OPERA LIRICA.
– Trasformazione ed evoluzione dell’opera lirica. L’Italia. Gli altri Paesi europei. Gli Stati Uniti e le altre realtà emergenti. Bibliografia
Trasformazione ed evoluzione dell’opera lirica. – La più complessa tra le forme create dalla civiltà musicale occidentale, dopo cinque secoli di esistenza non ha cessato di evolversi e trasformarsi: nel 21° sec. l’o. l., ben lontana dallo scomparire, secondo quanto a più riprese sostenuto e persino auspicato durante il secolo precedente, appare in profonda evoluzione per caratteristiche formali e per relazioni con il tessuto sociale e culturale. Posta all’angolo in Europa all’epoca delle avanguardie postweberiane, l’o. l. ha continuato la propria parabola di sviluppo grazie a un composito gruppo di compositori come Benjamin Britten, Hans Werner Henze, Michael Tippet, György Ligeti, Leonard Bernstein, Olivier Messiaen, Alfred Schnittke, Gian Carlo Menotti, Mauricio Kagel, Claude Prey, John Harbison, Krzysztof Pendereckj e in Italia, con caratteri molto differenti fra loro, da Luciano Berio, Luigi Nono, Franco Donatoni, Sylvano Bussotti, Giacomo Manzoni.
Indipendentemente dalle influenze e dalle appartenenze a scuole e correnti, dal neominimalismo alla Nuova semplicità, da ambiti neotonali alla scuola della musica spettrale, un ampio numero di compositori ha comunque continuato, dopo gli anni Settanta, a impegnarsi sul terreno del teatro musicale. Con il dissolversi delle barriere ideologiche l’approccio alle forme dell’opera è stato facilitato, caduti i diktat di scuola, da una più consapevole libertà espressiva attuata sia rielaborando e recuperando modelli tradizionali, sia ricercando nuove formule, mediante elaborazione o integrazione di linguaggi sperimentali: dai nuovi sviluppi della musica elettronica, alle tecnologiche video e del multimediale, dalle influenze della musica pop e rock a quelle della world music e del teatro-danza. Il prepotente riaffermarsi dell’attività e della scrittura teatrale, in risposta all’emergere di nuove istanze sociali, ha certamente coinvolto e influenzato anche l’opera; fra i nuovi temi atti a fornire soggetti per il teatro musicale ha assunto notevole rilievo la riflessione sui capisaldi della cultura visiva, del cinema e del teatro novecentesco e contemporaneo, con una certa crescita anche nell’interesse del pubblico. Significativo il progressivo ampliarsi in Europa e successivamente negli Stati Uniti del repertorio del teatro lirico non solo verso le creazioni del 20° sec., spesso affidate a registi innovatori, ma anche verso la tradizione operistica del passato antico e barocco, grazie agli esiti di mezzo secolo di riscoperte musicali con prassi esecutiva storicamente informata, terreno fertile per sviluppo e arricchimento culturale anche della scena contemporanea, con scambi e contaminazioni sotto il profilo stilistico e tecnico, e anche in ambito registico. In Italia questi fenomeni, incluso quel lo del Regietheater, caratterizzante gli ultimi quarant’anni del la produzione europea, appaiono più episodici, con una persistenza di stagioni operistiche orientate per la grande maggioranza sul più celebre repertorio romantico, su Richard Wagner, Giacomo Puccini e qualche opera verista, anche se alcuni festival e teatri hanno continuato a lavorare in forte controtendenza.
Il panorama europeo appare notevolmente frastagliato, a partire dagli esiti maturi di alcune importanti figure del secondo Novecento ancora attive all’inizio del nuovo millennio come Henze (L’upupa, 2003; Phaedra, 2007), Karl heinz Stockhausen (Sonntag aus Licht, 2002-11), Harrison Birtwistle (The Minotaur, 2008), Aribert Reimann (Medea, 2010), Ned Rorem (Our town, 2005) e Peter Maxwell Davies (Mr Emmet takes a walk, 2000; Kommilitonen!, 2011), senza poi dimenticare i lavori di Georges Aperghis (Avis de tempête, 2004), Thea Musgrave (The mocking-bird, 2000; Pontalba, 2003), Rodion Ščedrin (The enchanted wanderer, 2002; Levsha, 2013), Einojuhani Rautavaara (Rasputin, 2005) e Friedrich Cerha (Der Reise von Sternfeld, 2002; Onkel Präsident, 2013).
