Millenarismo
Il termine 'millenarismo' è stato coniato per designare la credenza, diffusasi fra le prime comunità cristiane, nell'imminente avvento del Regno di Cristo in terra, riservato ai giusti e, secondo una tradizione consolidata, destinato a durare mille anni. Progressivamente l'area semantica del termine millenarismo e del suo equivalente 'chiliasmo' si è dilatata fino a comprendere ogni movimento di protesta che sia animato dalla fede in una età futura, concepita come l'eone della perfezione, nella quale regnerà sovrana la giustizia e tutti i mali inerenti alla condizione umana saranno eliminati.
Secondo la nota tesi di Karl Mannheim, il millenarismo sarebbe una forma estrema della mentalità utopica. In realtà, allo sguardo del millenarista, la Città ideale della letteratura utopistica, quale che sia la sua forma specifica, non può non apparire come un modesto surrogato della meta - la Terra senza Male - che egli considera imminente o, quantomeno, assolutamente certa. Il Millennio, infatti, è qualcosa di profondamente diverso dalla società armoniosa disegnata dal pianificatore utopico: è un mondo trasfigurato nel quale il dominio, la penuria, l'impotenza, la guerra e persino la morte non saranno che un vago ricordo. In maniera tipica, il millenarismo annuncia una mutazione metastatica che, essendo al tempo stesso sacra e profana, è strettamente connessa al tema escatologico della 'fine del mondo'. Di qui il fatto che, laddove l'utopista si impegna a fornire una descrizione particolareggiata della struttura organizzativa della Città ideale, il chiliasta si limita ad affermare che il Regno finale scaturirà dal rovesciamento pantoclastico dell'esistente. Conseguentemente, egli non si attarda a tracciare il quadro della società futura. Né, del resto, potrebbe farlo, ché della società trasfigurata non è dato parlare con il linguaggio a disposizione degli uomini che vivono nell'eone della corruzione. La distanza ontologica che separa il Millennio dalla realtà esistente è tale che di esso si può dire solo che, quando l'atteso evento catastrofico-palingenetico avrà fatto tabula rasa del vecchio mondo, l'umanità sarà completamente e definitivamente al riparo da tutte quelle esperienze negative che quotidianamente avviliscono l'umanità presente. La meta del millenarismo è il 'totalmente altro', che si materializzerà attraverso un processo dialettico di negazione, inversione e distruzione dell'esistente. Alla fine del processo di mutazione metastatica, tutto sarà diverso e gli uomini vivranno in un mondo che sarà perfettamente aderente ai loro più profondi desideri. Il millenarismo crede con la massima intensità all'infinita potenza, al tempo stesso distruttiva e creativa, della negazione. È per questo che esso si raffigura la fine del vecchio mondo e la nascita del mondo nuovo come un unico processo. Donde lo schema tipico di ogni visione millenaristica della storia, che Max Weber ha efficacemente sintetizzato con la formula "sventura, poi salvezza". La catastrofe viene addirittura invocata in quanto è percepita come il vestibolo della liberazione totale dal male fisico, metafisico e morale. Questo mondo, dominato dai 'figli della tenebra', deve perire affinché il mondo nuovo possa venire alla luce. L'avvento della civitas Dei esige l'annientamento della civitas diaboli. Tutto del vecchio mondo - vero e proprio regnum perditionis - deve essere spazzato via: questa è la precondizione dell'instaurazione del Millennio, che sarà un regno di pace e di abbondanza, di giustizia e di amore fraterno. Date queste premesse, è logico che l'avvento del Regno finale sia percepito come una cesura così radicale e profonda che l'intera storia passata dell'umanità risulta essere completamente svalutata e delegittimata in quanto eone della corruzione e dell'errore; tutt'al più essa può essere giustificata come momento preparatorio dell'evento che, estirpando le radici del male, produrrà la renovatio mundi, ardentemente desiderata e spasmodicamente attesa.
In contrasto con l'approccio della storiografia 'evenemenziale', che identifica il suo compito con la descrizione delle vicende e dei caratteri specifici dei singoli movimenti millenaristici, le scienze sociali hanno adottato un metodo di indagine tipologico, volto a definire quegli elementi comuni e costanti che, correlati, costituiscono la struttura universale del chiliasmo in quanto tale. Le scienze sociali hanno altresì elaborato modelli teorici che hanno l'ambizioso obiettivo di individuare le condizioni, i fattori e gli agenti presenti ovunque si produca il fenomeno dell'insorgenza di un movimento millenaristico. Fra questi modelli resta fondamentale, sia per l'enorme influenza che ha esercitato che per la sua potenza analitica, quello weberiano, basato sui seguenti assunti: a) la nostalgia del paradiso perduto e l'aspirazione a trascendere l'esistente sono inerenti alla natura umana; b) il desiderio di sfuggire alla morsa della realtà diventa particolarmente intenso nelle situazioni di crisi a prospettiva catastrofica; c) l'attivazione del mito del Millennio offre alle vittime della crisi - i gruppiparia, condannati all'emarginazione - l'unica possibilità di sperare in un futuro migliore. In questa ottica, il millenarismo appare essere il grido di dolore delle creature oppresse, accompagnato dall'attesa della liberazione dal male. Esso, pertanto, è la manifestazione di un profondo disagio sociale e, al tempo stesso, la risposta a tale disagio. Come tale, il millenarismo, pur essendo una tentazione permanente dell'animo umano - Max Weber insiste esplicitamente sul fatto che il bisogno di redenzione non riguarda esclusivamente le classi subalterne -, può essere spiegato solo a partire dall'analisi del particolare contesto sociale nel quale esso emerge sotto forma di movimento di protesta di coloro che, colmi di risentimento per le ingiustizie subite, desiderano ardentemente la riplasmazione ab imis dell'ordine esistente.
