare le condizioni dell’aria fino alle quote più alte e per raccogliere dati che si aggiungono a quelli forniti dagli aerei in volo.
Ma tutte queste informazioni non servirebbero senza potentissimi computer in grado di elaborarle in tempo reale e senza complessi modelli matematici che permettono di simulare il comportamento dell’atmosfera.
L’importanza scientifica e pratica della meteorologia è così grande che ogni paese ha un suo Servizio meteorologico nazionale. L’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM), istituzione dell’ONU con sede a Ginevra, coordina il lavoro dei meteorologi a livello planetario.
Nonostante tutti questi sforzi, le previsioni del tempo non sono ancora pienamente soddisfacenti: sicure al 95% sulle 24 ore, sono attendibili al 60-70% su tre giorni e poi perdono rapidamente validità.
È difficile spingersi oltre questo lasso di tempo perché piccolissimi errori nel rilevare la situazione meteorologica di partenza si ingigantiscono nelle previsioni di più lungo periodo: un minimo scarto nelle misure di partenza può fare la differenza una settimana dopo tra una giornata serena e una pioggia torrenziale.
Nel 1963 il meteorologo americano Edward Lorenz scrisse un articolo intitolato Il battito d’ali di una farfalla in Brasile può scatenare un uragano in Texas. Da allora in meteorologia si parla dell’effetto farfalla. Gli scienziati definiscono caotico (caos e caso) questo comportamento dell’atmosfera e degli altri sistemi fisici nei quali una pur piccola differenza iniziale può produrre esiti completamente diversi.
L’atmosfera è un miscuglio di gas che avvolge la Terra. Due sono i principali, l’azoto (78%) e l’ossigeno (21%). Il rimanente 1% è costituito da argon e da tracce di altri gas che, nonostante la loro piccola quantità, sono però importanti per l’equilibrio del nostro pianeta. Tra questi spiccano l’anidride carbonica, la cui quantità nell’ultimo secolo è salita da 290 a 380 parti per milione, il metano (che contribuisce all’effetto serra) e l’ozono, una molecola da tre atomi di ossigeno anziché da due (come nell’ossigeno ‘normale’), che ci protegge dai raggi ultravioletti.
Ma nell’atmosfera c’è anche vapore acqueo (acqua). La sua concentrazione è piccola ma il suo ruolo è fondamentale, essendo all’origine delle varie forme di precipitazione: pioggia, neve, grandine, rugiada.
La massa dell’atmosfera è meno di un milionesimo di quella del Pianeta. Si estende dalla superficie terrestre fino a 1.000 km di altezza e oltre ma, salendo di quota, la sua densità diminuisce in fretta. Un alpinista sulla cima del Monte Bianco (4.810 m) ha metà dell’atmosfera sotto di sé. I nove decimi dell’atmosfera sono concentrati nei primi 12 km a partire dal suolo (ma all’Equatore è più spessa): è lo strato di aria chiamato troposfera; sopra, fino a circa 45 km, si estende la stratosfera, fino a 90 la mesosfera, fino a 4004500 km la termosfera. Tutti i fenomeni meteorologici avvengono in sostanza entro i primi 9 km. Se poi consideriamo la regione atmosferica nella quale si svolge la vita umana, vedremo con una certa sorpresa che si riduce ai primi 3.000 m: se la Terra fosse un palloncino, questo strato corrisponderebbe allo spessore della sola pellicola di gomma.
Il motore principale dei fenomeni che osserviamo nell’atmosfera è la radiazione solare che influisce sulla temperatura della Terra. La temperatura non è uguale in ogni luogo e in ogni momento – in tal caso l’atmosfera sarebbe immobile – ma varia per molti motivi: la Terra ruota su sé stessa e così determina l’alternarsi del giorno e della notte, mentre dalla rivoluzione del nostro pianeta intorno al Sole dipendono l’inverno e l’estate; le regioni vicine all’Equatore ricevono più radiazione di quelle vicine ai Poli; i mari – che hanno una massa trecento volte più grande dell’atmosfera – influenzano il tempo meteorologico sia perché da essi evapora una grande quantità di acqua sia perché possono immagazzinare il calore e restituirlo lentamente, mentre le terre emerse lo restituiscono molto velocemente.
