Molière
Un attore che scriveva capolavori
Jean-Baptiste Poquelin prese il nome di Molière quando passò alla professione teatrale. Fu attore, capo di una compagnia, e drammaturgo. È uno dei più importanti scrittori di teatro di tutti i tempi. Ha impersonato con la sua opera e la sua vita l’essenza stessa del teatro. Maestro negli intrecci e nella definizione dei caratteri, ha creato capolavori comicissimi, che però sanno anche mostrare gli aspetti malati o nevrotici dell’essere umano
Il Seicento, che è il secolo della nascita del professionismo teatrale in tutta Europa, è anche il secolo in cui operano forse i tre più grandi scrittori di teatro: Molière, Lope de Vega e William Shakespeare. Tutti e tre si formano nello stesso ambiente, il nuovo teatro di professione, e due di loro, Molière e Shakespeare, sono anche attori: la loro arte si sviluppa all’interno di una compagnia teatrale di cui sono collaboratori fissi.
In tutti e tre i casi non è possibile giudicarne l’opera letteraria senza tener conto del legame con il teatro pratico. A differenza di Shakespeare, Molière fu un attore celeberrimo non tanto apprezzato nel genere tragico, ma uno dei più grandi del suo tempo nel comico.
Figlio di un ricco commerciante, Jean-Baptiste Poquelin nasce a Parigi nel gennaio del 1622. Il nonno materno era un appassionato frequentatore di teatro, amante degli spettacoli di piazza e delle farse. Il giovane Jean-Baptiste riceve un’ottima preparazione scolastica, nel prestigioso collegio dei gesuiti di Clermont. Il 6 gennaio del 1643, dopo aspri contrasti col padre, rinuncia per iscritto, davanti al notaio, alla carica ereditaria di tappezziere del re e abbandona la casa paterna per dedicarsi al teatro. Da quel momento assumerà il nome di Molière.
Si unisce a una famiglia di attori, i fratelli Joseph, Geneviève e Madeleine Béjart, e fonda L’Illustre Théâtre. Dopo un paio di anni di fallimenti a Parigi (Molière va anche in prigione per debiti), la loro diventa una compagnia nomade, che sopravvive portando i propri spettacoli nelle città e nei villaggi della provincia francese. Madeleine è l’attrice principale della compagnia e Molière, più giovane di lei, è il suo amante.
Recitano sia tragedie sia farse. Molière scrive i primi testi teatrali, brevi farse in un atto, poi commedie comiche, pensate specificamente per gli attori della compagnia. Nel film Molière, del 1978, la regista francese Ariane Mnouchkine ha voluto sottolineare, gli aspetti del grande drammaturgo legati soprattutto all’avventura teatrale e alla vita di compagnia come mondo a parte, alternativo.
Nel 1658, Molière e i suoi attori tornano a Parigi. Condividono, a giorni alterni, la vasta sala dell’Hôtel du Petit Bourbon con la compagnia di Commedia dell’Arte italiana che vive stabilmente a Parigi, capitanata dal grande Scaramouche (Tiberio Fiorilli). Gli avversari di Molière diranno che ha avuto lezioni d’arte da Scaramouche (esiste una incisione satirica che mostra i due attori uno di fronte all’altro, mentre ripetono gli stessi gesti). Volevano insinuare che quella di Molière fosse una comicità di basso livello, fatta solo di scherzi e gag, simile a quella propria della commedia dell’arte.
Nel 1660, Molière e i suoi attori si spostano nella sala del Palais Royal, dove troveranno stabile dimora. È il momento del massimo favore del re, Luigi XIV, che, giovane e impegnato a stabilire la propria supremazia sulla nobiltà e sul clero, difende l’umorismo e l’acre satira di Molière dagli attacchi dei tradizionalisti e dei moralisti. In questo periodo Molière scrive alcune tra le sue commedie più famose: Le preziose ridicole, La scuola delle mogli, Il misantropo, Georges Dandin. Molière è uno straordinario creatore di intrecci e di caratteri, le sue battute diventano proverbi, le sue trovate sono saccheggiate dagli imitatori. La perfezione delle trame, la vitalità dei personaggi, l’intelligenza della sua satira, faranno di lui, nella letteratura europea, l’incarnazione del genere della commedia. Ma le sue commedie, anche le più buffe e spassose, sono quasi sempre intinte di un umore nero che gli permette di mettere a fuoco l’aspetto malato o i veleni più nascosti dell’essere umano, pur essendo cariche, al tempo stesso di una vitalità inarrestabile, di una comicità tanto intensa da essere accusata di grossolanità.
