Motori
Come l’uomo ha fatto a meno dei muscoli e degli animali per produrre energia
I motori hanno permesso all’uomo di non ricorrere più alla forza degli animali per sollevare un peso, per affrontare un viaggio, per muovere un meccanismo. L’invenzione della macchina a vapore, il primo vero e proprio motore, ha segnato l’avvio della Rivoluzione industriale, e quella del motore a scoppio ha profondamente modificato la nostra civiltà. Oltre a questi esistono altri motori, come quelli elettrici e idraulici. La tecnologia dei motori si rinnova in continuazione: in particolare per quelli delle automobili, si avverte oggi l’esigenza di arrivare a motori di tipo nuovo, basati su fonti di energia rinnovabili.
All’origine della storia dell’umanità, i motori non esistevano, e per trasformare l’energia in movimento e lavoro si è utilizzata per molti secoli la forza motrice prodotta dagli animali, dagli uomini o da alcuni fenomeni naturali. Così la terra era dissodata dai buoi che trainavano gli aratri e la mola per macinare la farina era messa in movimento dagli asini. Successivamente, l’uomo imparò a utilizzare la forza motrice dell’acqua che scorre o quella dei venti che soffiano per mettere in moto le pale dei mulini o per realizzare apparecchi meccanici anche evoluti. I disegni elaborati da Leonardo da Vinci mostrano che, nel 15° secolo, erano state progettate vere e proprie macchine industriali che si muovevano grazie all’acqua o al vento.
I motori non sono utilizzati solo nel settore dei trasporti, ma trovano un’amplissima gamma di applicazioni: nelle industrie per la produzione delle merci, nell’edilizia per sollevare il materiale necessario a produrre ponti e case, nei laboratori di falegnameria per tagliare il legno o dal dentista per trapanare un dente.
I primi motori furono comunque costruiti solo a partire dalla fine del 17° secolo grazie alla Rivoluzione industriale. In particolare, la macchina a vapore fu il primo motore non naturale costruito e progettato dall’uomo. Queste macchine sfruttano l’energia termica posseduta dal vapore e la trasformano in movimento.
I motori a vapore costituiscono un esempio di motori termici, ossia di motori che sfruttano l’energia termica posseduta da un vapore o un gas.
Un genere completamente differente di motori è costituito dai motori elettrici che sfruttano le leggi dell’elettrodinamica, e in particolare le relazioni esistenti tra campi elettrici e magnetici (macchine elettriche). Una categoria particolare di motori è poi rappresentata da quelli di tipo idraulico, costituiti sia da turbine e ruote che girano sfruttando la corrente dei fiumi sia dai cosiddetti torchi idraulici. A volte si parla anche di motori nucleari, come quelli che consentono ai sommergibili atomici di effettuare missioni sottomarine lunghe mesi e mesi. In realtà in queste imbarcazioni l’energia del reattore è utilizzata per produrre del vapore che a sua volta genera della corrente elettrica. I motori nucleari, quindi, in realtà sono usati per produrre elettricità.
La vera avventura del motore doveva però iniziare solo con l’invenzione di quello a scoppio, verso la fine del 19° secolo. Da tempo si studiava la possibilità di sfruttare l’energia liberata dall’esplosione di sostanze come la polvere pirica o il gas. Tentativi di questo tipo erano stati per esempio effettuati dal francese Denis Papin nel 17° secolo, ma si segnalarono anche una serie di ricerche e di studi italiani, come quelli di Luigi de Cristoforis nella prima metà del 19° secolo.
Nel 1853 il religioso Eugenio Barsanti e lo scienziato Felice Matteucci erano anche riusciti a costruire un vero e proprio motore a combustione interna che funzionava grazie all’accensione di una scintilla. A differenza quindi di quanto avveniva in un motore a vapore, formato da una caldaia esterna alla parte in movimento dei cilindri e degli stantuffi, in questo tipo di motori le esplosioni avvenivano internamente alla camera di compressione del cilindro. Il motore italiano era composto da un cilindro verticale il cui stantuffo era scagliato verso l’alto dall’esplosione, per poi ridiscendere. Il progetto non ottenne il successo commerciale che avrebbe meritato, ma queste idee furono riprese pochi anni dopo dal lavoro del tedesco Nikolaus August Otto, il cui motore si affermò invece universalmente, tanto che ancora oggi i motori a combustione interna ad accensione programmata, ossia tramite una candela, sono detti seguire il ciclo Otto. In altre parole, gli attuali motori a quattro o a due tempi, utilizzati nelle macchine a benzina o nelle motociclette, funzionano sostanzialmente seguendo lo schema di funzionamento descritto dallo scienziato tedesco attorno al 1870.
