Neurone
Il termine neurone venne coniato da W. Waldeyer-Hartz nel 1891, per indicare le cellule presenti nel sistema nervoso (v. cap. Cellule e tessuti, Tessuti, Tessuto nervoso). L'attività fondamentale dei neuroni è quella di inviare, ricevere, elaborare messaggi. Ciascuna di queste funzioni viene esplicata per mezzo di un complesso sistema di comunicazione che si basa su un meccanismo formale in qualche modo assimilabile a un vero e proprio codice.
sommario. 1. Il codice di comunicazione dei neuroni. 2. Comparsa dei neuroni negli organismi viventi. 3. Generazione e propagazione degli impulsi nervosi. 4. Il trasporto assonale. 5. La formazione dei circuiti da parte dei neuroni. 6. Espansione degli interneuroni. □ Bibliografia.
Il funzionamento del sistema nervoso può essere suddiviso operativamente in tre livelli. Il primo corrisponde all'attività dei singoli neuroni che, uniti da un numero di collegamenti (sinapsi) che si aggira tra un minimo di 1000 e un massimo di 50.000 per ogni elemento cellulare, si scambiano i messaggi che sono alla base di tutti i processi nervosi e mentali, con un codice che, a parte piccole differenze legate alla specie, è comune a tutti i sistemi nervosi: da quello costituito dai 1090 neuroni del nematode Caenorhabditis elegans a quello dell'uomo, formato da decine di miliardi di neuroni. Un secondo livello può essere, con una certa approssimazione, assimilato a quello di insiemi variamente dimensionati di neuroni, i quali, organizzati in strutture tridimensionali altamente complesse, presiedono all'elaborazione dei segnali inviati dai singoli neuroni, alla loro memorizzazione, se necessario, e all'emissione di una risposta (un esempio tipico di questa organizzazione è rappresentato dalle strutture colonnari presenti nella neocorteccia e strutturate in moduli di computo elementari; vi sono tuttavia numerosi altri esempi di aggregati neuronali di dimensioni molto maggiori, organizzati in gangli, centri e aree, preposti a funzioni di elaborazione dell'informazione della più svariata natura). Il terzo livello, infine, è costituito dal risultato dell'attività sincrona, in serie e in parallelo, degli aggregati neuronali che si materializza nelle attività nervose e mentali vere e proprie. Alla luce di queste considerazioni appare chiaro come la descrizione del funzionamento del codice di comunicazione nervosa costituisca un presupposto importante per la comprensione degli altri livelli di attività cerebrali. La delucidazione di questo sistema di comunicazione ha permesso di capire quali siano le basi di malattie neurologiche, come l'epilessia, il morbo di Parkinson, le demenze senili e gli altri disturbi nei quali sia coinvolto il sistema di comunicazione fra i neuroni o fra questi e il resto dell'organismo. Inoltre, la conoscenza del funzionamento di questo codice ha permesso di porre le basi anche per la comprensione di malattie 'mentali', come la schizofrenia e le forme depressive.