L’Italia. – In Italia convivono differenti indirizzi, a partire da quelli che in vario modo fanno riferimento alle esperienze neotonali dei decenni immediatamente precedenti, come nel caso di Lorenzo Ferrero (La conquista, 2005; Risorgimento!, 2011), Marco Tutino (Vita, 2003; Senso, 2011; Le braci, 2014; La ciociara, 2015) e ancora Carlo Galante (Ghost Café, 2000; La tempesta, 2006; Zaide, 2010), Marco Betta (Il fantasma nella cabina, 2002; Il mistero del finto cantante, 2003; Che fine ha fatto la piccola Irene, 2003; Sette storie per lasciare il mondo, 2006; Natura viva, 2010) e con caratteri fortemente eterogenei Giuseppe Sollima (Ellis Island, 2002; Caravaggio, 2004) e Nicola Campogrande (Quando piovvero cappelli a Milano, 2000; Alianti, 2001; Tempi burrascosi, 2009).
Altri hanno invece variamente coniugato le esperienze delle avanguardie storiche con un linguaggio più articolato e permeabile, meno obbediente a formalismi di scuola e aperto a influenze e scelte polistilistiche. In questo ambito troviamo Fabio Vacchi (Il letto della storia, 2003; La madre del mostro, 2007; Teneke, 2007), dalla scrittura estremamente duttile, e Azio Corghi (Tat′jana, 2000; ¿Pia?, 2004; Il dissoluto assolto, 2005), Matteo D’Ami co (Dannata epicurea, 2004; Patto di sangue, 2009; Le malentendu, 2009), Marcello Panni (The banquet, 1998; Garibaldi en Sicile, 2005).
Presentano caratteri a sé stanti i lavori di Adriano Guarnieri, marcati da impervie densità di scrittura con l’integrazione dell’elaborazione elettronica (Medea, 2002; Pietra di diaspro, 2007; Tenebrae, 2010; L’amor che move il sole e l’altre stelle, 2015). Altrettanto difficile la prospettiva scelta da Fausto Romitelli, che in An index of metals aveva condensato i frutti di un’originale rielaborazione dello spettralismo, con forti interferenze di ambito rock e pop. Giorgio Battistelli ha alternato esiti di carattere più sperimentale o eclettico (Impressions d’Afrique, 2000; The embalmer, 2002; Auf den Marmorklippen, 2002; Experimentum mundi remix, 2004; Sconcerto, 2010) a opere di impianto maggiormente tradizionale, che prendono le mosse dal teatro (Riccardo III, 2005; Il medico dei pazzi, 2014) o dal cinema (Miracolo a Milano, 2007; Divorzio all’italiana, 2008), a operazioni di completamento e rielaborazione di titoli del repertorio melodrammatico (Il combattimento di Tancredi e Clorinda, 2005; Il duca d’Alba, 2012), per tornare alla ricerca sulle nuove tecnologie unita a istanze sociali e ambientaliste con CO2 (2015). Notevole successo ha accompagnato Quartett (2011) di Luca Francesconi, su testo di Heiner Muller, ultimo di una serie di lavori (Ballata, 2002; Opera buffa, 2002; Gesualdo considered as a murderer, 2004) realizzati con un procedimento creativo in cui si fa uso di un bagaglio espressivo multiforme, che fonde tradizione operistica antica e influenze di Berio, Stockhausen, ma anche jazz e musica elettronica; a Ivan Fedele va ascritto in epoche recenti un unico titolo (Antigone, 2007). Se Giovanni Verrando non ha dato seguito alla validissima esperienza di Alex Brücke Langer (2003), Alessandro Solbiati ha voluto vincere una diffidenza apertamente confessata per il teatro musicale mediante un articolato percorso in tre opere (Il carro e i canti, 2009; Leggenda, 2011; Il suono giallo, 2015). Luca Mosca negli ultimi anni ha saldato la sua effervescente, inventiva scrittura musicale alla collaborazione con il poeta Gianluigi Melega (Mr. Me, 2003; Signor Goldoni, 2007; Freud, Freud, I love you, 2009; L’Italia nel destino, 2011), Mauro Montalbetti con Il sogno di una cosa (2014) ha invece avviato, insieme a Marco Baliani, la ricerca di un nuovo modello di teatro civile.
