Mulini
Macchine potenti ad acqua e a vento
Il mulino ha permesso di risolvere alcuni importanti problemi della civiltà umana: lavorazione dei prodotti agricoli, sollevamento di acqua, irrigazione e funzionamento di macchine. Più di recente, la sua evoluzione ha permesso di costruire macchine a pale rotanti per la produzione di energia eolica. Il mulino è di due tipi: ad acqua e a vento. Sfrutta la forza di questi due elementi per muovere ingranaggi, spesso complessi, che creano energia meccanica
I primi mulini furono probabilmente costruiti nell’area mesopotamica, intorno al secondo millennio a.C. Secondo antichi miti, non suffragati però da documenti o da reperti archeologici, il re babilonese Hammurabi fece irrigare la pianura tra Eufrate e Tigri spostando acqua grazie ai primi mulini a vento. La tecnica costruttiva dei mulini (ad acqua e a vento) fu per molti secoli prerogativa delle civiltà mesopotamiche; solo successivamente essa si espanse in Egitto, in Cina e, molto più tardi, in Occidente. Il mulino ad acqua è la macchina più semplice da costruire e da gestire. È posto lungo un corso d’acqua, che viene canalizzato a monte, così da imprimergli una forte corrente; questa va a colpire una grande ruota, che è messa in movimento e, a sua volta, mette in moto altri ingranaggi all’interno del mulino. Grazie a tali ingranaggi, si possono ottenere farine (derivate dal continuo sfregamento dei chicchi contro macine in pietra) o energia che permette l’utilizzo di magli o seghe di grandi dimensioni.
Più complessa è la costruzione dei mulini a vento, poiché devono essere edificati in aree per natura molto ventose. I primi manufatti avevano un problema non secondario. Le pale ruotavano solo quando il vento soffiava nella direzione giusta e quindi il loro uso non era continuativo. Il problema fu risolto con i mulini a palo: strutture in legno, appoggiate su un palo verticale girevole, cui si attaccavano le pale rotanti. Il palo veniva mosso, a terra, da animali o, manualmente, da schiavi, condannati ai lavori forzati, o da persone di umile origine. Un lavoro durissimo, che imponeva, oltre a tutto, una continua attenzione per seguire il mutare delle correnti eoliche. Solo sul finire del Medioevo fu inventato il mulino in pietra, struttura fissa, che aveva, sulla sommità, una camera rotante, che seguiva i giochi del vento, senza con ciò ridurre l’utilizzo dei macchinari collegati nella parte bassa della struttura. Se si escludono i riferimenti mitologici, le prime testimonianze documentate del mulino a vento si hanno solo a partire dal 1° secolo a.C. nell’area mediorientale.
L’espansione del mulino a vento, al contrario di quella del mulino ad acqua, fu abbastanza lenta, tanto che rimase per alcuni secoli prerogativa dell’area mediorientale. Solo con l’espansione dei regni islamici, a partire dal 7° secolo, anche l’uso del mulino a vento raggiunse l’Occidente mediterraneo. Sicilia, Baleari, Spagna, isole greche furono i territori che per primi videro sorgere questi manufatti, portati dai conquistatori islamici. Anche questa fase di espansione non fu però né rapida né molto ampia. La causa principale della lenta diffusione fu proprio l’antagonismo che, per almeno quattro secoli, vide contrapposto il mondo franco, e poi di influenza tedesca, a quello del Mediterraneo meridionale, dominato dagli influssi arabi.
Solo nel 12° secolo si hanno infatti le prime testimonianze dell’uso di mulini a vento nell’Europa continentale. Una delle ragioni di questa diffusione va certamente ascritta alle crociate e alla massiccia influenza che le innovazioni scientifiche, già patrimonio della cultura islamica, ebbero sui reduci dalle operazioni militari condotte in Terra Santa. L’Europa continentale recuperò presto il ritardo tecnologico: già a partire dal 13° secolo mulini ad acqua e a vento proliferarono dovunque ci fossero un corso d’acqua con portate regolari o situazioni meteorologiche favorevoli a correnti costanti di vento.
