Minoranze etnico-linguistiche
Popoli tra popoli
La formazione degli Stati contemporanei si è basata sull’idea di nazione: cioè di una popolazione che vuole formare un proprio Stato caratterizzandolo chiaramente secondo legami culturali, linguistici e religiosi. Se la nazione è così importante per lo Stato, chi non fa parte della nazione, come spesso accade per le minoranze, può diventare per la maggioranza nazionale un problema. Di qui una serie di conflitti anche brutali, che solo la conoscenza e il reciproco rispetto possono evitare
Parlando della popolazione di uno Stato, una definizione letterale di minoranza sembra semplice: in uno Stato, è minoranza un gruppo di persone meno numeroso di un altro. Ma bisogna intendersi sulle premesse.
Il gruppo deve essere omogeneo e riconoscibile, deve avere qualcosa in comune: in genere una lingua (minoranza linguistica) o una religione (minoranza religiosa) o un insieme di altri elementi e tradizioni culturali. La cosa, in realtà, è talmente complessa che si finisce per parlare – in maniera molto generica – di minoranze etniche o etnico-linguistiche.
Il concetto di etnia è culturale, cioè non ha a che vedere con la razza o con la discendenza, con la famiglia di appartenenza – anche se nell’ambito di una discendenza, di un gruppo di persone imparentate, è normale che si trovi una cultura comune. L’appartenenza etnica è dettata dalla storia (e dalla geografia) dei vari gruppi umani, è qualcosa di ‘dato’, difficilmente modificabile: è difficile per chiunque, per esempio, imparare a perfezione da adulto una lingua diversa da quella materna.
Proprio la lingua abitualmente parlata viene utilizzata come ‘spia’ e prova dell’appartenenza etnica. Si tratta in realtà di una semplificazione, tuttavia ragionevole, per risolvere un problema molto complesso, in quanto sapere chi appartiene a una certa etnia può essere spesso necessario.
Comunque si definiscano le minoranze, il vero problema, a ben vedere, è quello opposto: è quello delle maggioranze. Perché serve sapere se e quanta popolazione, dal punto di vista etnico-linguistico, appartiene alla maggioranza o alla minoranza? Perché soprattutto a partire dall’Ottocento si formò la convinzione che uno Stato, per avere legittimità e solidità, avesse bisogno di una popolazione con storia, lingua e cultura comuni, una popolazione che, sulla base di questa solidarietà storica e culturale, si sentisse una nazione.
Fu nell’Ottocento che si formò e si diffuse in alcuni paesi il progetto politico di formare Stati sul cui territorio la popolazione costituisse, tutta intera, una nazione: ogni nazione uno Stato, ogni Stato una nazione. La lealtà e la coesione dei cittadini sarebbero state fortissime.
Perciò il concetto di nazione è un’idea, è un dato ricevuto dalla storia e dall’educazione, a differenza dell’uso di una lingua e dell’appartenenza etnica. È come se si ‘decidesse’ di appartenere a una nazione, anche se in realtà la maggior parte delle persone nemmeno si pone il problema in modo esplicito. Appartenere a una nazione significa voler vivere insieme con determinate altre persone per realizzare un determinato Stato con determinati obiettivi; e avvenuta la ‘decisione’ di appartenenza ci si comporta di conseguenza. Lo Stato ne risulta in teoria più saldo: e lo Stato-nazione è di fatto, il modello affermatosi in Europa e poi esportato con la colonizzazione e la decolonizzazione. Ovviamente, anche l’appartenenza nazionale è qualcosa che si trasmette con l’educazione, ma non è come la lingua materna, non è un dato di fatto non modificabile. Molte persone emigrate in altri paesi hanno ‘abbracciato la causa nazionale’ del nuovo paese, anche se non ne condividevano fino in fondo la cultura, la lingua, l’etnia: è successo nei paesi di grande immigrazione, come gli Stati Uniti, dove si è formata una nazione (che sente anche con molta forza di essere nazione), mettendo però insieme persone di etnie diversissime. Succede in Svizzera, dove un’idea di nazione è ben radicata, ma si parlano quattro lingue diverse, si praticano almeno due religioni principali e le tradizioni culturali sono molto differenziate.
Perché si formi uno Stato-nazione occorre un territorio ben definito e, su di esso, una popolazione che abbia scelto di appartenere a una stessa nazione. Se tutta la popolazione che vive in quel territorio sente di appartenere alla stessa nazione, non c’è problema. Se una parte della popolazione non si sente rappresentata dalla nazione, nasce la minoranza, che magari può volere un proprio Stato-nazione.