Prima della comparsa di cellule omologabili agli attuali neuroni, gli organismi pluricellulari erano dotati di sistemi di ricezione degli stimoli provenienti dal mondo circostante molto efficaci, ma privi di due proprietà fondamentali: la precisione e la velocità. Le cellule costitutive degli organismi pluricellulari, infatti, possedevano molecole che diffondevano negli spazi intercellulari e interagivano a distanza con altre cellule. Questa interazione veniva mediata da altre molecole, denominate recettori, solitamente di natura proteica, che trasmettevano il segnale all'interno della cellula recettrice, attivando particolari sistemi di amplificazione del segnale e di risposta della cellula. Questo sistema è ancora operativo e pienamente funzionante negli organismi attuali, ed è in parte omologabile al sistema endocrino, che impiega le molecole ormonali al fine di coordinare molte risposte degli organismi agli stimoli esterni. Uno stress, un forte cambiamento nella temperatura esterna inducono degli assestamenti interni e una risposta dell'organismo. Tale risposta viene mediata da ormoni o da altre molecole diffusibili, che passano da una cellula all'altra in distretti differenti dell'organismo inducendo la risposta adattativa più idonea. Ma questi sistemi di comunicazione e di risposta, come si è accennato sopra, sono piuttosto lenti e imprecisi. I minuti, le ore o i giorni possono essere sufficienti nel caso di un mutamento adattativo a un cambiamento nella temperatura o di altre variabili che non necessitano di risposte veloci, ma vi sono situazioni di emergenza (un pericolo imminente, una lotta per la sopravvivenza) che richiedono risposte in tempo reale: per questo scopo la velocità di risposta di un sistema come quello ormonale è troppo lenta; se la sopravvivenza degli organismi dovesse poggiare su di esso o su sistemi analoghi, la vita su questo pianeta sarebbe limitata a organismi unicellulari. Nel corso dell'evoluzione, dunque, è comparso un sistema di comunicazione veloce per provvedere a queste incombenze e a molte altre relative all'imperativo categorico della sopravvivenza e della diffusione delle specie: il sistema nervoso. Inizialmente, tale apparato di risposte rapide ed efficaci era composto di poche cellule che avevano acquisito la capacità di ricevere e comunicare a distanza per mezzo dei loro prolungamenti, dendriti e assoni. Ma con il procedere dell'evoluzione, gli organismi dotati di questo sistema si rivelarono così avvantaggiati rispetto a quelli che non ne erano provvisti, che si assistette a un'espansione dei primi e, in parallelo, a un progressivo incremento nel numero dei neuroni.
In tutte le cellule esiste una differenza di potenziale tra l'esterno e l'interno della membrana che ne costituisce l'involucro. Questa differenza di potenziale è negativa all'interno della cellula, si aggira tra i -50 e -70 mV ed è paragonabile all'energia potenziale contenuta nell'acqua di una diga. L'apertura di una saracinesca nella diga permetterà all'acqua di defluire e di generare, se ben utilizzata, l'energia corrispondente all'altezza della caduta. Analogamente, il potenziale di membrana esistente viene impiegato attraverso la membrana delle cellule per le funzioni più svariate: il trasporto di una sostanza nutritizia mediante canali specifici, il movimento di proteine presenti nel contesto della membrana, il passaggio di uno ione o di un catione. Nelle cellule nervose questo potenziale viene usato per generare e propagare gli impulsi elettrici con i quali i neuroni comunicano con le altre cellule e, per tale motivo, viene definito potenziale d'azione. Il potenziale d'azione si genera e si propaga grazie alla presenza, nel contesto delle fibre nervose emergenti dai neuroni, di canali dotati di due caratteristiche fondamentali: la permeabilità selettiva per una determinata specie ionica (potassio, sodio, cloro o calcio); la possibilità di variare questa permeabilità in relazione alla differenza di potenziale esistente tra le due superfici della membrana cellulare nella quale sono inseriti i canali. Mentre la permeabilità selettiva per un determinato catione o anione si riscontra in tutti i canali esistenti nelle cellule, preposti alle più svariate funzioni, la possibilità di 'sentire' un campo elettrico e di cambiare conformazione, e quindi permeabilità, quando il campo muta di segno o di intensità, costituisce un'esclusività dei canali presenti nelle cellule nervose. Per tale motivo questi canali sono denominati voltaggio-dipendenti. Di solito la loro permeabilità si aggira intorno al valore di 107 ioni/s, la velocità di apertura è di pochi microsecondi e la loro probabilità di apertura e chiusura varia in relazione a determinati stimoli specifici. La presenza nel contesto di una membrana dei canali voltaggio-dipendenti ha rappresentato una delle condizioni necessarie per potere generare potenziali elettrici e per poterli propagare lungo le fibre nervose. Nella maggior parte dei neuroni, la ricezione dei segnali inviati da altri neuroni avviene tramite una complessa e variegata arborizzazione di fibre nervose, denominate dendriti. Ogni neurone riceve continuamente migliaia e migliaia di segnali elettrici inviati alle sue diramazioni dendritiche da altri neuroni, integra questi segnali (che possono essere inibitori o eccitatori) e, infine, emette una risposta che si propaga lungo il suo assone e le sue numerose diramazioni sotto forma di potenziale d'azione.
