Nuzialità
Il matrimonio e lo scioglimento delle unioni matrimoniali per divorzio o vedovanza sono stati da sempre oggetto di studio dei demografi in quanto la frequenza e la durata dei matrimoni influenzano la fecondità e, di conseguenza, la crescita della popolazione e la sua composizione secondo lo stato civile. Questi fattori incidono sul tipo di famiglia in cui gli individui crescono e vivono. La durata del matrimonio influenzerà il numero dei tipi di famiglia in cui un individuo vivrà nel corso della sua esistenza. I sociologi e gli studiosi di antropologia sociale, per contro, hanno focalizzato l'attenzione sulla relazione tra matrimonio, strutture familiari e parentali e stratificazione sociale, nonché sulle diverse usanze matrimoniali nelle varie culture.
Lo studio della nuzialità ha come oggetto la frequenza e la struttura per età dei matrimoni, che vengono analizzate operando di solito una distinzione tra primo matrimonio e seconde nozze (a seguito di divorzio o vedovanza). Il matrimonio è un'unione tra persone di diverso sesso che comporta una serie di diritti e doveri definiti dalla legge o dalle consuetudini. In alcuni paesi coesistono vari sistemi di regolamentazione del matrimonio: ad esempio il diritto civile, il diritto canonico, uno o più sistemi normativi consuetudinari o tribali. In queste società l'effettivo status coniugale (de facto) di un individuo può differire dalla sua situazione giuridica (de jure). In alcune società molte coppie danno vita dapprima a una unione consensuale, che può o meno essere legalizzata, in seguito, con un matrimonio formale.
Le leggi e le usanze matrimoniali differiscono nelle varie società. In quelle cosiddette monogame, che costituiscono la maggioranza, non è consentito il matrimonio con più di una persona alla volta, in quelle poligame o poliginiche un uomo può avere più di una moglie, mentre nelle società in cui vige la poliandria la donna può avere più mariti.Nella maggior parte dei paesi un'unione è legale solo se sancita da un rito laico o religioso. In Italia, come in altri paesi europei, è possibile scegliere tra matrimonio civile e matrimonio religioso. Più dell'80% dei matrimoni in Italia sono consacrati da una cerimonia religiosa, sebbene esistano notevoli differenze da regione a regione. In generale in quelle settentrionali i matrimoni civili sono abbastanza frequenti: nel 1992 le più alte percentuali di matrimoni civili sono state registrate nel Trentino-Alto Adige (31,5%), nel Friuli-Venezia Giulia (29,7%) e in Liguria (29,1%). Nell'Italia meridionale, per contro, la quasi totalità dei matrimoni viene celebrata in chiesa: il 94,8% in Basilicata, il 92,6% in Calabria, il 91,9% e il 92% in Molise e in Puglia. In alcuni paesi, in particolare nell'America Latina, è frequente che le coppie scelgano di sposarsi sia secondo il rito religioso che secondo il rito civile.Il diritto matrimoniale spesso stabilisce un limite minimo dell'età matrimoniale, in genere diverso per i due sessi, e impone anche una serie di restrizioni, ad esempio vietando il matrimonio tra consanguinei. Le usanze matrimoniali in alcune società privilegiano l'endogamia, ossia il matrimonio tra membri dello stesso gruppo - casta, tribù, o comunità religiosa. I matrimoni misti, per contro, sono unioni tra persone di diversa nazionalità, razza o religione.Il diritto matrimoniale o le norme consuetudinarie stabiliscono anche le condizioni (a parte la morte di uno dei due coniugi) alle quali è possibile sciogliere il matrimonio mediante l'annullamento, la separazione legale o il divorzio. Lo studio della nuzialità in una determinata società, o delle differenze relative alla nuzialità che si riscontrano tra le diverse società, dovrebbe mettere in luce quali sono le disposizioni giuridiche relative al matrimonio, allo scioglimento delle unioni matrimoniali e alla possibilità di contrarre nuove nozze che prevalgono nei singoli paesi.
