Natura morta
L’eterna gara fra arte e natura
Parlare di natura morta è un controsenso: la natura per sua definizione è infatti viva, ma diventa morta quando la si toglie dal suo habitat (il fiore reciso dalla pianta, la frutta colta dall’albero). L’artista compie quindi una sfida: ritrae un fiore destinato a morire e così lo rende eterno. La sua bravura consiste nell’ingannarci, facendoci apparire come veri e vivi oggetti inanimati ed esseri morti
Nei primi anni del Seicento i dipinti furono classificati per la prima volta in base ai temi che rappresentavano. Si crearono così diversi generi, considerati più o meno importanti, secondo il grado di impegno che avevano richiesto all’artista.
Al primo posto troviamo la pittura di storia, che si occupa di raffigurare le azioni degli uomini; più in basso ci sono i ritratti, che raffigurano persone in posa; poi la pittura di paesaggio, che ha come oggetto la natura, e infine la natura morta, che ritrae fiori, frutti, oggetti come strumenti musicali.
Nei secoli precedenti chi ordinava un quadro richiedeva soprattutto temi tratti dalla storia sacra o dalla mitologia, nel Seicento invece si diffonde il gusto per soggetti meno impegnativi e le nature morte diventano sempre più numerose nelle case di aristocratici e di borghesi.
Già nell’antichità vi erano stati pittori specialisti in questo genere, famosi per la loro abilità nel ritrarre fiori e frutta al punto da ingannare non solo gli osservatori, ma perfino gli insetti che andavano a posarsi sui loro dipinti. Nella pittura medievale la rappresentazione di alcuni tipi di animali e di piante, come il pesce, l’agnello, l’ulivo, la palma, divenne frequente poiché a essi venivano dati significati simbolici legati alla religione cristiana (Cristo è detto agnello di Dio, la palma indica il martirio).
Nel corso del Rinascimento la pittura si concentra sulla raffigurazione dell’uomo, ed è raro trovare quadri interamente dedicati alla natura morta. In alcuni dipinti, però, troviamo rappresentati gli oggetti in bella vista, messi sullo stesso piano della figura umana.
È sul finire del Cinquecento e nei primi anni del Seicento che la natura morta conosce un successo mai avuto prima. Da un lato, soprattutto in Italia, si sviluppa un nuovo interesse per l’indagine scientifica della natura. Mentre gli scienziati studiano piante e animali al microscopio, alcuni artisti si specializzano nella raffigurazione attenta della natura, dando vita a splendidi disegni colorati, sfruttati dagli stessi scienziati per illustrare le loro ricerche.
Ma è soprattutto nell’Europa del Nord che la natura morta diventa uno dei temi preferiti dalla pittura fiamminga e tedesca. La religione protestante, diffusasi in questi paesi, vietava infatti di ritrarre Cristo, la Madonna e i Santi. È perciò che in questa zona, ricca di artisti eccezionali, ebbero tanto successo i generi cosiddetti minori, come il paesaggio, il ritratto e la natura morta. Lo stile degli artisti del Nord (basta pensare a Jan Vermeer), così limpido, realistico e accurato, sembrava del resto fatto apposta per ritrarre in modo quasi ingannevole la realtà naturale.
In Italia il primo e più importante autore di nature morte è Caravaggio. Egli eseguì la celebre Canestra di frutta intorno al 1596: un dipinto che raffigura mele, pere, uva e melograni con una forza e una concentrazione tali da far sembrare la canestra un ritratto umano. Questa è l’unica natura morta conosciuta dell’artista, ma in altri dipinti egli inserì vasi di fiori, strumenti musicali e ceste di frutta ritratti con la stessa cura e la stessa importanza riservate alla figura umana (per esempio nel Suonatore di liuto).
Molti seguaci di Caravaggio imitarono l’esempio del maestro e la natura morta, inserita in un quadro con figure oppure isolata, si diffuse ovunque, diventando un genere di pittura molto apprezzato. Tante erano le richieste di questo tipo di dipinti che alcuni artisti si specializzarono diventando famosi esclusivamente per la loro bravura nel ritrarre fiori (Mario de’ Fiori), strumenti musicali (Evaristo Baschenis), animali (Giovan Battista Recco) e perfino tappeti (il Maestro dei tappeti).