Numerazione
Come si denominano e come si scrivono i numeri
In ogni lingua i numerali, cioè le parole che indicano i numeri, sono diversi: uno, due, tre in italiano diventano one, two, three in inglese o eins, zwei, drei in tedesco. Eppure, i numeri sono gli stessi in tutto il mondo e, nonostante la diversa pronuncia, sono scritti ovunque usando dieci cifre. Ma non sempre è stato così: quello che oggi appare un modo naturale e universale di scrivere i numeri, perché s’impara fin da piccoli, è il risultato di un lungo processo evolutivo. Scoprire come si è arrivati all’attuale sistema di numerazione – il modo in cui i numeri vengono scritti e pensati – e capire come funziona può aiutare a conoscere a fondo i numeri stessi
«Facciamo la conta!». Quanti giochi infantili – e non solo – cominciano così per determinare ‘a chi tocca’ compiere una certa azione. Al principio di un gioco, infatti, c’è spesso una conta, realizzata attraverso una filastrocca oppure sommando le dita delle mani distese dai partecipanti al gioco.
Come per i bambini, anche per l’umanità, il distendere o il ripiegare le dita è stato il primo modo di rappresentare i numeri, prima ancora di saperli scrivere: certo, non tutti i numeri, ma almeno i più piccoli a partire da 1. Trascorsero infatti molti secoli prima che fosse necessario considerare numeri ‘grandi’ o dover ammettere che i numeri sono infiniti. Quando sorse la necessità di scrivere i numeri dovette perciò apparire naturale fare riferimento alle dita. Non è un caso che nelle tavolette di argilla ritrovate in Mesopotamia e risalenti a due o tre millenni prima di Cristo si sono trovate incisioni con segni che significano rispettivamente 1, 2, 3.
E anche nel sistema di numerazione romano i segni I, II, III, che indicano rispettivamente i primi tre numeri, rimandano all’immagine delle dita.
Per contare e rappresentare numeri più grandi è necessario creare raggruppamenti. Già nei sistemi più antichi, creati dai Sumeri, dagli Assiro-Babilonesi e dagli Egizi, esistono simboli e parole speciali per il 12 o per il 60, per il 20 o per il 10. Alla fine prevarrà il 10 come raggruppamento privilegiato e ciò, naturalmente, dipende dal numero di dita che hanno le mani nella specie umana. Anche nel più tardo sistema romano, che prevarrà e rimarrà valido per molti secoli, il riferimento alla mano non verrà dimenticato.
Infatti, il simbolo per il 5 non è altro che una stilizzazione di un palmo aperto con il pollice da una parte e le altre quattro dita, unite, dall’altra: V. Il simbolo per il dieci, invece, è una sovrapposizione di due V, una delle quali rovesciata: X.
Il raggruppamento di dieci in dieci si afferma infine nella storia, anche se rimangono tracce di sistemi a base 60 (detti sessagesimali) nelle misure di fenomeni periodici. Ne sono esempi la misura del tempo con la divisione delle ore in sessanta minuti o la misura degli angoli in cui ogni grado è la trecentosessantesima parte dell’intero angolo giro. La scelta della base 60 era probabilmente determinata dalla sua maggiore comodità, in quanto numero divisibile per 2, per 3 e per 5; la scelta di 360 gradi per l’angolo giro, oltre al suo legame con la base 60, era invece dovuta alla sua vicinanza con la durata in giorni dell’anno.
Il sistema di numerazione romano usa come base il 10 e suoi multipli (10=X, 50=L, 100=C, 1000=M) e i simboli cambiano talvolta di valore a seconda della posizione relativa. Per esempio, VI significa 6 perché un numero alla destra di uno maggiore deve essere addizionato: V+1= 5+1= 6. I simboli vanno poi sempre scritti da sinistra a destra, da quello di valore maggiore a quello di valore minore; quando non è rispettato tale ordine, allora il numero di valore minore va sottratto. Così, IV significa 4 perché I=1 è a sinistra di V=5; la scrittura LXXIX significa invece 79 perché L+X+X-I+X=50+10+10-1+10=79.
Si comprende che il sistema di numerazione romano risulta inadatto per i calcoli, perché a nulla serve incolonnare i numeri e, se questi sono grandi, nessuna ‘tabellina’ può essere di aiuto per effettuare moltiplicazioni. Per le operazioni si usava infatti un altro metodo: una tavoletta, suddivisa in colonne, detta abaco, simile a un pallottoliere, su cui si ponevano e si muovevano piccoli sassolini (in latino calcula, da cui il termine «calcoli»).