La misura più semplice della frequenza dei matrimoni in una data società è costituita dal quoziente generico di nuzialità, ossia dal rapporto tra il numero di matrimoni in un determinato anno e la popolazione totale (convenzionalmente espresso in ‰). Una misura più specifica rapporta il numero di matrimoni alla popolazione 'a rischio', ossia alla popolazione composta dagli individui dai quindici anni in su (assumendo che l'età minima per il matrimonio sia fissata a quindici anni) non sposati (quanti non hanno mai contratto matrimonio, più i divorziati e i vedovi).
La propensione al matrimonio varia a seconda dell'età, e di norma i quozienti di nuzialità raggiungono i livelli massimi in età diverse per i due sessi. Di conseguenza è importante per un'analisi più specifica calcolare i quozienti di nuzialità nelle diverse età e separatamente per i due sessi. Un approccio analogo viene adottato nel calcolare i quozienti relativi alle seconde nozze, in quanto la propensione a risposarsi dopo il divorzio o la vedovanza varia a seconda del sesso e dell'età al momento del divorzio o della vedovanza.L'incidenza della nuzialità in una società di solito è data dai risultati combinati dell'età al matrimonio e delle quote di quanti non si sono mai sposati. La distribuzione per età degli sposi è sintetizzata in genere dall'età media al matrimonio; la quota di uomini e donne che non hanno mai contratto matrimonio è di solito rappresentata dalla percentuale di nubili/celibi nel gruppo di età dei 45-49 anni.Un modo assai utile di compendiare la struttura per età e la frequenza dei matrimoni in un determinato periodo è dato da una tavola di nuzialità, che mostra, separatamente per i due sessi, quale quota di una data coorte di nati vivi, sopravviventi a una determinata età, si sposerà o resterà celibe/nubile. Si tratta di una tavola a duplice decremento - per morte e per matrimonio - generata dalla combinazione tra i quozienti di mortalità e i quozienti di nuzialità calcolati per le diverse età. Si possono costruire tavole più complesse a decrementi multipli, che considerano, oltre alla mortalità, le probabilità relative al primo matrimonio, allo scioglimento del matrimonio per divorzio o per morte del coniuge, nonché le probabilità di nuove nozze.
Per quanto riguarda l'incidenza della nuzialità, si possono distinguere due situazioni opposte: quella in cui il matrimonio avviene in giovane età, soprattutto per le donne, ed è quasi universale (alta incidenza della nuzialità), e quella caratterizzata dal differimento del matrimonio a un'età più tarda e da un'alta percentuale di celibi/nubili (bassa incidenza della nuzialità). Nel primo caso l'età media al primo matrimonio per le donne è spesso inferiore ai vent'anni e la percentuale di quanti sono ancora celibi/nubili all'età di cinquant'anni è inferiore al 5%; nel secondo caso l'età al primo matrimonio è superiore ai 23-24 anni per le donne, e oltre il 10% degli uomini e delle donne sono ancora celibi/nubili all'età di cinquant'anni.
Il modello del matrimonio differito si affermò nell'Europa occidentale (ossia approssimativamente nell'area situata a ovest della linea che va da Trieste a San Pietroburgo) a partire dalla fine del XVII secolo (v. Hajnal, 1965; v. Laslett, 1984). Il differimento del matrimonio e percentuali relativamente alte di individui ancora celibi/nubili all'età di cinquant'anni caratterizzavano anche le popolazioni europee d'oltreoceano negli Stati Uniti, in Canada, in Nuova Zelanda e in Australia. Nell'Europa centrale e orientale, come in molti paesi dell'Asia e dell'Africa, il matrimonio è sempre stato contratto in giovane età e quasi universale: per le donne l'età media al primo matrimonio era inferiore ai 20 anni e il 98% e oltre si sposava prima dei cinquant'anni (v. tab. I).
Le origini del cosiddetto 'modello matrimoniale dell'Europa occidentale' sono oscure. La maggior parte delle teorie proposte per spiegarne le cause riconoscono, in modo implicito o esplicito, l'importanza delle condizioni economiche e dei loro mutamenti. Secondo Malthus (v., 1820) i matrimoni in giovane età sarebbero stati incoraggiati o frenati a seconda del livello salariale. Hajnal (v., 1965, p. 133) ha avanzato l'ipotesi secondo cui gli uomini probabilmente erano costretti "a differire il matrimonio finché non avessero acquistato un'indipendenza economica che consentisse loro di mantenere una famiglia". La famiglia multipla o estesa non sembra fosse diffusa in Europa come lo era invece in Asia, e pertanto chi intendeva sposarsi doveva prima conseguire l'indipendenza economica.