La categoria storico-sociologica della 'catastrofe culturale' introdotta da Karl Polanyi permette di capire perché la credenza millenaristica si diffonde come un contagio spirituale fra i gruppi sociali coinvolti nel vortice di rapidi e traumatici cambiamenti. Tale credenza opera come un trasformatore magico, capace di convertire il sovraccarico depressivo di coloro che vivono una crisi abbandonica in eccitazione spasmodica e attivismo frenetico. È appena il caso di sottolineare che gli argomenti razionali, volti a raffreddare l'entusiasmo degli adepti di un movimento millenaristico, risultano del tutto inefficaci. Ciò accade perché la prospettiva che la predicazione chiliastica dischiude - il passaggio dall'eone della corruzione all'eone della perfezione -, oltre a essere esaltante, è l'unica possibilità che hanno le vittime della catastrofe culturale di spezzare il cerchio opprimente della disperazione. Non a caso nel XIX e nel XX secolo si sono moltiplicati i movimenti nativistici, i quali spesso sono emersi nelle aree culturali disintegrate dall'avanzata imperialistica della moderna civiltà industriale. Tali movimenti di protesta sono stati gli ultimi sussulti di quelle società che la civiltà occidentale ha annientato o, quantomeno, ferito a morte. Del resto la stessa civiltà occidentale, a partire dal XII secolo, è stata periodicamente squassata dall'esplosione di movimenti millenaristici; il che è avvenuto ogniqualvolta la rivoluzione permanente capitalistica ha moltiplicato e allargato le zone di anomia, generando quello che Arnold J. Toynbee ha definito il 'proletariato interno': una massa di diseredati alla disperata ricerca di una via d'uscita dalla loro umiliante condizione di paria della Città borghese.
Nel suo significato più ampio il millenarismo comprende una vasta famiglia di movimenti che, pur presentando tratti specifici, sono tutti animati dall'attesa dell'evento escatologico che porrà fine all'eone della corruzione e darà principio all'eone della perfezione. Fra tali movimenti un posto di particolare rilievo occupa il messianesimo, la cui prima forma storicamente accertata è stata quella elaborata all'interno della tradizione giudaica.
La credenza messianica non si limita a profetare l'avvento di una nuova era; essa indica anche l''unto dal Signore' - il Messia, per l'appunto - inviato ad annunciare e a realizzare la liberazione di coloro che soffrono. Nella figura del Messia si trovano concentrati, e con la massima purezza, tutti i tratti tipici del portatore di carisma qual è stato magistralmente descritto da Max Weber. Straordinarie sono la sua personalità e la sua autorità morale, poiché straordinaria è la sua missione. Egli sente di essere stato chiamato a rivoluzionare l'esistente affinché la promessa di salvezza si materializzi e la realtà si conformi alla volontà divina. Il suo ruolo escatologico, pertanto, non è solo religioso, ma anche politico-sociale. Egli è l'impersonale strumento di cui Dio si serve per porre fine allo stato di cose esistente, nel quale i giusti vivono con la dolorosa coscienza di essere vittime di intollerabili soprusi e con il risentimento che tale coscienza genera spontaneamente. La redenzione che egli promette, sulla base di una precisa diagnosi-terapia dei mali che infestano il mondo, è una liberazione terrena. Ed è anche una liberazione collettiva. Il messianesimo, come qualsiasi altra forma di chiliasmo, non crede nella redenzione dei singoli in quanto tali. È vero che uno degli aspetti più caratteristici della predicazione messianica è l'appello rivolto agli uomini affinché si impegnino sino all'autosacrificio nella lotta finale contro le potenze del male. Ma il destinatario del messaggio profetico è sempre una collettività che vive come assediata, in una dolorosa condizione di esclusione e di emarginazione. Anche quando il Messia parla all'umanità, di fatto egli si rivolge a un uditorio privilegiato, costituito da un gruppo-paria, e a esso si presenta come il dispensatore di giustizia. Pertanto la struttura tipica di ogni movimento messianico comprende tre elementi essenziali: a) una collettività oppressa destinata ad assumere il ruolo di 'lotto dei giusti'; b) la presenza di un messaggero divino (o comunque di un capo carismatico percepito come il redentore); c) la credenza che la 'fine dei tempi' sia prossima e che, a partire da essa, l'angoscia e il dolore cesseranno di tormentare gli eletti.
Tutto ciò fa del messianesimo una forza spirituale a spiccata vocazione rivoluzionaria. Esso, per quanto attiene ai mezzi, può essere pacifista o violento, ma sempre radicalmente ostile all'esistente e sempre orientato verso la trasfigurazione totale della realtà. Il carattere assoluto della meta che un movimento messianico persegue - il 'rovesciamento del mondo rovesciato' - rende impossibile, e persino impensabile, ogni compromesso con i 'figli della tenebra' anche quando la sua predicazione è rigorosamente irenica. Il che porta inevitabilmente il movimento messianico a costituirsi come una collettività a parte, animata dalla convinzione di essere portatrice di una missione soteriologica, dunque come una controsocietà carismatica la quale abbraccia tutti coloro che, essendosi identificati toto corde con la meta escatologica, si sentono come rigenerati. La metanoia, in effetti, è ciò che caratterizza lo specifico modo d'essere di quanti sono stati contagiati dalla predicazione del Messia. Questa ha lo straordinario potere di produrre una conversione spirituale tale da dare inizio a una nuova vita morale, anticipazione della vita trasfigurata che prenderà corpo quando il vecchio mondo, corrotto e corruttore, sprofonderà nel nulla. Ne deriva che una minaccia permanente incombe su una comunità messianica. Essa deve instancabilmente alimentare nel suo seno la tensione escatologica, ché, diversamente, l'influenza corruttrice del regnum perditionis finirebbe per inquinare la comunità medesima, snaturandola in modo irrimediabile. Di qui l'esigenza di elevare tutta una serie di barriere spirituali per far sì che i miasmi morali del vecchio mondo non contaminino coloro che sono stati rigenerati dal messaggio profetico. Ogni movimento messianico è ossessionato dal problema della purezza, non solo perché il suo scopo ultimo è quello di portare a nuova vita l'esistente purificandolo, ma anche perché solo mantenendosi incontaminato può scongiurare il pericolo, sempre presente, di perdere la sua identità e di farsi progressivamente fagocitare dal 'lotto dei dannati'.
