Occupazione
Le indagini sulle forze di lavoro, la principale fonte statistica di rilevazione, classificano come occupato chi, nella settimana di riferimento, abbia lavorato almeno un'ora, a titolo dipendente e retribuito o in forma autonoma. La definizione è pertanto ampia, in quanto include anche coloro che hanno svolto soltanto un'attività occasionale. Rimane esclusa, in questa accezione, soltanto la prestazione senza alcuna contropartita economica rivolta alla cura familiare o all'attività di volontariato.
Lo stato di o., pertanto, implica uno scambio in atto fra prestazione lavorativa e reddito, e richiede la realizzazione contemporanea di due condizioni: la decisione di partecipazione del lavoratore, e quella di impiego del datore di lavoro. Se manca la scelta di partecipazione, il soggetto sarà classificato come al di fuori della quota attiva della popolazione; se tale scelta non si incontra con un'opportunità di impiego, egli risulterà in stato di disoccupazione. Tale tripartizione convenzionale della popolazione fra occupati, disoccupati e inattivi lascia, nonostante gli affinamenti della rilevazione statistica, margini di incertezza. La stima delle consistenze e dei flussi relativi allo stato di disoccupazione è infatti condizionata da un comportamento di ricerca attiva del lavoro, per la quale si specificano le fattispecie in dettaglio. Non sempre risulta netta la linea di demarcazione fra il disoccupato così definito e colui/colei che, nel periodo di riferimento, pur desiderando lavorare non ha intrapreso azioni definibili come di ricerca attiva, a causa di una percezione in negativo circa le opportunità effettivamente disponibili sul mercato (lavoratore scoraggiato). La variabilità, nel tempo o nello spazio, dei tassi di disoccupazione, su cui si soffermano spesso le analisi congiunturali più sommarie, non è pertanto interpretabile in modo univoco. Una sua diminuzione può risultare da flussi netti positivi di ingresso nel lavoro, ma anche da flussi di uscita dalla ricerca attiva di coloro che hanno perso speranza di impiego. Indicativa a questo proposito è la recente tendenza, per la componente femminile della popolazione nel nostro Mezzogiorno, verso un calo contemporaneo dei tassi di disoccupazione e di partecipazione.
A fronte di questi margini di ambiguità nella comparabilità del tasso di disoccupazione, la valutazione delle performances dei mercati del lavoro a livello nazionale o regionale e la definizione degli obiettivi delle politiche del lavoro prendono oggi più spesso come riferimento il tasso di occupazione, definito come rapporto fra occupati e popolazione in età di lavoro, convenzionalmente posta fra i 15 e i 65 anni di età. Nella cosiddetta strategia di Lisbona (riunione del Consiglio europeo straordinario di Lisbona, 23 e 24 marzo 2000), ove sono stati esplicitati gli obiettivi delle politiche di crescita e attivazione occupazionale dell'Unione Europea al 2010, il tasso di o. che rappresenterebbe uno stato pienamente soddisfacente del mercato del lavoro è stato quantificato nel 70% per la popolazione in generale, 60% per la sua componente femminile, 50% per le classi 'mature' fra i 55 e 65 anni di età. Tali obiettivi, agli attuali saggi di crescita economica, appaiono difficilmente raggiungibili nel 2010 per la maggioranza dei Paesi membri dell'Unione. Rimangono inoltre ampi i divari nei tassi di o. fra i Paesi e, spesso in misura maggiore, fra regioni diverse di uno stesso Paese. In tale quadro, la questione centrale di fronte a cui si trova l'indagine degli economisti e degli operatori di politica economica è quella di comprendere le cause di fondo della diversa efficienza dei sistemi economici nell'impiego delle loro risorse di lavoro, e di suggerire misure di intervento di policy per le situazioni di conclamata carenza occupazionale.
Si elencano pochi dati comparativi, riferiti ai tassi di o. sopra definiti. Quelli sulla popolazione in generale (2003) per l'Italia, per l'insieme dei 15 Paesi dell'Unione Europea prima del recente allargamento, e per gli Stati Uniti, si situavano, rispettivamente, al 56,1%, 64,3%, e 71,2%; quelli sulla componente femminile, al 42,7%, 56%, 58,2%. Il gap del nostro Paese risulta quindi ampio. Ai fini di una ricognizione più adeguata, si deve ricordare come per l'Italia il dato medio nazionale sia largamente influenzato dai valori negativi riferibili al Mezzogiorno: i tassi di o. risultavano infatti del 64,2% nel Nord-Ovest, 66,6% nel Nord-Est, 61,4% nel Centro, e 47% nel Mezzogiorno e isole. Il forte 'dualismo' italiano, con tassi di o. vicini (o anche superiori) alla media europea nel Nord e ai livelli minimi del continente nel Mezzogiorno, emerge dunque con drammatica evidenza. I divari occupazionali e, in particolare, l'incapacità dei maggiori Paesi dell'Europa continentale di assicurare livelli e tassi di crescita dei posti di lavoro comparabili a quelli registrati in altri sistemi economici, e in specie negli Stati Uniti, sono da anni un punto centrale nelle riflessioni e nelle controversie fra specialisti di modelli di analisi dei mercati del lavoro (An agenda for a growing Europe, 2003).