Quale che ne sia stata la causa, è improbabile che il differimento del matrimonio avesse principalmente lo scopo di ridurre le nascite, visto che l'elevata fecondità era considerata all'epoca il requisito principale delle donne (v. Van de Walle, 1972, p. 149).
Nell'Europa del XIX secolo la nuzialità variava a seconda dell'area geografica. Verso la fine del secolo le regioni ad alta nuzialità erano quelle di rapida industrializzazione, mentre bassi livelli di nuzialità si registravano nelle aree alla periferia delle grandi città (v. Watkins, 1981). La diversificazione regionale della nuzialità sembra sia stata influenzata anche da differenze di ordine culturale: ad esempio l'esistenza di una tradizione di emigrazione maschile in grado di influire sul mercato matrimoniale, le affinità di lingua o di dialetto, l'omogeneità rispetto alla religione. Il processo di modernizzazione, lo sviluppo dei sistemi di istruzione e dei mezzi di comunicazione nazionali, e l'accresciuta mobilità resa possibile dallo sviluppo dei sistemi di trasporto hanno mutato le differenze di nuzialità tra le varie regioni.
I quozienti di nuzialità nei paesi europei declinarono durante le due guerre mondiali e crebbero oltre il loro livello usuale negli anni immediatamente successivi alla fine delle ostilità. I quozienti generici di nuzialità dell'Italia esemplificano bene il fenomeno: come dimostrano i dati riportati nella tab. II, tali quozienti erano notevolmente al di sopra del loro livello tipico nel periodo del primo dopoguerra, tra il 1920 e il 1924, e di nuovo negli anni 1946-1948. Il livello più basso, per contro, si ebbe nel periodo tra il 1943 e il 1944.
A partire dalla fine degli anni quaranta la struttura per età degli sposi al matrimonio è cambiata in modo notevole. L'incremento della nuzialità manifestatosi in Italia si verificò in tutti i paesi dell'Europa occidentale (eccettuata l'Irlanda) e nei paesi d'oltremare di insediamento europeo. Tale incremento fu caratterizzato da un netto calo del numero di celibi/nubili al di sotto dei trent'anni, indice di una maggiore propensione al matrimonio e di un abbassamento dell'età al matrimonio. Secondo l'ipotesi avanzata da Davis (v., 1950) tale abbassamento dell'età al matrimonio era legato alla diffusione di metodi di contraccezione efficaci. Non è detto che l'ipotesi di Davis sia valida: il matrimonio in giovane età può essere stato favorito anche da fattori economici. I giovani, sempre più indipendenti e autonomi, potevano giovarsi delle opportunità e della prospettiva di un impiego sicuro offerte dalla fase di espansione e dalla scomparsa degli ostacoli economici che in passato inducevano a differire il matrimonio o a rinunziarvi.
L'inversione di tendenza, ossia il differimento delle prime nozze e il declino della nuzialità, cominciò in Svizzera alla fine degli anni sessanta, e successivamente si manifestò in Svezia, Danimarca, Finlandia e Austria. Negli altri paesi europei, compresa l'Italia, e nei quattro paesi di lingua inglese d'oltremare, lo stesso fenomeno si verificò negli anni settanta; il Portogallo e la Spagna furono gli ultimi a seguire la nuova tendenza (v. Santow, 1989).I dati riportati nella tab. III, relativi ai quozienti di nuzialità totali in Italia, dimostrano bene tale cambiamento. L'indice ha raggiunto il suo valore massimo nel 1965 per le donne e nel 1970 circa per gli uomini; negli anni successivi si osserva per contro un progressivo declino, tanto che nel 1990 il valore dell'indice risulta ridotto di quasi un terzo. In Inghilterra e nel Galles (v. tab. IV) il quoziente di nuzialità (calcolato su 1.000 individui celibi/nubili al di sopra dei quindici anni) è diminuito gradualmente per gli uomini passando dall'82‰ del 1971 al 52‰ nel 1981, e ha continuato a decrescere arrivando al 37‰ nel 1991. Il quoziente di nuzialità per le donne è sceso da una punta massima del 97‰ registrata nel 1971 al 56‰ del 1986, ed è calato ulteriormente arrivando al 47‰ nel 1991. La percentuale di uomini che arrivati all'età di cinquant'anni avevano contratto un matrimonio è oscillata tra il 90 e il 93%, mentre la percentuale delle donne sposate entro i cinquant'anni è aumentata dall'85% del 1951 al 95% del 1981 e non ha subito variazioni rilevanti nel corso degli anni ottanta.