Vanno poi ricordati, in un panorama ancora piuttosto vitale, nonostante gli ostacoli produttivi, la riduzione delle produzioni discografiche e la scarsezza ormai endemica di risorse per la nuova musica, le prove più recenti di Daniele Lombardi, Stefano Gervasoni, Michele Dall’Ongaro, Marco Stroppa, Luis Bacalov, Matteo Franceschini, Stefano Taglietti, Silvia Colasanti, Fabrizio De Rossi Re, Lucia Ronchetti, Filippo Del Corno, Aureliano Cattaneo, Sergio Rendine, Emanuele Casale. Infine, anche nelle creazioni operistiche più recenti (Macbeth, 2002; Da gelo agelo, 2006; La porta della legge, 2009; Superflumina, 2011), Salvatore Sciarrino è rimasto sostanzialmente fedele al proprio originale linguaggio e a una cifra stilistica rarefatta, distillata con rigore e sensibilità.
Gli altri Paesi europei. – In ambito tedesco, aperto alle nuove creazioni grazie anche a un sistema teatrale e di festival diffuso e ancora ben sostenuto da finanziamenti pubblici, si segnalano le opere teatrali dal tratto marcatamente sincretico del compositore e clarinettista Jörg Widmann (Das Gesicht im Spiegel, 2003; Babylon, 2012), i recenti lavori di Wolfgang Rihm (Das Gehege, 2006; Séraphin, 2007; Dionysos, 2010), le creazioni vivacemente polistilistiche di Christian Jost (Death knocks, 2001; Vipern 2004; The Arabian night, 2008; Mikropolis, 2011; Rumor, 2012; Rote La-terne, 2015), ma anche le eclettiche formule teatrali dell’austriaca Olga Neuwirth (American Lulu, 2012; Kloing!And a songplay in 9 fits. Hommage à Klaus Nomi, 2011). E ancora vanno ricordati Wilfried Hiller (Pinocchio, 2002), Georg Friederich Haas (Die schöne Wunde, 2003; Melancholia 2008; Thomas, 2013), Manfred Trojahn (Limonen aus Sizilien, 2003; La grande magia, 2008; Orest, 2011) e il suo allievo Matthias Pintscher (L’espace dernier, 2004). Il successo dell’opera Alice in wonderland (2007) ha consacrato la compositrice coreana di formazione tedesca Unsuk Chin, dalla scrittura virtuosistica fortemente influenzata da Ligeti.
Su un versante opposto appaiono estremamente densi sotto il profilo concettuale i lavori per il teatro dell’austro-svizzero Beat Furrer (Begehren, 2001; Invocation, 2003; Fama, 2005; Wüstenbuch, 2010), mentre decisamente singolari per dissacrante inventiva sono le creazioni dell’austriaco H.K. Gruber (Der Herr Nordwind, 2005; Geschichten aus dem Wiener Wald, 2014). Ha caratteri molto peculiari la produzione di Heiner Goebbels, artista e organizzatore musicale, le cui opere ibridano forme differenti, dall’installazione sonora, alle musiche di scena alla radio-performance (Hashirigaki, 2000; Landschaft mit entfernten Verwandten, 2002; I went to the house but did not enter, 2008).
Di rilievo anche i recenti lavori teatrali di Peter Eötvös, compositore e direttore ungherese di formazione tedesca, ma da tempo stabilitosi in Francia, che ha attraversato un ampio arco di esperienze formali ed estetiche: con Le balcon (2002) e soprattutto con Angels in America (2004), cui sono seguite altre opere, ciascuna ondeggiante su piani di ricerca strutturale e timbrica differente (Lady Sarashina, 2007; Love and other demons, 2008; Die Tragödie des Teufels, 2010; The golden dragon, 2014; Senza sangue, 2015). Accolta come una rivelazione la prima opera della finlandese di formazione francese Kaija Saariaho, L’amour de loin (2000), su libretto di Amin Maalouf, conta già numerose riprese. Sono seguite due altre opere e un oratorio, sempre caratterizzati dalla medesima scrittura postimpressionistica e pulviscolare (Adriana Mater, 2006; Émilie, 2010; Only the sound remains, 2015). Il russo Leonid Desyatnikov è autore della prima opera nuova proposta dal Teatro Bol′šoj dopo oltre un quarto di secolo (I bambini di Rosenthal, 2005), ma maggior successo internazionale ha ottenuto la recente opera di Alexander Raskatov, Cuore di cane (2010), tratta dal racconto di Michail Bulgakov, ripresa anche al Teatro alla Scala di Milano.