Di norma, quando il neurone non è stimolato, ed è quindi in uno stato di riposo, la frequenza dei potenziali d'azione si aggira intorno a 1/s. Ma se il neurone riceve stimoli da altri neuroni, allora la frequenza di emissione di potenziali d'azione aumenta a un centinaio per secondo e può raggiungere, in casi estremi, il valore di 500/s. La componente di natura elettrica del codice di comunicazione neuronale è basata quindi su variazioni nella frequenza dei potenziali d'azione, mentre l'intensità di questi di solito non varia. Quando il potenziale d'azione giunge al termine delle diramazioni assonali, dette sinapsi, esso provoca una depolarizzazione della membrana presinaptica che si riflette in un marcato aumento dell'entrata di ioni calcio. Questi, tramite un complesso meccanismo non ancora del tutto chiarito di interazioni tra diverse proteine, inducono la fusione tra la membrana presinaptica e le vescicole contenenti un neurotrasmettitore (v.). Il neurotrasmettitore diffonde nello spazio intersinaptico, si lega ad appositi, specifici recettori e provoca o una depolarizzazione della membrana postsinaptica o una sua iperpolarizzazione. Nel primo caso, il potenziale d'azione potrà propagarsi alla struttura postsinaptica e, di qui, alle diramazioni di altri neuroni; nel caso che il neurotrasmettitore provochi un'iperpolarizzazione, il potenziale d'azione non potrà più propagarsi arrestandosi a livello di quella sinapsi. Ogni sinapsi, pertanto, è di norma costituita da una porzione presinaptica, che costituisce l'appendice estrema delle diramazioni assonali, e da una parte postsinaptica, che costituisce la propaggine estrema del dendrite di un altro neurone. Di solito, per la propagazione o l'arresto del potenziale d'azione, le sinapsi impiegano un solo trasmettitore, ma vi sono numerosi casi nei quali si è potuta osservare la liberazione di due o tre neurotrasmettitori, ciascuno con funzioni differenti. I neurotrasmettitori si suddividono in tre grandi categorie, ciascuna comprendente diversi tipi chimicamente distinti. La prima categoria è formata da semplici aminoacidi, quali il glutammato, l'aspartato, la glicina e l'acido γ-aminobutirrico, o GABA (Gamma-aminobutyric acid). I primi due sono impiegati da sinapsi eccitatorie, gli altri svolgono di solito funzioni inibitorie. Questi neurotrasmettitori sono di gran lunga i più usati dai neuroni; si calcola che il 90% di essi impieghi o l'uno o l'altro tipo.
La conoscenza del funzionamento dei mediatori chimici e dei loro specifici recettori ha permesso di ideare e mettere a punto numerosi farmaci che, controllando il loro livello funzionale, influenzano gli stati di veglia o di sonno, le funzioni corticali collegate con l'ansia o con la depressione, nonché gli stati patologici di morte neuronale che si instaurano ogniqualvolta si verifichi una cessazione dell'afflusso di ossigeno o di disponibilità di glucosio a causa di trombi, intossicazioni da gas, traumi, stati epilettici prolungati. La seconda categoria di mediatori chimici comprende un gruppo di sostanze denominate amine biogene. Tra queste ricordiamo: le catecolamine, l'acetilcolina, la serotonina e l'istamina. Mentre l'acetilcolina presiede a funzioni collegate con i processi cognitivi, le catecolamine (dopamina, noradrenalina, adrenalina) e la serotonina svolgono un ruolo di particolare rilievo nei cosiddetti circuiti delle emozioni presenti nel sistema limbico. Questi neurotrasmettitori sembrano essere causalmente correlati con l'instaurarsi delle sindromi depressive. Molti farmaci attualmente impiegati nella cura di tali sindromi sono diretti al controllo dell'azione di questo gruppo di mediatori chimici. L'ipotesi, suffragata dai numerosi successi terapeutici, sostiene che le sindromi depressive sono dovute a una carenza, a livello sinaptico, di una delle tre catecolamine o della serotonina; la somministrazione di farmaci che facilitano un loro accumulo a livello sinaptico induce, tramite meccanismi differenti tra un farmaco e l'altro, un notevole miglioramento dei sintomi del paziente. La terza categoria di neurotrasmettitori comprende un numeroso gruppo di sostanze che, al contrario di quelle costitutive delle due prime categorie, sono di natura polipeptidica. Per questo motivo sono anche indicate con il termine neuropeptidi.
