Museo
Macchine per la riproduzione di immagini fisse e in movimento si trovavano già esposte a partire dal tardo Rinascimento, accanto a strumenti di ottica e fisica sperimentale, nei gabinetti privati di curiosità scientifiche. Con la fine del 18° sec. sezioni dedicate agli spettacoli ottici nacquero all'interno di istituzioni come il Conservatoire des arts et métiers, fondato a Parigi nel 1794 sulla base delle collezioni del re di Francia, come forma concreta di enciclopedia popolare. Trasformato in Musée des arts et métiers nel 1927, e ristrutturato dall'architetto Andrea Bruno nel 1994, il Conservatoire espone, per es., il fucile cronofotografico di Étienne-Jules Marey, e apparecchi da ripresa e proiezione di Georges Demeny, Thomas Alva Edison e dei fratelli Lumière. Forme di collezionismo cinematografico vero e proprio nacquero a partire dagli anni Dieci del Novecento, e spesso hanno costituito la base per l'integrazione patrimoniale dei m. moderni, come nel caso del Museo nazionale della tecnica di Praga, nato nel 1927 attorno a una collezione fotocinematografica costituita fin dal 1912 grazie all'impulso del futuro storico del cinema Jindrich Brichta, poi fondatore della Cineteca di Praga.
Tipica figura di collezionista è l'inglese Will Day, che raccolse oggetti di ogni tipo legati alla storia del cinema, dai panoramas e dai peep shows di Parigi, Londra e New York al kinetoscopio e al proiettore originali di Edison, all'animatografo di Robert W. Paul, all'apparecchio dei Lumière, ma anche spezzoni dei primi filmati d'interesse storico e la serie di lastre fotografiche che Eadweard Muybridge realizzò in Pennsylvania per il volume Animals in motion (1907). A partire dal 1922 una parte della collezione fu esposta allo Science Museum di Londra, ma Day, dopo aver offerto a più riprese il suo patrimonio al governo inglese, finì per venderlo nel 1959 a un altro collezionista, Henri Langlois.
Fondatore con Georges Franju e direttore della Cinémathèque française, fin dall'inizio della sua attività, Langlois considerò la collezione di film come strettamente connessa alla costituzione di un 'museo' per quel cinema che aveva ormai acquisito un proprio statuto d'arte. Così, fin dal 1948, nella sede parigina di Avenue de Messine, espose reperti storici come embrione progettuale del futuro museo. Nel 1954, la Cinémathèque organizzò la prima grande esposizione, in collaborazione con il neonato Museo del cinema di Torino, all'interno della manifestazione Cinquante ans de cinéma italien, che prevedeva anche un nutrito programma di proiezioni. La ricerca di soluzioni per un allestimento museale stabile continuò nel 1955 con la mostra inaugurata al Musée national d'art moderne di Palais de Tokyo, 300 années de cinématographie ‒ 60 ans de cinéma, che legava la breve storia del cinema al secolare percorso intrapreso dall'uomo per riprodurre l'immagine di sé stesso e del mondo. Il 5 giugno 1963 la Cinémathèque si trasferì nella nuova sede di Palais de Chaillot, dove fu inaugurata, accanto alla sala cinematografica, una mostra su Marey, fisiologo e pioniere del cinema, nello spazio che dal 1972 avrebbe ospitato il permanente Musée du cinéma fino alla sua chiusura definitiva nel 1997. L'allestimento che Langlois realizzò per il m. permanente rifletteva una concezione museografica mutuata in parte dal 'montaggio delle attrazioni' di Sergej M. Ejzenštejn, in parte dalla teoria dello shock surrealista. Il m. si articolava lungo un percorso cronologico dal precinema alle varie tendenze del cinema, fondendo suggestioni