Il ciclo di un motore a quattro tempi segue le seguenti fasi: la prima è costituita dell’espansione dello stantuffo che aspira una miscela di aria e di combustibile all’interno del cilindro. Successivamente avviene la compressione, ossia la miscela viene compressa dallo stantuffo. Nella terza fase scocca una scintilla che innesca un nuovo movimento espansivo: è il momento dello scoppio. L’ultima fase, nella quale di nuovo lo stantuffo si abbassa rispetto al cilindro, è quella dell’espulsione dei gas combusti.
Nel motore a due tempi, invece, le fasi di aspirazione e di scarico sono contemporanee. Il risultato è che questo motore ha un’esplosione ogni due corse dello stantuffo, mentre in quello a quattro tempi la fase utile dell’esplosione è solo una ogni quattro corse.
Un motore a combustione interna di concezione leggermente diversa è offerto dal motore diesel, brevettato dal tedesco Rudolf Diesel nel 1893, nel quale l’accensione del combustibile non avviene per mezzo di un intervento esterno ma è spontanea. Questo motore sfrutta alcune proprietà dei gas, in particolare quella per cui un gas si riscalda quando è compresso velocemente, in quanto non fa in tempo a cedere il calore all’esterno. Questo aumento di temperatura è un fenomeno abbastanza comune e può essere riprodotto semplicemente gonfiando rapidamente una ruota di bicicletta e notando come la pompa si riscaldi mano a mano che si soffia aria all’interno del pneumatico. Nel motore diesel l’aumento della temperatura del combustibile prodotta dalla compressione è tale da innescare autonomamente lo scoppio della miscela.
Molte città italiane soffrono per l’eccessivo numero di automobili che vi circolano. Le auto non solo producono problemi di traffico, ma anche di inquinamento. Il problema ha ormai assunto una rilevanza mondiale. Da tempo si stanno cercando soluzioni per diminuire l’impatto ambientale prodotto dai motori a scoppio, riducendo l’inquinamento generato da questo tipo di motori. Tra le strade seguite vi è l’adozione di combustibili meno inquinanti, nonché l’utilizzo di filtri che abbattono le emissioni nocive e altri accorgimenti tecnici che rendono questi motori più efficienti. Tuttavia, rimane aperto il problema della produzione di anidride carbonica, un gas che è tra i maggiori responsabili dell’effetto serra, in quanto trattiene il calore delle radiazioni solari all’interno dell’atmosfera terrestre, contribuendo all’aumento della temperatura media e ai cambiamenti climatici in corso.
La quantità di anidride carbonica prodotta dai motori a scoppio non è trascurabile, e basta leggere le specifiche tecniche per verificare che anche la maggior parte delle vetture più moderne emette 1004200 g/km di questo gas. Per questo motivo da più parti si stanno cercando soluzioni alternative ai motori a scoppio, che già oggi possono per esempio essere accoppiati a quelli elettrici nelle vetture ibride, ma che in futuro potrebbero essere sostituiti dalle celle a combustibile o dall’uso dei pannelli solari per la produzione di energia da utilizzare nei motori elettrici.
L’avvento del motore a scoppio ha rappresentato una rivoluzione non solo scientifica e tecnologica ma anche culturale. Se ne accorsero i seguaci del futurismo, il movimento culturale nato nel 1909 a opera dello scrittore Filippo Tommaso Marinetti. Uno dei cardini di questo movimento culturale era l’esaltazione della modernità. Così, nel Manifesto futurista pubblicato nel 1909 era scritto: «Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo […] un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia».
E ancora: «Noi canteremo […] i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta».
Ma i motori hanno influenzato anche molti film contemporanei: da Gioventù bruciata del 1955, il film che rese famoso James Dean, dove si mostra come si possa perdere la vita giocando e sfidandosi con la propria automobile, a Il sorpasso, una pellicola del 1962 di Dino Risi con Vittorio Gassman, nel quale il motore potente di un’automobile sportiva è il simbolo del mondo aggressivo e prepotente legato allo sviluppo economico degli anni Sessanta. Interessante è anche il film Duel, girato da Steven Spielberg nel 1971: tutta la vicenda si snoda nella lotta tra uno sfortunato automobilista e una ‘demoniaca’ autocisterna guidata da un misterioso autista che ha deciso di ucciderlo in tutti i modi.
Una categoria particolare di motori, alla quale stanno lavorando alcuni gruppi di ricercatori in diversi laboratori del mondo, è quella dei nanomotori biologici. Le nanotecnologie stanno permettendo ai ricercatori di lavorare su corpi che hanno dimensioni nanometriche, ossia dell’ordine di miliardesimi di metro. Uno dei progetti è quello di realizzare oggetti di dimensioni molecolari che siano dotati di motori altrettanto piccoli. Queste nanomacchine potrebbero navigare all’interno del corpo umano utilizzando sistemi analoghi a quelli usati dalle cellule, che per esempio si muovono autonomamente grazie ai flagelli, piccole appendici il cui movimento permette alla cellula di viaggiare all’interno di un ambiente fluido.