La scoperta che i neuroni impiegano anche mediatori chimici di natura peptidica ha in parte rivoluzionato lo studio della neurotrasmissione. Prima di allora, si riteneva che la natura del codice di comunicazione del sistema nervoso fosse stata ormai definitivamente compresa. Questo codice era costituito da due simboli: impulsi nervosi, che possono variare di frequenza ma non di intensità, alternati a liberazione di un mediatore chimico a livello sinaptico, la cui natura variava a seconda della sua struttura chimica, ma che era essenzialmente devoluto a funzioni inibitorie o eccitatorie. Con un codice del genere i neuroni erano dotati di un simbolismo più che sufficiente per comunicare tra loro e con il resto dell'organismo. Ma negli anni Sessanta e Settanta del 20° secolo queste certezze sono in parte crollate con la scoperta dei neuropeptidi: il numero di simboli impiegati dai neuroni si è dilatato a dismisura, in quanto è in continuo aumento il numero di neuropeptidi che si scoprono impiegati a livello sinaptico come neurotrasmettitori, oppure come modulatori dell'attività sinaptica. Un esempio tipico di questa funzione modulatoria è quello delle encefaline, facenti parte del più grande gruppo dei peptidi oppioidi: quando vengono liberate dalle sinapsi delle vie nervose deputate alla trasmissione del dolore, abbassano le sensazioni dolorose inibendo la propagazione dell'impulso; quando invece sono rilasciate nei circuiti nervosi delle emozioni o del piacere, amplificano questi segnali. Se da un lato la scoperta dei neuropeptidi e delle loro funzioni modulatorie ha complicato l'interpretazione del modo di comunicare dei neuroni, dall'altro ha aperto un orizzonte di prospettive inaspettate e ancora imprevedibili. La singola sinapsi, che prima era considerata come un sistema di controllo del passaggio dei messaggi nervosi del tipo 'tutto o niente', oggi è vista come la sede primaria della modulazione nervosa e la prima tappa dei processi mnemonici. Inoltre, è stato dimostrato che in talune aree del cervello e del sistema nervoso periferico i neuropeptidi vengono liberati direttamente nel circolo sanguigno, dove funzionano come veri e propri ormoni. Prima di queste scoperte il sistema endocrino, basato sull'impiego di molecole diffusibili, agenti a distanza tramite i fluidi biologici, e il sistema nervoso, deputato alle risposte veloci e precise nei confronti degli stimoli ambientali, erano considerati come due sistemi completamente distinti e raramente comunicanti. Alla luce delle scoperte degli ultimi decenni del 20° secolo, questa divisione netta non è più accettabile, poiché si va progressivamente scoprendo che numerosi neuropeptidi, impiegati in certe sinapsi come veri e propri neurotrasmettitori o come neuromodulatori, svolgono un ruolo ormonosimile in altri distretti dell'organismo o in altre specie animali. In sostanza, oltre che come elaboratore e memorizzatore di informazioni, il cervello spesso funziona come una ghiandola endocrina che elabora i propri 'umori' e li invia all'organismo tramite le sue diramazioni nervose, mediante un sistema che utilizza lo spazio interno delle stesse fibre nervose: questo sistema viene denominato trasporto assonale.