Il problema della preservazione della purezza spirituale diventa particolarmente drammatico allorché viene a mancare il Messia. Allora si apre la difficile transizione dal carisma personale al carisma d'ufficio. Il Messia, come ogni leader autenticamente carismatico, è una figura insostituibile. Pure, il movimento millenaristico deve trovare il modo e le forme affinché lo straordinario potere di fascinazione del suo fondatore non svanisca completamente; deve, in altre parole, istituzionalizzare il carisma e tutto ciò - la tensione escatologica, il codice morale, la meta finale - che a esso è connesso. Ne va dell'identità del movimento medesimo e persino della sua stessa esistenza. Nasce così la figura del vicario e contemporaneamente vengono elaborate norme di successione atte a garantire la trasmissione d'ufficio del potere carismatico, senza la quale la lotta per l'edificazione del Regno non potrebbe essere proseguita e il movimento sarebbe colpito da un processo di dissoluzione interna.
Due sembrano essere gli esiti 'logici' della trasformazione del carisma in pratica quotidiana. Se la predicazione messianica contagia solo un'esigua minoranza, il movimento chiliastico assume le sembianze di una setta di veri credenti in partibus infidelium, asceticamente impegnati a custodire il messaggio di salvezza e ad alimentare la credenza nell'evento escatologico che, prima o poi, porrà fine all'eone della corruzione. Ove, invece, un movimento chiliastico conquista la 'potenza del mondo' o, quantomeno, partecipa alla sua gestione, esso si converte progressivamente in una istituzione sui generis: la burocrazia carismatica. Esteriormente, tale burocrazia non si distingue dai corpi burocratici del mondo profano; interiormente, però, essa è animata dalla coscienza di avere una missione soteriologica da compiere e, proprio per questo, rivendica un'autorità che deve estendersi a tutto e a tutti. Non un aspetto della vita umana può sfuggire alla sua giurisdizione normativa. Di qui il fatto che ogni burocrazia sorta in seno a un movimento millenaristico trionfante ha, e non può non avere, una forte vocazione all'integralismo, cioè alla correlazione totale, senza riserve, di tutti gli elementi dell'edificio sociale, di modo che ognuno di essi dipenda dagli altri e non possa essere cambiato senza compromettere la coerenza del tutto.
I Libri profetici della tradizione giudaica sono i primi documenti storici nei quali è formulata con grande chiarezza la visione millenaristica della storia centrata sull'annuncio della trasformazione della terra in un nuovo Eden. L'escatologia giudaica, nella quale a Israele era assegnato il ruolo di popolo eletto destinato a riconquistare il paradiso perduto, a partire dal II secolo a.C. alimentò una vasta letteratura apocalittica militante, animata dall'attesa di un rivolgimento epocale che avrebbe fatto di Gerusalemme la capitale spirituale del mondo.
L'attesa del Regno di Dio sulla terra si intensificò sotto l'oppressivo giogo romano e portò alla nascita di numerose sette millenaristiche - tutte ostili all'ordine esistente e tutte parimenti animate da una potente tensione escatologica - cui i dominatori guardavano con un misto di disprezzo e di timore. In effetti, nell'escatologia giudaica il momento religioso era così strettamente legato al momento politico che quelle sette non potevano non essere percepite dai Romani come una minaccia permanente; tanto più che esse esplicitamente identificavano l'instaurazione della diretta sovranità di Dio con l'annientamento dell'Impero dei gentili.Il contenuto politico-rivoluzionario dell'attesa del Regno finale era particolarmente evidente nella predicazione degli esseni. Questi, nella misura in cui si consideravano i 'figli della luce', destinati a partecipare alla battaglia escatologica contro le 'potenze della tenebra' che si sarebbe conclusa con lo sterminio del 'lotto dei dannati', costituivano una setta a forte vocazione sovversiva, sempre pronta a impugnare la 'spada di Gedeone' per realizzare la volontà divina. Ancora più intenso era lo spirito rivoluzionario che animava gli zeloti. Come gli esseni, essi attendevano la fine della corruzione e l'inizio dell'incorruttibilità; ma mentre gli esseni ritenevano che la battaglia finale non sarebbe iniziata prima dell'arrivo del 'maestro di giustizia', gli zeloti erano psicologicamente sempre sul piede di guerra in quanto, animati come erano dalla convinzione che fosse possibile forzare la mano a Dio, giudicavano ogni forma di attendismo una colpevole concessione all'empio dominio dello straniero.L'impazienza rivoluzionaria degli zeloti sfociò nella catastrofe del 70. Ma né la distruzione del Tempio né la diaspora determinarono lo svanire della speranza chiliastica, bensì solo una riformulazione della sequenza che avrebbe dischiuso al popolo ebraico le porte del Regno di Dio in terra. Quasi contemporaneamente gli apostoli, muovendosi nel solco tracciato dall'apocalittica giudaica, incominciarono a propagare in tutto il bacino mediterraneo l'idea che Cristo sarebbe quanto prima ritornato per instaurare sulla terra il suo Regno. La speranza chiliastica fu potentemente rafforzata dall'Apocalisse, altrimenti nota come il Libro della Rivelazione, dove Giovanni l'Evangelista annunciava che l'Impero dei pagani sarebbe stato annientato e che i "martiri della fede nella parola di Dio" sarebbero ritornati in vita e avrebbero regnato con Cristo per mille anni.Il mito della parusia, vale a dire della seconda venuta di Cristo, e la visione catastrofico-palingenetica del destino dell'umanità contenuta nell'Apocalisse alimentarono potentemente il pathos del rifiuto del mondo, il quale, a rigor di logica, avrebbe dovuto condurre all'idea che il primo dovere del cristiano fosse quello di distruggere l'Impero, contaminato da una religione e da una civiltà che Cristo aveva condannato. Cionondimeno i cristiani, con la sola eccezione della setta dei circuncellioni, si tennero lontani dalla violenza. Ma non da un atteggiamento radicalmente ostile nei confronti di Roma, 'nuova Babilonia', di cui attendevano con trepidazione l'imminente fine profetata dalle Sacre Scritture.Ma, a partire dall'editto di Milano (313), la scena cambiò completamente. Dal momento che Costantino, nel disperato tentativo di potenziare le basi spirituali dell'Impero, aveva deciso di fare del cristianesimo una religione protetta dallo Stato, la Chiesa fu in un certo senso obbligata a prendere le distanze nei confronti del millenarismo, presentando il Regno di Dio come una rivoluzione puramente spirituale, una renovatio in interiore homine, priva di contenuti specificamente politici e sociali. Inoltre essa cercò in tutti i modi di attenuare la carica anti-istituzionale di ciò che Tertulliano (160-250 ca.) aveva chiamato il 'disprezzo del secolo', che faceva del cristiano un alieno, completamente indifferente al destino della civiltà in cui viveva. In tal modo emerse uno stupefacente paradosso: che la Chiesa, nata dall'aspettazione messianica della fine del mondo, divenne il più solido argine spirituale contro la tentazione millenaristica.