A partire dagli anni settanta la tendenza a differire il matrimonio si è manifestata anche nei paesi in via di sviluppo dell'America Latina e dell'Asia e, seppure in misura assai inferiore, anche in Africa. Tra i fattori che hanno contribuito a determinare questo fenomeno si possono menzionare la scarsità di terra coltivabile, il sottosviluppo delle aree rurali, il sovraffollamento e la disoccupazione nelle città. In molti paesi è stato innalzato il limite minimo dell'età matrimoniale con l'intento di ridurre la fecondità e quindi la crescita demografica. Ciononostante nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo il matrimonio avviene in età assai giovane, soprattutto per le donne. I dati riportati nella tab. V sono circoscritti alla popolazione femminile e riguardano tutte le forme di convivenza; oltre che l'età al matrimonio (legale) è stata presa in considerazione l'età alla quale le donne iniziano le altre forme di unione prevalenti nei Caraibi e in alcune aree dell'Africa. Confrontando tali dati risulta che nei paesi dell'America Latina le donne iniziano una convivenza di un qualche tipo più tardi rispetto alle donne della maggior parte dei paesi asiatici. La tendenza delle donne a sposarsi o a iniziare una convivenza in giovane età appare ampiamente diffusa in tutta l'Africa, soprattutto nell'area subsahariana. Gli uomini invece si sposano assai più tardi, soprattutto là dove è praticata la poligamia.
La frequenza dei matrimoni in una popolazione è influenzata tra le altre cose dalla frequenza degli scioglimenti delle unioni matrimoniali per divorzio o vedovanza e dalle probabilità di contrarre nuove nozze per chi resta vedovo o divorzia. In tutte le società nella maggior parte delle unioni l'uomo è più anziano della donna. In Italia la combinazione più diffusa è quella in cui le nubende appartengono al gruppo d'età dei 20-24 anni e i nubendi a quello dei 25-29 anni; di solito l'uomo è dai tre ai cinque anni più anziano della donna. In alcune società tuttavia la differenza d'età tra i coniugi può essere molto maggiore. Nel Bangladesh, ad esempio, la differenza media d'età tra marito e moglie è di 8-9 anni se l'uomo è al primo matrimonio, di circa 13 anni se è vedovo o divorziato e di circa 17 se si tratta del secondo matrimonio (poligamo) dell'uomo (v. CRL, 1978). Data la differenza di età tra i coniugi e poiché in quasi tutte le società le donne hanno una mortalità inferiore e una durata media della vita più lunga, le donne hanno maggiori probabilità di restare vedove di quante non ne abbiano gli uomini di restare vedovi. Tuttavia nella maggior parte delle società i vedovi hanno maggiori probabilità di risposarsi di quante non ne abbiano le vedove. In Italia, ad esempio, il numero dei vedovi che contraggono nuove nozze è sempre stato più del doppio di quello delle vedove che si risposano (v. tab. VI).
Le probabilità di contrarre nuove nozze per chi resta vedovo variano nelle diverse società. Da un'indagine comparata su cinque paesi in via di sviluppo (v. Goldman e Pebley, 1989) è risultato che la quota di vedovi/e che si risposano entro cinque anni dalla vedovanza è del 91% in Senegal, del 48% nel Sudan settentrionale, del 38% in Camerun, del 53% in Pakistan e del 42% nel Bangladesh. Quasi tutti i vedovi contraggono seconde nozze, spesso con donne nubili.Con il declino della mortalità la vedovanza è diventata una causa meno frequente di scioglimento del matrimonio. Come dimostrano i dati riportati nella tab. VI, vi è una diminuzione del numero dei vedovi/e che si risposano. La frequenza del divorzio per contro è aumentata in modo considerevole in molti paesi europei. In Italia, dopo la legge del 1° dicembre 1970, n. 898, che consente il divorzio e il passaggio a nuove nozze, il numero annuo di divorziati/e risposati è salito da 259 nel 1970 a 3.900 nel 1971, raggiungendo un massimo di oltre 16.700 nel 1972 e nel 1973, per poi scendere, negli anni successivi, a circa 10.000. Nel complesso il numero dei divorziati che hanno cercato di risposarsi è stato più alto di quello delle divorziate.