Del resto le stesse attività dell’uomo influiscono ormai pesantemente sul tempo meteorologico: le nubi di smog attenuano la radiazione solare; il disboscamento espone al Sole zone che prima, grazie alla vegetazione, si mantenevano più umide e fresche; l’anidride carbonica immessa nell’aria bruciando combustibili fossili aumenta l’effetto serra (inquinamento) e la temperatura globale media della Terra che è cresciuta nell’ultimo secolo di quasi 1 °C.
Le differenze di temperatura da luogo a luogo sono all’origine dei venti, dai terribili cicloni tropicali alle brezze di mare e di terra in quanto l’aria, scaldandosi, diventa più leggera e sale, richiamando aria fresca dalle regioni circostanti.
Gli scienziati hanno individuato tre grandi circolazioni atmosferiche dovute alle differenze di temperatura, simmetriche a nord e a sud dell’Equatore. La prima è costituita dall’aria che si riscalda sopra l’Equatore, sale ad alta quota e scende sopra il Tropico del Cancro a nord e sopra il Tropico del Capricorno a sud: queste sono le cellule di Hadley, dal nome dell’avvocato inglese che le scoprì e le descrisse alla Royal Society di Londra nel 1735. Sulle due zone temperate, tra le latitudini di 30°460° nord e sud abbiamo poi le cellule di Ferrel, e infine, le cellule polari oltre la latitudine di 60° nord e sud (atmosferici, fenomeni).
Il movimento di queste correnti atmosferiche si combina con quello della rotazione terrestre e dà origine ai venti pressoché costanti chiamati alisei. Differenze stagionali di temperatura tra i continenti e gli oceani causano invece i monsoni e la loro regolare periodicità. Infine, sopra i Poli ruotano costantemente le correnti a getto, giganteschi fiumi di aria che si spostano alla velocità media di 150 km/h.
Le differenze di temperatura prodotte dai venti si traducono in differenze di pressione atmosferica. In generale, dove la pressione è alta, il tempo è stabile, mentre dove è bassa tende ad arrivare aria dalle zone circostanti, e il tempo è instabile. La pressione atmosferica è quindi un dato fondamentale per le previsioni del tempo. Altrettanto importanti sono la temperatura e l’umidità. Con una bacinella piena di mercurio e un lungo tubo di vetro, nel 1644 Evangelista Torricelli, allievo di Galileo Galilei, fece una scoperta che aveva dell’incredibile: su ogni metro quadrato della superficie terrestre gravano circa 10 t di aria! Lo strumento ideato da Torricelli è stato il primo barometro, lo strumento che misura la pressione atmosferica: tuttavia, la parola venne coniata oltre vent’anni dopo, nel 1665, dall’inglese Robert Boyle.
Il termometro fu invece ideato da Galilei e l’adozione delle scale termometriche ha permesso poi di confrontare i dati. L’igrometro misura l’umidità e si è evoluto dagli strumenti basati sull’allungamento dei capelli – le cui dimensioni variano, per l’appunto, con il variare dell’umidità – fino ai moderni sensori elettronici. Il pluviometro misura la quantità di precipitazioni in millimetri di acqua piovana per metro quadrato. Vari tipi di radiometri misurano la radiazione termica solare e quella ultravioletta. L’anemometro, infine, misura la velocità e la direzione del vento.
Questi dati, con quelli raccolti da altri strumenti a bordo dei satelliti meteorologici, definiscono lo stato del tempo in un dato luogo e in un certo istante. Più è fitta la rete dei luoghi dove si effettuano le misure, più attendibile sarà la previsione del tempo.
Le manifestazioni del tempo meteorologico sono estremamente varie per forma e intensità. Una delle più comuni è data dalla nebbia e dalle nuvole. Il Sole ci regala un’enorme quantità di energia: quasi 1.400 W/m2. In parte questa radiazione viene riflessa, in parte è assorbita dall’atmosfera. Al suolo in media ne arriva circa 1/3. Una parte dell’energia solare che raggiunge la superficie terrestre mantiene in moto il ciclo dell’acqua, sollevando in cielo ogni giorno, sotto forma di vapore, 1.200 miliardi di tonnellate di acqua.
L’acqua allo stato di vapore è trasparente. Le nuvole sono visibili solo perché in esse il vapore si è già condensato in goccioline di acqua o in cristalli di ghiaccio che diffondono la luce. La nebbia non è nient’altro che una nuvola stratificata a contatto con il suolo, e come tutte le nubi nasce dalla condensazione del vapore. Le sue goccioline di acqua sono però più grandi di quelle delle nubi in quota: il loro diametro raggiunge 0,5 mm e il volume è 70.000 volte maggiore.