La vittoria della Chiesa sul millenarismo non fu definitiva. La fiamma dell'attesa del Regno di Dio in terra covava sotto le ceneri, pronta a incendiare gli spiriti quando in essi, a causa delle sofferenze patite, si intensificava il desiderio di sfuggire alla morsa opprimente della realtà. Il che avvenne puntualmente ogniqualvolta le impersonali forze del mercato, della concorrenza e del capitale misero in moto la macchina della mobilitazione sociale. Allora le masse sradicate, già predisposte dalla stessa socializzazione cristiana all'attesa del Redentore, volgevano lo sguardo verso quei predicatori che annunciavano, colmi di indignazione e di furore pantoclastico, l'imminente fine del mondo. A partire dal XII secolo, sotto l'influenza più o meno diretta della riescatologizzazione del messaggio kerigmatico compiuta da Gioacchino da Fiore (1135-1202) con la sua dottrina del Terzo Regno, i prophetae riproposero lo schema soteriologico proprio della tradizione messianica che la Chiesa non era riuscita a cancellare dalle coscienze, essendo tale schema un elemento costitutivo del suo depositum fidei. Ciò permise a coloro che di volta in volta si presentavano come i 'messaggeri del Signore' di interpretare le sofferenze materiali e morali nelle quali si dibattevano le masse proletarizzate come l'anticamera della redenzione: una redenzione tutta terrena, ché la caratteristica della predicazione dei prophetae era la riattivazione dell'originario significato politico-sociale del messaggio evangelico, centrato sull'attesa, qui ed ora, del Messia apportatore di pace e di giustizia.Entro questo contesto psicologico-sociale era in un certo senso naturale che riacquistasse vitalità la tradizione gnostico-manichea. Questa era stata ferocemente perseguitata dalle autorità costituite per il suo radicale anti-istituzionalismo. Ma, proprio per questo c'era una sorta di affinità elettiva fra i suoi insegnamenti e lo stato d'animo delle masse coinvolte nel processo di mobilitazione sociale. Tanto più che la gnosi di Mani (216-277), nella misura in cui insisteva sul carattere radicalmente malvagio del mondo e sulla figura del Salvatore-Salvato, conteneva una diagnosi-terapia dell'alienazione centrata sullo schema del rovesciamento del mondo rovesciato. Accadde così che l'eresia gnostico-manichea, che la Chiesa cattolica aveva creduto di aver estirpato una volta per sempre, riemerse in forme trasfigurate un po' dappertutto nell'Europa medievale. I bogomili, i catari, gli hussiti, come più tardi gli anabattisti e tanti altri movimenti ereticali - tutti, sia pure in varia misura, a carattere millenaristico e spesso intrisi di elementi gnostico-manichei - contestarono la legittimità del cristianesimo della Chiesa e condannarono, in nome del comunismo evangelico, l'usura e la proprietà privata. Fu, la loro, una sfida globale e radicale all'esistente e, come tale, essenzialmente rivoluzionaria; una sfida che, oltre a criticare i soprusi dei potenti, attaccava le fondamenta assiologiche dell'ordine tripartito che la Chiesa, presentandolo come conforme alla volontà divina, ammantava quotidianamente di sacro.
È facilmente intuibile l'atmosfera di entusiasmo parossistico e di frenetico attivismo che circondava il propheta e l'aristocrazia degli eletti che egli guidava dall'alto della sua autorità carismatica. Il mito escatologico della fine del tempo della corruzione generale, cui era intimamente collegata l'attesa dell'imminente renovatio, predisponeva le masse assediate dalla fame, dal fisco e dalle epidemie a tutto osare nella cieca convinzione che nulla avrebbe potuto arrestare la marcia di coloro cui era stato promesso il Regno. Tanto più che spesso il propheta non esitava a proclamare che non c'era che un ostacolo che separava il 'lotto degli eletti' dalla piena realizzazione dell'eschaton: il massacro generalizzato degli empi, dei potenti e dei ricchi. In tal modo, la predicazione profetica si trasformava in aperta incitazione alla guerra di classe degli sfruttati contro gli sfruttatori, la quale si sarebbe ineluttabilmente conclusa con l'instaurazione del Millennio.
Tutti questi elementi - il propheta, la plebs pauperorum, l'attesa dell'eone della perfezione, l'incitamento alla guerra di classe, l'attacco alla proprietà privata e all'usura, ecc. - appaiono con particolare chiarezza soprattutto nel 'partito armato' del movimento hussita - i taboriti -, che devastò la Boemia fino a quando non fu annientato nella battaglia di Lipan (1434). Un secolo più tardi, il millenarismo tornava ad accendere di entusiasmo i contadini e gli artigiani grazie alla infuocata predicazione di Thomas Müntzer (1490-1525), il cui programma rivoluzionario esigeva l'immediata instaurazione, manu militari, del Regno di Dio in terra profetato dalle Sacre Scritture. Per alcuni mesi Mühlhausen fu la città dove gli anabattisti compirono il loro sacro esperimento: l'edificazione della Nuova Gerusalemme. Poi giunse, spietata come sempre, la repressione delle classi possidenti. Passarono appena dieci anni e un nuovo tentativo di materializzare il Millennio venne compiuto da Giovanni di Leida a Munster. Ma anche questo esperimento fu soffocato nel sangue e il movimento anabattista, repressa al suo interno l'impazienza rivoluzionaria, si convertì in una setta irenica.