La diffusione degli Stati-nazione ha moltiplicato le minoranze, perché ha consolidato le forze delle maggioranze. Negli Stati imperiali (per esempio, nell’Impero asburgico), dalla popolazione multietnica, il problema delle minoranze non esisteva, perché non esisteva quello delle maggioranze: non era l’appartenenza a una maggioranza a produrre coesione e lealtà verso lo Stato – come invece accade nello Stato-nazione.
D’altra parte, quasi non esistono Stati perfettamente coincidenti con una nazione e viceversa. In Europa, fino a pochi anni fa, c’erano solo gli esempi dell’Islanda, della Danimarca e del Portogallo (Stati poco popolosi), molto compatti dal punto di vista etnico e nazionale. Ma in tutti gli altri Stati europei la coincidenza era solo approssimativa: in tutti esistevano, cioè, minoranze.
La minoranza può essere etnica, cioè avere un territorio proprio, una lingua o una religione o altri aspetti culturali diversi dalla maggioranza, ma non è detto che si senta anche una ‘nazione’ che vorrebbe formare uno Stato a sé. La semplice presenza di una minoranza, tuttavia, può essere sentita come una minaccia, da parte della maggioranza, nel senso che la maggioranza ‘non si fida’ della lealtà della minoranza; all’inverso, la minoranza può sentirsi emarginata, discriminata, tenuta in sospetto. Più forte diventa il contrasto quando la minoranza ha anche un progetto nazionale: se cioè aspira a creare un proprio Stato-nazione sul territorio in cui vive, staccandosi quindi dallo Stato di cui fa parte, dominato da una maggioranza diversa.
Situazioni come questa hanno prodotto, in Europa e fuori, un’infinità di guerre e di conflitti. A volte il riferimento alla nazione o all’etnia sembra essere poco più che una scusa, e i motivi che portano a combattersi e a cacciarsi reciprocamente (la cosiddetta ‘pulizia etnica’) sono in realtà molto meno confessabili: il controllo del territorio e delle sue risorse. Ma a volte i conflitti hanno profonde radici storico-politiche, religiose, etnico-culturali: come quello nell’Irlanda del Nord, a base religiosa, o quelli tra Corsi e Francia, tra Baschi e Spagna, o (fuori d’Europa) tra i Curdi e gli Stati in cui vivono minoranze curde: Turchia, Siria, Iran e Iraq.
Non sempre, per fortuna, l’esistenza delle minoranze produce effetti tragici.
In Italia esistono molte minoranze etnico-linguistiche, riconosciute dalla Costituzione e da leggi particolari. La più numerosa è quella di lingua tedesca nell’Alto Adige (o Tirolo meridionale), che ha diritto di usare la sua lingua in tutti gli ambiti e a tutti i livelli, e che ha una larghissima autonomia. Simile è la situazione in Valle d’Aosta, dove la maggioranza della popolazione è di lingua francese. In Friuli-Venezia Giulia vive una minoranza di lingua slovena. Si tratta di regioni di frontiera, e queste popolazioni si trovano nello Stato italiano a causa di confini che, come accade spesso, non hanno tenuto conto dell’appartenenza etnica degli abitanti. Fra Trentino e Friuli un numeroso gruppo di persone parla ladino, un’antica lingua romanza; anche il sardo può essere considerato una lingua a sé. Molto meno numerose sono le minoranze di lingua tedesca (antichi dialetti) in Valle d’Aosta, in Piemonte e in Veneto, di lingua albanese e greca in diverse regioni dell’Italia meridionale, croata in Molise, catalana in Sardegna (ad Alghero), provenzale in Calabria: quasi sempre si tratta del risultato di migrazioni avvenute molti secoli fa.
Esistono poi minoranze religiose, come gli ebrei, i valdesi e, più recentemente, i musulmani, pure riconosciute e tutelate dalle leggi. I folti gruppi di persone di altre lingue e religioni, formati dagli immigrati temporanei, in effetti non sono vere e proprie minoranze etniche, perché non hanno un preciso territorio. Un caso ancora diverso è quello della minoranza costituita dagli Zingari, che vivono in Italia magari da generazioni, ma senza un preciso territorio dal momento che sono (o erano fino a pochi anni fa) nomadi.
Questi esempi forse aiutano a chiarire quanto sia complicata la questione delle minoranze e, al tempo stesso, come sia possibile provare a risolverla: in Italia, in fondo, si è adottato uno dei sistemi più rispettosi delle diversità culturali.