NOVECENTO
. Arte. - Sulla fine del 1922, nella galleria Pesaro in Milano, un gruppo di artisti composto da Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Emilio Malerba, Pietro Marussig, Ubaldo Oppi e Mario Sironi, a conclusione di una vivace discussione sull'arte italiana e sulla sua tradizione, iniziavano un movimento che il Bucci battezzò col nome di Novecento. Il titolo sembrò presuntuoso, perché parve ad alcuno che volesse ipotecare in anticipo tutto il secolo; esso voleva invece essere, in quei giorni grigi del dopoguerra, un atto di fede e una parola d'ordine. I componenti del gruppo, che, impegnati da vincoli di cameratismo, lo adottarono, volevano soltanto, come fu poi da loro stessi spiegato, concretare in un nome una verità che sarebbe divenuta tangibile nel tempo e nello spazio, per modo che, dicendo un giorno "arte del Novecento", così come si dice arte del Quattrocento, del Cinquecento, del Seicento, si avesse l'immediata evocazione di una visione determinata; essi volevano soprattutto "proclamarsi italiani, tradizionalisti, moderni" affermavano "di voler fermare nel tempo qualche aspetto nuovo della tradizione".
Il 26 marzo del 1923 nelle stesse sale della galleria Pesaro con un notevole complesso di opere ebbe luogo la prima manifestazione dei Novecentisti, che nell'anno seguente, auspice Margherita Sarfatti, si presentarono alla Biennale veneziana.
Nel 1926, ampliatosi il gruppo, s'allestiva in Milano la Prima mostra del Novecento italiano, inaugurata con un discorso di Benito Mussolini, il quale fra l'altro dichiarò: "È lungi da me l'idea d'incoraggiare qualche cosa che possa somigliare all'arte di stato", volendo significare che lo stato non avrebbe dato la preferenza ad alcuna tendenza in particolare.
Seguirono alcune esposizioni all'estero e nel '29 la Seconda mostra italiana di sapore schiettamente polemico. Vivaci discussioni agitarono allora il mondo artistico. Vinsero le avanguardie e ciò che era sembrato scandalo divenne norma se non da tutti da moltissimi accettata. In breve perfino la parola Novecento divenne anacronistica per essere caduta nella spicciola moda commerciale, così che si ebbero i tappeti novecento, i caffè novecento, i mobili novecento.
Quale era il programma dell'esigua pattuglia che aveva dato origine al movimento novecentista? Esso, disse il Pesaro in un suo discorso, "è semplice e chiaro; vuol fare dell'arte pura italiana, ispirandosi alle sue purissime fonti, sottraendola a tutti gli "ismi" d'importazione e a influenze che spesso snaturano i caratteri definiti della razza". E così lo definì Margherita Sarfatti: "limpidità nella forma e compostezza nella concezione, nulla di alambiccato e di eccentrico, esclusione sempre maggiore dell'arbitrario e dell'oscuro".
In sostanza programma vago che non presuppone finalità e tendenze esclusive di scuola; perciò la composizione del primo gruppo novecentesco è eclettica. Essa va dalla pittura nitida e recisa nel segno del Dudreville o dalle stilizzazioni rudi e squadrate del Sironi al concettualismo un po' letterario del Bucci; dal neoclassicismo non privo d'interesse naturalistico, dalla sincerità rude e provinciale, dalla forma talvolta disfatta nel tripudio orgiastico del colore accentuato da segni neri del Funi al quadro sensuale e borghese del Malerba; dalle fresche improvvisazioni pittoriche del Marussig alla rapidità spavalda, alle deformazioni e agli arcaismi formali del Salietti e ai paesaggi di pacata tenerezza del Tosi, in cui si dissimula tanta finezza tipicamente lombarda.
Anche le idee di tradizione e d'italianità, programmaticamente con tanta rigidezza proclamate, non apparvero in tutti fino dal principio altrettanto chiare nelle opere, forse perché si andarono affermando anche attraverso l'assimilazione, la trasformazione e il superamento dell'avanguardismo straniero. In questi tentativi si determinò sempre meglio la passione per il volume, per il rilievo, per la terza dimensione, per l'accentuazione quasi cubica degli oggetti e, dopo tanto trionfo di paesaggio, la figura umana tornò a essere il centro programmatico di ogni attività artistica; la composizione, intesa come architettura di volumi, si sostituì alle divagazioni improvvise e sciolte del pennello romantico.