L'annientamento del 'partito armato' del movimento anabattista non significò la scomparsa definitiva della credenza nella possibilità di forzare la mano a Dio. Essa riapparve sulla scena con rinnovato vigore quando esplose in Inghilterra la Grande Ribellione. I puritani, conquistato il potere, cercarono di metamorfizzare la società inglese alla luce delle profezie delle Sacre Scritture. Estirpare lo spirito di lucro ed edificare il Regno di Dio in terra con la spada in pugno: questo fu il senso profondo della loro rivoluzione, nella quale giustamente Antonio Gramsci avrebbe visto una anticipazione della rivoluzione giacobina.Il giacobinismo, in effetti, non fu affatto l'ala avanzata della rivoluzione borghese, bensì la specifica forma politica che il millenarismo assunse a partire dal momento in cui il 'disincanto del mondo' incominciò a produrre una pletora di 'orfani di Dio' abbandonati dalla fede e tuttavia assetati di assoluto. Questi 'orfani di Dio' elaborarono, in aperta opposizione alla cultura illuministica, quella visione della storia denominata da Jacob Talmon 'messianesimo politico' in quanto basata sulla credenza che l'umanità tutta quanta sia irresistibilmente spinta verso uno stato di cose preordinato, armonioso e perfetto. Conseguentemente, prese corpo una nuova e sconvolgente concezione della politica, destinata a svolgere un ruolo di primaria importanza nella storia contemporanea: la politica come rimodellamento totale della società e dell'uomo alla luce della filosofia, dunque come prassi rivoluzionaria nel senso più profondo della parola. Il mondo intero doveva essere divelto dai suoi cardini e riplasmato ab imis. "Il faut entièrement nettoyer la place", aveva sentenziato Deschamps, anticipando così quello che sarebbe stato il programma giacobino: "Tout détruire, pour tout refaire à neuf" (Saint-Étienne).
Nel giacobinismo riappaiono sotto le sembianze della rivoluzione permanente i due grandi miti che per secoli e secoli hanno attraversato il sottosuolo della civiltà occidentale, riemergendo periodicamente come fiumi carsici: il mito giudaico-cristiano del Millennio e il mito gnostico-manicheo del Salvatore-Salvato. E si trovano altresì la visione catastrofico-palingenetica della storia e l'idea del duello escatologico fra i figli della luce e i figli della tenebra, fra coloro che vogliono sradicare il male e coloro che pervicacemente si oppongono all'instaurazione del Regno della Virtù. Donde la franca teorizzazione fatta da Robespierre della funzione catartica della violenza e della necessità del Terrore quale strumento di rigenerazione della natura umana.Mentre il progetto puritano di edificare la Nuova Gerusalemme aveva suscitato nelle élites inglesi una tenace avversione per la rivoluzione in quanto tale, il Terrore generò una tradizione ideologica che si sviluppò sino a diventare una delle principali forze spirituali dell'età moderna. In effetti, si può senz'altro dire che, con il grido di guerra lanciato dai giacobini contro i Troni e gli Altari - "Prima grandi catastrofi, poi la felicità universale!" (Saint-Just) -, inizia ufficialmente l'epoca dominata dal "desiderio rivoluzionario di realizzare il Regno di Dio" (A.W. Schlegel). A partire dal Terrore, tutto accade come se il bisogno di assoluto abbandoni il campo della religione per trasferirsi nel campo della politica e convertirsi in chiamata rivoluzionaria alle armi contro il mondo borghese che, con il suo culto idolatrico di Mammona, degrada ogni cosa a merce di scambio. Nasce così un nuovo tipo antropologico: il rivoluzionario di professione, dedito anima e corpo alla sacrosanta causa dell'annientamento della civiltà dell'Avere. E nasce altresì, grazie a una originale ibridazione del millenarismo giudaico-cristiano con l'apocalittica gnostico-manichea, una Weltanschauung così articolata: a) due principî coinvolti in una lotta mortale (la coscienza rivoluzionaria e la coscienza borghese); b) tre tempi: l'unità originaria, la caduta dell'umanità nel mondo dell'alienazione e la restaurazione dell'armonia universale distrutta dallo spirito di lucro; c) un soggetto-paria carismaticamente eletto dalla storia (il proletariato concepito come Messiasklasse); d) una élite di rivoluzionari coscienti e attivi, aventi la missione di guidare gli oppressi verso la Terra Promessa.
Tuttavia, nell'epoca del disincanto del mondo, il nuovo avatara del pathos chiliastico, per conquistare gli spiriti, aveva bisogno di presentarsi sotto le sembianze della scienza. E, in effetti, il rivoluzionarismo proclamò per bocca di Karl Marx che il suo progetto fondamentale - il rovesciamento del mondo rovesciato - era in perfetto accordo con le leggi oggettive della scienza. E proclamò altresì di essere il "risolto enigma della storia" in quanto aveva finalmente scoperto il metodo per giungere alla società comunista, dove tutto ciò che avviliva e opprimeva gli uomini - la proprietà privata, il denaro, la penuria, il dominio, l'impotenza - sarebbe stato nient'altro che un vago ricordo dell'età della corruzione generale. Tale metodo era la rivoluzione permanente, concepita come l'"ultima guerra santa per il Regno millenario della libertà" (Engels).