delle avanguardie artistiche, immagini della vita reale e reperti cinematografici: dall'abito di Chanel indossato da Marilyn Monroe al manichino impagliato della 'madre' di Psycho (1960; Psyco) di Alfred Hitchcock, a una raccolta di disegni di Ejzenštejn. In fondo anche per Langlois, come per André Bazin, il cinema era 'un'arte impura', ontologicamente compromessa con il reale e con le altre forme della sua rappresentazione, e organizzarlo in un m. significava metterne in rilievo le capacità di sintesi della condizione umana del Novecento. Il Musée du cinéma della collina di Chaillot, di fronte alla Place du Trocadero di proustiana memoria, nacque dunque libero da qualunque preoccupazione storico-filologica, quasi come un'incarnazione del 'Musée imaginaire' teorizzato da André Malraux. Con la morte di Langlois, nel 1977, il m. della Cinémathèque française divenne progressivamente il repertorio archeologico di un'idea museale sopravvissuta al suo creatore, attorno a cui scoppiò un acceso dibattito tra i sostenitori della conservazione a oltranza dell'allestimento come 'opera museografica d'autore', e i fautori di una radicale rilettura sulla base delle moderne concezioni museologiche e dei nuovi sviluppi di teoria del cinema. La nomina di Dominique Paini a direttore nel 1990 ha indotto a ritenere superata la crisi: accettato il trasferimento dei fondi di fotografie, manifesti e disegni alla Bibliothèque du Film-BiFi costituita per l'occasione sotto la direzione di Marc Vernet, rilanciata l'attività di programmazione, Paini ha realizzato nel 1995 il catalogo generale delle collezioni e ha curato, in collaborazione con Laurent Mannoni, una mostra che ha ripreso, fin nel titolo, Trois siècles de cinéma, il discorso iniziato da Langlois nel 1955. Paini tuttavia si è scontrato con il Centre national de la cinématographie e con il Ministero della cultura sul nuovo progetto di m. ‒ prima destinato a essere ospitato a Palais de Tokyo, poi in un edificio progettato dall'architetto F. Gehry ‒ e ha dato le dimissioni passando alla direzione delle attività culturali del Centre Georges Pompidou, salvo mettere alla prova la sua concezione museografica nell'esposizione Hitchcock et l'art: coïncidences fatales, realizzata nel 2001, in cui appare evidente un'attenzione affatto nuova all'esposizione come installazione di immagini in movimento.Sorprendentemente parallela a quella del museo della Cinémathèque française è la vicenda del Museo nazionale del cinema di Torino, anch'esso originato da un'appassionata collezionista, Maria Adriana Prolo, che, sulla scia delle proprie ricerche di storia piemontese, riscoprì la produzione cinematografica torinese degli anni Dieci e i suoi protagonisti, all'epoca quasi dimenticati. Fin dal 1941 la Prolo ottenne dal Comune di Torino alcuni locali nella Mole Antonelliana dove collocare provvisoriamente la sua raccolta di macchine, locandine, manifesti, fotografie e qualche pellicola. Contestualmente fu aperta una sottoscrizione per la costituzione di un m. del cinema, cui aderirono industrie, banche e istituzioni locali. Come Langlois, anche la Prolo iniziò la sua attività con esposizioni temporanee: nel 1949 organizzò la sua prima mostra nei sotterranei della metropolitana di Piazza San Carlo a Torino; nel 1950 partecipò alla seconda Esposizione internazionale della tecnica cinematografica di Torino; nel 1951 al secondo Salone internazionale della tecnica di Torino e alla Triennale di Milano per la Sezione scenografia cinematografica. Il 7 luglio 1953 fu costituita