Moda
Il moto perpetuo dei cambiamenti di stile
La moda come mutamento periodico di stile, non solo nella sfera estetica – abbigliamento, arredamento, design – ma in tutti i campi della vita sociale e intellettuale, è un fenomeno che si osserva, con caratteristiche, funzioni e forme diverse, in tutte le società e le epoche storiche. Considerata spesso qualcosa di frivolo e superficiale, la moda è invece un fenomeno complesso, legato a una serie di bisogni sociali e psicologici universali, che si esprimono però diversamente a seconda del contesto culturale. Essa soddisfa la tendenza dell’uomo a esibire il proprio corpo ornato e decorato, la curiosità e il desiderio di esplorare il nuovo, il bisogno di farsi notare, ma anche la ricerca di una conferma e dell’approvazione da parte del proprio gruppo sociale
La parola moda deriva dal latino modus, che significa «modo, foggia, maniera», ma anche «giusta misura». L’etimologia del termine ci rivela alcuni aspetti essenziali del fenomeno della moda.
Il significato di forma o maniera di apparire ci dice, infatti, che la moda riguarda tutto ciò che ha a che fare con lo stile, con le forme di espressione simbolica: il suo terreno privilegiato, quindi, è costituito dall’abbigliamento e dagli aspetti esteriori del corpo umano, proprio per la carica simbolica che essi hanno.
Come osservava il filosofo francese Roland Barthes, la moda è fondamentalmente un linguaggio, anzi un vero e proprio sistema di segni. Tuttavia anche seguire una certa corrente intellettuale, o artistica, o etica può costituire l’equivalente psicologico o il corrispondente di un capo di moda. Un individuo può abbracciare una data religione per le stesse ragioni per cui segue un’innovazione nel settore dell’abbigliamento, ossia perché è attratto dal valore simbolico che una data credenza possiede a livello sociale.
Il concetto di moda come giusta misura indica come moda sia tutto ciò che viene percepito come adeguato, giusto e opportuno in un preciso momento e in un certo luogo. La moda è, quindi, in qualche modo sempre associata al moderno, ossia all’oggi, al tempo presente. È questa una delle ragioni del mutamento incessante, della trasformazione continua che costituisce uno dei tratti più peculiari della moda.
A causa della stessa natura, la moda è effimera, passeggera, cambia costantemente con ritmi molto più rapidi di quelli del mutamento storico e culturale; in ciò essa si distingue dalla tradizione, caratterizzata dalla stabilità e dal legame con il passato.
A differenza di una moda, una tradizione è un’usanza, un modello di condotta, una tendenza stilistica che si cristallizza in forme più o meno durature e che si tramanda quasi uguale di generazione in generazione.
Opponendosi alla staticità dell’abitudine, la moda è anche un processo costante di innovazione, di rottura delle convenzioni consolidate. Tuttavia, nel momento stesso in cui infrange le regole correnti, la moda crea costantemente nuove regole che impongono la conformità. La moda quindi è uno strumento di innovazione e di espressione individuale, ma nello stesso tempo è un sistema di regole che vogliamo e in certi casi dobbiamo rispettare. Essa ha quindi un aspetto quasi di obbligo: sottrarsi alla moda dominante può portare talvolta a forme, sia pure marginali, di condanna sociale.
La rottura delle convenzioni operata dal mutare delle mode del resto non è mai profonda e radicale, non possiede la pericolosità potenziale propria di rotture culturali violente in altri settori. Spesso, anzi, gli stili espressivi che contengono una forma esplicita di opposizione e di protesta vengono neutralizzati e privati di ogni forza di ribellione attraverso la loro pronta trasformazione in mode, in stili da sfruttare commercialmente. Così lo stile punk, partito per essere trasgressivo, provocatorio e violentemente anticonvenzionale, diventa moda fatta di capi di pelle nera, borchie, piercing e scarponi ‘cattivi’ (anfibi).
