NICEA
(gr. Νίϰαια; lat. Nicaea; turco İznik)
Città della Turchia, di fondazione ellenistica, nell'antica regione della Bitinia (Anatolia nordoccidentale), posta sulla riva occidentale dell'omonimo lago (İznik Gölü) e sul percorso di un'importante strada che dalla costa del mar di Marmara conduceva nell'entroterra anatolico.All'originario impianto urbanistico a schema ortogonale si sovrapposero quasi completamente la città romana, bizantina e, quindi, quella ottomana. N., entrata nella sfera d'influenza di Roma nel 74 a.C., visse in seguito un progressivo ampliamento urbano, per raggiungere la massima espansione all'epoca di Adriano (117-138), al cui nome sono legate la ricostruzione della città devastata da un terremoto nel 123 e la costruzione della cinta muraria, poi largamente restaurata dopo le scorrerie dei Goti (267-268).Nel 325 nel palazzo imperiale di N., da ubicarsi forse nel settore nordoccidentale della città, si tenne il primo concilio ecumenico della cristianità, convocato da Costantino, che si concluse con la condanna delle dottrine di Ario e con la formulazione del Credo niceno. Procopio di Cesarea (De Aed., V, 3) testimonia che Giustiniano (527-565) risollevò le precarie condizioni della città, prostrata da terremoti e carestie, restaurando l'acquedotto, le terme, il palazzo, alcune chiese, e incrementandone anche i traffici commerciali. Divenuta capitale del tema degli Opsiciani, N. fu vanamente assediata dagli Arabi nel 717 e nel 725-727. Nel 787 accolse nella chiesa della Santa Sofia il secondo concilio niceno, convocato dall'imperatrice Irene per condannare le dottrine iconoclaste. Fu coinvolta in seguito nelle rivolte di Giovanni Barda Sclero (976-978) e di Isacco Comneno (1057-1059).Devastata da un terremoto nel 1065, N. fu conquistata nel 1078 da Sulaymān I che la elevò in seguito al rango di capitale del regno selgiuqide in Anatolia. Dopo alcuni vani tentativi di riconquista intrapresi da Alessio I Comneno (1081-1118), nel 1097, l'esercito crociato di Goffredo di Buglione riuscì a espugnare la città, che l'anno precedente aveva assistito al massacro della disordinata avanguardia cristiana guidata da Pietro l'Eremita.Dopo la conquista latina di Costantinopoli nel 1204, N. divenne per oltre un cinquantennio la residenza dell'impero bizantino in esilio: qui si fece infatti incoronare imperatore nel 1208 Teodoro I Lascaris (m. nel 1222), despota già dal 1204. Questo periodo si caratterizzò per un grande fervore artistico e culturale, giacché l'aristocrazia costantinopolitana esule a N. si rivolse al recupero dell'antica cultura ellenica, considerandolo un mezzo per preservare la propria identità nazionale. Ne offrono significativa testimonianza gli scritti del letterato e statista Teodoro Metochite - una delle più eminenti figure della cultura bizantina della seconda metà del sec. 13° e degli inizi del successivo, cui si deve anche un encomio dedicato alla città (Nikaeus) - e alcuni codici miniati eseguiti forse proprio a N. intorno alla metà del sec. 13°, come per es. due evangeliari oggi ad Atene (Nat. Lib., 118) e a Princeton (Univ. Lib., Garret 5, già Athos, Andreaskiti, 753), nei quali si colgono in fieri le tendenze stilistiche dell'arte paleologa.Dopo la riconquista di Costantinopoli da parte bizantina (1261), N. continuò a svolgere un importante ruolo politico ed economico fino al 1331, quando si arrese all'esercito ottomano di Orkhān Ghāzī (m. nel 1359), che la elesse a capitale sino al 1335; cadì della città, ovvero giudice con ampi poteri amministrativi, fu nominato Khayr al-Dīn Khalīl della dinastia dei Jandārlī. Nonostante il saccheggio compiuto dalle avanguardie delle truppe mongole di Tamerlano - che aveva sconfitto nel 1402 il sultano Bāyazīd I (1389-1402) presso Ankara -, N. continuò a essere un importante centro artistico e commerciale per oltre un secolo. Le cronache dei viaggiatori occidentali che visitarono la città a partire dalla metà del sec. 16° ne descrivono invece lo stato fatiscente e il progressivo degrado della possente cinta muraria, che peraltro costituisce tuttora uno dei più completi e meglio conservati sistemi di difesa romano-bizantini dell'Anatolia.Le mura, che con andamento irregolare sviluppano un perimetro di ca. km 5, appaiono come un grandioso palinsesto. Accanto alle torri e alle sezioni di epoca romana, caratterizzate da un paramento interamente in laterizio, oppure con fasce di laterizi regolarmente alternate a fasce di conci di pietra, si distinguono le strutture seriori - per lo più riferibili ai restauri del sec. 8° e a quelli voluti nell'859 dall'imperatore Michele III (attestati da otto iscrizioni) -, qualificate