Fra gli attori più celebri della compagnia, bisogna ricordare, oltre a Madeleine Béjart e alla sua giovane sorella, Armande, anche Michel Baron, che molti anni dopo sarà il più grande attore tragico francese del suo tempo.
La capacità di Molière di prendere in giro abitudini e mode persino dell’alta nobiltà gli attira odi sempre più violenti e potenti. Nelle sue commedie critica l’intera piramide sociale, lasciando fuori solo la punta, il re e il suo operato, come se il sovrano fosse un fenomeno paragonabile a quelli della natura, non soggetto a critiche.
Nel 1662 Molière sposa Armande, di vent’anni più giovane. Cominciano a circolare contro di lui opere satiriche sempre più violente, che attaccano la sua arte, le sue commedie e la sua vita. Si insinua che coltivi un amore omosessuale con il giovane Baron, che la moglie lo tradisca, che non sia la sorella, ma la figlia della sua ex amante Madeleine, e quindi forse anche figlia di Molière. Nel 1664, mostra a Luigi XIV il suo Tartufo, in una versione più corta della definitiva, ma già scandalosa.
In una famiglia, normale e turbolenta, penetra un giovane religiosissimo, d’umili origini, Tartufo. Tra lo sdegno dei parenti, conquista con la sua santità il capo famiglia, Orgon, e sua madre. Orgon si fida ciecamente di lui, gli affida documenti segreti e compromettenti, vuole dargli in moglie la figlia, intesta a suo nome tutti i propri beni. Per dimostrare al marito l’ipocrisia del falso devoto, la sua seconda moglie, giovane e bella, lo persuade a nascondersi sotto il tavolo, mentre lei si incontra con Tartufo, che tenta di sedurla. Tartufo è dunque un impostore, ma Orgon non può scacciare il falso sant’uomo, a cui ha donato i suoi beni. Il lieto fine è assicurato solo da un intervento dall’alto: il re, che tutto sa, teneva Tartufo sotto controllo, e ora lo manda in prigione. Tartufo non è soltanto una commedia che denuncia l’impostura e la falsa devozione.
Come hanno messo in luce due tra i più grandi studiosi di Molière, entrambi italiani, Cesare Garboli e Giovanni Macchia, Tartufo è in primo luogo un «medico dell’anima». Orgon cerca da lui pace, una serenità ottusa, ma confortante, e Tartufo lo sa illudere, gli sa dare quel che chiede. Molière, scrive Garboli, è uno straordinario costruttore di personaggi, è un analista di mali profondi, capace di indagare a fondo l’animo umano e i suoi bisogni. Nei suoi lavori, vuole colpire i ‘guaritori’ dell’anima e del corpo: impostori e medici.
Il Tartufo suscita reazioni violente, il re viene indotto a proibirne la rappresentazione. Molière ingaggia una lunga battaglia in difesa della sua commedia. Ha contro tutto il clero di Francia e riesce e spuntarla solo dopo cinque anni. Nel frattempo, scrive il suo Don Giovanni. Gli anni degli attacchi più feroci contro Molière, sono anche, per questi, anni di malattia, sia del corpo sia dell’anima. È geloso in maniera morbosa, è malato, mentre il favore del re s’intiepidisce.
Molière, scrive Macchia, è uno scienziato delle nevrosi, è un uomo malato, che teme di morire, ma che sa anche che ridere e far ridere è una difesa contro quelli che erano i suoi stessi mali: la gelosia, il dolore, l’ansia, la malinconia. C’è dunque, dietro commedie che sembrano fatte di comicità persino farsesca, a base di purghe e corna, l’ombra di un autoritratto, un gioco, dice Macchia, tra assenza e presenza.
Nel 1673 il drammaturgo scrive Il malato immaginario, un altro attacco contro i medici. Il suo odio per i medici è tanto noto che ne fa una battuta dentro la sua commedia e Argante, il malato immaginario, si scaglia contro Molière; «se fossi medico» dice, «quando sarà in punto di morte, lo lascerei senza aiuto. Crepa, gli direi, crepa!».
Il 17 febbraio del 1673, mentre sta recitando Il malato immaginario (sosteneva la parte di Argan), Molière si sente male. Secondo la versione più accreditata riesce a portare a termine la serata e a rincasare, aiutato da Baron. Secondo altre versioni, la commedia deve essere sospesa e lui portato di corsa a casa dai suoi attori. Muore quella stessa notte. In quanto attore che non ha rinunciato alla sua arte gli viene negata la sepoltura religiosa, come avveniva a quel tempo. Soltanto per le pressanti richieste della moglie può essere seppellito in un cimitero, ma senza cerimonie in chiesa.