Nella maggior parte dei paesi europei l'incremento dei quozienti di divorzialità ha avuto inizio negli anni sessanta. Alcuni paesi al principio degli anni settanta hanno modificato la precedente legislazione in materia di divorzio, ammettendo lo scioglimento del matrimonio per mutuo consenso anziché per colpa del coniuge. Il passaggio a nuove nozze dopo il divorzio è frequente: in Inghilterra e nel Galles alla fine degli anni settanta circa il 60% dei divorziati di entrambi i sessi al di sotto dei 30 anni si risposava entro 4,5 anni dallo scioglimento del precedente matrimonio; tale percentuale restava pressoché invariata per gli uomini di età compresa tra i 40 e i 49 anni, ma scendeva al 50% per le donne della stessa età (v. Coleman, 1989, p. 101).
Alcuni dati relativi all'Inghilterra e al Galles a partire dai primi del Novecento consentono di seguire i mutamenti nella composizione dei matrimoni secondo il precedente stato civile dei coniugi (v. tab. VII). Una delle conseguenze dell'aumento della frequenza dei divorzi è un incremento della quota dei matrimoni in cui almeno uno dei coniugi ha alle spalle un precedente matrimonio. Tra il 1901-1905 e il 1966-1970 in Inghilterra e nel Galles almeno l'80% dei matrimoni avveniva tra nubili e celibi; all'inizio del secolo nel 9% dei matrimoni il nubendo era un vedovo e nel 7% la nubenda una vedova. Analogamente a quanto avveniva in Italia, non esistevano praticamente i divorziati. Dopo la seconda guerra mondiale la quota dei matrimoni in cui almeno uno dei coniugi era vedovo scese all'11% circa, e risultava pressoché eguale a quella dei matrimoni in cui almeno uno dei coniugi era divorziato. Ma il mutamento più vistoso si è verificato nel corso degli anni settanta e ottanta. Nel 1980 solo due terzi dei matrimoni sono avvenuti tra nubili e celibi; il 20% circa dei nubendi di entrambi i sessi era costituito da divorziati e il 4% da vedovi (v. Coleman, 1989).
Negli Stati Uniti, che storicamente hanno avuto quozienti di divorzialità più alti rispetto ai paesi europei, si è avuto un vistoso incremento dei divorzi nel corso degli anni sessanta e settanta, sicché attualmente ogni anno circa il 2% dei matrimoni termina con un divorzio. Si è stimato che, a questo livello di scioglimento dei matrimoni, circa la metà (v. Preston e McDonald, 1979) o addirittura i due terzi (v. Castro Martin e Bumpass, 1987) di tutti i matrimoni termineranno con un divorzio. In conseguenza di questo fatto, alla metà degli anni ottanta solo il 54% di tutte le unioni matrimoniali era costituito da prime nozze tra nubili e celibi (v. Thornton e Axinn, 1989).
I cambiamenti intercorsi nella formazione e nello scioglimento delle unioni matrimoniali sono stati accompagnati da significativi mutamenti nelle norme, nei valori e negli atteggiamenti relativi al matrimonio, alla convivenza, al divorzio e ai rapporti sessuali extramatrimoniali. In molte società europee, inclusi gli insediamenti europei d'oltremare, è sempre più accettata la scelta di non sposarsi o di porre fine volontariamente all'unione matrimoniale. Il matrimonio ha perso parte della sua importanza come istituzione che sancisce la convivenza e i rapporti sessuali. In molte società, tuttavia, il matrimonio e la famiglia continuano a essere tenuti in grande considerazione.