L'orientamento prevalente fra gli economisti di indirizzo 'neoclassico' (mainstream) resta ancorato a una rappresentazione idealizzata e a un'analisi 'parziale' di un mercato del lavoro considerato da un punto di vista aggregato (v. anche lavoro). Vengono introdotte nozioni di 'equilibrio' e fattispecie di una possibile dislocazione di breve periodo rispetto a queste, a causa di imperfezioni o rigidità esistenti nei meccanismi di aggiustamento del mercato e della rilevanza di posizioni monopolistiche nel mercato del lavoro e/o del prodotto, che fanno allontanare la realtà dalle condizioni di massima o. raggiungibili in principio di concorrenza perfetta. In quest'ultima sarebbe inoltre assicurata una condizione di market clearing, cioè una configurazione di equilibrio ove il livello del salario (reale) eguaglia domanda e offerta di lavoro con assenza di disoccupazione 'involontaria' e un esito efficiente in termini di massimizzazione del benessere sociale. Si richiama la consueta rappresentazione grafica in termini di 'schede' di offerta e domanda di lavoro espresse, rispettivamente, come funzione crescente e decrescente rispetto al livello del salario reale riportato sull'asse verticale (v. figura). Non ci si riferisce qui necessariamente alle schede classiche di offerta e di domanda individuali (o a una loro aggregazione per il mercato) derivate sulla base delle ipotesi di comportamento ottimale di agenti 'atomistici'; la rappresentazione rimane infatti euristicamente valida per modelli che considerino un'interazione fra agenti 'collettivi' (sindacato e coalizioni d'impresa), o contesti di concorrenza e di informazione incompleta, o di vincoli alla mobilità dei fattori e alla flessibilità dei salari. Si farà comunque riferimento a queste schede come a una '(pseudo)-offerta' e una '(pseudo)-domanda', per distinguerci dalla nozione convenzionale in un contesto perfettamente concorrenziale. L'inclinazione delle schede di (pseudo)-offerta e di (pseudo)-domanda, a livello collettivo di mercato, rimane quella tradizionale: a livelli elevati di o. saranno rivendicati, dai lavoratori o loro rappresentanti, salari più elevati, data una situazione congiunturalmente favorevole del mercato del lavoro; dal lato della domanda, invece, soltanto un costo più contenuto del lavoro incoraggerebbe le imprese ad assorbire maggiori quantità di lavoro. La conservazione sostanziale di uno schema convenzionale di interazione domanda-offerta, anche per contesti di mercato diversi dalla concorrenza pura, è il risultato della 'robustezza', negli approcci marginalisti, di due suoi fondamentali postulati: la 'disutilità' marginale crescente del lavoro per chi lo presta, e la sua produttività marginale decrescente per chi lo impiega.
Ogni particolare posizione delle schede di (pseudo)-offerta e (pseudo)-domanda vale per un contesto di breve periodo, ove siano definite le condizioni di ceteris paribus. Questo significa, sostanzialmente, assumere lo stato della tecnologia, le preferenze degli agenti e il quadro istituzionale delle forme e delle regolazioni del mercato quali condizioni esogenamente date nel periodo di indagine. Gli sviluppi più recenti in materia fanno riferimento, ai fini della razionalizzazione delle performances occupazionali diverse dei sistemi economici, precisamente a uno o un altro di questi fattori, che nel loro insieme definiscono un particolare 'regime' del mercato del lavoro. Infatti, ove si verifichino discontinuità, queste darebbero origine a cambiamenti di regime (shifts) che si rifletterebbero in spostamenti delle posizioni delle schede di (pseudo)-domanda oppure di (pseudo)-offerta. Ecco un esercizio di visualizzazione intuitiva: se la scheda di offerta si sposta, per es., verso destra, mentre la scheda di domanda rimane ferma, il loro nuovo punto di incontro si situerà più a destra, e in basso, rispetto alla situazione iniziale. Si avrà quindi un'o. più elevata, con un salario reale inferiore. Lo shift positivo di offerta, inoltre, inciderà in misura maggiore sull'o. e minore sul livello del salario, tanto più elastica è la curva di domanda (graficamente, una linea più piatta nel piano), con le imprese che sono disposte ad assorbire quantità di lavoro relativamente maggiori a fronte di una determinata riduzione del costo del lavoro. Si descriverà ora intuitivamente l'effetto di uno shift della domanda: considerando uno shock negativo, si avrà uno spostamento della scheda in basso e a sinistra, che comporterà, a offerta data, un nuovo punto di equilibrio dove o. e salario reale risultano entrambi inferiori rispetto alla situazione iniziale. Considerazioni simmetriche valgono nel caso in cui si considerino dislocazioni nell'altra direzione di questa o quella scheda. Gli esempi considerati sono stati scelti in quanto rinviano più direttamente ai punti di dibattito più attuali.