Il rivoluzionarismo nella seconda metà dell'Ottocento dilagò come un contagio spirituale poiché la catastrofe culturale, diretta conseguenza del trauma della prima rivoluzione industriale, aveva creato un vasto e risentito proletariato interno, condannato a vivere come un popolo in esilio ai margini della Città borghese. Il marxismo offrì agli esclusi della civiltà dell'Avere la possibilità di uscire dal 'chiliasmo della disperazione' e di organizzarsi come una controsocietà in attesa dell'evento catastrofico-palingenetico che avrebbe permesso all'umanità di compiere il salto nel Regno della libertà. Accadde così che, esattamente come i primi cristiani, i socialisti della II Internazionale vissero e lottarono scrutando il futuro per scorgervi i segni annuncianti il crollo del capitalismo. È vero che, a differenza degli anarchici, dominati dall'impazienza rivoluzionaria, i marxisti rispettavano la legalità e si rifiutavano di ricorrere subito alla violenza per abbattere lo Stato borghese; cionondimeno, essi non potevano accettare di integrarsi positivamente in una civiltà che consideravano irrimediabilmente condannata dalla storia.
Nonostante che lo sviluppo economico-sociale delle società industriali confutasse quotidianamente la prognosi marxiana sul destino del capitalismo, la tensione escatologica che animava il movimento operaio europeo fu potentemente intensificata quando, alla fine del 1917, il Partito bolscevico si impadronì del potere manu militari e proclamò che era finalmente iniziata l'edificazione della società senza classi e senza Stato. Mentre l'ortodossia socialdemocratica, di cui Karl Kautsky (1854-1938) era divenuto l'interprete ufficiale, insegnava che l'abbattimento del dominio di classe della borghesia richiedeva come sua precondizione la crisi finale del modo di produzione capitalistico, Lenin (1870-1924) aveva costruito un partito basato sull'assunto che era possibile forzare la mano alla storia. Il subitaneo collasso dell'autocrazia zarista offrì all'ala 'zelota' del marxismo la chance di trasformare la Russia in un immenso laboratorio nel quale compiere il più straordinario esperimento dell'intera storia universale: la creazione di una umanità disalienata attraverso la rivoluzione permanente.I bolscevichi avevano preso il potere animati dalla granitica certezza che il marxismo aveva stabilito con precisione scientifica che il comunismo era lo sbocco ineluttabile dell'umana odissea. Ben presto però essi dovettero prendere atto che i classici del 'socialismo scientifico' erano affatto muti circa le forme che la nuova società avrebbe dovuto assumere. Solo una cosa Marx ed Engels avevano dimostrato: che il comunismo sarebbe stato edificato sulle macerie della società capitalistico-borghese. Conseguentemente, i bolscevichi giunsero alla conclusione che il loro primo dovere era quello di fare tabula rasa dell'esistente. Tutto, della vecchia società corrotta e corruttrice, doveva essere raso al suolo: gli interessi, le istituzioni, le pratiche consolidate, i valori, nonché coloro che erano stati infettati dallo spirito di lucro. Il Mondo Nuovo poteva essere edificato solo attraverso la purificazione della società capitalistica. Ciò esigeva l'istituzionalizzazione di un mondo a parte, nel quale scaricare tutte le impurità che, per secoli e secoli, si erano depositate sul popolo russo, corrompendolo. Questo mondo a parte fu l'Arcipelago Gulag, dove furono ammassati tutti coloro che il Partito bolscevico considerava incompatibili con il nuovo tipo di civiltà che esso intendeva edificare.
Così, facendosi Stato, il millenarismo rivoluzionario generò il primo sistema totalitario dell'età moderna. La meta che il comunismo indicava - la "resurrezione dell'umanità" (N. Bucharin) - era esaltante e, precisamente per questo, enormi furono le aspettative e intensi furono gli entusiasmi che la Rivoluzione d'ottobre suscitò nel mondo intero. D'altra parte, il giacobinismo e le tante sette che a esso si erano ispirate (babuvismo, blanquismo, ecc.) avevano da tempo preparato le coscienze a vivere nella speranza della rivoluzione e a fantasticare un rivolgimento pantoclastico capace di porre fine a tutto ciò che rendeva la società un deserto popolato da bestie feroci. Sicché nell'esperimento bolscevico tanti videro il metodo finalmente trovato per materializzare quell'ideale - la comunione dei beni, basata sul principio 'a ciascuno secondo i suoi bisogni' - che la predicazione cristiana aveva propagato ma non realizzato. Tanto più che i bolscevichi al potere proclamarono alto e forte che il loro obiettivo era la liberazione di tutti gli oppressi che gemevano sotto la tirannia del capitale. Così il mito di 'Mosca, terza Roma', grazie al quale i Russi avevano percepito se stessi come il popolo teoforo destinato a far trionfare la giustizia nel mondo intero, assunse il volto dell'Internazionale comunista, avente quale obiettivo strategico la fusione in un'unica armata planetaria del 'proletariato interno' e del 'proletariato esterno' per radere al suolo l'immonda civiltà dell'Avere.
Mentre nell'Unione Sovietica il millenarismo marxiano, dopo essersi fuso e confuso con la tradizione messianica russa, incominciava a rimodellare il materiale umano corrotto dal capitalismo ricorrendo al terrore di massa, in Germania prendeva corpo una nuova versione della guerra escatologica fra i figli della luce e i figli della tenebra. Una setta di attivisti che si definivano 'figli della rivoluzione', e che guardavano a Hitler (1889-1945) come al Messia della redenzione del popolo tedesco, nel 1933 si impadroniva del potere e iniziava la costruzione dello Stato razzista, strutturato a immagine e somiglianza dello Stato classista. In contrapposizione al culto bolscevico del proletariato, il nazionalsocialismo istituzionalizzò il culto idolatrico del Volk mirante a trasformare la Germania nella 'casa di Dio' attraverso lo spietato annientamento della razza - gli Ebrei - che, con la sua presenza inquinante, corrompeva l'umanità aria. Era sorta una nuova religione millenaristica, la quale proclamava che il suo leader carismatico aveva la missione cosmico-storica di indicare la via della redenzione. Hitler era garante del patto che legava il Dio degli ariani al suo popolo eletto e l'incarnazione visibile della comunità totemica scesa sul piede di guerra per confermare la sua superiorità razziale e la sua vocazione escatologica attraverso lo sterminio delle potenze sataniche - il giudaismo, il bolscevismo e il capitale finanziario internazionale - che minacciavano la stessa esistenza della Germania.