A prescindere dal matrimonio disciplinato dal diritto civile o canonico, nella maggior parte delle società sono sempre esistite altre forme di unione legittimate dalla consuetudine o dalla tradizione culturale. Nella regione caraibica, ad esempio, esistono almeno tre tipi di unioni: il matrimonio vero e proprio, la cosiddetta unione di common law (convivenza) e l'unione consensuale senza convivenza. Il matrimonio formale, come accade ovunque, richiede una cerimonia prescritta dalla legge. Se i partners convivono 'sotto lo stesso tetto', l'unione è considerata di common law. In tutti gli altri casi si ha un'unione consensuale senza convivenza. La prima unione nei Caraibi avviene abbastanza presto: quasi un terzo delle donne inizia un'unione di qualche tipo prima dei 18 anni; nella maggior parte dei casi si tratta di un'unione consensuale senza convivenza, solo raramente di un matrimonio formale (v. Leridon e Charbit, 1981). Nella Repubblica Dominicana le donne tra i 20-24 anni impegnate in un'unione senza convivenza sono più del 77% (v. tab. VIII); solo dopo i 25 anni il matrimonio diventa la forma di unione più comune.Il sistema delle unioni nei Caraibi appare relativamente stabile: il numero medio di unioni nell'arco della vita riproduttiva oscilla per le donne tra 2 e 2,5, e il numero dei partners non è superiore a due. Le unioni senza convivenza durano in media dai due ai quattro anni, le unioni di common law dai sei ai nove anni. Le unioni senza convivenza hanno maggiori probabilità di essere trasformate in unioni di common law o in matrimoni formali che non di sciogliersi. Analogamente le unioni di common law di solito vengono convertite in matrimoni legali.
Nell'America Latina le donne cominciano la prima unione a un'età media che oscilla tra 19 e 23 anni. Il partner è in genere di tre o quattro anni più anziano. In alcuni paesi di quest'area geografica più del 50% delle donne che convivono con un partner non sono legalmente sposate, mentre nei tre paesi economicamente più avanzati - Argentina, Cile e Brasile - tale percentuale è inferiore al 5%. Le unioni senza convivenza e le unioni di common law (libere unioni) sono più frequenti tra le coppie più giovani; tra le donne che convivono con un partner all'età di 45-49 anni la percentuale di quelle non sposate si riduce sensibilmente.Le libere unioni evidentemente terminano più facilmente dei matrimoni legali, in quanto il loro scioglimento non richiede alcun atto formale. Nei paesi considerati nella tab. IX, dal 2 al 10% delle unioni matrimoniali terminano con un divorzio entro i primi cinque anni: la percentuale più alta (10%) si registra a Panama e nella Repubblica Dominicana, le più basse in Paraguay (2%), in Colombia (3%) e in Perù (3%). Per quanto riguarda le libere unioni, quelle sciolte sempre entro i primi cinque anni sono due su cinque nella Repubblica Dominicana e una su tre, circa, in Colombia, Panama, Perù e Venezuela. In molti casi i partners dopo lo scioglimento dell'unione precedente si risposano, per lo più entro cinque anni dallo scioglimento della prima unione. Sebbene la probabilità di uno scioglimento sia di gran lunga più alta per le libere unioni che non per i matrimoni legali, le probabilità di contrarre nuove nozze dopo lo scioglimento di una libera unione sono maggiori rispetto a quelle di risposarsi dopo il divorzio.
In Europa e negli insediamenti europei d'oltremare il matrimonio legale era, in passato, l'unica forma di convivenza formalmente riconosciuta. Sebbene le unioni consensuali siano senza dubbio sempre esistite, esse costituivano soluzioni transitorie relativamente rare, di solito rese necessarie dal fatto che lo stato civile di uno o di entrambi i partners non consentiva un matrimonio formale. In un'evoluzione successiva l'unione consensuale a volte ha assunto la forma di un 'matrimonio di prova'. A partire all'incirca dagli anni sessanta in alcuni paesi le unioni consensuali, determinate dalla scelta di convivere senza contrarre matrimonio, sono aumentate considerevolmente. La Svezia e la Danimarca sono state alla testa di questa tendenza: intorno al 1980, nei due paesi, quasi la metà delle donne di 20-24 anni convivevano con un partner senza essere sposate, mentre la percentuale delle donne formalmente sposate raggiungeva appena il 10% in Svezia e il 20% in Danimarca (v. tab. X). In altri paesi europei la frequenza delle unioni consensuali relativa alle donne della stessa fascia d'età appare meno alta.