da murature irregolari con presenza di molti materiali di spoglio. I settori caratterizzati invece dalla tecnica costruttiva c.d. a mattone arretrato possono essere attribuiti ai restauri eseguiti in seguito al citato terremoto del 1065. La tecnica muraria a cloisonné sigla infine il grande intervento lascaride, che nel sec. 13° comportò la sopraelevazione del muro esistente e la creazione di un antemurale distante dalla cinta ca. m 16; nella sua redazione tardobizantina il sistema difensivo della città giunse così a contare, tra cinta interna e antemurale, oltre duecento torri di forma circolare e quadrangolare, che si sviluppavano su due piani disposte a una distanza di m 60-70 l'una dall'altra.Nella cinta si aprivano alcune posterule e quattro porte principali, tre delle quali conservate: a N la porta d'Istanbul, a E la porta di Lefke e a S la porta di Yenişehir; quella occidentale è invece quasi completamente rasa al suolo, come del resto tutto il settore prospiciente il lago. Le porte presentano complesse articolazioni interne con successione di varchi (in particolare va segnalata la tipologia trionfale a tre fornici del varco centrale della porta di Costantinopoli), in qualche caso disposti anche non in asse, e comprendono strutture di epoca romana, caratterizzate dalla presenza di iscrizioni del 1°-3° secolo. All'esterno della porta di Lefke si conservano resti di un acquedotto bizantino.Nel centro della città antica, nel punto ove s'incrociavano i due assi stradali perpendicolari, sorge, sovrapponendosi forse a un edificio di epoca romana, la chiesa della Santa Sofia. Pur in assenza di fonti testuali o epigrafiche, appare possibile circoscrivere la datazione dell'edificio originario tra la fine del sec. 5° e i primi anni del 6°, soprattutto in considerazione delle sue caratteristiche planimetriche: una basilica di impianto rettangolare molto raccorciato (m 2622), a tre navate, conclusa a E da un'abside poligonale all'esterno, priva in questa fase degli ambienti laterali, e preceduta a O da un nartece; tale tipologia icnografica appare infatti assai simile a quella delle basiliche costantinopolitane della metà del sec. 5°, quali il S. Giovanni di Studios e la Theotokos Chalkoprateia. Dopo il terremoto del 1065, l'edificio, al quale era stata addossata in prosieguo di tempo una cappella sul lato sud, subì pesanti trasformazioni: archeggiature su pilastri sostituirono i colonnati, due ambienti affiancarono l'abside e il pavimento venne sopraelevato e ridecorato in opus sectile. Resti dell'originario pavimento, ugualmente in opus sectile, sono stati rimessi in luce nel presbiterio. Viene invece attribuito a un momento immediatamente precedente l'arcosolio ricavato nello spessore della parete nord e decorato con un affresco raffigurante la Déesis. Altri esigui lacerti di affreschi, attribuiti invece al sec. 13°, si conservano nell'ambiente a S dell'abside.Nel 1331, per volontà di Orkhān Ghāzī, la chiesa fu trasformata in moschea; in tale occasione furono ampliati gli archivolti interni per consentire la completa visuale del miḥrāb e venne nuovamente rialzato il pavimento. Accanto alla moschea furono costruiti un minareto, un imaret (mensa pubblica), una madrasa e uno ḥamām (bagno).Nel settore sudorientale di N. si situano le rovine della chiesa della Dormizione, distrutta negli anni Venti durante il conflitto greco-turco. La chiesa, caratterizzata da un impianto a croce greca inscritta con copertura a cupola, faceva parte del monastero della Dormizione della Vergine, fondato in epoca preiconoclasta dall'igumeno Giacinto, il cui nome ricorre in forma di monogramma nell'originaria decorazione scultorea e musiva dell'edificio (nota attraverso la documentazione fotografica del 1912). Un igumeno Giacinto è però attestato a N. per la prima volta nelle fonti solo negli atti del secondo concilio niceno; la cronologia del fondatore e quella dell'edificio rimangono dunque controverse - variamente collocate tra il sec. 6° e l'8° -, anche se l'originario programma iconografico e lo stile dei mosaici del bema sembrano avallare una datazione ancora entro il 6° secolo. Nella decorazione musiva del bema si succedettero comunque tre fasi, di cui due furono individuate dopo la ripulitura del 1912, mentre una terza è riconoscibile alla luce della documentazione fotografica eseguita in quell'occasione, in particolare per quel che riguarda l'immagine campita sullo sfondo aureo della conca absidale. Erano pertinenti alla prima fase le quattro virtù o potenze angeliche recanti il labaro con il trisághion, poste nell'intradosso dell'arcone presbiteriale, alla cui sommità si stagliava un trono