Il fatto che la costituzione del gruppo novecentesco non fu subordinata a modi strettamente particolaristici e a rigorose adesioni a finalità precise e determinate di scuola, ne ha a poco a poco ampliata la composizione fino a generalizzarla. Dopo la prima mostra, nella quale preponderavano le direttive d'avanguardia, aderirono al movimento molti, prevalentemente giovani e lombardi, che con quelle direttive simpatizzavano: A. Carpi, C. Carrà, M. Campigli, Penagini, P. Semeghini, E. Pratelli, M. Vellani Marchi, G. Zanini, U. Lilloni, Canegrati, Ghiringhelli, De Amicis, Del Bon, Carpanetti, Donghi, Bacci, Ceracchini, Socrate, Fonda e altri.
Oggi, allargate ancora le file, il Novecento ha esteso la sua azione alla scultura, all'architettura, alla musica, cerca insomma d'identificarsi in ogni campo con l'idea "sulla quale deve sorgere la personalità stilistica e spirituale della nostra arte", e i suoi adepti si definiscono come i primitivi di una nuova sensibilità.
Bibl.: M. Sarfatti, Segni, colori e luci, Bologna 1925, p. 126 segg.; id., Storia della pittura moderna, Roma 1930; V. Costantini, Pittura italiana contemporanea dalla fine dell'800 ad oggi, Milano 1934, p. 241 segg.
Letteratura. - Per "Novecento" o "novecentismo" s'intende quell'insieme d'idee, di programmi e di polemiche sull'arte, che ebbe ad animatore Massimo Bontempelli (v.) e come organo una rivista di questo titolo (900), uscita in Roma dal 1926 al 1929 e diretta dallo stesso Bontempelli. Riconoscendosi in parte discendente del futurismo, il Novecento propugnò il rinnovamento della letteratura inteso come instaurazione d'una nuova "storia del costume", e quindi il disprezzo per ogni forma di naturalismo, di psicologismo, di sentimentalismo piccoloborghese, di estetismo e di criticismo, e il culto dell'immaginazione, dell'avventura, del rischio, del nuovo, della volontà come "magico" dominio dell'uomo sulla natura; discostandosi dal futurismo soprattutto nel sostenere di contro all'impressionismo lirico, al frammentismo soggettivo e romantico, la necessità della composizione, della costruzione, dell'obiettività, d'un'arte (specialmente narrativa) consona al moderno spirito italiano ed europeo, e però creatrice di nuovi miti, "primordiale" d'una primordialità nuova, cioè non primitiva, ma raggiunta attraverso tutte le passate esperienze.
"Realismo magico" fu infatti la principale formula dell'arte vagheggiata dal Novccento: cioè scoperta nella vita quotidiana, nell'uomo e nella natura, di zone di "lucido stupore", di misterioso incanto. Altra formula fu quella dello "stile naturale"; e il tutto è spiegato con una teoria storica: l'umanità occidentale avrebbe percorso finora due epoche, la "classica" fino a Cristo, la "romantica" da Cristo alla guerra mondiale. Il sec. XX non comincia che dopo la guerra, e inaugura una terza epoca, alla quale debbono appunto ispirarsi i nuovi scrittori e artisti. Nel quale programma, se è possibile trovare qualche traccia di quel "richiamo all'ordine" e di quell'aspirazione al racconto che erano e sono nella nuova letteratura italiana, sono però da vedere non tanto i principî d'un vero e proprio movimento letterario, quanto un particolare aspetto della poetica del Bontempelli, una sua personale esperienza di scrittore. Infatti la rivista 900 (che in omaggio al suo europeismo e alla conseguente indifferenza per il "mezzo" linguistico uscì in un primo tempo in francese) adunò scrittori italiani e stranieri (M. Gallian, G. G. Napolitano, C. Alvaro, O. Vergani, B. Barilli, E. Cecchi, A. Campanile, A. Moravia, P. Mac Orlan, R. Gómez de la Serna, G. Kaiser, J. Joyce, D. H. Lawrence, V. Woolf, I. Erenburg, P. Romanov ecc.), assai diversi tra loro per temperamento e tendenza.
Bibl.: B. Migliore, Bilanci e sbilanci del dopoguerra letterario, Roma 1929, pp. 61-76; A. Gargiulo, in L'Italia letteraria, 19 luglio 1931.