Si possono distinguere due tipi di messaggi che il cervello invia e riceve: messaggi a propagazione veloce e messaggi a propagazione lenta. I messaggi veloci sono quelli che impiegano il codice di comunicazione basato su segnali elettrici e chimici. All'interno delle fibre nervose che servono per il trasporto di questi segnali veloci avviene un trasporto di molecole di varia natura e dimensione. Questo trasporto si verifica sia in senso centrifugo o anterogrado (dal pericario del neurone alle terminazioni nervose), sia in senso centripeto o retrogrado (dalle terminazioni nervose al pericario del neurone). La velocità di propagazione dei segnali con il trasporto veloce varia a seconda che le fibre siano sprovviste del rivestimento mielinico o ne siano dotate. La velocità del trasporto lento è di diversi ordini di grandezza minore e varia in senso sia anterogrado sia retrogrado. Vi è poi un altro sistema di trasporto ancora più lento e con direzione esclusivamente anterograda che viaggia alla velocità di pochi mm/giorno. In sostanza, le fibre nervose costituiscono dei veri e propri canali di trasporto per sostanze nutritizie, fattori di crescita, neuropeptidi e neurotrasmettitori, nonché per organelli cellulari di varie dimensioni. Molte di queste sostanze formano un sistema che, integrato con quello veloce, assicura una modulazione e una regolazione più fine e prolungata di tutte le attività dell'organismo. Tramite le molecole trasportate per via retrograda, inoltre, organi e tessuti inviano segnali ai neuroni aumentandone o rallentandone l'attività. Questo doppio sistema di comunicazione permette un'interazione cervello-organismo che ha connotati di rapidità, plasticità e versatilità ineguagliabili.
5. La formazione dei circuiti da parte dei neuroni
Se consideriamo che il cervello dell'uomo è composto da diverse decine di miliardi di neuroni, e che ciascuno di essi stabilisce dei contatti sinaptici con migliaia, talvolta decine di migliaia di altri neuroni, appare facilmente comprensibile come il problema della delucidazione dei meccanismi che presiedono alla formazione di questi collegamenti costituisca una delle sfide più impegnative che si pongono per i neurobiologi. Una prima questione fondamentale riguarda la misura in cui questi collegamenti sono programmati nel genoma di ogni neurone o, viceversa, quanto siano sotto l'influenza di fattori epigenetici o ambientali, cioè di tutte le influenze che dall'esterno del neurone in via di sviluppo agiscono su di esso o sulle sue diramazioni assonali e dendritiche. Esempi di queste influenze sono tutti gli stimoli sensoriali provenienti dal mondo esterno, le azioni di sostanze (ormoni, fattori di crescita, vitamine ecc.) presenti nei fluidi biologici, l'attività del codice elettrochimico con particolare riferimento ai mediatori chimici e ai neuropeptidi. Si può affermare che tanto più una specie è dotata di un sistema nervoso complesso e ricco di neuroni, tanto meno i collegamenti tra di essi sono programmati geneticamente, essendo per lo più controllati da fattori ambientali. Mentre infatti i circuiti nervosi del nematode Caenorhabditis elegans, dotato di un migliaio di neuroni, sono programmati geneticamente, conferendo all'animale un comportamento poco modificabile dagli stimoli ambientali se non a livello delle singole diramazioni dendritiche, quelli del più minuto dei cervelli di un mammifero sono programmati per quanto riguarda la formazione generale dei circuiti, ma sono suscettibili delle più svariate influenze ambientali per quanto concerne la modulazione fine di questo processo. Un secondo punto riguarda il meccanismo per cui miliardi di fibre nervose trovano la strada o sono guidati verso le loro cellule bersaglio situate in altre aree cerebrali o nelle varie parti dell'organismo.
A tale proposito, si può affermare che lo sviluppo di un neurone è un processo complesso che si verifica in varie fasi così riassumibili: 1) proliferazione; 2) migrazione dal sito iniziale (per es. la cresta neurale) a quello finale, spesso distante molti centimetri dalla zona di provenienza; 3) crescita delle fibre nervose (assone e dendriti) in direzione delle strutture bersaglio (l'assone può raggiungere la lunghezza di diverse decine di centimetri); 4) sintesi dei mediatori chimici con i quali il neurone comunicherà con le altre cellule con cui è in contatto; 5) formazione delle sinapsi. È ormai ampiamente dimostrato che ciascuna di queste fasi è, almeno in parte, regolata da componenti epigenetiche. Tra queste ricordiamo: numerosi ormoni, come quello tiroideo e quelli sessuali; fattori di crescita, tra i quali è utile ricordare soprattutto la famiglia dell'NGF (Nerve growth factor) che comprende, oltre all'NGF, anche il BDNF (Brain derived neurotrophin factor), l'NT3 (Neurotrophin 3) e l'NT4 (Neurotrophin 4); l'IGF-I (Insulin-like growth factor), le molecole di adesione cellulare come le CAM (Cell adhesion molecules), le SAM (Surface adhesion molecules), le integrine ecc. Ciascuna di queste molecole proteiche induce o modula uno o più eventi in determinate popolazioni neuronali.