Solo all’inizio del Novecento la moda è diventata oggetto di analisi scientifica. I primi a comprendere che non si tratta affatto di un fenomeno superficiale e marginale, ma di una manifestazione importante e complessa della vita sociale furono due autori molto diversi tra loro: il sociologo americano Thorstein Veblen e il filosofo tedesco Georg Simmel. Le loro riflessioni hanno costituito un punto di partenza fondamentale per tutti gli studi successivi e conservano ancora oggi gran parte del loro valore. Sia Simmel, sia Veblen concentrarono l’attenzione sulla caratteristica più evidente della moda, e cioè l’incessante cambiamento, la sua intrinseca dinamica. Ad alimentare questo ‘moto perpetuo della moda’ sarebbero, secondo Simmel, due meccanismi opposti: quello dell’imitazione e quello della differenziazione. L’imitazione di coloro che sono socialmente superiori e la volontà di questi di distinguersi dai membri della società considerati inferiori possono spiegare i cambiamenti negli stili di vita, nei gusti e nei modelli di consumo in generale.
L’idea che la moda sia uno strumento di differenziazione di gruppi sociali che mirano a rendere visibile la distanza che li separa da altri gruppi è alla base anche dell’analisi della moda offerta da Veblen, secondo il quale una delle funzioni principali della moda sarebbe quella di segnalare e materializzare le differenze sociali, di esprimere in forma simbolica lo status sociale.
Nel suo famoso libro La teoria della classe agiata, pubblicato nel 1899, Veblen affermò che nelle società in cui esistono classi sociali nettamente distinte e ordinate gerarchicamente il fenomeno della moda riguarda la cerchia ristretta del ceto superiore. Per le classi superiori la moda è essenzialmente espressione della ricchezza, che si manifesta nel consumo vistoso, nel tempo libero vistoso e nello spreco vistoso. Quando le rigide differenze tra la classe dominante e le altre si attenuano, la moda della classe superiore diventa un modello da seguire per le altre classi sociali. Quindi l’élite è costretta ad adottare una strategia di cambiamento continuo delle mode per mantenere il proprio status rispetto alle classi inferiori. Una volta diffusasi nella società, infatti, una moda perde il suo potere di demarcazione e deve rinnovarsi per poter mantenere la sua doppia funzione sociale di omologazione rispetto al proprio gruppo e di distinzione rispetto agli altri.
Alla base della teoria di Veblen vi è dunque l’idea secondo cui la moda è un fenomeno sociale che coinvolge, nei suoi tratti essenziali, due gruppi antagonisti, i leader, o pionieri, e i gregari: cioè coloro che vogliono mantenere visibile la distanza fra i due gruppi e coloro che mirano ad annullarla. Questo modello è stato chiamato «modello acascata» perché implica che la moda si diffonda dall’alto verso il basso nella scala sociale. Per la presenza di questi due momenti antagonistici – l’imitazione, ossia la diffusione verso il basso, e il cambiamento con cui le classi superiori vogliono distinguersi – il meccanismo della diffusione della moda è stato anche chiamato ‘modello della caccia e della fuga’ o ‘modello della caccia alla volpe.
Veblen utilizzò la tesi secondo cui la moda rappresenta un segnale di status per spiegare come mai siano soprattutto le donne a seguirla. Veblen parlava a questo proposito di consumo delegato: il consumo da parte delle donne, in particolare in materia di abiti, avrebbe avuto a suo avviso lo scopo di rappresentare la ricchezza del marito.
Simmel proponeva invece un’altra spiegazione, che potremmo definire teoria del consumo compensatorio. Per le donne, escluse da molti settori della vita sociale e prive di possibilità di autorealizzazione, la moda avrebbe una funzione di compensazione per tale esclusione. Nel corso del 14° e del 15° secolo, per esempio, in Germania si crearono condizioni che favorirono l’iniziativa imprenditoriale, riservata però solo al sesso maschile. Nello stesso periodo si ebbe una vera esplosione della moda femminile nel settore dell’abbigliamento, che divenne ipertrofico e lussuoso. Questa accresciuta importanza della moda per la componente sociale femminile potrebbe essere interpretata come una reazione delle donne a una situazione di minor potere sociale. Nello stesso periodo storico, in Italia le donne delle classi superiori avevano invece una maggiore possibilità di esprimersi nel loro modo di vita. Lo dimostrerebbe il fatto che la moda femminile italiana di questo stesso periodo non dimostrava una grande originalità: il bisogno di espressività personale era soddisfatto nella vita quotidiana delle donne, da un ruolo sociale meno periferico.