con i simboli regali del Cristo nella sua accezione trinitaria; alla stessa fase apparteneva la mano dell'Eterno nell'empireo, posta al culmine del catino absidale e inserita in tre cerchi di tonalità degradante, da cui emanavano tre raggi. Questi ultimi erano indirizzati verso una figura - distrutta in epoca iconoclasta per essere sostituita da una croce -, che poteva essere Cristo oppure la Vergine con il Bambino, simile a quella rifatta durante il restauro voluto da un non meglio identificato Naucrazio all'indomani della fine della crisi iconoclasta; l'immagine era comunque commentata dai versetti di Sal. 92 (91), 5 e 96 (95), 7.Nel nartece della chiesa, restaurato dopo il terremoto del 1065, si conservava, fino agli inizi del secolo, anche una serie di mosaici che offrivano un'importante testimonianza in rapporto alle contemporanee correnti della pittura monumentale costantinopolitana. Non lontano dalla chiesa della Dormizione rimane un haghíasma (fonte sacra) semi-ipogeo di forma circolare (diametro m 4,50) e con copertura cupolata, datato al 6° secolo. Presso la porta di Costantinopoli e quella di Yenişehir rimangono inoltre le rovine di due piccoli edifici ecclesiali di epoca lascaride, uno dei quali potrebbe essere identificato con la chiesa dedicata a s. Trifone da Teodoro II Laskaris nel 1255-1256.Di notevole interesse sono anche i monumenti turchi di N., che offrono significative testimonianze della nascente architettura ottomana, in particolare per ciò che riguarda le moschee cupolate con schema planimetrico a T capovolta e la tipologia della madrasa e del mausoleo. Questi edifici sono di norma caratterizzati da una peculiare tecnica muraria a filari di conci alternati con tre corsi di mattoni, che fu in seguito adottata anche nelle fondazioni di Bursa. La più antica moschea è quella di Haci Özbek, datata da un'epigrafe al 1333: un impianto quadrangolare con cupola su trombe a ventaglio, preceduto in origine da un portico demolito nel 1939. Analoga doveva essere la distrutta moschea di Haci Hamza bin Erdemşah, costruita molto probabilmente tra il 1345 e il 1349, insieme al vicino mausoleo, da Haci Ali, il primo architetto ottomano conosciuto, probabilmente lo stesso che con il nome di Haci bin Musa fu il responsabile della costruzione della Yeşil Cami. Al di fuori della porta di Yenişehir sono invece i resti di una moschea - fondata, come attesta un'iscrizione, nel 1334 dal sultano Orkhān Gāzī - con pianta a T capovolta, portico, sala cupolata e iwan sopraelevato. Non lontano sorge la türbe di Kırgızlar (sec. 14°), la cui camera funeraria, con cupola su alto tamburo, è preceduta da un ambiente voltato. Più magniloquente appare invece la Yeşil Cami, che, come è attestato da un'iscrizione, fu costruita per ordine del generale Candarlı Kara Khalīl Pāshā tra il 1378 e il 1391 dall'architetto Haci bin Musa. Preceduta da un portico profondo, la sala di preghiera presenta una grande cupola (diametro m 11) su di un alto tamburo con pennacchi prismatici; secondo la tradizione selgiuqide, il minareto è rivestito di piastrelle maiolicate.La pianta a T capovolta preceduta da un portico e la sala a grande cupola su pennacchi prismatici ricorrono anche nell'imaret (od. sede dell'Iznik Mus.), costruito nel 1388 dal sultano Murād I (1360-1389) in memoria della madre Nīlūfer Khātūn, ampliando comunque uno schema già adottato nell'imaret di Yakup Çelebi (1380). Presso quest'ultimo sorge il mausoleo, del tipo a cupola su quattro arcate aperte, dello stesso personaggio, fratello di Bāyazīd I. Il medesimo impianto caratterizza anche il mausoleo di Sarı Saltuk o Saltuk Baba (fine sec. 14°), mentre quello dei Jandārlī (sec. 14°) mostra due camere funerarie cupolate. Si deve a Suleymān Pāshā, figlio di Orkhān Gāzī, la fondazione di una madrasa con cortile porticato a U, celle e sala cupolate. Risale infine all'epoca del sultano Murād I il complesso del Büyük Hamam, con pregevoli decorazioni in stucco ormai assai degradate, come quelle dello ḥamām di Ismā῾īl Bey (sec. 14°-15°), forse in origine annesso alla residenza di Jandārlī Ibrāhīm Pāshā, caratterizzato da una planimetria irregolare e da sale con cupole a ombrello, a stella o a spirale.Dopo la conquista ottomana si svilupparono a N. le manifatture di ceramica, la cui produzione, esportata anche nei paesi più lontani, si qualificava sia per l'alto livello tecnico dell'invetriatura sia per il raffinato repertorio decorativo (composizioni geometriche, fitozoomorfe combinate in sinuosi schemi arabescanti), dipinto o graffito, modulato di preferenza su accese tonalità azzurre, rosse e nere.
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