In area francese spiccano i lavori caratterizzati da forte tensione teatrale di Pascal Dusapin (Perelà, uomo di fumo, 2003; Faustus, the last night, 2006; Passion, 2008), Michaël Levinas (Les nègres, 2004; La métamorphose, 2010; Le petit prince, 2014), le opere di Bruno Mantovani (L’autre côté, 2008; Akhmatova, 2011), costruite su un impianto orchestrale di vasta complessità, e i raffinati lavori di Marc-André Dalbavie, che proviene dalle esperienze della scuola spettrale (Gesualdo, 2010; Charlotte Salomon, 2014); Philippe Manoury (K, 2000; La frontière, 2003; La nuit de Gutenberg, 2011) si impegna invece a fondere la musica elettronica con una scrittura orchestrale dai tratti densi e virtuosi. Significative anche le recenti realizzazioni dello svizzero Michael Jarrell e soprattutto del belga Philippe Boesmans, che ha continuato (Julie, 2005; Yvonne, princesse de Bourgogne, 2009) nel segno aperto con Wintermärchen nel 1999, perfezionando una scrittura orchestrale e vocale efficace quanto fascinosa, non scevra di reminiscenze tardoromantiche. Hanno destato forte interesse in Francia e Germania i lavori di due giovani compositori portoghesi, Maria de Alvear e Vasco Mendonça. Spagnolo di nascita, ma di formazione cosmopolita, Hèctor Parra si è affermato sulla scena europea per lavori che fondono le istanze della corrente Nuova complessità con una fascinosa scrittura vocale (Hypermusic prologue, 2009; Das geopferte Leben, 2013; Te craindre et ton absence, 2014; Wilde, 2015).
La scena dei Paesi Bassi continua a offrire un panorama vivace, a partire dalle più recenti opere di Louis Andriessen (Writing to Vermeer, 1999; La Commedia, 2008; Anais Nïn, 2010), ormai approdato alla sintesi di un linguaggio strumentale e vocale molto riconoscibile, originato da esperienze minimaliste, con influenze stravinskiane e jazzistiche e il forte uso delle nuove tecnologie; Michel Van Der Aa s’impegna con originale abilità a gettare le basi di un nuovo teatro che fonda multimedialità, esecuzione dal vivo e registrata, tecnologia video 3D (One, 2003; After life, 2006; Sunken Garden, 2013). In ambito belga l’opera s’inserisce nel quadro di una ricerca a tutto campo, con autori che spaziano dalle installazioni sono re al teatro e alla danza: si segnalano Luc Brewaeys, Dominique Pauwels e ancora Jean-Paul Dessy.
La scena operistica britannica si conferma fra le più produttive, specie grazie all’affermazione internazionale di Thomas Adès (Powder her face, 1995; The tempest, 2004) e di George Benjamin (Into the little hill, 2016; Written on skin, 2012), ma anche grazie alle prove di Jonathan Harvey (Wagner dream, 2007), di Judith Weir (Armida, opera per la televisione, Channel Four, 2005; Miss Fortune, 2011), di Michael Nyman, Gavin Bryars, Brian Ferneyhough, dello scozzese James MacMillan (Sacrifice, 2007; Clemency, 2011), dei giovani Iain Bell, Julian Anderson ed Emily Hall. Forte attenzione ha riscosso l’opera di Mark-Anthony Turnage (Anna Nicole, 2010), densa di influenze jazz e pop, ispirata alla vita della modella Anne Nicole Smith. Non vanno dimenticate le opere recenti dell’irlandese Gerald Barry che contano numerose riprese.
Gli Stati Uniti e le altre realtà emergenti. – L’o. l. ha ormai cessato di essere patrimonio esclusivo della vecchia Europa e i compositori di oltreoceano a partire dagli anni Settanta hanno offerto alcuni fra gli stimoli più nuovi nel campo del teatro musicale. Non gravati dal peso di una tradizione plurisecolare, i compositori statunitensi hanno potuto con più naturalezza affiancarsi a cineasti, autori teatrali e letterari per contribuire a creare l’epos della nazione e, sotto un profilo opposto, anche la sua controcultura. Negli ultimi decenni le influenze delle avanguardie europee da un lato e l’interferenza – fertile, ma anche egemonizzante – delle forme del musical si sono progressivamente temperate, favorendo una fioritura di linguaggi più eterogenei e alternativi. L’ispirazione a testi teatrali emblematici della cultura statunitense di Tennessee Williams e Arthur Miller continua a caratterizzare le opere di maggior successo di fine secolo come A streetcar named Desire (1998) di André Previn e A view from the bridge (1999) di William Bolcom, attivo anche nel nuovo secolo (A wedding, 2004; Lucrezia, 2008). Nella stessa linea, benché epigonica, si pongono The great Gatsby (2000) di John Harbison e Cold Sassy Tree (2000), ultima fatica di Carlisle Floyd, la cui opera Susannah (1955) figura fra i pilastri della giovane tradizione operistica americana.