L'obiettivo della NSDAP era quello di compiere una rivoluzione totale, tesa a modificare, alla luce della Weltanschauung nazionalsocialista, ogni aspetto della vita umana. L'era della felicità individuale - proclamò Joseph Goebbels (1897-1945) immediatamente dopo la Machtergreifung - era finita ed era iniziata l'era della felicità collettiva, basata sulla subordinazione dell'io al Noi, degli interessi particolari all'interesse generale. La civiltà borghese, centrata sul perverso dominio dell'usura, doveva essere distrutta, pietra dopo pietra, per lasciare lo spazio libero alla titanica edificazione del Reich millenario. Il quale, estirpato il 'cancro giudaico' attraverso la cosiddetta 'soluzione finale', sarebbe stato un paradiso per la razza eletta e un inferno per le razze inferiori.
Anche il terzo grande esperimento totalitario del XX secolo - quello della Cina comunista - affonda le sue radici ideologiche nella tradizione millenaristica. La visione apocalittica della storia e il mito del messia apportatore di giustizia erano penetrati in Cina nella prima metà del XIX secolo attraverso la predicazione dei missionari cristiani. Nel 1843 Hong Xiu-quan (1814-1864), un maestro di scuola che aveva creduto di trovare nella Bibbia la conferma delle sue visioni, annunciò che il Cielo gli aveva assegnato la missione divina di instaurare la Grande Armonia Universale (Taiping). Riunita attorno a sé una piccola schiera di uomini risoluti, Hong fondò la Società degli Adoratori di Dio che ben presto, grazie all'adesione entusiastica di decine di migliaia di contadini, fu in grado di sfidare, armi in pugno, le milizie private dei proprietari fondiari. Dopo una serie di vittorie militari, Hong si impossessò di Nanchino e proclamò l'inizio del regno del Taiping. Sebbene il mito del Taiping appartenesse al sostrato tradizionale delle società segrete cinesi, la predicazione e l'azione degli Adoratori di Dio assunsero un carattere spiccatamente rivoluzionario. Essi riuscirono a creare uno Stato nello Stato basato sulla comunione dei beni, sul divieto dell'accumulazione privata dei capitali e sull'obbligo sociale del lavoro.Nel 1865 il regno messianico del Taiping fu annientato. Ma non furono annientati né il pathos chiliastico né, soprattutto, le condizioni socioculturali che per due decenni avevano reso travolgente il movimento fondato da Hong. Tant'è che, crollato il Celeste Impero (1911), l'ardente aspirazione a creare la Grande Armonia Universale trovò nella straordinaria figura di Mao Zedong (1893-1976) un nuovo interprete. La rivoluzione maoista fu, in buona sostanza, la ripresa del grandioso progetto degli Adoratori di Dio - edificare una nuova civiltà rigorosamente collettivistica espellendo dal seno della Cina le istituzioni e le pratiche imposte dall'imperialismo occidentale, prime fra tutte la proprietà privata e la concorrenza capitalistica -, ma con un radicalismo supplementare, derivante dalla teoria e dalla prassi marxiste-leniniste. Infatti, conquistato il potere, i comunisti istituirono centinaia di campi di rieducazione (Laogai) dove concentrarono coloro che erano stati contaminati dallo spirito borghese e iniziarono a fare tabula rasa di tutto ciò che era incompatibile con il modello della società pianificata dallo Stato-partito. La furia pantoclastica del maoismo ebbe la sua manifestazione più spettacolare durante gli anni della Rivoluzione culturale (1966-1969), quando, in nome della guerra ai 'quattro vecchiumi', le Guardie Rosse attraversarono la Cina tutto devastando, convinti com'erano che il primo passo verso la creazione del Mondo Nuovo non poteva che essere l'annientamento del passato e la cancellazione di ogni traccia della diabolica civiltà occidentale.
Diffondendosi al di fuori dei suoi confini storici, la civiltà europea, a partire dalla fine del XV secolo, ha inondato il pianeta Terra, tutto travolgendo davanti a sé. Le società primitive, dopo aver cercato invano di resistere con mezzi razionali alla marcia imperialistica delle potenze industriali, hanno reagito riponendo le loro speranze in un evento provvidenziale capace di porre fine alle loro angosce. Di qui la proliferazione di movimenti di rivolta contro l'aggressiva civiltà occidentale. Tali movimenti hanno spesso assunto i tratti tipici del millenarismo poiché il 'proletariato esterno', venuto a contatto con la religione cristiana, ha trovato un mito - quello della parusia - che dischiudeva l'esaltante prospettiva di una pronta e totale liberazione dall'oppressione.Fra i tanti movimenti di protesta che hanno avuto come teatro le società primitive travolte dall'aggressione culturale occidentale, uno dei più significativi è stato il cargo cult, sviluppatosi nella Melanesia nei primi decenni del XX secolo, nel quale sono rinvenibili tutti gli elementi tipici del messianesimo giudaico-cristiano: i profeti che annunciano l'avvento del Redentore, la visione apocalittica del futuro, l'aspettazione chiliastica della Terra senza Male. Gli antropologi hanno chiamato tale movimento di protesta 'culto delle merci' poiché esso si basava sulla credenza che quanto prima sarebbe giunto un enorme cargo recante, assieme agli antenati, le favolose ricchezze dei bianchi; dopo di che gli stranieri sarebbero divenuti i servi degli indigeni o, addirittura, sarebbero stati inghiottiti da una catastrofe cosmica; allora sarebbe principiata l'era dell'abbondanza e dell'armonia e tutto ciò che rendeva la vita del popolo eletto penosa e umiliante sarebbe stato eliminato.