L’invenzione dello zero e l’introduzione indo-araba del sistema posizionale – in cui le cifre cambiano di valore a seconda della posizione che occupano – permisero di rappresentare i numeri in modo tale che risultasse relativamente facile fare con essi anche le operazioni. E così si giunse all’attuale sistema di numerazione.
Il sistema oggi adottato in tutto il mondo è detto sistema posizionale in base 10. È in base 10 perché si raggruppano i numeri di dieci in dieci e, conseguentemente, si utilizzano soltanto dieci simboli, le dieci cifre, per rappresentare gli infiniti numeri. È detto posizionale perché la scrittura 2023,45 significa 2 migliaia + 0 centinaia + 2 decine + 3 unità + 4 decimi + 5 centesimi, cioè ogni numero ha un diverso valore a seconda della sua posizione. Scritto secondo le potenze di 10 otteniamo infatti 2023, 45 = 2•103+0•102+2•101+3•100+4•10-1+5•10-2.
Come abbiamo detto, la base 10 si è affermata sulle altre perché il primo strumento di calcolo furono le dieci dita della mano ed è quindi naturale raggruppare i numeri di dieci in dieci. Non è però necessario che le cifre siano proprio dieci. I computer, che non hanno né mani né dita, ‘fanno i calcoli’ utilizzando dispositivi elettrici che possono trovarsi in due soli stati: chiuso o aperto. Al loro interno perciò si opera soltanto con due cifre: 0 e 1. Il sistema di numerazione all’interno di un computer è pertanto un sistema posizionale in base 2 o, come anche si dice, un sistema binario.
Poiché nel sistema binario si utilizzano soltanto le cifre 0 e 1, ogni numero non è scritto secondo le potenze di 10, ma secondo le potenze di 2. Per esempio, consideriamo il numero 1010012 scritto nel sistema binario (il numero 2 che compare al piede del numero indica che esso è scritto proprio in base 2). Per capire a quale numero corrisponde nel nostro sistema decimale, riscriviamolo secondo le potenze di 2:
1010012=1•25+0*24+1•23+0•22+0•21+1•20
Tenendo conto del valore delle potenze di 2 si ottiene:
1010012=1•32+0•16+1•8+0•4+0•2+1•1=32+8+1=41
41 è perciò il corrispondente di 1010012 nel nostro usuale sistema decimale. Non è difficile verificare che i numeri interi positivi in base 2, scritti in successione da 1 a 9, sono 12, 102, 112, 1002, 1012, 1102, 1112, 10002, 10012.
Oltre agli esempi specifici che abbiamo esaminato per i sistemi binario e decimale, qualunque numero intero positivo può essere la base di un sistema po;sizionale: i numeri verranno scritti secondo le potenze della base scelta e avranno un numero di cifre pari alla base stessa.
«Ambarabà Ciccì Coccò tre civette sul comò che facevano l’amore con la figlia del dottore. Il dottore si ammalò Ambarabà Ciccì Coccò».
Questa è una delle tante filastrocche che i bambini usano per fare la conta… senza effettivamente contare. Presentano
però un difetto: se si segue sempre lo stesso ritmo – come si dovrebbe fare se non s‘imbroglia – si ottiene sempre lo
stesso numero. Per esempio, in questo caso ogni verso è scandito in sette parti e quindi i sei versi in totale corrispondono sempre al numero 42. Le filastrocche non sono un sistema di numerazione, perché non possono rappresentare un numero qualunque e un bambino furbo e bravo nei calcoli, decidendo da chi iniziare, può facilmente stabilire ‘a chi tocca’.
L’introduzione in Europa del sistema posizionale in base 10 è dovuta a Leonardo Pisano, detto il Fibonacci (perché suo padre si chiamava Bonaccio). Egli nel 1202 scrisse un libro intitolato Liber abaci («Libro del far di conto») nel quale spiegava il funzionamento del sistema inventato dagli Indiani e usato e diffuso dai mercanti arabi. Il primo capitolo del libro inizia così:
«I nove segni (in latino figurae) degli Indiani sono questi: 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1. Con questi nove segni e con il segno 0, che gli Arabi chiamano zefiro, si scrive qualunque numero, come si mostra qui di seguito». Fibonacci annuncia solennemente un fatto per noi scontato, cioè che con i simboli introdotti si può scrivere qualunque numero. Inoltre, lo «zefiro», cioè lo zero, è lasciato un po’ in disparte rispetto agli altri. In effetti il sistema decimale si regge sull’invenzione dello zero, che aggiunto a sinistra di un numero non indica nulla, ma messo dall’altra parte, a destra, lo moltiplica per dieci.