Vi sono, a questo proposito, due ipotesi generali, chiamate rispettivamente ipotesi istruttiva e ipotesi selettiva. L'ipotesi istruttiva sostiene che una determinata fibra nervosa in crescita subisce l'azione dei fattori epigenetici che ne indirizzano e modulano la crescita direzionale (tropismo) verso la cellula bersaglio; questi fattori epigenetici agirebbero tramite un meccanismo di istruzione sulla via che essa deve seguire. Poiché vi sono miliardi di fibre, vi debbono essere più o meno altrettanti specifici segnali o segnapassi che guiderebbero le fibre nervose lungo il loro percorso. Poiché è impensabile che in natura esistano così tanti segnapassi di tipo proteico o di altro tipo, si ipotizza che tali fattori epigenetici costituiscano delle combinazioni tra loro in modo da formare un sistema combinatorio analogo a quello usato nel linguaggio verbale. La teoria selettiva della formazione dei circuiti sostiene invece che il ruolo dei fattori ambientali non è quello di istruire le fibre in via di crescita; queste tenderebbero a dirigersi casualmente in tutte le direzioni, ma sarebbero selezionate nel loro percorso dai fattori epigenetici. In altre parole, le fibre nervose, in una prima fase, innerverebbero un determinato territorio in modo aspecifico, senza particolari preferenze per una determinata popolazione di neuroni rispetto a un'altra. In seguito, sotto l'influenza degli stimoli ambientali, si stabilizzerebbero soltanto i circuiti coinvolti in una specifica funzione, mentre quelli non stimolati andrebbero distrutti. Analogo destino subirebbero i neuroni dai quali quelle fibre nervose provengono. Questa teoria si è ispirata a un'analoga ipotesi, poi confermata a livello sperimentale, sullo sviluppo del sistema di difesa dell'organismo o sistema immunitario. La teoria selettiva spiegherebbe un fenomeno osservato già intorno alla metà del 20° secolo nel corso di studi sullo sviluppo, per il quale circa il 50% dell'intera popolazione neuronale che si è generata nei primi mesi di sviluppo va incontro a degenerazione e morte. Questa popolazione sarebbe costituita da tutti i neuroni che, durante lo sviluppo, non hanno formato i collegamenti funzionali e strutturali adeguati con le cellule bersaglio e che, come conseguenza, essendo privi di fattori trofici oppure di stimolazioni appropriate, sarebbero eliminati in quanto inutili per il funzionamento del sistema nervoso.
Negli ultimi anni del 20° secolo si è scoperto che questi neuroni muoiono di un tipo di morte particolare detto apoptosi o morte programmata, cioè non conseguente a stimoli nocivi esterni, come nel caso della necrosi, ma piuttosto all'attivazione endogena di geni killer che sono presenti in ogni cellula e che vengono attivati solo in determinate condizioni fisiologiche o patologiche (v. necrosi). Due esempi classici testimoniano l'importanza delle componenti epigenetiche per l'appropriata formazione dei circuiti e, indirettamente, confermerebbero l'ipotesi selettiva. Il primo caso è rappresentato dall'NGF e dalle sue cellule bersaglio. Se, dopo aver coltivato in vitro con l'NGF cellule provenienti dal tessuto nervoso del sistema simpatico, si rimuove l'NGF dal mezzo di coltura, i neuroni vanno incontro a morte a causa dell'attivazione di una batteria di geni presenti all'interno del nucleo di quei neuroni. La funzione trofica dell'NGF, quindi, consisterebbe nel tenere bloccati questi geni killer. Nel corso dello sviluppo, tutti i neuroni che, per cause varie, non siano forniti di sufficienti quantità di NGF vanno dunque incontro a morte programmata. Nel secondo caso lo stimolo di tipo epigenetico è di natura sensoriale. Se si chiude artificialmente un occhio a un gatto neonato e lo si riapre qualche settimana dopo, analizzando le funzioni visive dell'animale si osserva che l'occhio occluso presenta un deficit visivo spesso totale e irreversibile. Se un'operazione analoga viene condotta nel gatto adulto, nell'arco di poco tempo dopo la successiva apertura dell'occhio si assiste a una completa ripresa della funzione visiva. Tale differenza nell'esito degli esperimenti dipende dal fatto che l'occlusione nel neonato ha impedito l'azione degli stimoli visivi, consistente nel facilitare la formazione e la successiva fissazione dei relativi circuiti. Secondo le due teorie che abbiamo sopra menzionato, gli stimoli sensoriali, i quali indiscutibilmente hanno svolto un ruolo cruciale, avrebbero giocato questo ruolo o 'istruendo' le fibre a formare i contatti appropriati, oppure 'selezionando', tra le fibre nervose in precedenza giunte a destinazione, quelle coinvolte nel processo visivo. In un caso come nell'altro, è evidente che la stimolazione visiva (epigenetica) risulta rivestire un ruolo decisivo e insostituibile nella formazione dei circuiti appropriati.