l'Associazione culturale Museo del cinema, che aveva tra i fondatori Arrigo Ferraris Frusta, uno dei primi sceneggiatori del cinema italiano, Mario Gromo, critico cinematografico di "La Stampa", il regista Giovanni Pastrone e l'esercente torinese Giordano Bruno Ventavoli. Per avere una sede stabile fu necessario attendere alcuni anni, finché il 27 settembre 1958 vennero inaugurate le sedici sale allestite con l'architetto N. Mosso a Palazzo Chiablese. Il nucleo originario delle collezioni torinesi era costituito da importanti reperti del precinema, tra cui testi di ottica come l'Ars magna lucis et umbrae (1646) di Athanasius Kircher, anamorfosi, ombre cinesi, lanterne magiche con vetrini da proiezione a partire dalla fine del 17° sec., un prezioso mondo niovo veneziano del Settecento e altri pantoscopi, scatole ottiche e vues d'optique, panorami, poliorami e diorami, cui si aggiunsero nel tempo macchine da presa del primo cinema italiano, fotografie, manifesti, costumi, bozzetti e addirittura una sezione filatelica. Il Museo si sviluppava per nuclei tematici, dal precinema al cinema, con particolare attenzione alla Torino degli anni Dieci, seguendo le linee d'interesse della Prolo che, pur manifestando maggiore attenzione agli aspetti tecnico-antiquariali rispetto a quelli storico-linguistici del cinema, pose come termine ideale della visita una saletta da proiezione, a ribadire che sullo schermo sta la vera vita dei film. Le tappe salienti dell'attività espositiva del Museo furono la mostra su Georges Méliès nel 1961, la Mostra internazionale della stereoscopia nel 1966 e nel 1976 Paris et la photographie au XXe siècle, nei locali del Centre culturel français di Torino. Dopo un periodo di decadenza dovuta alla cronica mancanza di fondi, il Museo venne chiuso al pubblico nel 1982, e nel 1984 fu commissariato dalla Regione Piemonte, dal Comune e dalla Provincia di Torino. L'attività espositiva è ripresa circa dieci anni dopo, culminando nella mostra La magia dell'immagine: macchine e spettacoli prima dei Lumière, organizzata nel 1996 a Lisbona e l'anno successivo a Torino. Nel frattempo, l'architetto G. Gritella aveva ristrutturato per il Comune di Torino la Mole Antonelliana, monumento simbolico della città, come nuova sede del Museo. Inaugurato nel 2000, il Museo nazionale del cinema presenta una netta cesura tra la sezione sul precinema, curata con rigore filologico da Donata Pesenti Campagnoni, e l'allestimento generale, frutto dell'inventiva dello scenografo svizzero François Confino, capace di valorizzare le potenzialità scenografiche dello spazio (una cupola a campana di mattoni alta circa 100 m.), ma unicamente attento a inseguire gli aspetti più esteriori dello spettacolo cinematografico, con risultati di scarso respiro museografico, capaci tuttavia di richiamare un vasto pubblico.Ciò che accomunava, differenziandoli dalle coeve figure di collezionisti, i fondatori del m. parigino e di quello torinese, Langlois e Prolo ‒ che intrattennero una strettissima collaborazione per circa trent'anni ‒ era il tentativo di condividere con il pubblico la loro passione, oggettivandola in un'entità museale di cui per tutta la vita difesero l'indipendenza e il controllo, pur nelle necessarie mediazioni con i pubblici poteri. La dialettica così istituita tra 'museofilia' e apparati politico-culturali contribuiva a trasformare la percezione che le istituzioni stesse avevano del cinema, dalla condizione generica di fenomeno spettacolare con risvolti artistici a quella di componente del patrimonio culturale.