Raccogliere dati attendibili sulla convivenza è piuttosto difficile: la maggior parte delle informazioni disponibili proviene da una serie di indagini condotte nei vari paesi piuttosto che dai censimenti o dai registri della popolazione.
In Italia, secondo un'indagine condotta nel 1983, le unioni consensuali ammontavano a 192.000; il che significa che solo l'1,3% circa delle coppie convivevano senza essere formalmente sposate. A differenza di quanto avveniva nei Paesi Scandinavi, le unioni consensuali, in Italia, prevalevano tra le coppie meno giovani: nel 36,5% delle unioni consensuali l'età di entrambi i partners andava dai 45 anni in su: il 48% degli uomini e il 42,7% delle donne legati da unioni de facto avevano 45 anni e più (v. Golini, 1988). La convivenza al di fuori del matrimonio è abbastanza frequente anche negli Stati Uniti. Da un'indagine è risultato che la metà delle donne e due terzi degli uomini che iniziano la prima unione all'età di 23 anni scelgono la convivenza anziché il matrimonio. Alcuni dati indicano inoltre che la frequenza delle convivenze è più alta tra quanti hanno un'esperienza matrimoniale alle spalle che non tra le persone che non si sono mai sposate (v. Thornton e Axinn, 1989, p. 151).Un'indagine relativa al Galles e all'Inghilterra ha confrontato diverse tipologie di formazione della famiglia prima dei 25 anni in tre generazioni: la prima costituita da donne nate tra il 1935 e il 1944, la seconda da donne nate tra il 1945 e il 1954 e la terza da donne nate tra il 1955 e il 1964 (v. tab. XI). Nella generazione più anziana si era avuta una netta prevalenza del matrimonio o del matrimonio seguito dalla nascita di un figlio: nel complesso l'89% dei casi. La convivenza prematrimoniale era stata piuttosto rara - meno del 3% - e le ragazze-madri praticamente inesistenti (0,8%). Per contro solo metà delle donne della generazione più giovane avevano formato una famiglia partendo subito dal matrimonio. Per una donna su cinque il matrimonio era stato preceduto da una convivenza, mentre il 5% non aveva convertito l'unione consensuale in matrimonio, nonostante, in alcuni casi, la presenza di figli. Almeno una su cinque delle donne di questa generazione era vissuta da sola senza un partner convivente.
Nella maggior parte delle società la monogamia rappresenta la forma più comune di unione coniugale legale. Fanno eccezione alcune società di religione islamica e molte comunità dell'Africa. In alcune popolazioni africane i matrimoni poligami riguardano da un terzo alla metà circa delle donne sposate (v. Goldman e Pebley, 1989). Queste percentuali sono assai più alte di quelle riscontrate tra i musulmani. In Pakistan e nel Bangladesh, ad esempio, i matrimoni poligami, per quanto ammessi sul piano giuridico e culturale, rappresentano circa il 5% del totale dei matrimoni. Il principale fattore che determina il surplus di donne necessario perché si abbia un'alta incidenza della poligamia è costituito dalla notevole differenza d'età tra i coniugi, nonché dalla pratica di contrarre nuove nozze dopo la vedovanza. Nei paesi sudasiatici la più alta mortalità femminile rispetto a quella maschile in quasi tutte le età riduce notevolmente il numero di donne disponibili per il matrimonio.
Il modo in cui vengono contratti i matrimoni varia notevolmente nelle diverse società. Il corteggiamento, la scelta del coniuge e la formazione della famiglia sono influenzati dalla natura delle relazioni sociali tra i due sessi. In alcune società i giovani dei due sessi vengono tenuti separati sin dalla prima infanzia; in altri casi la separazione può cominciare nella prima fanciullezza oppure verso l'età puberale o solo nell'adolescenza. Nel subcontinente indiano il fidanzamento tra bambini era assai comune e in certa misura viene praticato tuttora. In molte società europee e nelle isole del Pacifico i contatti tra i giovani e i rapporti prematrimoniali sia sociali che sessuali di norma precedono il fidanzamento vero e proprio o il matrimonio (v. Matras, 1977).