Sembra che non ci siano mai due nuvole uguali, tanto più che spesso le nubi si trasformano sotto i nostri occhi, plasmate dal vento. Eppure, nonostante l’estrema variabilità, i meteorologi hanno riconosciuto alcune costanti nella forma e nelle proprietà delle nubi.
A stabilire un ordine nel mondo multiforme di queste masse di goccioline e di cristalli d’acqua fu, nel 1802, il meteorologo dilettante Luke Howard. La sua classificazione, che utilizza il latino – all’epoca ancora la lingua della scienza –, è tuttora riconosciuta dall’Organizzazione meteorologica mondiale. Tre sono i gruppi principali di nubi descritti da Howard: cirrus, cumulus e stratus, più noti ormai nella forma italiana di cirro, cumulo e strato.
Cirrus (in latino «ricciolo») è una formazione bianca e fibrosa a grande altezza, tra i 6.000 e i 10.000 m di quota, all’estremità superiore della troposfera. Howard descrisse i cirri come «filamenti disegnati nel cielo con una matita». Di forma irregolare, sono costituiti di minutissimi cristalli di ghiaccio.
Cumulus (in latino «mucchio») è un nuvolone torreggiante, in genere con la parte inferiore vicina al suolo e con grandi protuberanze, che possono salire anche a grandi altezze: 4.000 m e oltre. La parte superiore dei cumuli assume una caratteristica forma a incudine quando si avvicina al confine della troposfera. All’origine dei cumuli c’è il riscaldamento di una massa d’aria da parte del calore accumulato dal terreno: l’aria surriscaldata diventa più leggera e sale e, di conseguenza, si raffredda fino alla condensazione del vapore e alla formazione della nube. I cumuli annunciano pioggia abbondante, temporali, grandine.
Al tipo stratus appartengono le nuvole stratificate, con grande estensione orizzontale, spesse qualche centinaio di metri, di colore grigio. Sono nebbie compresse che di solito ricoprono vaste zone a quote intorno ai 2.000 m. Si formano quando l’aria è troppo ferma perché possano nascere cumuli o quando una massa d’aria più calda entra in collisione con una massa d’aria più fredda: allora l’aria calda, che è più leggera, scivola sopra quella fredda, e quando la sua umidità si condensa, si forma lo strato.
I sistemi nuvolosi mostrano tutta la loro imponenza quando incombono su di noi occupando tutto il cielo o quando li sorvoliamo in aereo per migliaia di chilometri. Eppure la quantità di acqua che contengono non è poi molto grande. Se in un dato momento precipitasse tutta l’acqua contenuta in tutte le nubi del mondo, sull’intera superficie del Pianeta cadrebbero appena 25 mm di pioggia. Dell’acqua disponibile sulla Terra soltanto un centomillesimo si trova nelle nuvole.
Il processo con cui il vapore contenuto nell’aria si liquefà o si congela formando le nubi richiede particolari condizioni di temperatura e microscopici nuclei di condensazione (pulviscolo, granelli di polvere, granelli di sale) intorno ai quali il vapore si addensa tornando allo stato liquido o solido, per poi dare luogo alle precipitazioni. I nuclei di condensazione hanno un diametro di 0,12 µm ( 1 µm equivale a 0,001 mm) e un volume pari a un milionesimo delle goccioline elementari che formano le nubi, il cui diametro è 12 µm. Ci sono poi goccioline di dimensioni maggiori, da 0,1 mm, e le goccioline della nebbia, da 0,5 mm, mentre le gocce di pioggia vere e proprie di solito hanno un diametro di circa 3 mm. Infine, le gocce dei temporali raggiungono i 6 mm e un volume di 125 milioni di goccioline elementari.
I temporali sono scrosci di pioggia improvvisi e violenti, giornalieri nelle regioni tropicali e tipici dell’estate nelle zone a media latitudine, accompagnati da fulmini e tuoni, talvolta da grandine. In media ogni giorno sulla Terra i temporali sono circa 50.000. Umidità, instabilità e correnti ascensionali sono le condizioni per il loro sviluppo. La cella temporalesca, larga qualche chilometro, ha origine in nubi bianche cumuliformi, con tendenza a svilupparsi verticalmente. Alimentate dal calore irradiato dal suolo, queste formazioni raggiungono il confine della troposfera a 12 km di altezza, dove assumono la caratteristica forma a incudine. Nella nube le correnti sono veloci (intorno ai 40 km/h), ascendenti nella parte esterna e discendenti nell’interno. Queste nubi hanno in sé non solo il potere di scatenare, ma anche quello di smorzare il temporale. Estendendosi ampiamente, bloccano la radiazione solare e quindi anche la risalita di aria umida, che così non alimenta più il temporale.