I centri di Parigi e Torino restarono per lungo tempo i più importanti del mondo, circondati tuttavia da una rete di m. e collezioni di rilievo sempre maggiore. Negli Stati Uniti, la George Eastman House di Richmond (New York) inaugurò nel 1949 l'International Museum of Photography and Film, per valorizzare soprattutto le proprie imponenti collezioni fotografiche. A New York, nel sobborgo di Astoria, è stato aperto al pubblico nel 1988 l'American Museum of the Moving Image, che supplisce brillantemente alla scarsità di collezioni storiche con un notevole allestimento interattivo capace di proiettare i visitatori dentro il sistema di produzione della macchina cinema. Interessante è anche il Road to Tara Museum, che ad Atlanta ospita foto, abiti, scene e ogni genere di memorabilia di Gone with the wind (1939; Via col vento) di Victor Fleming. Mentre a San Antonio, nel Texas, è aperto l'unico m. al mondo dedicato esclusivamente alla lanterna magica, il Magic Lantern Castle Museum. Anche se il contributo espositivo più originale della patria del cinema hollywoodiano è rappresentato dai grandi parchi tematici come Disneyland o gli Universal Studios di Los Angeles, dove il pubblico rivive da protagonista le più suggestive scene madri del cinema sapientemente ricreate.In Germania nel 1981 è stato inaugurato nelle scuderie del palazzo reale il Filmmuseum di Potsdam, ristrutturato poi nel 1994 e dedicato interamente alla storia dei vicini studi di Babelsberg, accanto ai quali l'anno precedente era stato allestito anche un parco tematico sul cinema. Nel 1984 è stato istituito a Francoforte il Deutsches Filmmuseum, a partire dalla collezione privata di Paul Sürländer, in cui spicca una raccolta unica al mondo di strumenti e partiture per accompagnamento musicale del cinema muto. Dal 1998 anche Düsseldorf ha un suo Filmmuseum che, su tre piani, passa dalla visualizzazione del mito del cinema agli sviluppi della te-cnica, alla visita a un ideale studio di produzione. Mentre a Berlino la Stiftung Deutsche Kinemathek, dopo aver raccolto a partire dal 1963 vaste collezioni museali, compreso il fondo del primo direttore, il regista e attore Gerhard Lamprecht, nel 2000 ha trovato finalmente una sede nel prestigioso edificio del Sony Center in Potsdamer Platz, il nuovo spazio urbano progettato da R. Piano: è stato così allestito un m., il Filmmuseum Berlin, che ripercorre la storia del cinema tedesco, dall'Espressionismo all'emigrazione a Hollywood, a Leni Riefensthal, dall'archivio di Marlene Dietrich, interamente acquisito, allo Junger Deutscher Film.In Francia si aggiungono al m. di Parigi il Musée Marey di Beaune e il m. dell'Institut Lumière di Lione, riallestito nel 2003 da D. Paini. Quest'ultimo presenta negli spazi espositivi rarità come il Cinématographe n. 1, l'apparecchio usato per proiettare i primi dieci film la sera del 28 dicembre 1895 a Parigi, o una delle macchine da presa usate da David W. Griffith in Intolerance (1916), proveniente dalla collezione Paul Génard. A Lione inoltre, si trova un vero e proprio 'sito archeologico' del cinema: l'Hangar du Premier-Film, il capannone che fa da quinta all'uscita delle operaie nel primo film Lumière, classificato monumento storico nel 1995 e trasformato nel 1998 in una sala da proiezioni. In Italia fanno corona al Museo di Torino varie iniziative, in genere nate dalla collaborazione tra collezionisti ed enti locali o sull'onda delle celebrazioni per il centenario del cinema. Tra le istituzioni permanenti il m. aperto nel 1987 dalla Cineteca italiana di Milano a Palazzo Dugnani, dove spicca una macchina da presa Lumière; il m. del precinema e della lanterna magica a Padova, nato dalla bella collezione di lanterne magiche di Laura Minici Zotti, dedita fin dagli anni Settanta a riproporre la tradizione vittoriana degli spettacoli di lanterna magica e fantasmagorie; dal 1995 è poi visitabile a Siracusa una raccolta di apparecchi e memorabilia, d'importanza eminentemente locale, del collezionista Remo Romeo, mentre decisamente più ricca è la collezione Gaetano Martino, collocata a Potenza ma ancora priva di una sede stabile. Tra le manifestazioni legate al centenario del cinema merita infine ricordare l'esposizione sulla storia del cinema italiano organizzata nel 1995 a Cinecittà