L’affermarsi di determinate mode e le loro trasformazioni nel tempo dipendono anche, naturalmente, dai mutamenti storici e culturali che investono le società. Anche se non si può dimostrare una correlazione diretta e immediata tra moda ed eventi storici, questi lasciano sempre una traccia nella moda, poiché essa è l’espressione di tutto ciò che accade in una determinata epoca. Pensiamo al cambiamento di status della donna, segnalato nel campo dell’abbigliamento femminile dall’abbandono del busto, dalla comparsa dei pantaloni e della minigonna.
Come tutte le manifestazioni della cultura, quindi, anche la moda può essere letta come espressione di ciò che i Tedeschi chiamano «spirito del tempo»: della mentalità, dei gusti, dei canoni estetici che contraddistinguono una data epoca. La moda, e non solo nel campo dell’abbigliamento, istituisce una linea di demarcazione fra presente e passato e comunica il senso di ciò che è attuale, vivo, presente.
Il divenire della moda come espressione dei mutamenti culturali è spesso caratterizzato da un andamento ciclico. L’antropologo culturale statunitense Alfred Louis Kroeber nel 1940 analizzò i mutamenti ciclici durante un periodo di tre secoli di sei aspetti degli abiti femminili: la lunghezza della gonna, l’altezza della vita, la profondità del decolleté, la larghezza della gonna, la larghezza della vita, la larghezza del decolleté. Le innovazioni più notevoli si osservano quando si verifica un forte cambiamento sociale oppure nel passaggio da una generazione all’altra. Altre ricerche empiriche hanno messo in luce che i cicli della moda sono guidati da alcune regole di base: per esempio, una determinata moda può riapparire in un nuovo ciclo solo dopo la sua totale scomparsa.
La rapida diffusione della moda nella società può essere spiegata anche dal bisogno degli individui di riaffermare la loro personalità. Secondo Simmel la moda, nonostante sia un fenomeno di imitazione, permette l’espressione della propria individualità: ciò che è alla moda offre, paradossalmente, possibilità di espressione personale; chi segue la moda in modo ossessivo esprime, proprio con questo, qualcosa di molto individuale.
Tra le motivazioni e i bisogni psicologici all’origine della dinamica della moda vi sono il bisogno di rafforzare il proprio ego, la richiesta di riconoscimento sociale e la necessità di essere visibili.
Oggi i produttori di moda offrono grandi possibilità espressive: l’abbigliamento per esempio permette di individuare le tendenze politiche, la collocazione sociale e perfino le preferenze sessuali di chi lo adotta. Tuttavia, come aveva messo in luce Simmel, la moda non è solo uno strumento di espressione personale, ma anche una protezione, un modo di difendersi, una maschera dietro cui nascondersi. La moda dunque non tocca la sfera intima dell’individuo ma, rimanendo in superficie, offre con il suo continuo cambiamento un riparo a chi non vuole rivelare la propria personalità.
La tendenza alla differenziazione dei modi di vita dei diversi gruppi sociali attraverso la moda caratterizza anche le società contemporanee: con lo sviluppo delle tecnologie industriali e dei mezzi di comunicazione di massa, la moda si diffonde in tempi rapidi, raggiungendo i diversi settori sociali sotto forma di prodotti di massa e invadendo man mano tutti i campi della vita quotidiana: le automobili, gli elettrodomestici, l’arredamento, gli articoli sportivi, l’ubicazione della casa, le vacanze e gli hobby sono tutti soggetti alla dinamica della moda. Anche l’arte, la letteratura, la musica, gli argomenti di conversazione, le opinioni, le terapie mediche subiscono il cambiamento delle mode al fine di esprimere in forma simbolica uno status sociale.