Uno spostamento a destra della scheda di (pseudo)-offerta significa che, per ogni livello di remunerazione sul mercato, vi è un maggior numero di lavoratori disponibili a offrire le loro prestazioni (e/o i lavoratori occupati sono disposti a lavorare più a lungo, se le quantità di lavoro sono espresse in termini di ore complessivamente lavorate). Letta in una direzione 'inversa' di causalità fra le due variabili sugli assi, a un dato volume di o. (ore lavorate) corrisponde un livello inferiore di salario. Entrambe le relazioni rinviano a una situazione di maggiore concorrenza in atto fra i lavoratori sul mercato, o a contesti istituzionali ove siano in atto regimi di 'moderazione' salariale. Per es., le spinte salariali possono essere più contenute perché si è indebolita la pressione rivendicativa da parte di sindacati 'corporativi'; oppure, una maggiore mobilità dei lavoratori sul territorio, inclusi i possibili flussi di immigrazione, hanno ampliato le disponibilità di manodopera o, ancora, i lavoratori disoccupati sono più pronti ad accettare le occasioni di lavoro, in quanto la limitatezza dei sussidi e altri istituti del welfare non consentono di sostenere nel tempo un comportamento troppo selettivo o di attesa.
A sua volta, la posizione della scheda di (pseudo)-domanda dipende dalla produttività del lavoro per l'impresa che lo impiega. Un'impresa (o un Paese nel suo complesso) che goda di una posizione di leadership tecnologica, potrà offrire sul mercato finale prodotti più innovativi a costi più competitivi; i margini di valore aggiunto ricavabili dagli impieghi del lavoro saranno pertanto più ampi. Una carenza di attivazione occupazionale in un Paese oppure una sua dinamica insoddisfacente nel tempo possono essere rappresentate, a questo punto, in termini di posizioni e dislocazioni sfavorevoli delle 'schede' (verso sinistra e in alto per l'offerta, in basso per la domanda). Una scarsa capacità innovativa del sistema produttivo, o quadri normativi che incoraggiano i fattori di rigidità di offerta, sarebbero pertanto i possibili imputati a fronte di esiti occupazionali mediocri. di flessibilità e ridotta capacità tecnologica' sono quindi state chiamate in causa, in diverse loro combinazione ed enfasi, da parte degli economisti di ispirazione neoclassica che hanno esaminato la diversa capacità di creazione d'impiego delle economie nel tempo o nello spazio. Questa linea di analisi è stata anche definita come un approccio di 'interazione fra shock e istituzioni' (Blanchard 1999); uno shock tecnologico positivo, con una leadership nelle applicazioni della tecnologia informatica e delle comunicazioni, e una regolazione del mercato del lavoro favorevole alla mobilità e flessibilità, sono state per es. proposte come fattori di fondo degli elevati livelli e tassi di crescita dell'o. degli Stati Uniti.
Nel nostro Paese, a una fase di più acuta crisi occupazionale, nei primi anni Novanta del 20° sec. (il massimo 'storico' del tasso di disoccupazione su scala nazionale è stato toccato nel 1997, con l'11,3%), sono seguiti anni con saldi di crescita occupazionale positiva, sia pure con marcati segni di rallentamento. Alla ripresa occupazionale degli anni più recenti non ha tuttavia corrisposto una dinamica altrettanto positiva del prodotto e soprattutto della produttività del lavoro, che sono scesi a tassi minimi fra quelli osservabili in Paesi a sviluppo economico comparabile. Una crescita occupazionale pur in presenza di un relativo ristagno produttivo è un evento non usuale. La caduta del saggio di crescita, in particolare della produttività, rinvia a una carenza innovativa e competitiva ridotta del nostro sistema economico, con conseguente dislocazione non favorevole della scheda di domanda. Le politiche del lavoro intese a favorire una maggiore adattabilità dell'offerta di lavoro alle esigenze della domanda, e in particolare l'ampia liberalizzazione delle forme contrattuali cosiddette atipiche, a tempo determinato, parziale ecc. (per gli effetti delle leggi 'Treu' del 24 giugno 1997 nr. 196, e 'Biagi'del 14 febbr. 2003 nr. 30), possono, nel frattempo, avere incoraggiato le assunzioni da parte delle imprese, sia pure spesso sotto fattispecie precarie. Il tasso di disoccupazione giovanile è infatti calato in Italia rispetto ai livelli massimi già raggiunti, anche se il passaggio attraverso forme di impiego atipiche rappresenta ormai una tappa obbligata per la maggioranza delle nuove leve in ingresso sul mercato del lavoro. Un'ulteriore, e non trascurabile, componente dell'offerta addizionale di lavoro è stata alimentata dai flussi di immigrazione. Nei termini della rappresentazione intuitiva qui proposta, la scheda di (pseudo)-offerta aggregata del lavoro dovrebbe avere sperimentato, di conseguenza, una traslazione verso destra.