da Giampiero Brunetta con l'efficace consulenza scenografica di Dante Ferretti.In Europa sono da segnalare ancora la collezione William Piasio di archeologia del cinema al Musée Neuhaus di Bienne, in Svizzera, e soprattutto l'ampia raccolta di precinema, fotografie e manifesti ceduta da Tomàs Mallol i Deulofeu alla città catalana di Girona, che l'ha organizzata in un m. nel 1994. Ma interessanti collezioni museali sono presenti in tutto il mondo in numerose cineteche, come il Norsk Filminstitutt di Oslo, la Kinoteka na Makedonija di Skopje, l'Amsterdam Filmmuseum, lo Svenska Filminstitutet di Stoccolma, il National Screen and Sound Archive di Canberra in Australia, la Cinémathèque québécoise di Montréal, la Scuola nazionale di cinema di Roma.Alla regola, quasi generale, che vuole i m. del cinema nascere da collezioni private, fa eccezione la Gran Bretagna, dove le straordinarie figure di collezionisti ancora in attività difficilmente sono riuscite a trovare un'intesa con l'amministrazione pubblica e spesso hanno finito con il rivolgersi all'estero: come i fratelli Barnes, che nel 1994 hanno venduto al Museo del cinema di Torino una parte della loro straordinaria collezione di precinema, tra cui una rarissima lanterna ottocentesca Tri-Unial che consente, con i suoi tre obiettivi, raffinati effetti di dissolvenze incrociate. Sorte differente è toccata alla collezione del regista Bill Douglas, donata alla sua morte all'università di Exeter, in Inghilterra, che l'ha aperta al pubblico nel 1997.Il primo m. inglese specificatamente dedicato al cinema è il National Museum of Photography, Film & Television, fondato a Bradford nel 1983 (e ristrutturato nel 1999) come sezione del National Museum of Science and Industry, dove si trovano il primo esemplare di negativo, le prime immagini televisive e un vero e proprio incunabolo del cinema, le sequenze sul Leeds Bridge girate nel 1888 da Louis-Aimé-Augustin Le Prince. Ma la grande occasione mancata della museografia britannica è la stupefacente vicenda del Museum of the Moving Image-MoMI di Londra. Aperto nel 1988 sotto la direzione di David Francis e Leslie Hardcastle in un edificio a lato del National Film Theater, nell'area londinese del South Bank soggetta a un vasto piano di riqualificazione urbanistica, il MoMI ha tentato un'originale sintesi tra la museologia storico-filologica 'all'europea' e i parchi tematici hollywoodiani. Il percorso museale si snodava attraverso le avventure della visione, inquadrando i pionieri del cinema, gli sviluppi tecnici, l'analisi del linguaggio, la storia del cinema inglese, miti e riti dello spettacolo cinematografico, la televisione in tutti i suoi aspetti politico-mediologici, gli effetti speciali, fino al cinema d'avanguardia. L'allestimento comprendeva la proiezione di spezzoni di film ‒ nel rispetto del formato e del supporto originali ‒ presentati in contesti di forte coinvolgimento emotivo: per es., il cinema sovietico degli anni Venti veniva mostrato all'interno di un vagone ferroviario animato da 'guardie rosse', a evocare il treno cinematografico di Aleksandr I. Medvedkin. Nonostante l'enorme successo di pubblico, che aveva toccato all'inizio i tre milioni di visitatori annui, il MoMI non è riuscito a raggiungere il pareggio di bilancio ed è stato chiuso nel 1999 dal British Film Institute, l'organismo pubblico da cui dipendeva, che non ha ritenuto di dover finanziare con fondi straordinari un m. del cinema a Londra.Il fallimento del MoMI, l'obbligo di giustificare l'operazione di Torino esclusivamente con il suo indubbio successo di pubblico, la vicenda della Cinémathèque française (il cui spazio espositivo è chiuso dal 1997) stanno forse a dimostrare l'impossibilità di delineare un modello forte di m. per il cinema. Da un lato, infatti, si corre il rischio di un m. in cui l'opera è assente e che si limita a esistere come 'museo della cornice, del pennello e dello sguardo', che vive cioè di quello che viene prima e dopo i film: il processo di produzione e il mito. Mentre dall'altro è il cinema stesso che cerca il suo modello di m., reso insicuro per le sue sorti dalle sempre più invadenti interferenze multimediali che tendono a trasformarlo nella lanterna magica di Internet.
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