In tutto l’Occidente medievale il mulino divenne ben presto, da semplice macchina per la trasformazione di beni primari, un simbolo di potere. Costruire o utilizzare un mulino non era attività lasciata alla libera iniziativa. Il potere feudale prima, i liberi comuni e le signorie poi capirono le potenzialità economiche (e quindi il potere) derivanti dal controllo dell’attività dei mulini. Per questo, l’attività fu posta sotto il controllo dell’autorità statale e il suo svolgimento regolare sottoposto a tassazione. Spesso, i mulini erano monopolio del potere costituito, che ne ricavava ampi profitti, sia attraverso le tasse sul macinato, che ogni utilizzatore doveva pagare, sia attraverso le decime, cioè la cessione di parte del macinato al proprietario del mulino, che poi lo rivendeva con ulteriori profitti.
Per tutto il Medioevo e per parte dell’Età moderna l’uso dei mulini si diffuse capillarmente in tutta Europa. Il suo sviluppo maggiore si ebbe però, oltre che in Spagna, in Grecia e nell’Italia meridionale, nell’Europa settentrionale. Già nel 14° secolo i mulini a vento erano presenti in Olanda, area particolarmente favorita da costanti correnti provenienti dal Mare del Nord; ma fu dal 16° secolo che si registrò in questo paese un incontenibile proliferare di torri a cupola rotante, la cui funzione principale era quella di prosciugare ampie zone occupate dall’acqua per adibirle a terreni coltivabili. A cavallo tra la fine del 17° secolo e la fine del 19° secolo, in Olanda erano attivi più di 200.000 mulini a vento.
Le pale dei mulini a vento, mosse dalle correnti costanti, mettevano in movimento complessi meccanismi che permettevano il sollevamento dell’acqua, poi incanalata in corsi d’acqua artificiali, che la facevano defluire verso bacini controllati. Con il miglioramento delle tecnologie, i mulini divennero insostituibili macchinari non solo per la macinatura dei cereali (e delle olive, nel Mediterraneo), ma anche per il funzionamento di magli, di segherie, di carpenterie.
Le nuove scoperte scientifiche e le invenzioni, frutto dello sviluppo tecnologico del 19° secolo, portarono a un ulteriore sviluppo dei mulini a vento. Molti di essi furono infatti adibiti alla produzione di energia elettrica, applicando convertitori di energia ai meccanismi messi in movimento dalla rotazione delle pale. L’età d’oro era però ormai al tramonto. Le macchine messe in movimento dall’energia a vapore (macchina a vapore) e da quella elettrica (macchine elettriche) soppiantarono, nel giro di pochi decenni, gran parte di queste antiche strutture.
Oggi l’utilizzo dei mulini tradizionali, per la produzione di cibi o per mettere in moto macchinari, è limitato al fabbisogno di piccole comunità e non è più economicamente produttivo; le strutture, con le loro ruote mosse dall’acqua o con le loro pale mosse dalla forza del vento restano però in attività per un indubbio richiamo turistico, in quanto evocano mestieri, usi e tradizioni di un passato ormai lontano. Per esempio, i mulini, anche se non servono più a pompare l’acqua, sono parte integrante e insostituibile del grandioso panorama delle saline di Trapani in Sicilia.
Negli ultimi cinquant’anni l’interesse per le fonti di energia rinnovabile (energie alternative) ha portato alla riscoperta dell’energia eolica attraverso mulini a vento tecnologicamente avanzati per produrre energia elettrica da distribuire sul territorio attraverso il movimento delle pale. Molti passi si sono fatti in questa direzione e sono ormai numerose le centrali eoliche, sorte in ogni parte del mondo, che forniscono energia elettrica in aree dove sarebbe improduttivo impiantare centrali elettriche o trasportare corrente per lunghe distanze.
Gli impianti eolici, detti campi, possono essere dotati di decine o centinaia di pale rotanti, formate da tralicci in acciaio e da pale in materiali leggeri e resistenti, collegate a trasformatori e a collettori di energia. Campi eolici sono sorti o stanno sorgendo, tra l’altro, nell’Italia meridionale, dove sono più favorevoli le condizioni di vento costante, soprattutto vicino alle coste. Un altro tipo di impianti, ancora più all’avanguardia, si è sviluppato con tecniche sofisticate sotto il mare: in questo caso, si utilizzano le correnti sottomarine costanti per far muovere grandi pale, che trasformano il loro movimento in energia elettrica, poi convogliata in centrali e in impianti di distribuzione.