Non diversamente si erano svolte le cose nella fantasia collettiva degli Indiani dell'America settentrionale fra il 1870 e il 1890. Quando divenne chiaro che nulla avrebbe potuto arrestare la devastante avanzata dell'uomo bianco, nelle praterie del Far West sorsero numerosi messia, fra i quali un certo Wovoka ebbe un notevole successo. Venuto a contatto con i missionari cristiani, Wovoka si era impossessato dell'idea dell'attesa della parusia e l'aveva adattata alle specifiche esigenze della sua gente; dopo di che incominciò la sua attività profetica, annunziando che Dio aveva inviato il suo messaggero per ristabilire la giustizia e che, se gli uomini rossi avessero obbedito ai suoi comandi, si sarebbe verificata la restaurazione del 'mondo degli antenati', ove tutto sarebbe stato abbondanza e armonia. Malgrado il suo carattere rigorosamente irenico, il movimento millenaristico di Wovoka, battezzato ghost dance religion per l'importanza che il suo fondatore attribuiva alle danze e alle preghiere quali mezzi per propiziare la metamorfosi della realtà, fu disperso con la violenza dalle autorità americane.
Tragico era stato anche l'esito del movimento millenaristico sorto fra la tribù africana degli Xhosa. Dopo un'accanita resistenza contro i Boeri e gli Inglesi, gli Xhosa si trovarono impossibilitati a vivere secondo i modelli della loro tradizione culturale. Ciò, naturalmente, li fece precipitare in una profonda crisi esistenziale, dalla quale uscirono quando, nel 1856, una fanciulla annunciò di avere avuto una visione: la potenza degli Xhosa sarebbe risorta, i bianchi sarebbero partiti, il bestiame si sarebbe moltiplicato e i morti sarebbero resuscitati. La fanciulla aggiunse che la sua visione si sarebbe materializzata solo a condizione che tutte le risorse alimentari fossero state distrutte. Questo messaggio profetico dischiudeva una prospettiva così esaltante per gli Xhosa - la restaurazione del loro modo di vita e la liberazione dall'oppressione straniera - che essi, presi da una irrefrenabile eccitazione, incominciarono ad abbattere il bestiame e a bruciare le scorte di grano; quindi attesero con trepidazione il giorno fissato dalla profezia. Ma la visione non diventò realtà e gli Xhosa morirono a migliaia, vittime del loro disperato tentativo di ribaltare magicamente la penosa situazione nella quale vivevano.Ancora più atroce è stato il 'suicidio nazionale' con il quale si è conclusa la rivolta millenaristica contro la civiltà occidentale guidata dai Khmer rossi. Alla scuola del marxismo-leninismo i capi del Partito comunista cambogiano (Angkar) avevano appreso che la 'società dei liberi e degli eguali' poteva essere realizzata solo sopprimendo il mercato e tutto ciò che a esso era connesso. Conquistato il potere (1975), i Khmer rossi decisero di mettere mano alla costruzione della società pianificata con la più spietata conseguenzialità. Il loro obiettivo dichiarato era quello di purificare la Cambogia per creare una nuova forma di vita, non più tiranneggiata dallo spirito di lucro. A tal fine eliminarono la moneta, la proprietà privata e lo scambio; istituirono un'economia basata sulla distribuzione centralizzata del cibo; deportarono gli abitanti delle città nelle campagne, dove gli sventurati morirono a migliaia; massacrarono l'intero personale tecnico e amministrativo, reo di essere stato contagiato dai miasmi morali del capitalismo occidentale; per rieducare il popolo crearono decine di campi di lavoro, che in realtà altro non erano che campi di sterminio. Il risultato fu che nel giro di pochi mesi circa la metà della popolazione cambogiana - non meno di tre milioni di esseri umani - fu annientata in uno dei più raccapriccianti bagni di sangue dell'intera storia dell'umanità.
La proliferazione dei movimenti millenaristici che hanno scandito drammaticamente la storia di tanti popoli negli ultimi secoli sembra essere un fenomeno strettamente legato al devastante impatto del mercato autoregolato sulle forme di vita delle società tradizionali. Prima in Europa e poi, a partire dall'età dell'imperialismo, nel mondo intero, ovunque il capitalismo ha potuto dispiegare la sua potenza al tempo stesso creativa e distruttiva, sono esplosi movimenti di protesta e di rivolta tesi a trascendere l'esistente, negandolo e annichilendolo, in vista di un ordine di cose radicalmente altro. Vari sono stati i contenuti programmatici e altrettanto varie le formule ideologiche che tali movimenti hanno avuto; pure, essi hanno sempre manifestato una radicale avversione al denaro, alla proprietà privata, alla logica del profitto, a tutto ciò, insomma, che ha fatto e fa del capitalismo uno smisurato sistema merceologico retto da leggi impersonali affatto indifferenti ai valori della tradizione, della religione e della comunità. È come se la ratio capitalistica, nello stesso momento in cui sconvolgeva il 'mondo della traditio', abbia prodotto le condizioni materiali e psicologiche della rivitalizzazione dello spirito chiliastico. Si capisce, allora, perché l'obiettivo dei movimenti millenaristici sia stato quello di ricreare la compatta solidarietà della 'società chiusa', disintegrata dall'avanzata del mercato autoregolato, e di restaurare il dominio del sacro istituzionalizzando il culto del popolo eletto. Donde la vocazione totalitaria di tali movimenti, la quale si è manifestata nella sua pienezza soprattutto là dove essi, per estirpare l'ethos individualistico e lo spirito dissacrante della civiltà moderna, non hanno esitato a ricorrere al terrore di massa. Nei casi più estremi, la volontà di sovversione dei movimenti millenaristici si è spinta sino al genocidio o, addirittura, al suicidio collettivo. Particolarmente illustrativa della tremenda carica distruttiva e autodistruttiva del pathos chiliastico è stata la vicenda della setta del People's Temple, conclusasi nel 1978 nella giungla della Guyana, dove gli adepti del reverendo Jim Jones, ossessivamente dominati dal desiderio di trovare un 'nuovo inizio', si sono immolati per denunziare con il loro olocausto l'insensatezza di un'esistenza disertata dagli dei e pertanto privata della speranza nel 'totalmente altro'. Il che sembra corroborare la tesi di quegli studiosi (Berdjaev, Camus, Voegelin, Mathieu, Dumitresco, ecc.) che hanno visto nell'insorgenza millenaristica non solo una protesta sociale, ma anche e soprattutto una protesta metafisica contro il più micidiale nemico del sacro: lo spirito borghese. (V. anche Religione; Utopia).
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