Proprio nelle società contemporanee la moda sembra acquistare un’importanza crescente: una delle ragioni di questo fenomeno è la spinta alla differenziazione dei modi di vita dei diversi gruppi, che si accompagna a una articolazione sempre più complessa della struttura sociale, in cui emergono nuovi raggruppamenti. Sulla differenziazione verticale, fondata sulle distinzioni di classe, se ne innestano altre di tipo orizzontale, basate su appartenenze di vario tipo: al genere, a una categoria d’età, a un gruppo etnico e culturale, a una minoranza e via dicendo.
La diffusione delle mode, quindi, non avviene più solamente in verticale dall’alto verso il basso, come aveva postulato Veblen, ma anche in orizzontale, oppure dal basso verso l’alto ossia ‘dalla strada alla passerella’: pensiamo allo stile grunge, volutamente trasandato e informale come la musica da cui trae origine, o alla moda del piercing.
Il ruolo di pionieri delle nuove mode può così essere assunto da una varietà di gruppi e categorie sociali che non fanno necessariamente parte dell’élite, ma sono talvolta marginali o emarginati (subculture, minoranze etniche, omosessuali).
Il bisogno di distinguersi è una delle motivazioni che spinge a seguire la moda, ma non è presente in tutte le società. Simmel cita a questo proposito l’esempio di Venezia dove, alla fine del 14° secolo, i membri degli strati sociali superiori evitavano deliberatamente di seguire i cambiamenti della moda. Anzi, a tutti i nobili veneziani era imposto di vestire di nero, in modo che le altre classi sociali non potessero accorgersi dell’esiguità del loro numero. L’ostentazione non era gradita e, di conseguenza, mancavano le condizioni nelle quali si può radicare il fenomeno della moda nel campo dell’abbigliamento.
La moda, secondo la teoria di Veblen, è una «invenzione di distinzioni» nei più svariati campi della vita sociale, compreso quello del tempo libero e del turismo. I pionieri delle mode turistiche, secondo lo storico francese contemporaneo Marc Boyer, sarebbero stati gli Inglesi. Furono loro a ‘inventare’ il turismo termale, l’interesse per le vacanze in montagna, la stagione d’inverno nel Mezzogiorno. Le spese e l’ostentazione che presupponeva la vita mondana in queste località di villeggiatura erano altrettanti modi di distinguersi.
Una volta che il lancio era riuscito, che i luoghi diventavano noti, per continuare a distinguersi occorreva andare altrove, come dimostrava il mutare delle mode nell’ambito della stagione termale.
Tra la fine del Seicento e l’inizio dell’Ottocento gli Inglesi trascurarono Bath per andare sul continente; così divennero famosi Spa, i diversi Baden della regione del Reno e dei Sudeti e località come Montecatini o Aix-en-Savoie. Oppure scoprirono che anche il mare permetteva di vivere una stagione elegante. Essi elessero come luogo
di ritrovo Brighton, poi, dopo il 1870, emigrarono sulla costa opposta, scoprendo Ostenda, Scheveningen, Dieppe.
In un famoso studio sui rapporti tra moda e società, apparso nel 1937, James Laver, storico britannico del costume, elaborò una specie di calendario della moda, mostrando come il giudizio su un capo di abbigliamento vari con la distanza che lo separa dal ‘suo tempo’.
Indecente: 10 anni prima del suo tempo; spudorato: 5 anni prima del suo tempo; audace: 1 anno
prima del suo tempo; elegante: durante il suo tempo; inelegante: 1 anno dopo il suo tempo; orrendo: 10 anni dopo il suo tempo; ridicolo: 20 anni dopo il suo tempo; divertente: 30 anni dopo il suo tempo; originale: 50 anni dopo il suo tempo: incantevole: 70 anni dopo il suo tempo; romantico: 100 anni dopo il suo tempo; meraviglioso: 150 anni dopo il suo tempo.