Resta fondamentale anche nel nuovo secolo la lezione di Philip Glass, rimasto assai attivo in campo teatrale (Galileo Galilei, 2002; Appomattox, 2005; Kepler, 2009; The perfect American, 2013; Spuren der Verirrten, 2013) con una progressiva evoluzione del minimalismo (v. minimal music) verso una scrittura orchestrale più florida. Molto incisiva l’influenza esercitata delle opere di John Adams, impostosi negli Stati Uniti e in Europa con composizioni strutturate anche in forma di oratorio, grazie alla fertile collaborazione con il regista e librettista Peter Sellars (El niño, 2000; Doctor Atomic, 2005; The gospel according to the other Mary, 2012). La prevalenza di ispirazione a capisaldi letterari, teatrali o cinematografici si conferma anche nelle opere di successo di Tobias Picker (Thérèse Raquin, 2001; An American tragedy, 2005; Dolores Claiborne, 2013), come nelle apprezzate creazioni di Jake Heggie (Dead man walking, 2000; The end of the affair, 2004; Last acts, 2008; Moby Dick, 2010) e di Stewart Wallace (Harvey Milk, 1995; The bonesetter’s daughter, 2008). Anche il cantautore americano-canadese Rufus Wainwright ha tentato la via del teatro con l’opera-musical Prima donna (2010), mentre il proteiforme compositore, sassofonista, jazzista e produttore musicale John Zorn nel 2011 ha presentato il monodramma La machine de l’être alla New York City Opera.
Michael Gordon ha maturato un percorso di taglio avanguardistico, fondando a New York l’associazione Bang on a can, con progetti teatrali propri e opere collettive con la compositrice Julia Wolfe, sua moglie, e con il compositore David Lang (The carbon copy building, 1999; Shelter, 2005). A sua volta Lang ha dato vita a un personale amalgama di neominimalismo, elementi rock-pop, integrazioni di arte concettuale per dar vita a una personalissima formula teatrale (The difficulty of crossing a field, 1999; The little match girl passion, oratorio, 2007, premio Pulitzer nel 2008; The whisper opera, 2013). Altre esperienze di rilievo sono quelle di John Musto, David Carlson, Daron Hagen, Richard Danielpour, Jennifer Higdon e dei giovani Missy Mazzoli e Mohammed Fairouz.
Il compositore cinese naturalizzato statunitense Zhou Long ha ottenuto il premio Pulitzer per l’opera Madame White Snake (2010), un tentativo di estendere estetica e strutture della grande tradizione occidentale con elementi dell’opera classica cinese. Ha sviluppato forti legami con gli Stati Uniti anche il cinese Tan Dun, autore di apprezzate colonne sonore per il cinema: la fluida sintesi di antiche tradizioni operistiche e musicali cinesi con un linguaggio di suggestioni minimaliste e postmoderniste pervade le sue opere teatrali (Marco Polo, 1996; Peony Pavilion, 1998; Tea. A mirror of soul, 2002; The first emperor, 2006). La tradizione argentina è ibridata anche con marcate influenze europee nelle opere di Osvaldo Golijov (Ainadamar, 2005), mentre il brasiliano Jorge Antunes ha proseguito le sue ricerche in campo elettroacustico anche nelle recenti produzioni (Olga, 2006). In altre aree geografiche di sviluppo più recente come la Repubblica Sudafricana e l’Estremo Oriente si sta manifestando un crescente interesse per il teatro musicale, che potrebbe portare anche questi Paesi a emergere con proposte di rilievo.
Bibliografia: Enciclopedia della musica, a cura di J. Nattiez, 1° vol., Il Novecento, 3° vol., Musica e culture, 5° vol., L’unità della musica, Torino 2001, 2003, 2005; S. Sadie, L. Macy, The Grove book of operas, New York 20062; E. Giudici, L’opera in CD e video, Milano 2007; A. Ross, The rest is noise, London 2008 (trad. it. Milano 2009); E. Salzman, T. Desi, The new music theatre. Seeing the voice, hearing the body, New York 2008; P. Pavis, La mise en scène contemporaine, Paris 2011; M. Ross Griffel, Operas in english. Adictionary, 2 voll., Lanham (Md.) 2012; Opera 2012, annuario EDT/CIDIM dell’opera lirica in Italia, Torino 2012; The Cambridge history of musical performance, ed. C. Lawson, R. Stowell, Cambridge 2012; Opera in the media age, ed. P. Fryer, Jefferson(N.C.) 2014. Si vedano inoltre le riviste «Classic voice» e il «Il giornale della musica» per gli anni 2004-14.