La crescita dell'offerta, a fronte di una domanda frenata da una performance competitiva non brillante dell'economia, porta a una risultante, in termini di 'incrocio' domanda-offerta, spostata verso destra e in basso: più o., a un livello più contenuto del salario reale. Sulle tendenze più recenti delle remunerazioni salariali in Italia, in termini di potere reale d'acquisto, vi sono ampie controversie legate anche a problemi di scelta e di rappresentatività degli indici dei salari nominali e del costo della vita. Fra i primi, bisogna distinguere tra i salari minimi contrattuali e le retribuzioni di fatto, ricordando che vi sono difficoltà di rilevazione per queste ultime, anche se circa il 60% dei dipendenti italiani, impiegati nelle piccole unità locali, non partecipa a forme di contrattazione integrativa e, di conseguenza, non gode di maggiorazioni rispetto ai valori tabellari dei Contratti collettivi nazionali del lavoro (CCNL). Si crede però di non andare troppo lontano dal dato di fatto affermando che i redditi nominali dei lavoratori dipendenti abbiano, nell'ultimo decennio, a malapena tenuto il passo del tasso d'inflazione ufficiale, sulla cui rappresentatività sono state peraltro avanzate contestazioni. La moderazione salariale e la maggiore flessibilità degli istituti contrattuali hanno così, probabilmente, favorito un ampliamento della base occupazionale nel nostro Paese, che tuttavia rimane insufficiente in un confronto internazionale e con riferimento agli obiettivi della strategia di Lisbona. L'aumento (diminuzione) della (dis)occupazione si è coniugato inoltre a un ristagno della produttività che ha implicazioni sfavorevoli nel medio periodo, sia in termini di potenziale competitivo del sistema, sia in termini di saggio sostenibile di incremento dei salari reali, che contribuisca alla crescita di una componente interna di domanda di consumo.
Un'altra visione del funzionamento del sistema macroeconomico, quella keynesiana, che si è sempre contrapposta a quella mainstream anche se appare minoritaria sul fronte accademico, può tornare di attualità in un contesto di ristagno economico. Secondo questo punto di vista, la domanda di lavoro e l'o. non possono esser definite o determinate in modo autonomo come esiti di equilibrio parziale, o di contrattazione fra gli agenti sul mercato del lavoro. Il fabbisogno di lavoro rappresenterebbe, infatti, soltanto una domanda 'derivata', subordinata al livello generale di attività del sistema economico, a sua volta essenzialmente determinato dalla 'domanda effettiva' da questo espressa. I risultati, moderatamente positivi ma non consolidati, e non privi di implicazioni sgradevoli, delle politiche dal lato dell'offerta e delle flessibilità possono riportare d'attualità alcune interazioni di tipo keynesiano. Per es., una maggiore incertezza sulla continuità dell'o. e del reddito può portare ad atteggiamenti prudenziali o vincolati che frenano una domanda di consumo.
Tuttavia, la corretta constatazione, per cui una soddisfacente crescita occupazionale si è sempre accompagnata, nel medio periodo, a una crescita significativa della domanda di consumo con reciproca interazione positiva, non deve diminuire il messaggio di fondo, per cui la 'capacità' innovativa del sistema economico rimane fondamentale per le prospettive occupazionali a medio termine, sia attraverso il suo impatto sulla competitività, sia ai fini di un innalzamento del livello qualitativo di un'o. in grado di valorizzare in modo adeguato le risorse e abilità potenziali di lavoro di un Paese.
bibliografia
O. Blanchard, European unemployment: the role of shocks and istitutions/La disoccupazione in Europa. Il ruolo degli shock e delle istituzioni, Roma 1999; Handbook of labor economics, ed. O. Ashenfelter, D. Card, vol. 3C, Amsterdam 1999; An agenda for a growing Europa, ed. A. Sapir, Brussels 2003 (trad. it. Bologna 2004).