La scelta del coniuge in molte società tradizionali è affidata ai genitori dei giovani coniugabili. In altre le trattative matrimoniali possono coinvolgere parenti stretti o il capo della famiglia estesa oppure altri membri importanti del lignaggio. I futuri sposi possono essere o meno consultati, ma anche nel caso in cui vengano interpellati può essere loro negata ogni facoltà di scelta in materia. Nelle società europee l'iniziativa, il corteggiamento e la scelta finale sono quasi sempre una decisione autonoma dei giovani: i genitori possono essere consultati ma è raro che abbiano un potere di veto sulla scelta dei figli.
In ogni società la scelta del coniuge è soggetta a restrizioni che in alcuni casi vengono istituzionalizzate in norme giuridiche. Vi possono essere inoltre norme restrittive di tipo consuetudinario che stabiliscono tra quali categorie di persone è consentita o meno l'unione matrimoniale. Possono essere limitati i contatti e le interazioni tra famiglie di diversa estrazione sociale e culturale, riducendo così le opportunità di incontrarsi per i giovani coniugabili. È questo uno dei motivi per cui la maggior parte dei matrimoni sono omogami, ossia contratti tra persone di analogo status sociale. Così ad esempio i matrimoni in cui entrambi i partners sono cattolici o protestanti sono più frequenti di quelli tra partners di religione diversa. In paesi quali gli Stati Uniti e l'Australia, in cui gran parte della popolazione proviene da paesi diversi e quindi da culture differenti, i matrimoni tra individui dello stesso gruppo etnico sono in genere più frequenti di quelli tra persone di diversa origine. In Australia il 52% delle donne di origine italiana ha sposato uomini anch'essi nati in Italia. Altri gruppi etnici, come i Greci o i Libanesi, mostrano una preferenza ancor più accentuata per matrimoni endogami; altri invece, come ad esempio i Cechi, i Tedeschi, gli Olandesi, o gli Scandinavi, si sposano più spesso con partners australiani oppure originari di paesi europei diversi dal proprio.Il gruppo di persone tra le quali avviene la scelta del coniuge viene definito mercato matrimoniale. Negli studi demografici di solito viene adottato un concetto assai ampio di mercato matrimoniale: esso include tutta la popolazione maschile e femminile che per età e stato civile può contrarre matrimonio. L''indice di disponibilità' per una data popolazione è calcolato dividendo il numero delle donne di una determinata età per il numero degli uomini più anziani, in genere, di cinque anni. Il mercato matrimoniale è influenzato dalle tendenze demografiche; le sue dimensioni e la sua composizione per età e stratificazione sociale in ogni momento sono determinate dal precedente andamento della fecondità, della mortalità differenziale e delle migrazioni, nonché dall'affermarsi di nuovi modelli di matrimonio, divorzio, vedovanza e seconde nozze. Queste tendenze possono causare temporanei squilibri nel numero degli individui coniugabili di entrambi i sessi, dando luogo a un calo della nuzialità. Ad esempio la chiamata alle armi di un consistente numero di giovani in periodo di guerra o le perdite che la guerra causa possono determinare una scarsità di uomini coniugabili. I movimenti migratori possono avere effetti analoghi, come attesta la storia dell'insediamento bianco in Australia. Nel 1841 a Sidney il numero degli uomini celibi al di sopra dei 14 anni era 2,3 volte quello delle donne nubili della stessa età; nelle campagne il rapporto tra donne e uomini coniugabili era di 1 a 6,6 (v. McDonald, 1975).
Anche un brusco declino della natalità, quale quello verificatosi durante la grande depressione degli anni trenta, determina uno squilibrio nel mercato matrimoniale. In questo caso lo squilibrio si manifesta a una distanza di 20-25 anni. Supponendo che gli uomini nati nel 1928-1929 abbiano sposato di norma donne di tre anni più giovani, un declino nel numero annuale delle nascite, poniamo da 100.000 a 80.000, ha determinato, a parità delle altre condizioni, un indice di disponibilità di circa 0,8, con un deficit di donne coniugabili del 20%. Variazioni nel mercato matrimoniale possono dar luogo o a un aumento del numero degli uomini che restano celibi o a mutamenti nella differenza di età al matrimonio tra i nubendi. (V. anche Famiglia; Matrimonio; Natalità; Parentela).
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