I fulmini derivano da una differenza di potenziale elettrico tra le nubi o tra le nubi e il suolo. Benjamin Franklin (18° secolo) lo dimostrò con una serie di esperimenti fatti con aquiloni: ne derivò l’invenzione del parafulmine. Possiamo immaginare la nube come una gigantesca pila. I cristalli di ghiaccio che si formano in cima alla nube temporalesca hanno carica elettrica positiva, mentre le gocce d’acqua che tendono a cadere alla base hanno carica negativa. Quando il potenziale è sufficiente a superare la resistenza dell’aria, si ha la scarica elettrica. La maggior parte delle scariche avviene tra le nubi, solo un fulmine su quattro avviene tra suolo e nube. Lungo la scarica l’aria si riscalda a 30.000 °C e la pressione può aumentare da 10 a 100 volte, generando onde d’urto che percepiamo come tuono.
Una forma di precipitazione che talvolta accompagna i temporali è la grandine. I chicchi di grandine (che hanno un diametro medio di 1 cm) si formano quando i microcristalli di ghiaccio rimangono sospesi in una nube di goccioline di acqua sopraraffreddata, cioè con temperatura sotto i 4 °C ma superiore a quella di congelamento. I chicchi di grandine raggiungono a volte dimensioni eccezionali. Il 3 settembre 1970 nel Kansas ne fu raccolto uno che pesava 750 g. Nel Bangla Desh, il 14 aprile 1986, una grandinata scaricò blocchi di ghiaccio di circa un chilogrammo causando 92 morti: il chicco più massiccio pesava 1,024 kg.
Quando la temperatura vicino al suolo si aggira intorno a 0 °C, le precipitazioni possono avvenire sotto forma di neve. I fiocchi di neve sono eleganti aggregazioni di microcristalli di ghiaccio e si formano quando il vapore gela direttamente attorno a nuclei solidi, senza passare per la fase liquida. In presenza di aria secca in vicinanza del terreno può nevicare anche quando la temperatura è sopra lo zero centigrado.
Quando invece il freddo è eccessivo, l’aria non può contenere abbastanza acqua allo stato di vapore perché si formi la neve. La più abbondante caduta di neve in un anno fu registrata a Paradise, sul Monte Rainier, nello Stato di Washington, Stati Uniti: dal 19 febbraio 1971 all’8 febbraio 1972 si accumularono 31 m di neve.
Fondata nel 1950 per iniziativa delle Nazioni Unite, l’OMM ha l’obiettivo di facilitare la collaborazione internazionale per costituire reti di stazioni meteorologiche e idrologiche, promuovere lo scambio rapido di informazioni meteo, uniformare le osservazioni in modo che siano confrontabili e pubblicare i dati statistici.
L’OMM mette le sue strutture a disposizione del trasporto marittimo e aereo, dell’agricoltura e delle attività sociali condizionate dal tempo meteorologico. Aderiscono all’organizzazione, che ha sede a Ginevra, 187 paesi. La principale attività della OMM è la Sorveglianza meteorologica mondiale (WWW, World weather watch), che fornisce continui aggiornamenti sul clima mondiale attraverso le strutture dei paesi associati e una rete di comunicazione planetaria. Ogni giorno vengono diffusi circa 20 milioni di dati.
Il Centro europeo per l’elaborazione dei dati meteorologici (ECMWF, European center for medium range weather forecasts) si trova a Reading, nel Regno Unito, a 50 km da Londra. Sorto nel 1979, è sostenuto da 18 paesi. Il modello da esso adottato per le previsioni meteorologiche suddivide l’atmosfera in milioni di spazi cubici di qualche decina di chilometri di lato per ognuno dei quali i computer elaborano tutti i dati atmosferici. Lo sforzo è attualmente mirato a prolungare la validità della previsione fino a 10 giorni. Fondamentale è il contributo delle osservazioni fornite dai satelliti, settore nel quale l’Europa è ormai da molti anni indipendente dagli Stati Uniti grazie a varie generazioni di satelliti Meteosat sempre più sofisticati.