I neuroni si possono distinguere e classificare in numerosi tipi e sottotipi in base alla loro morfologia, alla loro dislocazione, alla natura dei mediatori chimici che impiegano per comunicare. Ma se si prende in considerazione il parametro più importante, vale a dire la loro funzione nel sistema nervoso, tutti i neuroni di tutti gli organismi viventi possono essere raggruppati in tre categorie: neuroni sensoriali, interneuroni e neuroni motori. I neuroni sensoriali sono destinati a percepire gli stimoli provenienti dal mondo esterno, gli interneuroni a elaborare queste informazioni (ed eventualmente a memorizzarle) e a trasmettere la risposta elaborata ai neuroni motori; questi ultimi si incaricheranno di trasmetterla al distretto dell'organismo chiamato in causa. Nel corso dell'evoluzione si è verificata una progressiva espansione degli interneuroni. Mentre i neuroni motori e quelli sensoriali variano da una specie all'altra sostanzialmente solo in rapporto alla massa corporea, il numero degli interneuroni è progressivamente aumentato in valore assoluto. Questo incremento differenziale è spiegabile sulla base delle funzioni alle quali sono preposti i tre tipi di cellule nervose. Il numero dei neuroni sensoriali e motori deve semplicemente variare in rapporto alla massa corporea, perché vi è un rapporto relativamente costante tra questi e il territorio da innervare per quanto riguarda sia la ricezione sia la trasmissione di messaggi. Così il numero di elementi sensoriali sarà di gran lunga maggiore nel cervello di un elefante rispetto al numero presente nel cervello di un moscerino, perché la massa corporea dei due animali è notevolmente differente; ma se rapportiamo massa corporea e numero di neuroni noteremo che il rapporto è rimasto sostanzialmente costante nel corso dell'evoluzione. Se invece confrontiamo l'estensione degli interneuroni nelle varie specie, osserviamo che il loro numero, rapportato a quello dei neuroni sensoriali e motori, aumenta con il progredire dell'evoluzione dai Pesci ai Rettili, agli Anfibi e ai Mammiferi, raggiungendo la massima estensione nel cervello dei Primati. Alla luce della funzione alla quale gli interneuroni sono preposti ciò è comprensibile. Infatti, un progressivo incremento di elementi devoluti all'elaborazione dell'informazione e alla sua eventuale memorizzazione ha evidentemente rappresentato un vantaggio evolutivo di primaria importanza. Questa conclusione è particolarmente ovvia se consideriamo il vantaggio evolutivo di cui ha beneficiato l'uomo dall'essere dotato di una neocorteccia nella quale sono dislocate, e operano in continuazione, alcune decine di miliardi di interneuroni disposti nei sei strati che costituiscono lo spessore di questa struttura. Uno dei problemi più affascinanti della neurobiologia riguarda la comprensione dei meccanismi genetico-molecolari che hanno presieduto alla progressiva espansione di questa popolazione neuronale.
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